Raccolta materiale e bibliografia utile XTesi

MATTIOLI

Achille Ghidoni


 

 Lucia Tomasi Tongiorgi  Illustrazione scientifica
Storia del Disegno dell'incisione e della Grafica - BC, LE

Prof. Lucia Tomasi Tongiorgi
Dipartimento di Storia delle Arti
Corso di Laurea: BC (38123), LE (10087) - Titolarità: S (BC), M (LE) - Orario ricevimento: Ve 10 (Dip.) - Orario lezioni: Lu 16-18, Ve 11-13 (Dip.).
 

Capriccio e natura. Incisori nella Toscana del Seicento.

Il corso intende offrire, all'interno di una visione sintetica dei percorsi disegnativi e incisori in Italia tra la metà del XV e la fine del XVIII secolo, un'esperienza monografica incentrata sulla produzione incisoria in Toscana nella prima metà del Seicento. La bottega dei Parigi e la presenza a Firenze di Jacques Callot permettono l'affermazione di una produzione incisoria straordinariamente innovativa sia sotto il profilo dei contenuti che delle tecniche. Alla protezione e alla committenza medicea si deve l'affermazione di numerose personalità di artisti che contribuirono ad una profonda innovazione della produzione incisoria non solo in Italia, ma anche in Europa.
 
 
 
 

Bibliography
 

Dall'essenza vegetale agglutinata all'immagine a stampa:il percorso dell'illustrazione botanica nei secoli XVI-XVII. In 'Museologia Scientifica',VIII,(1992), pag 271-295.
Erbari-conservare le piante attraverso i secoli. Provincia di Pisa ,Dipartimento di scienze botaniche dell'Universita' di Pisa - Aprile 1993 .
I musei dell'Ateneo pisano. Universita' degli Studi di Pisa, Giardini Editori,Giugno 1991.
Il Giardiniere del Granduca _ Tongiorgi Tomasi, Garbari_ ETS edizioni, Pisa 1995.
L'Orto Dipinto, botanica ed immagini_ Dipartimento di Scienze Botaniche dell'Universira' di Pisa, Marzo 1996.



 

Gotico internazionale  uso di elementi vegetali pittura scultura architettura, pittura fiamminga Yan van Eyck la famiglia Arnolfini specchio e riproduzione in dettaglio di elementi e particolari, Olanda sviluppo del cannocchiale, reimportazione di cultura classica dall’oriente,Aristotele,Platone,Galeno, astronomia, astrologia, miscroscopia, piccoli insetti che sembrano mostri....
Bruegel iconografia esoterismo ed alchimia,  i legami con Bosch, la cultura contadina Olandese, proverbi, il ciclo dei mesi, riproduzione del vitalismo, i mostri, i nuovi mondi e i nuovi animali, l'uomo pesce, in architettura riproduzione di elementi zoomorfi, antropomorfi, Serlio, Michelangelo e la biblioteca Laurentiana (pavimento Santi Buglioni e Tribolo, soffitto Tasso e Carota),  il barocco, vitalismo tendere verso qualcosa,
Dioscoride e il suo erbario ( Mattioli) sviluppo dell’illustrazione scientifica stampe di erbe medicinali, evoluzione dei giardini dei Semplici, Platone distinzione tra lavoro manuale e intellettuale ( medici e chirurghi),



Francesco Redi Arezzo 1626 1697 Pisa , Ferdinando II spezierie., protomedico  cariche confermate anche da Cosimo III Galileo muore quando Redi aveva 16 anni promotore dell’accademia del Cimento, studiò la generazione spontanea ( le larve nella carne) e il veleno delle vipere applicazione in campo medico di pratiche ippocratiche, prevenzione e uso di rimedi naturali, demolizione di teorie Aristoteliche.
 

http://www.unisi.it/ricerca/dip/dsssf/ssf_e_fr3.htm

   UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI SIENA FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA IN AREZZO Dipartimento di Studi Storico-Sociali e Filosofici
Progetto Redi

Francesco Redi (Arezzo 1626 - Pisa 1697) è uno degli scienziati più importanti nel panorama della scienza del Seicento, ed un vero protagonista della modernità. Erede della tradizione galileiana e geniale estensore del metodo delle "sensate esperienze" alle scienze della vita, può essere considerato uno dei fondatori della biologia sperimentale. Ma, alla prova dei fatti, egli rappresenta un classico esempio di scienziato più noto che conosciuto, più citato che studiato, più ammirato che amato. Lo dimostra anche lo stato della bibliografia rediana che presenta una situazione di sostanziale inadeguatezza, se consideriamo la statura del personaggio e il suo ruolo centrale nel contesto dell’eredità galileiana e della scienza del Seicento. Non solo manca infatti un'edizione completa delle Opere e dell'Epistolario di Redi (l'edizione più affidabile dei suoi scritti principali risale all'inizio dell'Ottocento: Opere, Milano, 1809-1811, 9 volumi), ma non esiste nel panorama editoriale contemporaneo una biografia intellettuale dello scienziato. Ancora praticamente inesplorato risulta, poi, l’imponente fondo dei manoscritti scientifici e letterari rediani conservati nelle biblioteche fiorentine e toscane, che raccolgono i protocolli delle sue ricerche naturalistiche, anatomiche, biologiche e fisico-chimiche, oltre che le diverse redazioni manoscritte delle sue opere e il suo carteggio.
È stato solo in occasione della ricorrenza del Terzo Centenario della morte di Redi che si è registrata una significativa ripresa degli studi. Oltre alla pubblicazione dei volumi F. Redi, Esperienze intorno alla generazione degl'insetti, a cura di W. Bernardi (Giunti, Firenze 1996) e Natura ed Immagine. Il manoscritto di Francesco Redi sugli insetti delle galle, a cura di W. Bernardi, L. Tongiorgi Tomasi, P. Tongiorgi, G. Pagliano, L. Santini, F. Strumia (ETS, Pisa 1998) si sono tenuti ad Arezzo due Convegni sulla figura e l’opera del grande scienziato.
Gli Atti del primo Convegno, svoltosi il 28-29 novembre 1997 presso la Biblioteca Comunale "Città di Arezzo", sono pubblicati nella forma di un volume organico intitolato Francesco Redi. Un protagonista della scienza moderna. Documenti, esperimenti, immagini, a cura di W. Bernardi e L. Guerrini, Olschki, Firenze 1999.
Gli Atti del secondo Convegno, organizzato dall’Accademia Petrarca nei giorni 12-13 febbraio 1998, sono raccolti nel volume a cura di Lorella Mangani e Giuseppe Martini Francesco Redi Aretino, Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze, Arezzo 1999, pp. 414, pubblicato con il contributo finanziario della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio e del Dipartimento di Studi Storico-Sociali e Filosofici dell'Università degli Studi di Siena.
Il finanziamento da parte del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica di un programma di ricerca inter-universitario 40%, diretto dal Prof. Walter Bernardi ed intitolato "La riscoperta di un protagonista della scienza moderna: Francesco Redi nella prospettiva dell’Edizione Nazionale delle Opere, Lettere e Manoscritti", consente oggi di rilanciare con nuove possibilità e dotazione di mezzi la ricerca storiografica sulla vita e l’opera del grande scienziato aretino.
Il progetto, di durata biennale (dicembre 1998 - dicembre 2000), prevede due unità di ricerca, una ad Arezzo e l’altra a Firenze, e comprende 15 ricercatori. Esso si svilupperà attraverso un’analisi esaustiva delle fonti primarie riguardanti tutta l’opera scientifica e letteraria di Redi, e riguarderà quattro tipi di documenti:
5. le opere a stampa ed i Mss. che facevano parte della Biblioteca personale di Redi conservata ad Arezzo;
6. i carteggi inediti raccolti nei Mss. Redi della Biblioteca Medicea Laureanziana di Firenze;
7. i carteggi familiari ed i protocolli di laboratorio raccolti nei Mss. Redi della Biblioteca Marucelliana di Firenze;
8. i Mss. rediani conservati nel Fondo Palatino della Biblioteca Nazionale di Firenze.
Gli obiettivi del programma possono essere così sintetizzati:
A) Iniziative editoriali:
6. Pubblicazione (già in corso di realizzazione) degli Atti dei due Convegni rediani del 1997 e 1998;
7. edizione del Catalogo della Biblioteca di Francesco Redi ad Arezzo, realizzata attraverso una preliminare (ed in parte già avviata) ricognizione, individuazione e catalogazione delle diverse centinaia di libri scientifici, antichi e moderni, appartenuti a Francesco Redi;
8. edizione di singole opere rediane - di carattere scientifico, medico e letterario - criticamente rivisitate e correlate ad una accurata storia del testo e delle redazioni manoscritte;
9. pubblicazione del Ms. noto come Vacchetta (o "Libro di ricordi di Francesco Redi"), conservato presso la Biblioteca "Città di Arezzo";
10. pubblicazione di un’edizione cartacea del Carteggio familiare di Francesco Redi, basato sui fondi manoscritti di lettere della famiglia Redi presenti nei Mss. Redi 1, 15, 16, 17, 18 della Biblioteca Marucelliana di Firenze, che ci restituiscono un’immagine completa e sotto certi aspetti imprescindibile del contesto umano e dell’esperienza di vita dello scienziato aretino.

B) Iniziative di editoria elettronica:
3. preparazione di un ipertesto di carattere multimediale su CD-ROM dedicato a "Francesco Redi e la cultura sperimentale e naturalistica della Toscana del XVII secolo";
4. realizzazione di un data-base (consultabile on-line e su CD-Rom) dedicato all’inventariazione di tutto il Carteggio rediano, sia quello già edito sia quello inedito, che preveda:
a) la digitalizzazione del testo delle lettere già pubblicate,
b) per le lettere ancora manoscritte una decrizione sintetica del contenuto, una riproduzione per immagini, e, se risulterà possibile e congruo con il finanziamento disponibile, anche la relativa digitalizzazione del testo.

C) Avvio dell’Edizione Nazionale delle Opere, dell'Epistolario e dei Manoscritti di Francesco Redi
Resta questo l’obiettivo strategico dell’intero programma di ricerca, anche se non si può non essere consapevoli che una iniziativa di questo tipo comporta procedure amministrative, scientifiche ed editoriali di grande complessità e di lungo periodo che si dilatano inevitabilmente al di là della scadenza del presente progetto.

La prima iniziativa del programma è il Seminario "Idee e prospettive per l’edizione delle Opere, dei manoscritti e dell’epistolario di Francesco Redi", che si svolgerà ad Arezzo nei giorni 18-19 Dicembre 1998.
 
 


 La mostra al Museo Regionale di Scienze Naturali è un omaggio a Goethe in occasione del 250esimo anniversario della sua nascita, illustra lo stato delle scienze nel XVIII-XIX secolo. Suddivisa in sezioni, permette di verificare diversi aspetti della personalità del poeta, i suoi paesaggi, i ritratti, ma anche la sua vera dedizione nei confronti della ricerca scientifica, con disegni e studi di nuvole, schemi di piante per illustrare la loro metamorfosi, tutti appoggiati a teorie proprie o di altri scienziati (teoria goethiana della metamorfosi della Terra, teoria del colore, classificazione delle nuvole di Howard, per citarne alcune). L’esposizione è arricchita da una notevole collezione di reperti botanici, zoologici e geologici messi a disposizione dal museo, nonché da strumenti sperimentali di Goethe riprodotti grazie al prezioso aiuto del Museo di Astronomia e Storia della Tecnica di Kassel. Cornelia Diekamp, la curatrice del catalogo, sottolinea l’importanza di questa mostra per la completezza del lavoro svolto, che ha inoltre avuto l’importante appoggio del Goethe-Nationalmuseum di Weimar e del Frankfurter Goethe-Museum Frankfurt am Main.
L’importante sezione dedicata ai disegni del viaggio in Italia è completa e ben strutturata. Johann Wolfgang Goethe si recò più volte in Italia ed il primo viaggio, fra l’autunno del 1786 e la primavera del 1788, lo colpì a tal punto da fargli coniare frasi come “anch’io in Arcadia” (vedi catalogo p.10). Ebbe la possibilità di scoprire e contemplare le ricchezze del paesaggio nostrano; attraverso l’osservazione delle architetture classiche ma anche della natura rigogliosa del bel paese riuscì ad approfondire il significato di bellezza, a tal punto da convincerlo che il concetto di bellezza è il risultato della conoscenza, non delle sole proporzioni armoniche.

Dallo stesso Goethe il viaggio in Italia fu definito un periodo di rinascita, nel quale visse una condizione privilegiata, da artista privo di impegni, intento solo ad osservare, scrivere e disegnare. Gli schizzi che produsse in quel periodo sarebbero serviti per l’edizione illustrata del viaggio in Italia, tant’è che in seguito si preoccupò di cercare artisti che li riproducessero su lastre di rame; sebbene l’opera non fu mai realizzata. La collezione di disegni, costituita da oltre 2500 immagini (delle quali un quarto sono del viaggio in Italia), fu poi smembrata nel tempo; oggi in esposizione si possono ammirare moltissime riproduzioni alcune contrassegnate da una croce, essa probabilmente indica che sarebbero stati prescelti per la pubblicazione. Non v’è dubbio che tale evento rappresenti, solo per questo tentativo di raccoglierli insieme, un importante appuntamento a cui non mancare.



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Derrick De Kerckhove
· La civiltà della televisione rappresenta una civiltà dello spreco e della negazione dell'interazione: l'unica attività dello spettatore è l'acquisto ed il consumo di tutto ciò che viene pubblicizzato dalla TV. Il computer è la negazione della televisione: è il simbolo dell'interazione e, così come il libro, sviluppa ed accelera il pensiero. Lo scontro tra televisione e computer vede, attualmente, la resistenza televisiva all'interazione insita nel digitale; è comunque evidente che la società del futuro sarà quella delle reti, della comunicazione, dell'interattività (1). · In tal senso una rete come Internet può rappresentare la fine della televisione, a meno che alla TV non venga mantenuta la sua vera funzione, ossia rivolgersi al pubblico per formare un'opinione pubblica (2). · L'Italia è uno dei maggiori fruitori di TV, ma trascura la rete come mezzo del futuro; è necessario investire sia nell'alfabetizzazione informatica, così come bisognerebbe lasciare piena libertà alla concorrenza tra fornitori di servizi. Un errore da evitare, al contrario, è un eventuale aumento delle tariffe di Internet (3). · Per quanto riguarda il rapporto tra arte e tecnologie digitali, si nota un impegno da parte degli artisti nel creare sistemi interattivi che costituiscano delle variazioni, realizzate con l'ausilio di macchine elettroniche, sul tema delle possibilità tattili. Esistono molti esempi di esperienze artistiche in connessione con un computer; è interessante, notare che i risultati di questi esperimenti possono essere applicati alla realtà quotidiana per rendere, ad esempio, meno disagiate le condizioni di vita degli handicappati (4). · La cultura artistica svolgerà un ruolo importante nello sviluppo futuro del rapporto tra uomo e computer e tra uomo e uomo attraverso il computer, come già testimoniano programmi di interattività premiati in sedi internazionali (5). · In altri termini esiste una compenetrazione senza precedenti dei domini dell'arte e della scienza. Inoltre si sta verificando uno spostamento dell'arte dal creatore al fruitore: infatti quest'ultimo può intervenire direttamente all'interno di un meta-progetto in cui le tutte le possibilità virtuali sono state inserite dall'artista (6). · Le tecnologie applicate al campo letterario hanno portato alla realizzazione degli ipertesti che, offrendo la possibilità di scegliere, potrebbero rappresentare una contraddizione della stessa narrativa e, in ultima analisi, della lettura stessa: in realtà negli ipertesti è in discussione la linearità, non la leggibilità (7). · Inoltre non va dimenticato che la lettura è sinonimo di libertà, nel senso che per essere padroni delle nostre parole, condizione prima per la conquista della propria identità, abbiamo bisogno di un testo (8). · Contrariamente a quanto possa apparire, l'era digitale rappresenta in realtà una riconquista del corpo, dal momento che, per esempio attraverso la rete, l'individuo si trova ad essere sparpagliato sull'intero pianeta. Così ciascuno torna ad essere il proprio corpo (9). · Per ciò che riguarda la nuova tecnologia delle telecomunicazioni in rapporto alla religione, la Chiesa cattolica non può pretendere di avere lo stesso tipo d'autorità di prima nella distribuzione centralista. Così la virtualità può indurre a trattare in modo discreto le specificità di ogni religione e di fatto promuovere una nuova tolleranza (10). · Del resto tutte le tecnologie hanno cambiato le vie d'accesso alla spiritualità, ma non le fondamenta (11). · Le reti telematiche possono modificare la fisionomia dell'aggregazione politica, attualmente in grave crisi a causa del fallimento di ogni vecchia ideologia. Per questo motivo è auspicabile che la politica realizzi un ambiente di servizi offerti ai cittadini, superando le anacronistiche contrapposizioni tra destra e sinistra (12). · La rete rappresenta anche lo strumento per nuove forme di aggregazione sociale, basate su interessi e affinità, determinando così una nuova forma di attivismo molto potente, perché amplificato. Se questa situazione verrà gestita con intelligenza, si avrà un effetto benefico per tutti, dal momento che le forme di potere in fase di divisione e ridistribuzione di quest'ultimo, creano società stabili. Questa sembra essere la direzione di sviluppo della società delle reti, la direzione verso la quale si sta muovendo la gente per avere più voce in capitolo, più potere e più rapporti sociali, come risposta alla costante perdita di importanza delle ideologie (13) (14).
INTERVISTA:Domanda 1Alcuni sostengono che siamo all'inizio di una nuova era dell'informatica nella quale l'aspetto saliente è la rete. Che cosa pensa di questa grande novità?RispostaSono d'accordo. Si tratta dell'ultima fase dello sviluppo basato sull'elettricità e iniziato con il telegrafo. Consideriamo il telegrafo, la radio, il telefono, la televisione, i computer ed ora le reti: sono diverse fasi di una sorta di sviluppo ininterrotto dell'elettronica che in sostanza sostituisce i processi mentali del mondo del libro con l'attività fisiologica del sistema nervoso esteso. L'elettricità è, in sostanza, il sistema nervoso. La televisione e la radio hanno creato una cultura di massa, una comunicazione a senso unico da una stazione centrale verso l'esterno, con scarso ritorno in senso inverso. La negazione dell'interazione. La TV è refrattaria all'interazione. Il suo è un prodotto costoso, usato solo per una volta, eccetto che per le repliche, un prodotto usato solo per una volta, senza autentica conservazione in "magazzino", senza che su di esso si riconoscano diritti a qualcosa. Uno spreco di energia umana che dura da anni. La civiltà della televisione è una civiltà dello spreco: essa ama produrre e consumare e far consumare di più e incoraggia un maggior consumo. E' la madre della pubblicità: essa crea una gamma di offerte per un pubblico che deve soltanto sedere davanti alla TV e comprare. Lo spettatore non è passivo, dal momento che la sua attività consiste nell'acquistare prodotti o votare per individui che continuano ad alimentare il sistema. Il computer è un grande nemico per la TV. La TV minacciava il mondo dei libri, il vecchio ritmo dei libri, il loro modo di essere, l'identità, il mondo dello spirito critico. Con i computer i libri ritornano e l'effetto è clamoroso. Un computer è in realtà un libro elettronico; è il primo libro elettronico. Esso crea una potente accelerazione del pensiero, così come di una quantità di processi. Quello che in realtà si è verificato è solo un attacco alla TV. I computer hanno invaso la tecnologia della televisione e poi hanno cercato di inghiottire completamente la televisione introducendo in essa l'interazione. Ma la TV ha resistito con successo a quest'ultimo tentativo. La nuova società è la società delle reti. E' un'autentica civiltà della comunicazione e rappresenta l'ultima forma dell'ampliamento della mente poiché con essa l'estensione della mente diventa collettiva. Per la prima volta nella storia del mondo disponiamo di uno strumento che nello stesso tempo sviluppa la personalità del singolo e la sua socializzazione, sviluppa il privato ed il pubblico, l'oralità e l'archivio della memoria, il singolo e il molteplice. E' la prima volta che disponiamo di strumenti per moltiplicare le intelligenze umane e far sì che queste si possano collegare. Si può analizzare la seguente differenza: Tv come prodotto costoso usato per una sola volta rispetto alle reti come prodotto economico usato, riusato e riconfigurato. E' una differenza incredibile; è un fattore economico del quale la gente non ha ancora neanche iniziato ad avere coscienza. Un'economia di un tipo completamente nuovo. La TV odia l'interazione. Domanda 2Può fare l'analisi del rapporto tra la TV e l'interazione?RispostaIl rapporto tra la TV e l'interazione è di incompatibilità della prima nei confronti della seconda. Quando si verifica una relazione interattiva, la televisione non funziona secondo le modalità che le sono proprie, rivelando così che non è adatta all'interazione. In linea di massima, la televisione, per sua natura, deve essere una sorta di mezzo di trasmissione a distanza a senso unico. Facendone un mezzo di trasmissione a distanza ravvicinata con la partecipazione dello spettatore, non si ha più televisione, ma un mezzo di comunicazione multipla, di Internet; si creerà una situazione di collegamento in diretta per poter avere interazione, determinando la fine della televisione. In altre parole, la vera funzione della televisione è rivolgersi al pubblico per formare un'opinione pubblica, in quanto è un mezzo di comunicazione che riunisce; ma se la si rende interattiva, la televisione diventa uno strumento educativo, una macchina per giocare, un videogame,e così facendo si snatura. Domanda 3In questo mondo delle comunicazioni in trasformazione, quale ruolo può svolgere l'Italia con la sua cultura?RispostaL'Italia possiede una cultura orale. Avete un senso spiccatissimo della comunicazione orale. Molto più che non nei Paesi del Nord, in Italia c'è la sensazione di dover stare in un contesto orale, in tempo reale con altri. L'Italia ha un'esperienza fantastica in fatto di televisione. Ama la televisione, conosce la televisione; l'Italia è uno dei principali fruitori di televisione, perciò non meraviglia che sia ancora molto impegnata con la televisione e la consideri il principale mezzo di comunicazione. Ma in realtà la TV non può restare tale nell'economia che ora sta prendendo forma. L'Italia ha davanti a se un periodo di 5 anni durante il quale altri Paesi faranno ciò che è scontato, ossia allacciare ed attivare le loro reti. In Italia tutto questo non c'è ancora. Sarebbe sufficiente sfruttare la rete esistente, già molto buona, in modo da assicurare un'interazione completamente simmetrica. Se non c'è questa simmetria è meglio lasciar perdere, si sprecherebbe soltanto una gran quantità di tempo. Penso che proprio oggi occorra investire una grande somma di denaro per dar vita e per incrementare la cooperazione nelle comunicazioni via satellite, nella comunicazione senza fili. Occorre investire un'enorme quantità di denaro nell'aggiornamento degli insegnanti ed inoltre occorre far sì che gli allievi che hanno appreso possano insegnare ai loro colleghi studenti ed ai propri insegnanti. L'insegnamento è la priorità numero uno per lo sviluppo delle reti telematiche. Esso, infatti, paga sempre, se non direttamente in termini di utenti del sistema, paga in termini di creatori e di elaboratori di informazioni. E questo è incredibilmente importante, in modo particolare oggi, ai fini dell'economia che sta emergendo. Quindi l'insegnamento è un investimento da fare. Un altro investimento consiste nella liberalizzazione di attività disciplinate da alcune regolamentazioni obsolete. In qualche misura è necessario deregolamentare, così come ci deve essere protezione della concorrenza. Credo che si debba in qualche modo garantire unità d'intenti a tutti i fornitori di servizi, ma nel contempo si deve consentire lo sviluppo di una vera concorrenza tra questi. Il Canada sarebbe un ottimo oggetto di studio per il legislatore italiano, perché da noi non si è affermata la propensione per una deregolamentazione piena, aperta e selvaggia. Noi siamo per un tipo di deregolamentazione caso per caso, punto per punto. Siamo andati molto piano in passato. Se l'autostrada informatica significa qualcosa, significa la responsabilità del governo nel farne uno spazio pubblico; non richiede invece di essere lasciata all'impresa privata, alla grande impresa ed al mondo degli affari: quest'ultimo infatti, lo conosciamo tutti, non possiamo criticarlo per la sua natura, ne ricaverà denaro senza trasformarlo in un motivo di progresso sociale. Una società civile è fatta dal governo più il mondo degli affari: cosicché il vostro governo ha una corresponsabilità nel far sì che il pubblico italiano disponga di accessi cognitivi, tecnici, finanziari. Non lasciate che la STET aumenti la tariffa per gli utenti di Internet, dieci o cento volte più che negli altri Paesi: non è la politica giusta. Domanda 4Passiamo ad altro. Quale ritiene sia il futuro dei linguaggi artistici in relazione alla nuova tecnologia ed in particolare alla realtà virtuale?RispostaAbbiamo fatto qualche lavoro con la realtà virtuale nel quadro del Programma McLuhan. In passato abbiamo lavorato sulle interfacce: ogni interfaccia rappresenta un'estensione del tatto. Una cosa divertente è che veniamo da una civiltà prevalentemente visiva, qual è quella rinascimentale; con i nuovi ambienti di vita sensoriale simulata stiamo ritornando ad una cultura tattile e la gente non se ne accorge. Così agli artisti si richiede di creare sistemi interattivi e ognuno di questi non è altro che una variazione, realizzata con l'ausilio di macchine elettroniche, sul tema delle possibilità tattili. Faccio ora l'esempio di un sistema di danza: si danza davanti ad una telecamera e l' immagine di chi danza viene registrata digitalmente in un computer e quest'ultimo invia informazioni ad un MIDI, ad un sintetizzatore e quindi i suoni creati dai movimenti di chi danza vengono completamente controllati. Il computer registra e può anche ricordare e anticipare certi tipi di suoni; può cominciare a fare la media dei movimenti di chi danza e anticipare certi tipi di movimenti per creare la musica del danzatore. Stiamo facendo qualcosa di artisticamente scientifico in quanto è preciso, si collega a movimenti assolutamente reali e presenta in qualche modo una connessione diretta con il computer. Abbiamo creato una realtà virtuale che l'autore, uno dei nostri esperti che lavora al programma McLuhan, ha chiamato "Giardino virtuale". Chi usa il programma è come un'ape; atterra su un fiore, lo osserva, poi vola su un altro fiore e, per via digitale, preleva qualcosa dal primo fiore e lo porta sul secondo: quindi, con la combinazione dei fiori e del tempo passato su ciascun fiore, se ne crea un terzo, che è il risultato dell'ibridizzazione. Ibridizzazione: questo è un concetto virtuale molto bello. Amiamo questo tipo di materiale virtuale. Ci piace anche il materiale che può essere d'aiuto alle persone. Per esempio usiamo l'arte e la tecnologia per aiutare persone handicappate o persone ospedalizzate con problemi di movimento: così abbiamo usato alcune tecnologie che permettono loro di avere sensazioni più piacevoli nel fare esercizi di movimento come, per esempio, creare la musica. Abbiamo usato questo sistema con i paraplegici e dopo una sperimentazione di dieci mesi i miglioramenti erano così radicali che i risultati sono stati pubblicati su giornali specializzati. Inoltre abbiamo usato un altro sistema per permettere di leggere e scrivere ad una donna che poteva solo gesticolare: le abbiamo dato queste possibilità mediante una connessione con una telecamera e creando ogni tipo di strumenti per collegarla ad un computer. A questa donna, laureata in legge, abbiamo permesso di continuare il suo lavoro ed i suoi studi. Amiamo queste innovazioni con base artistica che possono essere applicate alla vita reale. Domanda 5Lei crede, quindi, che la cultura artistica avrà un ruolo da svolgere nello sviluppo futuro del rapporto tra uomo e computer e tra uomo e uomo attraverso il computer?RispostaSi. Il rapporto uomo-uomo è diverso dal rapporto uomo-computer perché il primo non è altro che la rete. La rete è la base essenziale di ogni discorso intorno all'interazione uomo-uomo o persona-persona. Ora, è necessario far ricorso ad un certo tipo di arte per occuparsene. L'anno scorso ho partecipato ad una giuria di arte in rete per Ars Electronica, a Linz, in Austria. Nessuno disponeva di criteri per il nostro compito. Cosa è l'arte in rete? Quale ne è la specificità? Non si tratta di album con bei disegnini che chiunque può fare con una scatola di colori e lanciare in rete dicendo: è la mia arte. Abbiamo riflettuto sul fatto di essere in relazione con la rete; quindi il criterio è l'interconettività, la complessità, l'abbondanza delle sfaccettature delle prospettive e delle applicazioni, l'eleganza. Potete così trovare un programma intelligente come Ringo, che vi permette di conoscere il gusto musicale di ognuno in modo da poter creare una comunità di gusti analoghi ed averne un ritratto completo. Abbiamo dato il primo premio a Idea Futures. Chi si inserisce mette in rete un'idea, destinando ad essa una somma di denaro. Il giorno dopo altri considerano quell'idea ed impegnano denaro per migliorarla. E dopo un periodo di due mesi o due settimane o due giorni, l'idea è cresciuta di valore, di qualità, di applicabilità. Forse un giorno diventerà un progetto per investimenti. E' geniale. Un altro esempio sono le connessioni delle conversazioni in rete. Sebbene non sia realmente in funzione, amo l'idea che si possa avere un dialogo in rete attraverso il mondo intorno ad un certo argomento in un sito della rete, senza essere costretti a rivedere le conversazioni in modo lineare, ma potendo analizzare un'area di argomenti attraverso un iperindice. Questo è materiale stimolante per l'intelligenza. Trovo che questo sia la "connettività". Trovo che questo sia degno di una sensibilità estetica. Un artista di Parigi, in collaborazione con il MIT ha creato il seguente sistema: uno parla ed un microfono riceve le parole, che sono trasformate in un testo, per esempio in inglese. Il testo è trasmesso ad un traduttore che lo trasforma in un testo francese e, alla fine di tutto il processo, si può udire un sintetizzatore pronunciare, in modo approssimativo, la traduzione francese. E' un sistema ad alta tecnologia che potrà essere utile per il mondo degli affari; tuttavia proviene da una sensibilità artistica per la traduzione da una modalità in un'altra e da una lingua in un'altra e poi di nuovo nella modalità originaria, questa volta grazie alla mediazione del computer. Un altro esempio è "l'Archivio" di Antonio Muntadas, una novità fantastica. Tutti i file rappresentativi del materiale artistico censurato dalle autorità governative, dai tempi di Nefertiti ad oggi, sono resi disponibili in rete. Sembra proprio di essere al KGB, un grande gabinetto di consultazione con tavolinetti e lampade da tavolo e tutti questi archivi; ma ciò che si vede è Internet e su Internet, naturalmente, ci sono tutti i documenti ai quali la gente sta dando un'occhiata. La gente è molto affascinata da questo particolare sito. E' questa la connettività: tutto il materiale oggetto di repressione viene restituito e reso disponibile. Inoltre la gente può aggiungere le proprie lamentele contro la censura ed esibire le proprie prove e depositare il proprio materiale. Non ci sono limiti alle possibilità. Domanda 6Possiamo dire che stiamo alimentando un nuovo modello di estetica?RispostaCerto. Per quanto riguarda l'estetica stiamo sperimentando i confini tra la scienza estetica e la scienza applicata. Assistiamo ad una compenetrazione senza precedenti dei domini dell'arte e della scienza. Siamo anche di fronte ad uno spostamento dell'arte, dal creatore al fruitore: il progetto dell'opera diventa un meta-progetto, in base al quale sono definiti i parametri progettuali per la creazione del prodotto artistico finito. Pertanto l'effettivo creatore è il fruitore, ossia l'artista è il creatore virtuale. Ciò è quanto realizzato dal sistema di danza sopra descritto. L'autentico creatore di ogni prodotto artistico è il fruitore, colui che danza e crea la musica. Ma chi ha creato tutte le possibilità virtuali racchiuse nel meta-progetto, è l'artista. Domanda 7Poiché l'ipertesto offre la possibilità di scegliere, non crede che la narrativa che si avvale di tale mezzo, in qualche modo, sia una contraddizione?RispostaNegli ipertesti è in discussione la linearità, non la leggibilità. Infatti la parola stampata e la parola alfabetica scritta, si basano sulla linearità già in ragione dello stesso processo della lettura: ogni parola è lineare, e non può che essere tale, dovendo essere letta con un inizio, una parte intermedia ed una fine. Cosicché l'emergere dell'alfabetizzazione, la traslazione del linguaggio umano in testo non fa che rinforzare la linearità innata del linguaggio parlato. Per esempio, i programmi che nel nostro corpo, nel nostro sistema nervoso, si attivano per preparare la enunciazione di una frase, sono anch'essi di natura iperlineare. Ma quando il risultato si materializza nella scrittura, allora abbiamo la linearità, la narrativa, la continuità della narrativa con le difficoltà del flashback. Bene, la linearità emerge con i testi e scompare con l'elettricità. Quest'ultima rappresenta la simultaneità. Quindi non c'è più testo ma un archivio automatico da esplorare a diversi livelli. Durante la realizzazione dell'album del Programma McLuhan, ora reperibile in un sito Beta, abbiamo fatto un'importante osservazione: quando uno guarda un testo in rete, non desidera cliccare su ogni parola scritta con la maiuscola. Abbiamo diviso la pagina in due: una parte larga, a destra, per il testo e sulla sinistra tutti i punti interessanti che il lettore può desiderare di esplorare, senza essere obbligato. Questi punti, quindi, non danno la sensazione di interrompere il testo. Inoltre, abbiamo strutturato il nostro album in orizzontale, non in verticale, cosicché se il lettore vuole navigare nella pagina, può farlo con il cursore muovendolo verso destra e può spostarlo all'infinito. Ma è sempre qualcosa di analogo alla lettura. Quindi crediamo che il nostro album sia un omaggio di Internet al libro. Domanda 8Crede che la nostra esperienza nella realtà virtuale sostituirà l'esperienza della lettura?RispostaNon è possibile in alcun modo sostituire l'esperienza della lettura. Perché? Per avere la mente libera, abbiamo bisogno di una piattaforma fissa. Il mondo deve essere fissato per poter essere liberi. Se il mondo si muove, perdiamo la nostra libertà. Ci muoviamo con esso. Per questo l'interattività non contribuisce alla costruzione dell'identità dell'uomo. Essa dà più potere; dà più potere ma non più identità. Il testo è, oggi e nella storia della nostra cultura, l'unico mezzo di comunicazione che ci dia identità. Non abbandoneremo mai il testo. Elaborare informazione significa controllare un linguaggio. La televisione fa ciò a prescindere dal controllo individuale del linguaggio; la radio fa lo stesso e ha dato ai dittatori la possibilità di trasformare il loro discorso personale in discorso pubblico, sia che si trattasse dell'eroe di Roma o di Hitler o di Stalin. Costoro hanno imposto al pubblico il loro programma, il loro pensiero personale. Ma per poter controllare noi stessi il nostro proprio linguaggio, per essere padroni delle nostre parole, che è la condizione per conquistare la nostra identità, abbiamo bisogno di un testo. A questo fine non c'è mezzo di comunicazione, né film, né collegamento in linea diretta che valga. Domanda 9Passando ad un'altra serie di considerazioni, l'era digitale propone un ambiente nel quale il corpo sembra destinato ad avere meno importanza.RispostaNo, non è vero. Il corpo è molto più importante oggi che in passato. Prima di tutto, perché se ne è acquisita una maggiore conoscenza scientifica. Oggi sappiamo come funzionano tutti i nostri sensi: il tatto, la vista, l'udito. Sappiamo molto di più su di essi. La scienza ha studiato tutto ciò anche in virtù delle esigenze proprie della realtà virtuale e delle sue applicazioni. Nell'era del libro, nel Rinascimento, il mondo è visione e ciascuno è un punto di vista. Il suo punto di vista è dove Lei si trova: è situato dietro gli occhi, tra le orecchie, nella testa; talvolta è collegato con il cuore, ma non troppo, anzi sempre meno nella storia dell'Occidente. E oggi questo schema non funziona più perché Lei si trova ad essere sparpagliato sull'intero pianeta: può raggiungere e collegarsi con qualsiasi posto che non può vedere e su Internet non è importante quale immagine Lei proietti perché è tutto un artificio. Così ciascuno diventa in realtà soltanto il proprio corpo. E' la prova fisica, materiale, dell'esistenza. Non si tratta solo di uno sviluppo della comprensione del corpo da un punto di vista tecnico o teorico o tecnologico; è un riconsiderazione del corpo anche sul piano legale, personale, psicologico. Il corpo pensa. Il pensiero occidentale è stato: il corpo sotto, la testa sopra. La gente comincia a fumare per tagliare il rapporto tra la risposta fisica e quella mentale. Credo che il corpo sia stato considerato stupido e muto. Oggi scopriamo che se non abbiamo un corpo che lavora in collaborazione con noi, non abbiamo nulla. Così usiamo il nostro corpo in modo diverso. Lo comprendiamo in modo diverso; esso ci identifica in modo differente e personalmente non credo a una parola delle affermazioni circa il fatto che staremmo per perdere i nostri corpi. Domanda 10Cambiamo argomento. Lei ha studiato il fenomeno della religione virtuale. Ci può illustrare di che cosa si tratta? Cosa potranno cambiare i predicatori televisivi?RispostaPer essere più precisi ho parlato di "tele-evangelismo", che è religione in TV. La realtà virtuale è una cosa molto diversa dalla TV. Innanzi tutto non ho visto realtà virtuale usata dai religiosi, almeno finora. Esiste un programma denominato "Mondi, Inc." Serve a creare una chiesa virtuale ed ottenere che la gente vi si rechi; non credo sia questa la parte interessante della realtà virtuale in fatto di religione. E' interessante un altro aspetto: nel 2000 la Chiesa Cattolica celebrerà il Giubileo e riunirà circa 60 milioni di persone che si recheranno a Roma con vari mezzi per partecipare alle celebrazioni. E' legittimo che la Chiesa cattolica continui ancora a fare di sé l'unico punto di riferimento per tutto il mondo cattolico, ora che abbiamo la comunicazione globale e chiunque può entrare in contatto con chiunque altro? La risposta è proprio interessante. Roma è stata la prova materiale. Un altro aspetto del corpo. Roma è il luogo nel quale si è svolta la storia. Questo equivale ad una legittimazione. D'altra parte, la Chiesa cattolica non può pretendere, nell'attuale ambiente mondiale della comunicazione, di avere lo stesso tipo d'autorità di prima; non può abusare dell'autorità della distribuzione centralista. Così la virtualità, in fatto di fede o di spiritualità, può oggi soltanto indurre a trattare in modo discreto le specificità di ogni religione e di fatto promuovere una nuova tolleranza. C'è una grandissima esigenza di una nuova forma di tolleranza. Proprio come la tolleranza fu la conquista della libertà individuale contro la Chiesa medievale, così oggi un nuovo tipo di tolleranza multiculturale e multilingue diventa parte essenziale di ogni seria avventura religiosa o spirituale. Domanda 11Così Lei crede che la nuova tecnologia produrrà un nuovo tipo di spiritualità?RispostaTutte le tecnologie hanno cambiato la spiritualità dell'uomo: hanno cambiato le vie d'accesso, ma non le fondamenta. Il pensiero è molto rapido, ma la spiritualità è infinitamente più rapida del pensiero. Non disponiamo di supporti tecnologici per la velocità dello spirito, ma ne abbiamo molti per la rapidità del pensiero e della memoria. Quindi non sappiamo come trattare la spiritualità, dobbiamo lasciare che operi da sé. Sarebbe piuttosto importante aprire nuove vie d'accesso, perché nel regno della spiritualità ogni mezzo di comunicazione è un filtro tra l'individuo e la collettività. Ogni mezzo è un filtro ed il primo effetto dell'alfabeto fu lo sterminio, nelle guerre di religione, di centinaia di migliaia di persone. Dopo il Rinascimento le guerre di religione, al termine della Guerra dei Cento Anni, avevano provocato la morte di milioni di esseri umani. Per il mondo della religione, quindi, non è esattamente una buona notizia trovarsi di fronte ad un importante cambiamento nei mezzi di comunicazione.
 

Achille Bonito OlivaRoma, 20-10-1996"L' anoressia dell'arte"SOMMARIO:· La telematica implica una trasformazione anche dei linguaggi artistici e porta all'"anoressia dell'arte". L'arte si trasforma e si trasferisce dai luoghi obbligati di fruizione ai luoghi più disparati del mondo dai quali si può visitare qualsiasi museo virtuale (1). · Uno degli aspetti più interessanti del rapporto tra arte e telematica è quello della riproduzione di copie di opere d'arte (2). · Il rapporto dell'artista del novecento con la tecnica è stato molto stretto, soprattutto nell'ambito delle avanguardie (3) · I nuovi media potrebbero portare alla "morte dell'arte" ed è soprattutto la realtà virtuale a porre problemi di questo genere (4) · Ancora Internet e gli altri nuovi mezzi telematici non sono puri strumenti domati dall'artista, rischiano, infatti, di sfuggire al suo controllo (5). · Comunque, produrre arte in una società avanzata significa adeguarsi alla mentalità della tecnica che assiste chiunque, ogni giorno, nelle attività quotidiane (6) · Nella creazione artistica che si serve di strumenti tecnologici l'ideazione del progetto resta frutto del lavoro dell'artista (7). · La trasformazione più evidente dell'arte degli ultimi tempi è legata alla smaterializzazione dell'opera (8). · I nuovi media, ovvero Internet o i CD-Rom, saranno utilissimi per diffondere la conoscenza dell'arte (9). · L'uso della tecnologia nella creazione artistica, oggi che sono superate le avanguardie, non è più un uso sistematico ma sempre più individualizzato e strettamente legato al tipo di opera in questione (10).
INTERVISTA:Domanda 1Quali trasformazioni porta la telematica nell'arte?RispostaLa telematica ha, in qualche modo, introdotto delle conseguenze riguardanti non soltanto il quotidiano, la comunicazione, l'informazione, ma finanche lo sviluppo della storia dell'arte contemporanea. Ha creato quella che io vorrei chiamare "l'anoressia dell'arte"; un fenomeno di smaterializzazione del prodotto, un passaggio sempre più accentuato dall'oggetto al concetto. Che cosa significa anoressia? Significa proprio quel processo (riprendendo un termine che, come sappiamo, riguarda una certa tentazione dell'ultima generazione al dimagrimento costante), quella tentazione verso la scomparsa, verso l'assottigliamento, non solo del corpo, ma direi del corpo dell'arte e quindi anche della forma artistica. Attraverso la telematica, attraverso il computer, l'arte digitale, noi possiamo produrre immagini, segni, segnali, forme e processi creativi che non hanno bisogno del luogo fisico, ma si affidano ad un tragitto e alle dinamiche dell'Internet, ad una comunicazione, appunto, telematica. Naturalmente, l'anoressia dell'arte sviluppa una potenzialità enorme per artisti giovani e meno giovani, sono permessi collegamenti tra luoghi lontanissimi, quindi ciò significa riduzione delle distanze geografiche, accelerazione del tempo. Nello stesso tempo introducono una virtualità estetica che prima l'arte non conosceva. L'arte anoressica è, in qualche modo, il frutto non negativo (al contrario di quella che è la malattia che sembra segnare il desiderio dell'uomo o della donna di avvicinarsi allo standard delle modelle sempre più bisessuali, sempre più legate ad un'idea androgina come identità) perché sviluppa segnali e forme estetiche che colpiscono non solo l'occhio, ma il cervello dello spettatore. E' un'arte che si insinua nella casa, negli spazi della contemplazione, è un'arte che sostanzialmente, però, produce anche una conseguenza positiva: scardina la cornice obbligata del museo o della galleria, i luoghi deputati dove normalmente l'arte può essere contemplata, e la degustazione, in qualche modo come a tavola, può avvenire in ogni spazio domestico, in ogni camera della nostra abitazione, nei luoghi più inusitati. Ecco, dunque, che l'anoressia dell'arte attraverso la telematica non è una contrazione, una riduzione, un assottigliamento del corpo, ma, anzi, paradossalmente, attraverso l'assottigliamento ottiene il massimo della dilatazione, di penetrazione capillare che la forma dell'arte può realizzare uscendo dal luogo di propulsione, laddove l'artista ha mosso la propria mano elettronica arrivando nei luoghi più disparati di tutto il mondo. La tecnologia, in questo senso, diviene una sorta di sostanza estetica che con i suoi vapori e le sue atmosfere può produrre effetti positivi e quindi è una sorta di declinazione ecologica della fantasia che, invece di danneggiare, migliorerà sicuramente il mondo.  Domanda 2Potrebbe darci una definizione di ciò che viene chiamato trash?RispostaUn grande artista americano, Andy Warhol, star della Pop Art, ma anche artefice dell'introduzione in Italia del termine trash, spazzatura, titolo di un suo film, una volta ha affermato: "se avessi avuto più forza sarei rimasto in casa a fare le pulizie"; ovvero l'artista, in fondo, non riesce a frenare la propria vanità, il proprio narcisismo e si catapulta fuori dal proprio spazio domestico. Incontra un mondo dominato dallo standard, dal multiplo, dal grattacielo sempre uguale a se stesso, da una società di massa. Questa massificazione è il prodotto di che cosa? Dello sviluppo tecnologico, e anche della telematica, quindi il trash è un fenomeno di modelli alti applicati da personaggi che tendono, in qualche modo, ad assomigliare a questi modelli senza avere una grande vocazione personale verso ciò che vanno a produrre. Si manifesta, dunque, una sorta di imitazione senza pagare il copyright, quello che io vorrei chiamare il "sosialismo reale". Paradossalmente, il capitalismo nella sua fase più avanzata, nel suo sviluppo tecnologico più esasperato, produce "sosialismo reale", il bisogno del sosia , la copia moltiplicata, la fotocopia del comportamento; atteggiamenti ripetitivi che trovano, in qualche modo, conferma attraverso l'applicazione di modelli a cui l'uomo-massa cerca di rassomigliare. Potremmo fare anche degli esempi in questa direzione; per esempio, Zeffirelli è trash rispetto a Luchino Visconti, Vittorio Sgarbi è trash rispetto a Marianini, i fratelli Vanzina rispetto a Dino Risi, Vittorio Feltri rispetto a Leo Longanesi, o Gervaso rispetto a Pitti Grilli, Elio e le Storie Tese rispetto a Freak Antoni, la Tamaro rispetto a Liala. Dunque, il trash non è fenomeno di per sé disprezzabile, il termine spazzatura è un termine, naturalmente, forzato, che vuol dire sostanzialmente ciò che resta dopo il consumo. Ed allora abbiamo una società di massa in cui i sosia, i portatori di "sosialismo reale", dopo aver consumato i modelli alti, in qualche modo, espellono da sé ammirazione verso questi modelli producendo scorie, producendo forme, libri, parole, musiche, letteratura, teatro, cinema, giornalismo, e, sostanzialmente, si tratta solo dell'applicazione di modelli alti, di un'applicazione che viaggia senza copyright, il che vuol dire senza un'avventura personale, ma sull'onda della moltiplicazione e della ripetizione. Domanda 3Una domanda di carattere retrospettivo: qual è stato il rapporto tra tecnologia e arte nel '900? Alcuni critici sostengono che l'avanguardia non si spiega se non in relazione al fatto che la tecnologia ha modificato il nostro modo di vivere. RispostaDiciamo che tutta l'arte contemporanea, dalla metà dell'800 in avanti, è conseguente al forte sviluppo della tecnica; l'artista si rende conto che attraverso la tecnica è possibile la riproduzione meccanica dell'immagine, che all'occhio fisiologico si sostituisce l'occhio meccanico della fotografia, poi del cinema e poi della televisione. Dunque corre ai ripari e sviluppa una controffensiva sperimentale utilizzando i materiali che non sono più quelli canonici che portano all'adozione dell'oggetto quotidiano, della scultura, dell'elemento tecnologico, fino all'uso che interiorizza cinema, fotografie e video nella produzione estetica. Perciò, evidentemente, c'è un forte legame tra il concetto di avanguardia e tecnologie, in questo manipolo di artisti che anticipa il grosso della produzione creativa della massa di artisti, che sente il bisogno di sperimentare per sensibilità un rapporto più adeguato, capace di agganciare una società di massa che vive una vita accelerata sotto i colpi ed il ritmo della macchina. Il futurismo è un movimento che nasce in Italia per merito di Marinetti, Balla, Boccioni, Severini, De Pero; sono artisti che sostanzialmente sostengono il primato della tecnica e dello sviluppo tecnologico per una vita migliore. C'è la famosa dichiarazione di Marinetti che dice che è più bella una macchina in corsa della Nike di Samotracia, ovvero è più bella la forma di una macchina che si muove nello spazio di una forma archeologica di una grande scultura greca. Quindi, il futurismo è quel primo movimento che esalta il futuro conseguente allo sviluppo della tecnica. Anche il dadaismo, il surrealismo, l'automatismo psichico, ovvero tecniche che introducono il movimento meccanico del gesto, della mano, del braccio, del corpo, che ricordano il movimento ripetitivo della macchina. Nel dopoguerra abbiamo artisti legati al New Dada ed alla Pop Art, specialmente che utilizzano immagini frutto della riproduzione meccanica prodotta dai mass-media; cinema, televisione, fotografia, vengono adottate come standard nell'opera di Andy Warhol, Liechtenstein per il fumetto; dunque, tutte immagini riprodotte in cui, nell'installazione, appaiono elementi in movimento; pensiamo anche ad artisti come il Gruppo Fluxus, pensiamo a Tingeli che crea delle macchine con pezzi scoordinati di altri macchinari, assemblati insieme, che producono un movimento strambo, fantastico, non produttivo, solamente estetico. Ecco l'emancipazione della macchina che si sottrae all'uso, all'impiego, al suo essere strumentale e si emancipa fino ad un protagonismo producente e produttivo di un movimento a sé, inutile, e quindi per il piacere dell'occhio e del coinvolgimento del pubblico. Direi che tutta l'arte contemporanea vive sotto questo rapporto ed anche la telematica, la computerizzazione, l'elettronica, la televisione, sono state, in qualche modo, già prese e assunte nell'ansia sperimentale degli artisti di oggi per vedere che cosa può sviluppare l'arte a partire da questi spunti e da questi stimoli, sempre con l'intento di emancipare la tecnica e destinarla ad un uso di immagini capace di ingrandire il deterrente iconografico dell'antropologia dell'uomo. Domanda 4Dunque il processo di sviluppo della storia dell'arte è stato una costante risposta all'avanzamento dei media nel territorio della comunicazione?RispostaQuesta è una domanda che corrisponde ad un quesito che già si pose Hegel a suo tempo, e mi scuso della citazione: la morte dell'arte; l'arte che si trasforma, assume le vesti della filosofia o dell'investigazione astratta sotto l'incalzare della trasformazione della tecnica e quindi della vita moderna. In effetti è un problema che bisogna porsi, ma io credo che anche la realtà virtuale, conseguendo allo sviluppo della telematica, non potrà sostituire quello che è il processo di formazione dell'arte. Perché la realtà virtuale, lo dice la parola stessa, è una finzione, è una protesi di una fantasia che perde di corporeità. L'arte, invece, non è realtà virtuale, è una controrealtà, è un processo di formalizzazione di un impulso creativo a partire da materiali concreti che l'artista assume, modella, assembla e unisce per poi presentarci una controforma, un modo diverso di apparire delle cose che ci circondano caoticamente, questa volta riordinate secondo un sistema costruttivo che contrappone ordine al disordine del mondo. Domanda 5Dunque ritiene che la multimedialità, la telematica, Internet specialmente, possano dare luogo a forme di espressione estetica diversa?RispostaDiciamo che Internet ed i nuovi media possono dare forme di espressione estetica finanche involontaria, direi quasi una riproduzione dell'arte attraverso un uso estemporaneo di questi mezzi, ma non ad una produzione artistica. La produzione artistica è l'effetto di un'intenzionalità di chi partecipa a quest'idea di formalizzare un impulso creativo ed utilizza i materiali e le tecniche come protesi e non come fine. Io ho un po' l'impressione che per il momento Internet sia come un feticcio che inquieta la fantasia dell'artista. Ma la rete ancora non è stata portata, con altri materiali e tecniche, ad una tranquilla strumentazione; le nuove tecnologie sono ancora, evidentemente, dei mezzi che sfuggono di mano e che quindi necessitano una decantazione. Domanda 6Una riflessione che viene in mente guardando questo tipo di esperienze è che nell'uso del computer (per esempio nella computer grafica, cioè nella creazione delle immagini artistiche) la macchina assume parte del processo creativo. In questo caso l'artista che ruolo ha nella realizzazione dell'opera?RispostaIo credo che l'arte (quando parlo di arte parlo di quell'attività creativa che riguarda i livelli alti) scavalchi il presente e cavalchi il futuro. In questo senso ciò che produce oggi la telematica, ovvero una realizzazione a partire da un concetto, da un'idea, da un progetto, è ciò che gli artisti cosiddetti concettuali avevano già negli anni '60 indicato; ricordo di mostre fatte per telefono collegate con i musei, ricordo di opere di Boetti realizzate da operai che vivevano in Afganistan e partivano da un luogo visivo che lui presentava; ma potrei parlarvi, oltre che dell'Art and Language, di opere che hanno avuto bisogno della collaborazione di molti altri soggetti al di fuori dell'artista che progetta inizialmente l'immagine, il segno, il messaggio. L'arte contemporanea in questo senso è d'avanguardia, in quanto ha anticipato, nella mentalità comune, la considerazione che produrre arte in una società avanzata significhi adeguarsi alla mentalità della tecnica che ci assiste ogni giorno nel nostro vivere. Domanda 7In questo tipo di deduzione, a questo punto, c'è da chiedersi chi sia il responsabile dell'oggetto estetico. Ovvero, se la macchina contribuisce alla creazione nel processo, paradossalmente potrebbe diventare autonoma creatrice di immagini che hanno valenza estetica?RispostaFino a quando non si dimostrerà che la macchina può ribellarsi all'uomo e fino a quando noi non scopriremo una cultura di macchine che di notte si mettono d'accordo, si collegano fra di loro, contraddicendo quelli che sono gli input diurni di chi le usa, dobbiamo dire che la responsabilità è sempre di chi progetta. Questo vale anche per chi progetta i grattacieli, per Mies van der Rohe che progetta la National Gallery di Berlino, per Philip Johnson che progetta il suo grande grattacielo a New York; non a caso, quando sappiamo che il grattacielo sfolgora nella sua forma il nome o il referente, quello del suo progettista, quando crolla ne è responsabile non l'operaio, ma come sappiamo bene, chi lo ha progettato. Nel bene o nel male, l'importante è il progetto, è colui che inventa l'idea. E nella mentalità della civiltà occidentale, il concetto precede l'oggetto; ma questo è un secolo che tende a spostarsi dall'oggetto al concetto. Domanda 8Dunque, ritiene che queste forme di esperienza comunque diano luogo ad una nuova estetica?RispostaSicuramente tutto questo incide ed inciderà progressivamente, noi lo vediamo anche per quanto riguarda il discorso di quello che chiamo "l'anoressia dell'arte", la smaterializzazione. Ci sono già delle mostre in corso su questo tema, pensiamo all'ultima biennale, la XXIII edizione della biennale di San Paolo a cui ho collaborato curando la parte sull'Europa occidentale, che portava come tema la dematerializzazione dell'arte. Questo riguarda anche il problema del corpo dell'arte in quanto oggetto, forma, quadro, scultura, che tendono sempre più ad assottigliarsi in quanto, in realtà, la telematica ci permette una trasmissione del linguaggio dell'arte in maniera più veloce e rapida; più è smaterializzato il contesto, più il viaggio è rapido ed arriva a destinazione. Il concetto di arte si trasformerà, ma le difficoltà per farla rimarranno inalterate. In realtà, come sappiamo, le piramidi che troviamo in Egitto sono belle come i grattacieli che troviamo a New York; i tempi sono passati, ma le forme definitive sono quelle che resistono alla distruzione del tempo.  Domanda 9Quale funzione positiva o negativa potranno avere i nuovi media - mi riferisco ai CD ROM ed Internet - nella diffusione e nella divulgazione dell'arte?RispostaSenza dubbio, la telematica al servizio dell'informazione è utilissima; direi che da Gutenberg in avanti, dalla scoperta della stampa ad oggi, c'è stata una diffusione culturale che ha alfabetizzato la gran parte dell'umanità sottraendo la cultura al chiuso della corte, all'arbitrio di pochi, al silenzio del monastero, una cultura che è quindi arrivata fino al rumore delle piazze diffondendosi in maniera capillare. La telematica può portarla di nuovo al chiuso, ma al chiuso di tutte le case, in una società di massa in cui, poi, è possibile interagire, collegarsi, contattarsi. Trovo che tutto questo, in sé, sia positivo e non può essere limitato, normalizzato se non dalla consuetudine e dalla civiltà che dovrebbero accompagnare i contatti e la diffusione culturale. Sicuramente, la virtualità assicurata dal mezzo può anche dilatare e capovolgere il concetto di museo fino adesso referente di un luogo fisico, di un contenitore materiale in cui si depositavano le tracce ed i capolavori dell'arte e che comportava il bisogno di un trasferimento, di un viaggio, come andare a Lourdes: vedere la Madonna significava andare a toccare la qualità dell'opera mettendosi in fila nei musei. Ora questa fila viene superata, ribaltata nella solitudine del rapporto col computer da parte di un qualsiasi soggetto che con un uso digitale può portare dentro casa propria questo museo virtuale. Se da una parte, quindi, arriva l'informazione, nasce un problema; senza dubbio la contemplazione è dimezzata, è come se l'opera perdesse un concetto globale ed assumesse solo le vesti del fantasma. E' come quei matrimoni dell'emigrante in Australia che si sposava con la fotografia della fidanzata che veniva dall'Italia, si sposava prima ancora di incontrarla (matrimoni per procura), prima di vedere e di toccare il corpo della propria fidanzata. Tutto questo creerebbe, in qualche modo, anche un rapporto un po' perverso: accontentarsi di ciò che l'occhio vede, percepisce e sospetta, invece del corpo a corpo, del contatto, della frontalità che il rapporto dell'arte può dare a chi la contempla. Mi viene in mente un libro straordinario di Bioy Casares che si chiama L'invenzione di Morel, che narra di un fuggiasco inseguito dalla polizia, vive in un'isola, si nasconde nei cespugli di un palazzo, comincia a sospettare della vita che ha intorno e a guardare di nascosto ciò che avviene davanti al cespuglio: la vita in un palazzo fatta di climi notturni e diurni, di feste, di baci, di abbracci, di urla, e ogni volta il fuggiasco si avvicina sempre più al palazzo, assiste a delle scene e a un certo punto si accorge improvvisamente che malgrado abbia fatto dei passi pericolosi perché si è avvicinato troppo a queste persone, queste persone non lo percepiscono; eppure lui si sente di carne ed ossa, e man mano, incuriosito, entra nel palazzo e vede che nessuno lo nota, scende nelle cantine e si accorge che la vita soprastante, gli incontri e scontri diurni e notturni del palazzo sono frutto del movimento di una macchina mossa al ritmo delle maree del mare. Quindi, L'invenzione di Morel è un'invenzione di una vita che si prolunga nel tempo dopo la morte dei suoi protagonisti. Ecco: non vorrei che L'invenzione di Morel diventasse il paradigma di un rapporto con l'arte fantasmatico, anoressico e dunque teso verso l'entropia, verso la scomparsa e verso la morte.. Domanda 10Quali sono le esperienze più vitali nel settore artistico? Rientra in quest'esperienza vitale qualche autore che sta sperimentando la strada della tecnologia?RispostaLa tecnologia viene impiegata dagli artisti non in maniera sistematica, ma, direi, a seconda delle opere che si trovano a realizzare, sono artisti che usano il video come Bruce Newman; altre volte Newman usa altri materiali più correnti, più statici, meno tecnici, e questo vale per tutti gli artisti. Io direi che oggi non esiste, nella ricerca, un uso sistematico della tecnologia proprio perché è stato smaltito il concetto di avanguardia come sperimentazione di nuove tecniche e di nuovi materiali ed è ripreso un concetto che è quello, più che della sperimentazione, della esperienza creativa, e, direi, frutto proprio (questo posso riconoscerlo e dichiararlo) di ciò che io ho autorizzato con la "transavanguardia": il superamento del darwinismo linguistico, dell'evoluzionismo dell'arte, sperimentazione a tutti i costi, del feticismo, dell'adorazione della tecnologia (fotografia, video, cinema) che negli anni '70 aveva creato una sorta di accademia del concettuale. Una ripresa dunque del corpo dell'arte, una risposta anche alla telematica, ma non pateticamente antagonista, quanto controrealtà capace di ritotalizzare l'esperienza creativa in un oggetto che ingloba, oltre che l'idea anche la materia, oltre che l'immagine anche l'eros plastico delle forme e dei materiali.



Leonardo. Arte e scienza, a cura di Claudio Pescio, Giunti, p.144, £ 29.000
 

http://erewhon.ticonuno.it/riv/arte/genoma/genoma.htm
 

               la rivista di



    Arte e genoma     di Fabio Paracchini
 
 

L'arte transgenica di Eduardo Kachttp://www.ekac.org/transgenic.html
Eduardo Kac è uno dei più noti ricercatori delle nuove direzioni dell'arte contemporanea tra tecnologia, biologia e creazione. Ne è un esempio il suo progetto Genesis, un'opera d'arte transgenica che esplora le relazione tra biologia, sistemi di credenze, tecnologie dell'informazione, interazione, etica e Internet. L'elemento chiave del lavoro è quello che l'autore ha definito gene d'artista, ovvero un gene sintetico inventato da Kac traducendo una frase tratta dalla Genesi in codice Morse e convertendo poi il Morse in coppie base di DNA. A partire da questo DNA verrà in seguito creata una nuova proteina, per poi proseguire lungo la catena della creazione della vita.  Una recensione del progetto Genesis scritta da Gerfried Stocker, direttore artistico dell'Ars Electronica Festival.Sempre a opera di Eduardo Kac è possibile leggere il saggio Internet e il futuro dell'arte sul sito di parol, la rivista di epistemologia ed estetica dell'Università di Bologna.   "Le nuove tecnologie mutano la nostra percezione culturale del corpo umano, da sistema naturale autoregolato a oggetto controllato artificialmente e trasformato elettronicamente. (…) Gli sviluppi paralleli di tecnologie mediche quali la chirurgia plastica e le neuroprotesi ci hanno consentito di estendere questa plasticità immateriale ai corpi reali. (…) Più che rendere visibile l'invisibile, l'arte deve spostare la nostra attenzione su ciò che resta saldamente nascosto alla vista ma che nondimeno ci influenza direttamente. Due delle più rilevanti tecnologie che operano al di là della visione sono gli impianti digitali e l'ingegneria genetica. (…) L'arte transgenetica è una nuova forma d'arte basata sull'uso di tecniche dell'ingegneria genetica per trasferire geni sintetici in un organismo o per trasferire materiale genetico naturale da una specie all'altra, creando esseri viventi unici. La genetica molecolare consente all'artista di progettare il genoma vegetale e animale e creare nuove forme di vita." Eduardo Kac Insomma: l'idea è quella di creare una forma d'arte che il pubblico possa portarsi via con sé, crescere nel giardino di casa o allevare nel proprio salotto. Certo, si tratta di un'operazione artistica dall'impianto assai suscettibile di discussione da un punto di vista etico-morale, ma proprio questo ne è l'elemento propulsore di fondo. Se è vero che ogni giorno nel mondo scompare in modo irreversibile una specie animale, il suggerimento degli artisti transgenetici è quello di contribuire all'aumento della bio-varietà globale inventando nuove forme di vita.  Segue
 
 

Originally published in Leonardo Electronic Almanac, Vol. 6, N. 11, December 1998, n/p/n (http://mitpress.mit.edu/e-journals/LEA/) - ISSN: 1071-4391. Republished in English and German in: Ars Electronica 99 - Life Science (Vienna, New York: Springer, 1999), pp. 289- 296. Also in English in: Parol - Quaderni d'arte e di epistemologia, ottobre/novembre 1999, n/p/n, Università di Bologna, Italy (http://www.unibo.it/parol) - ISSN: 88-7232-314-2. Republished in Spanish in Futuros Emergentes: El Arte en la Era Post-biológica, Angela Molina, ed. (Valencia: Centre Cultural la Beneficencia, 2000), forthcoming.

Transgenic art bibliography

TRANSGENIC ART
Eduardo Kac
New technologies culturally mutate our perception of the human body from a naturally self-regulated system to an artificially controlled and electronically transformed object. The digital manipulation of the appearance of the body (and not of the body itself) clearly expresses the plasticity of the newly formed and multifariously configured identity of the physical body. We observe this phenomenon regularly through media representations of idealized or imaginary bodies, virtual-reality incarnations, and network projections of actual bodies (including avatars). Parallel developments in medical technologies, such as plastic surgery and neuroprosthesis, have ultimately allowed us to expand this immaterial plasticity to actual bodies. The skin is no longer the immutable barrier that contains and defines the body in space. Instead, it becomes the site of continuous transmutation. While we try to cope with the staggering consequences of this ongoing process, it is equally urgent to address the emergence of biotechnologies that operate beneath the skin (or inside skinless bodies, such as bacteria) and therefore out of sight. More than make visible the invisible, art needs to raise our awareness of what firmly remains beyond our visual reach but which, nonetheless, affects us directly. Two of the most prominent technologies operating beyond vision are digital implants and genetic engineering, both poised to have profound consequences in art as well as in the social, medical, political, and economic life of the next century.
Transgenic art, I propose, is a new art form based on the use of genetic engineering techniques to transfer synthetic genes to an organism or to transfer natural genetic material from one species into another, to create unique living beings [1]. Molecular genetics allows the artist to engineer the plant and animal genome and create new life forms. The nature of this new art is defined not only by the birth and growth of a new plant or animal but above all by the nature of the relationship between artist, public, and transgenic organism. Transgenic artworks can be taken home by the public to be grown in the backyard or raised as human companions. With at least one endangered species becoming extinct every day [2], I suggest that artists can contribute to increase global biodiversity by inventing new life forms. There is no transgenic art without a firm commitment to and responsibility for the new life form thus created. Ethical concerns are paramount in any artwork, and they become more crucial than ever in the context of biological art, when a real living being is either the artwork itself or part of it. From the perspective of interspecies communication, transgenic art calls for a dialogical relationship between artist, creature/artwork, and those who come in contact with it.
 

Jellyfish (Aequorea Victoria)
Photo: David Wrobel

Among the most common domesticated of mammals, the dog is a quintessentially dialogical animal; it is not self-centered, it is empathic, and it is often prone to extroverted social interaction [3]. Hence, my current work: GFP K-9. GFP stands for Green Fluorescent Protein, which is isolated from Pacific Northwest jellyfish (Aequorea Victoria) and which emits bright green light when exposed to UV or blue light [4]. Wild type Aequorea GFP absorbs light maximally at 395 nm and the fluorescence emission spectrum peaks at 510 nm [5]. The protein itself is 238 amino acids in length. The use of the Green Fluorescent Protein in a dog is absolutely harmless, since GFP is species independent and requires no additional proteins or substrates for green light emission. GFP has been successfully expressed in several host organisms and cells such as E. coli, yeast, and mammalian, insect, fish and plant cells [6]. A GFP variant, GFPuv, is 18 times brighter than regular GFP and can be easily detected by the naked eye when excited with standard, long-wave UV light. GFP K-9 (or "G," as I affectionately call it) will literally have a colorful personality and will be a welcome member of my family. Its creation may be years or decades away, because it faces several obstacles, among them the mapping of the dog genome. The number of genes in the entire dog genome is estimated at about 100,000 [7]. However, collaborative research is under way to map the canine genome, the results of which will eventually enable precision work at the level of canine morphology and behavior. Independently of the subtle phenotypic alteration, i.e., the delicate coat color change, GFP K-9 will eat, sleep, mate, play and interact with other dogs and humans normally. It will also be the founder of a new transgenic lineage.
 

GFP-K9, Eduardo Kac (in progress)

While at first the GFP K-9 project may seem completely unprecedented, human direct influence on dog evolution goes back at least 15,000 years [8]. In fact, the very existence of the domesticated dog we know today, with approximately 150 recognized breeds, is likely due to very early human-induced selective breeding of adult wolves that retained immature characteristics (a process known as "neoteny"). The similarities of physiognomy and behavior between the immature wolf and the adult dog are remarkable. Barking, for example, is typical of adult dogs but not adult wolves. The dog's head is smaller than the wolf's and more closely resembles that of an immature wolf. There are many other examples, including the very significant fact that dogs are also interfertile with wolves. After centuries of natural selective breeding, a turning point in human breeding of dogs took place in 1859, when the first exhibition of dogs prompted appreciation for their unique visual appearance. The search for visual consistency and for new breeds led to the concept of pure breed and to the formation of different groups of founding dogs. The practice is with us today and is responsible for many of the dogs we see in homes everywhere. The results of indirect genetic control of dogs by breeders are proudly expressed on the pages of the canine trade press. A quick look at the marketplace reveals ads for bulldogs "engineered for protection," mastiffs with a "careful genetic breeding program," dogos with an "exclusive bloodline," and Dobermans with a "unique genetic blueprint." Breeders aren't writing the genetic code of their dogs yet, but they are certainly reading and recording it. The American Kennel Club, for example, offers a DNA Certification Program to settle questions of purebred identification and parentage.
 

This painted detail appears on an outer face of the wooden coffin of Khuw. The deceased leads his dog on a leash. From the tomb of Khuw at Asyut, Egypt. Twelfth Dynasty (1991-1783 B.C.).
Photo: Patrick Francis Houlihan

If the creation of dogs has long historical roots, more recent but equally integrated into our daily experience is our use of hybrid living organisms. A case in point is the well-known work of botanist and scientist Luther Burbank (1849-1926) who invented many new fruits, plants, and flowers [9]. In 1871, for example, he developed the Burbank potato (also known as the Idaho potato). Because of its low moisture and high starch content, it has excellent baking qualities and is perfect for French fries. Since Burbank, artificial selective breeding of plants and animals has been a standard procedure widely used by farmers, scientists, and amateurs alike. Selective breeding is a long-term technique based on the indirect manipulation of the genetic material of two or more organisms and is responsible for many of the crops we eat and the livestock we raise. Domestic ornamental plants and pets thus invented are already so common that one rarely realizes that a loved animal or a flower offered as a sign of affection are the practical results of concerted scientific effort by humans. Hybrid Teas, for example are the typical roses found at the Florist Shop -- the classic image of the rose. The first Hybrid Tea was 'La France', raised by Giullot in 1867. A cherished companion such as the Catalina macaw, with its fiery orange breast and green-and-blue wings, does not exist in nature. Aviculturists mate blue-and-gold macaws with scarlet macaws to create this beautiful hybrid animal [10].
 

The classic Chimera of Arezzo, the best known image of the myth.
The Chimera of Arezzo is a bronze statue of Etruscan origin (c. 5th century BC), approximately 80 cm (32") in height. It was found near Arezzo, in Italy, in 1553. Collection Archeological Museum, Firenze. Reproduced with permission of the Archeological Museum, Firenze.

This is not at all surprising, considering that cross-species hybrid creatures have been part of our imaginary for millennia. In Greek mythology, for example, the Chimera was a fire-breathing creature represented as a composite of a lion, goat, and serpent. Sculptures and paintings of chimeras, from ancient Greece to the Middle Ages and on to modern avant-garde movements, inhabit museums worldwide. Chimeras, however, are no longer imaginary; today, nearly 20 years after the first transgenic animal, they are being routinely created in laboratories and are slowly becoming part of the larger genescape. Some recent scientific examples are pigs that produce human proteins [11], plants that produce plastic [12], and goats with spider genes designed to produce a strong and biodegradable fabric [13]. While in ordinary discourse the word "chimera" refers to any imaginary life form made of disparate parts, in biology "chimera" is a technical term that means actual organisms with cells from two or more distinct genomes. A profound cultural transformation takes place when chimeras leap from legend to life, from representation to reality.
 

GFP K-9 will be produced with a technique called microinjection. The DNA construct will be microinjected in a pronuclear embryo, which will be used for implantation and production of a founder GFP transgenic dog.

Likewise, there is a clear distinction between breeding and genetic engineering. Breeders manipulate indirectly the natural processes of gene selection and mutation that occur in nature. Breeders are unable, therefore, to turn genes on or off with precision or to create hybrids with genomic material so distinct as that of a dog and a jellyfish. In this sense, a distinctive trait of transgenic art is that the genetic material is manipulated directly: the foreign DNA is precisely integrated into the host genome. In addition to genetic transfer of existing genes from one species to another, we can also speak of "artist's genes," i.e., chimeric genes or new genetic information completely created by the artist through the complementary bases A (adenine) and T (thymine) or C (cytosine) and G (guanine). This means that artists now can not only combine genes from different species but easily write a DNA sequence on their word processors, email it to a commercial synthesis facility, and in less than a week receive a test tube with millions of molecules of DNA with the expected sequence.
 

Production of GFP K-9. (A) Fertilized eggs are removed from a female and (B) the DNA carrying the GFP gene is injected into the male pronucleus. (C) The eggs are then implanted into a carrier. (D) Some of the pups express the GFP gene.

Genes are made of deoxyribonucleic acid (DNA) molecules. DNA carries all the genetic information necessary for a cell's duplication and for the building of proteins. DNA instructs another substance (ribonucleic acid, or RNA) how to build the proteins. RNA carries on the task using as its raw material cellular structures called ribosomes (organelles with the function of bringing together the amino acids, out of which proteins are made). Genes have two important components: the structural element (which codes for a particular protein) and the regulatory element ("switches" that tell genes when and how to perform). Transgene constructs, created by artists or scientists, also include regulatory elements that promote expression of the transgene. The foreign DNA may be expressed as extrachromosomal satellite DNA or it may be integrated into the cellular chromosomes. Every living organism has a genetic code that can be manipulated, and the recombinant DNA can be passed on to the next generations. The artist literally becomes a genetic programmer who can create life forms by writing or altering this code. With the creation and procreation of bioluminescent mammals and other creatures in the future [14], dialogical interspecies communication will change profoundly what we currently understand as interactive art. These animals are to be loved and nurtured just like any other animal.
The result of transgenic art processes must be healthy creatures capable of as regular a development as any other creatures from related species [15]. Ethical and responsible interspecies creation will yield the generation of beautiful chimeras and fantastic new living systems, such as plantimals (plants with animal genetic material, or animals with plant genetic material) and animans (animals with human genetic material, or humans with animal genetic material).
 

GFP K-9, Eduardo Kac, 1998/99. Green Fluorescent Protein structure solved by Fan Yang and George N. Phillips, Jr. of Rice University and Larry Moss of Tufts University School of Medicine. Figure designed and rendered by Tod D. Romo of Rice University.

As genetic engineering continues to be developed in the safe harbor of scientific rationalism, nourished by global capital, it unfortunately remains partially sheltered from larger social issues, debates on ethics, and local historical contexts. The patenting of new animals created in the lab [16] and of genes of foreign peoples [17] are particularly complex topics -- a situation often aggravated, in the human case, by the lack of consent, equal benefit, or even understanding of the processes of appropriation, patent, and profit on the part of the donor. Since 1980 the U.S. Patent and Trademark Office (PTO) granted several transgenic animal patents, including patents for transgenic mice and rabbits. Recently the debate over animal patents has broadened to encompass patents on genetically engineered human cell lines and synthetic constructs (e.g., "plasmids") incorporating human genes. The use of genetics in art offers a reflection on these new developments from a social and ethical point of view. It foregrounds related relevant issues such as the domestic and social integration of transgenic animals, arbitrary delineation of the concept of "normalcy" through genetic testing, enhancement and therapy, health insurance discrimination based on results of genetic testing, and the serious dangers of eugenics.
As we try to negotiate current disputes, it is clear that transgenetics will be an integral part of our existence in the future. It will be possible, for example, to harness the glow of the jellyfish protein for optical data storage devices [18]. Transgenic crops will be a predominant part of the landscape, transgenic organisms will populate the farm, and transgenic animals will become part of our expanded family. For better or worse, vegetables and animals we eat will never be the same. Genetically altered soybeans, potatoes, corn, squash, and cotton have been widely planted and consumed since 1995 [19]. The development of "plantibodies," i.e., human genes transplanted into corn, soy, tobacco, and other plants to produce acres of pharmaceutical-quality antibodies, promises cheap and abundant much needed proteins [20]. While in many cases research and marketing strategies place profit above health concerns (the risks of commercialization of unlabeled and potentially sickening transgenic food can't be ignored) [21], in others biotechnology seems to offer real promises of healing in areas presently difficult to treat effectively. Pigs are a case in point. Because porcine physiological function is similar in many ways to that of humans, and because society at large agrees to breed and slaughter pigs for the food industry (unlike nonhuman primates, for example), medicine is experimenting with genetically altered pigs [see 11]. These pigs produce human proteins that prevent rejection and are being tested for liver and heart transplant (unmodified pig livers are already used as a "bridge" to sustain patients waiting for a human donor), for brain transplant (fetal pig neural cells are used to reconnect the nerve tissue in Parkinson's patients), and to cure diabetes (through the transplant of insulin-producing beta cells) [22]. In the future we will have foreign genetic material in us as today we have mechanical and electronic implants. In other words, we will be transgenic. As the concept of species based on breeding barriers is undone through genetic engineering [23], the very notion of what it means to be human is at stake [24]. However, this does not constitute an ontological crisis. To be human will mean that the human genome is, not a limitation, but our starting point.

NOTES
1 - George Gessert, an artist who works with plant hybridization, identified Edward Steichen, well known for his photographic work, as the first artist to propose and produce genetic art. See: Gessert, George. "Notes on Genetic Art", Leonardo, Vol. 26, No. 3, 1993, p. 205. Indeed, in 1949 Steichen wrote: "The science of heredity when applied to plant breeding, which has as its ultimate purpose the aesthetic appeal of beauty, is a creative act." Quoted in: Ronald J. Gedrim, "Edward Steichen's 1936 Exhibition of Delphinium Blooms," in History of Photography Vol. 17, No. 4 (Winter 1993) pp. 352--363. Also contributing to the development of genetic art is Joe Davis, a contemporary artist who works with DNA synthesis technologies. See: Davis, Joe. "Microvenus," special issue of Art Journal Vol. 55, No. 1 (Spring 1996), pp. 70-74.
2 - According to the World Wildlife Federation the top 10 most endangered species are: 1.Black Rhino; 2.Giant Panda; 3.Tiger; 4.Beluga Sturgeon; 5.Goldenseal; 6.Alligator Snapping Turtle; 7.Hawksbill Turtle; 8.Big Leaf Mahogany; 9.Green-Cheeked Parrot; 10.Mako Shark.
3 - Von Kreisler, Kristin. The Compassion of Animals (Rocklin, CA: Prima Publishing, 1997). This book is a compilation of informal accounts of the sympathy, kindness and loyalty of dogs and other animals towards species other than their own. For a specific discussion of human-canine interaction, see: Serpell, James (ed.). The Domestic Dog: Its Evolution, Behaviour, and Interactions With People (Cambridge; New York : Cambridge Univ Pr 1996); and Wendt, Lloyd M. Dogs: A Historical Journey: The Human/Dog Connection Through the Centuries (New York: Howell Book House, 1996).
4 - Chalfie, M., Tu, Y., Euskirchen, G., Ward, W.W. and Prasher, D.C. (1994) Green fluorescent protein as a marker for gene expression. Science, 263: 802-805; Inouye, S. and Tsuji, F.I. (1994) Aequorea green fluorescent protein. Expression of the gene and fluorescence characteristics of the recombinant protein. FEBS Letters, 341: 277-280.
5 - Ward, W.W., Cody, C.W., Hart, R.C., and Cormier, M.J.: "Spectrophotometric identity of the energy-transfer chromophores in Renilla and Aequorea green fluorescent protein". Photochem. Photobiol. 31 (1980) 611-615.
6 - Niedz, Randall P., Sussman, Michael R., Satterlee, John S. (1995) Green fluorescent protein: an in vivo reporter of plant gene expression. Plant Cell Reports, 14:403-406; Amsterdam, A., Lin, S. & Hopkins, N. (1995) The Aequorea victoria green fluorescent protein can be used as a reporter in live zebrafish embryos. Devel. Biol. 171:123-129; Pines, J. (1995) GFP in mammalian cells. Trends Genet. 11:326-327; Holden, C. (1997) Jellyfish light up mice. Science, 277 (4 July): 41; Ikawa, Masahito; Yamada, Shuichi; Nakanishi, Tomoko; Okabe, Masaru. "'Green mice' and their potential usage in biological research", FEBS Letters.Volume 430, Number 1-2, 1998, pp. 83; Cormack, B. P., Bertram, C., Egerbom, M., Gold, N. A., Falkow, S. and Brown, A. J. (1997) Yeast-enhanced green fluorescent protein (yEGFP): a reporter of gene expression in Candida albicans. Microbiology 143:303-311; Yeh, E., Gustafson, K. and Boulianne, G. L. (1995) Green fluorescent protein as a vital marker and reporter of gene expression in Drosophila. Proc. Natl. Acad. Sci. USA 92:7036-7040.
7 - Two key obstacles to the creation of GFP K-9 are gene targeting technology and in-vitro fertilization for dogs. These obstacles are on the verge of being overcome. On September 1999, PPL Therapeutics announced the creation of the first higher transgenic mammal by targeted gene manipulation. See: Sophia Fox, "European Roundup", Genetic Engineering News, September 1, 1999, p. 54. The Dog Genome project will further contribute to this work. See: Thorpe-Vargas, S., Coile, D. Caroline., Cargill, J., "Variety Spices Up The Canine Gene Pool", Dog World (May 1998), Vol. 83, N. 5, p. 27. At last, in-vitro fertilization for dogs will be resolved by the "Missyplicity Project". While there is a significant difference between a cloned dog and a transgenic dog, it is worth mentioning that the "Missyplicity Project" aims at producing the first cloned dog, from a mutt pet called Missy (mixed border collie and husky). In August of 1998 a wealthy couple (Mr. and Mrs. John Sperling) donated $2.3 million to Texas A & M University to implement the project, with a two-year deadline. The project team is comprised of scientists Mark Westhusin, Duane Kraemer, and Robert Burghardt. For information on the "Missyplicity Project", see: http://www.missyplicity.com. Since green fluorescent protein will not express in hair (because hair has no cells; it is basically extruded protein), hairless dogs are the best candidates for the GFP K-9 project. Breeds of hairless dogs include: American Hairless Terrier, Mexican Xoloitzcuintli (or "Xolo"), Peruvian Inca Orchid, and the Argentinian Pila. For a general reference on pre-Columbian hairless dogs, see: Fernandez de Cordoba Joaquin: "Los Perros Pre-colombianos de America". Journal "El Hijo Prodigo". Mexico, March 1945. Specific contemporary references on hairless dogs can be found in: Whitney, Leon F., D.V.M., "How to Breed Dogs", Revised Edition, Eleventh Printing, Howell Book House, Inc. New York, NY, 1984.
8 - Thurston, Mary Elizabeth. The Lost History of the Canine Race: Our 15,000-Year Love Affair with Dogs (Kansas City: Andrews & McMeel, 1996).
9 - Burbank, Luther. The Harvest Of The Years (Boston; New York: Houghton Mifflin, 1927); Dreyer, Peter. A gardener touched with genius: the life of Luther Burbank (Santa Rosa, Calif.: L. Burbank Home & Gardens, 1993).
10 - The common roses of the twentieth century, such as Hybrid Teas, Floribundas and Grandifloras, were created by crossing the European Roses and the Chinas, Teas, and Meditteranean types, and many others during the 1700's and 1800's. See: Bennett, J. H. Experiments in Plant Hybridisation (London: Oliver and Boyd, 1965) and Beales, Peter. Roses (Collins-Harvill (HarperCollins), 1991). On a trip to the Sentosa Island, in Singapore, in 1998, I had the opportunity to interact playfully with a Catalina macaw, perched first on my shoulder and then on my forearm. I was able to appreciate its distinct coloration and to observe and appreciate its interaction with other macaws and humans. A description of the Catalina macaw and other hybrids can be found in: Lantermann, Werner. Encyclopedia of Macaws (Neptune City, NJ: T.F.H., 1995), p. 173. See also: Decoteau, A. E. Handbook of Macaws (Neptune City, NJ: T.F.H., 1982). Other examples of beautiful birds invented by humans which don't exist anywhere in the wild are the Harlequin Macaw (hybrid derived from breeding a Blue and Gold and a Green Winged) and the Parisian Frilled Canary, which has oddly frilled feathers.
11 - Cozzi, E. and White, DJG . "The generation of transgenic pigs as potential organ donors for humans," Nature , Med 1, 1995, p. 964-966. 12 - Moore, Samuel K. "Natural Synthetics: Genetically engineered plants produce cotton/polyester blends and nonallergenic rubber", Scientific American, February 1997, p. 36-37.
13 - Cohen, Phil. "Spinning Steel: Goats and Spiders are working together to create a novel material", New Scientist, Vol. 160, N. 2155, 10 October 1998, p. 11. Another combination of insect and mammal is a mouse with fly genes. In this case, the research has the goal of demonstrating that the biochemical activity utilized in mouse to mediate brain development has been retained by certain kinds of proteins across the phyla. See: Mark C. Hanks, Cynthia A. Loomis, Esther Harris, Chung-Xiang Tong, Lynn Anson-Cartwright, Anna Auerbach and Alexandra Joyner. "Drosophila engrailed can substitute for mouse Engrailed1 function in mid-hindbrain, but not limb development". Development 125 (22), 1998, 4521-4530.
14 - Brem, G. and Müller, M. "Large Transgenic Mammals", in Maclean, N. (ed.) Animals With Novel Genes (New York: Un. of Cambridge, 1994), pp. 179-244; Ikawa, M., Kominami, K., Yoshimura, Y., Tanaka, K., Nishimune, Y. & Okabe, M. (1995) "Green fluorescent protein as a marker in transgenic mice". Devel. Growth Differ. 37:455-459; Youvan, D. C. (1995) Green fluorescent pets. Science, 268 (April 14): 264. Pennisi, Elizabeth. "Transgenic Lambs From Cloning Lab", Science, Vol. 277, 1 August 1997, p. 631.
15 - Anthony Dyson and John Harris (eds.) Ethics and Biotechnology (New York: Routledge, 1994); L. F. M. Van Zutphen and M. Vann Der Meer (eds.). Welfare Aspects of Transgenic Animals (Berlin; New York: Springer Verlag, 1995).
16 - Schneider, Keith. "New Animal Forms Will Be Patented," New York Times (April 17, 1987); Adler, Reid G. "Controlling the Applications of Biotechnology: A Critical Analysis of the Proposed Moratorium on Animal Patenting," Harvard Journal of Law and Technology, vol. 1 (1988); Andrews, Edmund L. "U.S. Seeks Patent on Genetic Codes, Setting Off Furor", New York Times (October 21, 1991): A1, A12; Marshall, Eliot. "Companies Rush to Patent DNA", Science, Vol. 275, 7 February 1997, pp. 780-781. Marshall, Eliot. "The Mouse That Prompted a Roar", Science, Vol. 277, 4 July 1997, pp. 24-25.
17 - Penenber, Adam L. "Gene Piracy", 21C-Scanning the Future, N. 2, 1996, pp. 44-50.
18 - Dickson, Robert M. et al: "On/off blinking and switching behaviour of single molecules of green fluorescent protein", Nature 388, 355-358 (1997) Letters to Nature. For a popular account of the potential use of this technology, see: Tatterson, Kathleen G. "Jellyfish Genes Eyed for Optical Storage", Photonics Spectra, September 97.
19 - Brown, Kathryn S. "With New Technology, Researchers Engineer A Plant For Every Purpose", The Scientist, Vol. 9, N. 19, October 2, 1995, pg.14-15; Jane Rissler and Margaret Mellon. The Ecological Risks of Engineered Crops (Cambridge: MIT Press, 1996).
20 - Gibbs, W. Wayt. "Plantibodies: Human antibodies produced by field crops enter clinical trials", Scientific American, November 1997, p. 44.
21 - Tokar, Brian. "Monsanto: A Checkered History", in "The Monsanto Files", special issue of The Ecologist, Vol. 28, N. 5, September/October 1998, pp. 254-261; Kimbrell, Andrew. "Why Biotechnology and High-Tech Agriculture Cannot Feed the World", in The Monsanto Files", special issue of The Ecologist, Vol. 28, N. 5, September/October 1998, pp. 294-298.
22 - L Makowka, DV Cramer, A Hoffman, M Breeda, L Sher, G Eiras-Hreha, PJ Tuso, C Yasunaga, CA Cosenza, G Du Wu, FA Chapman & L Podesta: "The use of a pig liver xenograft for temporary support of a patient with fulminant hepatic failure". Transplantation 59, 1654-1659 (1995); DJG White, GA Langford, E Cozzi & VJ Young: "Production of pigs transgenic for human DAF: A strategy for xenotransplantation". Xenotransplantation 2, 213-217 (1995); DKC Cooper, E Kemp, JL Platt & DJG White (eds.), Xenotransplantation: the transplantation of organs and tissues between species (Berlin; New York: Springer, 1997).
23 - Some exemplary cases are the production of rat sperm in the testes of a mouse (which clearly suggests that human sperm could also be produced in the testicles of a rodent), the innitial division of a human cell in the egg of a cow, and the creation of an embryonic clone of an adult woman in South Korea. See: Clouthier, David E. et al: Rat spermatogenesis in mouse testis. Nature 381, 418-421 (1996) Letters to Nature; Robl, J M; Jerry, D J; Stice, S; Cibelli, J. Response - Quiescence in Nuclear Transfer, Science. Volume 281, Number 5383, 1998, p. 1611; BBC Online, "S. Korean scientists claim human cloning success", December 16, 1998 (http://www.news.bbc.co.uk).
24 - In an article for the New Scientist (October 23, 1999), entitled "We Have the Power", Andy Coghlan reported that a Canadian company, Chromos Molecular Systems of Burnaby, British Columbia, presented preliminary results of experiments with mice given an artificial chromosome. He wrote: "By taking cell samples and exposing them to fluorescent dyes that bind to different parts of the chromosome, Chromos's scientists were able to discover which animals had accepted the chromosome. When the mice carrying the extra chromosome were crossed with normal mice, it was inherited in exactly the same way as the animals' natural chromosomes." This is an indication that human germline gene therapy is becoming a practical possibility. It shows that one day it might be possible, for medical reasons, to add synthetic genes to human embryos which otherwise would develop with serious or fatal congenital defects.
 

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http://www.liceosansepolcro.org/nacita-della-coscienza-moderna/la-natura.htm

LA NATURA TRA FILOSOFIA, LETTERATURA E ARTE NEL SEICENTO
Le condizioni gnoseologiche (D)dell’estremo Cinquecento e del primo Seicento furono caratterizzate dalla "perplessità interrogativa", che era entrata negli spiriti subordinata alla crisi della vecchia concezione scolastica (ST), e dall’incertezza in cui le medesime anime vennero a trovarsi per le nuove posizioni scientifiche e filosofiche, indicate da personaggi quali Copernico (SB), Telesio (SB), Bruno (SB) e altri. La scienza, per esempio, non veniva più considerata come un sistema di idee compiuto e dato per buono una volta per tutte o come ancorato al principio di autorità dei grandi filosofi del passato e ai dogmi (D) della Chiesa; c’era bisogno di nuova aria nelle scuole e soprattutto si avvertiva la necessità di una cultura che fosse all’altezza delle grandi trasformazioni che si stavano imponendo nella vita spirituale e materiale, nella società civile, nella Chiesa.(Vedi Lo sviluppo della scienza nei rapporti socio-economici).
Il primo profondo impulso al rinnovamento venne dai filosofi naturalisti italiani della fine del ‘500. Loro maestro fu Bernardino Telesio, che, nella sua opera principale, evidenzia la necessità di tornare allo studio della Natura, secondo i principi che le sono propri, rifiutando la concezione aristotelica (ST) del Mondo. Accanto a Telesio si misero in evidenza altre due importanti figure di intellettuali e filosofi: T. Campanella (SB) e G. Bruno. Il primo, assumendo come unità di misura i principi del vivere naturale, propugnava una radicale riforma della società e della religione; il secondo, sostenitore del sistema eliocentrico di Copernico, insegnò una filosofia centrata sul concetto dell’uniformità dell’universo e della sostanziale identificazione di Dio con la Natura (Vedi Spinoza). Con questi tre grandi filosofi si inizia a capire la nuova importanza attribuita, già nel ‘500, allo studio della Natura; ma se in un primo momento l’indagine naturale venne attuata partendo da una concezione magica (D)del mondo reale, cioè concependo la Natura stessa come un ente mossa da "forze intrinseche e armonizzate da una simpatia universale" (Vedi Alchimia), con l’avvento della filosofia naturale si rinuncia alla pretesa di penetrare i misteri della natura. Tale filosofia rompe così i ponti con la magia e l’aristotelismo; intende interpretare la natura con la natura, prescindendo da ipotesi e dottrine precostituite. E così si apre la via alla vera e propria indagine scientifica. In questo ambito spiccano figure quali Keplero (SB), Copernico e Galilei (SB); essi furono, tra molti, coloro che diedero un più vivo e significativo impulso, sia teorico che pratico, allo studio di fenomeni naturali. Galilei fu il primo a concepire il metodo della scienza come mezzo di indagine del naturale, visto innovativamente come ordine causale, necessario ed immutabile.
Non solo le scoperte di Galileo nel campo fisico ed astronomico, ma anche le innovazioni tecniche sviluppatesi in seguito alle richieste di una società in continua evoluzione e fermento, come il microscopio applicato alla biologia o alla botanica, caratterizzarono il XVII secolo come un secolo di cambiamenti e di affermazione di un nuovo tipo di gnoseologia. In un mondo che si rivelava ogni giorno diverso da come una tradizione millenaria lo aveva presentato, non è strano che l’intero sistema conoscitivo entri in crisi (la Luna, ora risulta simile alla Terra, l’universo pare perdere ogni centro e confine, la Terra è costituita di continenti sconosciuti) e il vuoto venga colmato dalla ricerca e dalla sperimentazione, in un clima di tensione e dubbio, che stimola la riflessione e cerca nuove basi per nuove certezze.
Non stupisce quindi che l’arte figurativa preferisca, oltre alla riproduzione degli oggetti, la finzione. Inoltre, più si accentua la varietà delle esperienze, sempre meno le conoscenze tradizionali valgono a spiegare una realtà in evoluzione. La ricerca delle somiglianze nascoste che l’occhio dell’osservatore scopre tra settori lontani tra loro, costituiscono una nuova rete di collegamenti. Soltanto il "simbolo", come la metafora (D), sembra riuscire a spiegare fenomeni sfuggenti; questo artificio tecnico, assieme all’allegoria, permette al letterato come all’artista d’intuire ciò che i sensi e la ragione non sono più in grado di decifrare. La "fantasmagoria speciosa" delle metafore, è dovuta, nel Seicento, al molteplice aspetto che la realtà prende nell’anima del singolo; la sensibilità del poeta, o di qualsiasi altro intellettuale, è messa in crisi. Nella lirica barocca si tende a far più attenzione al mondo della natura, guardandolo sotto svariati punti di vista. Ecco quindi che i lirici barocchi convertono l’astrattezza, la spiritualità, l’atemporalità delle raffigurazioni petrarchesche in concretezza, fisicità e, nel caso delle bellezze femminili, in sensualità e lascivia. Analogamente al tema della bellezza naturale e muliebre, nuove tematiche sono introdotte dai lirici barocchi nell’ambito di una tecnica della catalogazione e variazione. Muovendo da un dato percettivo, da un’esperienza, il poeta barocco tende a sperimentare tutte le possibili variazioni che gli consentono di realizzare esperienze concettuali e verbali difficili e argute. Nelle poesie si colgono attimi di vita, gesti, movimenti minimi, senza mai oltrepassare la dimensione materiale e oggettuale. Questo realismo fisico ed estetico prevede, ad esempio, che alla tipica donna bionda, si aggiungano le castane, le rosse e le nere; c’è in sostanza una maggiore attenzione al quotidiano e anche a più svariati oggetti, fiori, frutti, ortaggi, piante e animali (perle, coralli, argento, oro, rose, gigli, melograni, pere, viti, cedri, usignoli, lucciole, zanzare, farfalle ….. ). La realtà così descritta si presta poi a giochi prospettici o a vere e proprie metamorfosi; in alcuni casi questi "giochi" derivano proprio dalla ricchezza metaforica del testo: nel sonetto del Marino (SB), "Onde dorate", "la donna tende ad assumere quasi una realtà minerale, d’aurea e gemmea e perlacea essenza, a prendere insomma l’aspetto di un lussuoso e raffinato gioiello"(Getto). Nella lirica barocca (D) si ha quindi un ampliamento del poetabile, a cui però non corrisponde mai un approfondimento psicologico o morale. I poeti barocchi privilegiano i dati materiali e oggettuali, funebri e orrorosi, magari e magari rappresentati simbolicamente (il teschio, la tomba).
Il gusto per l’indagine del reale trova ampio sfogo anche nell’ambito delle arti figurative; ovunque si affermano nuovi generi che, pur ritenuti marginali, hanno un fiorente sviluppo. Tra questi il più significativo è quello della Natura Morta. Le cause che determinarono l’affermarsi di tale genere in Europa e in Italia alla fine del Cinquecento furono disparate. Un primo riferimento è alla ininterrotta tradizione della cultura mediterranea nel rappresentare il mondo del reale in una coerente unità. Questo porta all’isolamento della scena e alla possibilità di considerare il soggetto inanimato non più come corredo della figura umana, ma come autonomo protagonista. Un secondo riferimento va invece alla tradizione nordica che presenta un’attenzione al particolare già espressa nella rappresentazione delle storie sacre, nel ritratto e nel paesaggio. Sicuramente anche l’attenzione scientifica, legata alla corporeità dell’oggetto più che alla sua idealità, concorre nell’affermare questo tipo di pittura; l’opera dei botanici Cressner e Fuchs, per esempio, rende necessario rinnovare l’iconografia tradizionale degli erbari medioevali per un’icona più rispondente all’osservazione diretta. In sostanza, il concetto fondamentale e fondante della pittura di nature morte è la convinzione che l’oggetto rappresentato, sia esso un vaso di fiori che un cesto di frutta, abbia la stessa dignità di soggetto pittorico quanta ne può avere la figura umana. Il Caravaggio (SB), nella sua pittura, afferma chiaramente un interesse per il soggetto inanimato, non più periferico alla figura umana, ma centrale ed esauriente. Con opere quali la "Canestra di frutta" (1596) Caravaggio conferì alla natura morta italiana piena autonomia di sviluppo; cimentandosi nel processo mimetico nei confronti del mondo naturale l’artista pervenne ad una resa quasi tangibile del reale e, a differenza degli esempi fiamminghi, ad un’interpretazione unitaria basata su valori essenzialmente plastici. L’esperienza di Caravaggio, che conferì alla natura alta dignità rappresentativa, impresse al genere una nuova formulazione poi assimilata dalla cultura italiana ed europea.

Il Relatore:
Luca Lazzarelli



http://www.liceosansepolcro.org/nacita-della-coscienza-moderna/SVILUPPO-SCIENTIFICO.htm
LO SVILUPPO DELLA SCIENZA NEI RAPPORTI SOCIO-ECONOMICI DEL XVI E XVII SECOLO
Sulla pagina relativa all’Atomismo, abbiamo messo in evidenza quali siano le potenziali implicazioni tra tale filosofia e le caratteristiche salienti del nuovo pensiero scientifico sviluppatosi alla fine del cinquecento.
Dobbiamo chiederci per quali ragioni la scienza, come noi la intendiamo, si sia sviluppata a partire dal XVI secolo, dobbiamo cioè individuare quali nuovi fattori e condizioni abbiano consentito lo sviluppo della scienza e quali lo abbiano ostacolato fino a quel momento. Dobbiamo innanzitutto considerare il pensiero scientifico sul piano concettuale, perché muovendo da esso risulterà più facile giungere a conclusioni soddisfacenti.
Il nuovo pensiero riassume e concretizza tutta la sua originalità in una visione del reale e della natura del tutto sconvolgente e innovativa rispetto alle precedenti filosofie. la natura diviene infatti l’unico obbiettivo dello studio razionale ed è intesa unicamente come oggetto dell’analisi, viene quindi liberata da caratteri soprannaturali. La realtà non è più subordinata a fini spirituali e a desideri umani, è studiata come ordine oggettivo e come tale, senza che si facciano di essa deformazioni volte a giustificare qualsivoglia evento oltre la natura stessa.
A quest’aspetto di rinnovamento nella concezione del pensiero se ne accompagna un altro altrettanto importante: il concepire la natura come ordine causale, non più inteso nei termini aristotelici stabiliti dall’introduzione appunto delle quattro cause (formale, materiale, efficiente, finale); delle quali risulta ammessa solo quella efficiente, perché ciò che preme al nuovo pensatore è di conoscere le leggi che determinano i fatti e non la ragione metafisica per cui questi avvengono, né la loro finalità. Esclusa quindi la ricerca di un fine insito nei fenomeni naturali, questi divengono una concatenazione di eventi che si verificano in seguito a ben precise cause, tolte le quali diventa impossibile comprendere gli effetti da esse prodotti. Lo scopo dello "scienziato" è appunto quello di individuare e collegare nel giusto ordine cause ed effetti creando in questo modo una rete di relazioni tra i fatti. Relazioni che possono essere espresse tramite leggi definite (D), atte a spiegare e a regolare lo svolgimento di tutti i fenomeni naturali, rendendoli comprensibili. Questa conclusione implica necessariamente che la scienza, per giungere a risultati stabili, debba riferirsi alla matematica, utilizzata come strumento per relazionare i rapporti quantitativi dei fenomeni.
In definitiva, agli scienziati del XVII secolo la scienza si presenta come conoscenza oggettiva della realtà, che tramite un processo di quantificazione può essere espressa da leggi matematiche, divenendo in questo modo una disciplina intersoggettiva, comunicabile e accessibile a chiunque.
Ma cerchiamo ora di comprendere in che modo tale sconvolgente concezione del sapere possa essersi inserita nella situazione sociale e culturale del XVI e XVII secolo, analizzando tanto i fattori stimolanti nei confronti della sua affermazione, quanto le difficoltà incontrate dal nuovo pensiero nel suo sviluppo.
La rivoluzione scientifica deve in primo luogo scontrarsi (vedi anche Fede-ragione) con le convinzioni culturali e morali dell’epoca, trovando un autorevole ostacolo nella teologia, che vede nelle nuove teorie e nei nuovi schemi, un pericolo per tutta la sua struttura portante e per i dogmi (D) principali. Risulta inevitabile infatti il contrasto tra l’intento finalistico proprio della metafisica teologica e cristiana, e la nuova concezione causalistica della natura, che spesso porta a veri e propri stravolgimenti di quella che era fino quel momento la rigida dogmatica scolastica (ST); è il caso dell’elaborazione della nuova teoria cosmologica che mette in crisi il modello Tolemaico (ST)ritenuto imprescindibile. Alcune posizioni assunte dalla nuova scienza sono contestate anche da forze tradizionali quali magia(D) e astrologia(ST) che si trovano spiazzate di fronte al concetto di sapere intersoggettivo e pubblico, il quale mina alla base il fondamento della loro dottrina basata sull’idea di un sapere occulto e riservato a pochi eletti. La scienza moderna quindi, nel suo processo di affermazione si deve scontrare con l’opposizione decisa e a volte autoritaria, è il caso di Galileo Galilei(SB), delle tradizioni culturali e religiose.
A svolgere un ruolo di supporto e, in particolari casi anche di sprone, nei confronti della rivoluzione scientifica, sono invece le emergenti strutture culturali, le classi sociali in ascesa(D) e l’evoluzione dell’economia. Le trasformazioni sociali infatti, con lo sviluppo di nuovi dinamici ceti sociali portano con sé una trasformazione della struttura organizzativa e si traducono nella richiesta di maggiori aiuti tecnici. Proprio la necessità di una tecnica più evoluta che soddisfaccia i bisogni sempre crescenti di un’economia in crescita, accelera il processo evolutivo della scienza, la quale si adopera per fornire all’uomo strumenti che gli consentano di poter migliorare le proprie condizioni lavorative.
Sul piano culturale una parte fondamentale nello sviluppo e nell’affermazione del nuovo pensiero è rivestita dal Rinascimento(D) che porta con sé alcuni aspetti ripresi e fatti propri dalla rivoluzione scientifica. Primo fra tutti, quello della laicizzazione e della liberalizzazione del sapere che pone le basi della ricerca scientifica; ma dobbiamo sottolineare anche la rivalutazione di antiche filosofie e dottrine, quali l’Atomismo, le teorie Pitagoriche, gli studi di Erone e Archimede, portatrici di concetti importanti per lungo tempo ignorati, che si rivelano invece innovativi grazie al loro impiego da parte della scienza moderna. Inoltre nel Rinascimento si diffonde un profondo interesse per la natura, che viene indagata a fondo da pensatori come Telesio(SB), Campanella(SB) e Bruno (SB). Infine l’età della rinascita, rinverdendo il Platonismo e il Pitagorismo, offre alla scienza la convinzione che la natura e la realtà possono essere concepite in termini geometrici e matematici.
Un discorso a parte va riservato all’Aristotelismo (ST), che, essendo una delle più autorevoli e affermate filosofie antiche, fa sentire fortemente la sua influenza nello sviluppo scientifico ma in più direzioni, diverse e contrastanti. Da una parte infatti, costituisce un difficile ostacolo, divenendo lo strumento utilizzato da teologi e scolastici, che vedevano minacciato il loro dogmatico sapere, per confutare le nuove teorie e i nuovi schemi, grazie all’utilizzo della disquisizione basata esclusivamente sulla logica del sillogismo (D) e sul rispetto di una rigorosa serie di passaggi razionali e volta a smontare i nuovi costrutti filosofici la quale però si allontanava spesso dall’effettiva realtà dei fatti per cadere nell’assurdo (vedi la dimostrazione di Don Ferrante, macchietta appunto dell’intellettuale scolastico, sull’inesistenza della Peste, che possiamo apprezzare ne "I Promessi Sposi"). Prendendo però in considerazione l’Aristotelismo rinascimentale, troviamo che è sostenitore di un concetto fondante del pensiero scientifico: quello di concepire la natura come catena causale di eventi.
Relatore:
Giulio Brugoni


L'ATOMISMO DEMOCRITEO IN RELAZIONE ALLA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
 
 

Lo scopo di questo lavoro è quello di individuare punti di contatto e convergenze tra l'Atomismo di Democrito, vissuto nel V secolo a. C., e quello straordinario evento verificatosi tra il XVI e il XVII secolo d. C. che è la Rivoluzione Scientifica; si cercherà di porre in evidenza l'influenza e il ruolo decisivo che la dottrina Democritea avrebbe potuto ricoprire nello sviluppo della scienza e della fisica moderna.

Il fulcro del nostro interesse è da individuare nella peculiarità della posizione assunta da Democrito nell'affrontare le problematiche comuni nella sua epoca. Innanzitutto dobbiamo sottolineare l'importanza che Democrito affida all'esperienza sensibile, la quale diviene per lui il punto di partenza dell'elaborazione intellettuale e che sarà il fondamento della rivoluzione scientifica e del metodo sperimentale . Non bisogna dimenticare comunque che Democrito pur riconoscendo l'importanza della sfera sensoriale come base per l'esplorazione razionale, affida a quest'ultima il compito di giungere alla verità tramite un processo di tipo speculativo; mentre la fisica moderna, muovendo dall'osservazione dei fenomeni naturali, ricerca la validità del costrutto logico ancora nella realtà, tramite la prova sperimentale.
Questo particolare atteggiamento di Democrito è da collegarsi strettamente con un'altra concezione fortemente originale che ci pone di fronte ad un nuovo modo di intendere la Filosofia e la ricerca; in Democrito troviamo la prima forma di Meccanicismo filosofico consistente nello spiegare le "cose" in virtù delle cause efficienti che le producono, nel chiedersi cioè come i fenomeni avvengano e non a quale scopo.

Questo concetto di cui la scienza moderna si è appropriata, è il nodo principale che lega Democrito alla rivoluzione scientifica, perché è proprio il radicale mutamento di indirizzo dello studio e dell'interesse filosofico che dà l'avvio al nuovo modo di pensare e di concepire il fine della ricerca. Su questo punto dobbiamo concentrare la nostra attenzione, perché possiamo renderci conto che in Democrito esistono già le basi per lo sviluppo di un pensiero filosofico moderno e che, se la sua dottrina avesse preso campo nell’antichità, lo sviluppo della scienza sarebbe stato forse molto più rapido.

Questo però non avvenne, e le cause che hanno portato all’affermazione di modelli filosofici diversi dall’Atomismo sono molteplici e sono da ricercare nell’ambito dello sviluppo del pensiero attraverso i secoli, ma anche dei cambiamenti sociali e religiosi che hanno caratterizzato differenti epoche nell’antichità e soprattutto nell’Alto Medioevo.

Il pensiero di Democrito infatti, trova ben presto un illustre oppositore nella figura di Platone, che addirittura non fa nessuna menzione di lui nei suoi "Dialoghi". A Platone segue Aristotele, che elabora un pensiero filosofico in netta antitesi con l’Atomismo e che più volte all’interno della sua opera manifesta un forte dissenso nei confronti di tale dottrina. In seguito Democrito riceve una rivalutazione da pensatori quali Epicuro e Lucrezio che ne ripropongono la filosofia, anche se con intenzionalità diverse da quelle naturalistiche, soprattutto il primo; e infine subisce un netto rifiuto con l’affermarsi del Cristianesimo, che, dato il suo stretto legame con la filosofia Scolastica direttamente derivata dal pensiero aristotelico e platonico giunge a definire eretico l’Atomismo e quindi a bandirlo dalla cultura "lecita".

Soltanto con il Rinascimento e con l’età moderna l’Atomismo sarà riscoperto e rivalutato e tornerà ad ispirare filosofi e pensatori.

Altre importanti tesi dell'Atomismo fanno sì che questa dottrina possa essere considerata vicina al modo di pensare moderno, come la concezione della pluralità dei mondi e dell'infinità dell'universo (ST), che lo mette in relazione con il pensiero di Giordano Bruno (SB) e su cui si fonda la cosmologia moderna, ma anche dell'unità e omogeneità tra le realtà celesti e quelle sublunari (teoria che rimane sepolta fino al periodo rinascimentale, quando con la rivoluzione astronomica viene rivalutata ed accettata).

Molto importante è l'introduzione del concetto del vuoto inteso come qualcosa diverso dal non essere degli Eleati e infine, ultima ma di fondamentale importanza, la concezione di una realtà costituita da atomi e regolata nei fenomeni dal loro movimento e dal loro modo di rapportarsi, principio che, ripreso in tempi moderni, porterà all'elaborazione della fisica e della chimica moderne.
 
 

Relatore:
Giulio Brugoni



 http://www.liceosansepolcro.org/nacita-della-coscienza-moderna/galileo.htm

GALILEO GALILEI
La concezione della scienza ed il metodo

Secondo Galileo (SB) la funzione della fisica è la conoscenza della natura non come indagine sulle essenze dei fenomeni, ma sulle leggi che li regolano.

Questo dà vita ad una nuova concezione del rapporto causale diversa da quella metafisica(D) aristotelica secondo cui era necessario lo studio delle cause (D) dei fenomeni per la determinazione dei loro effetti. Essendo il concetto di causalità libero da ogni significato di fine e riferimento antropomorfico, l’indagine deve vertere sulle leggi meccaniche (D).

La scienza ha il compito quindi di descrivere e spiegare i fenomeni attraverso teorie matematiche. Lo strumento dell’indagine è la matematica (ST) che, oltre a consentire di rappresentare la realtà in termini quantitativi , permette di formulare con esattezza i principi delle teorie e di determinare le conseguenze deducibili. Ci deve essere un’attenta collaborazione fra l’osservazione empirica, con le dirette conseguenze che se ne traggono e i puri ragionamenti matematici i quali non devono indurre a escludere l’esperienza, ma servono a renderla più comprensibile.

Per la rigorosità dell’osservazione è necessario l’uso di strumenti che consentano di analizzare i dati dal punto di vista quantitativo. Si fonda un nuovo rapporto tra scienza e tecnica in cui lo scienziato deve sfruttare le scoperte di quest’ultima e, con i suoi studi, risolvere i problemi tecnici.

Galileo sostenne sempre l’indipendenza della scienza la quale deve sottostare alla sola autorità della ragione. Egli condusse una battaglia per liberare la scienza dall’influenza della tradizione religiosa e della tradizione filosofica. Nei confronti della religione, essendo uomo di fede, sostenne che sia la natura che la Bibbia, la quale conteneva concezioni che sembravano andare contro la moderna scienza, derivano da Dio e come tali non possono contraddirsi; le contraddizioni fra le verità scientifiche e quelle religiose sono quindi solo apparenti. La Bibbia va interpretata in quanto essa contiene una verità etico – religiosa, ma per quanto riguarda le verità naturali è la scienza che deve raggiungerle; l’interpretazione della Bibbia deve quindi adattarsi alla scienza.

Galilei ha dato un decisivo contributo alla scienza moderna, tanto da esserne considerato il padre, individuando un metodo per procedere nello studio dei fenomeni. Non espone tuttavia organicamente questo modo di procedere, lo applicò senza teorizzarlo . Dai suoi scritti si possono comunque ricostruirne le fasi.

Inizialmente si divide il lavoro in un momento risolutivo e in uno compositivo. Nel primo si ha lo studio degli elementi semplici quantitativi e misurabili e si formula un’ipotesi matematica della legge. Il secondo momento è costituito dalla verifica e dall’esperimento, in base al risultato del quale si controlla la verità dell’ipotesi ; se essa viene confermata diviene legge. Nel caso contrario lo scienziato è costretto ad avanzare un’altra ipotesi .

Ma l’effettivo criterio con cui Galileo avanza consiste in una compresenza fra l’indagine empirico induttiva e il momento ipotetico deduttivo. Questo significa che egli in certi casi, come nelle leggi sulle fasi di Venere, procede dall’osservazione di casi particolari giungendo ad una legge generale quindi per via empirica. In altri, come il principio d’inerzia o la caduta dei gravi, parte da ragionamenti logico matematici scaturiti da un’intuizione di base e procedendo per supposizioni formula la teoria; a questo punto lo scienziato si riserva la verifica.

L’oscillazione fra induttivismo e deduttivismo ha dato vita a diverse interpretazioni e lo stesso Galileo, in certi passi, scrive che l’esperienza empirica va anteposta ad ogni discorso, ma in altri :<< senza esperienza son sicuro che l’effetto seguirà come vi dico, perché così è necessario che segua. >>

In realtà possiamo affermare che vi è una sostanziale implicanza ed indissolubilità fra i due aspetti; infatti l’esperienza va rielaborata razionalmente per spogliarla dei caratteri qualitativi e le ipotesi e supposizioni fanno comunque riferimento alla realtà poiché necessitano della verifica sperimentale.

Dal metodo emerge come sia cambiato il concetto di esperienza che non è più legata immediatamente all’apparenza sensibile , ma presuppone una elaborazione di dati e una costruzione teorica. Ciò determina una frattura fra la comune concezione delle cose e la fisica che caratterizzerà tutta la scienza moderna.

Dovendo essere dimostrata con l’esperimento, l’esperienza finisce con l’identificarsi proprio con questo. L’esperimento deve riprodurre il fenomeno in laboratorio dove si devono ricreare le autentiche condizioni, ma nel far questo bisogna ridurre al massimo i fattori di disturbo come ad esempio l’attrito nel moto nel moto dei corpi; talvolta Galileo deve anche procedere con esperimenti ideali. Tale procedura è utilizzata dallo scienziato quando, soprattutto per mancanza di strumenti tecnici, non è in grado di verificare le proprie teorie e deve ricorre ad una sorta di fisica ideale, in cui immagina ad esempio piani perfettamente levigati o assenza di determinate forze..

La dinamica

I contributi di Galileo nella meccanica(D) e in particolare nella dinamica(D) dei corpi sono di fondamentale importanza.

Anche se non ne enunciò mai la legge intuì il primo principio della dinamica(D). Egli osservò che un corpo, che può risalire, per mezzo della velocità acquistata nella caduta, raggiunge la stessa altezza iniziale indipendentemente dalla traiettoria seguita. Così un pendolo portato dalla posizione di equilibrio ad una certa altezza, una volta abbandonato raggiunge quasi la stessa altezza, la piccola differenza è dovuta agli attriti.

Galileo considerò poi una sferetta lasciata rotolare in un piano inclinato, la quale raggiunge quasi la stessa altezza se fatta risalire lungo un secondo piano inclinato. Riteneva che in assenza di attrito le altezze sarebbero state uguali. Ora, variando l’inclinazione del secondo piano, la sferetta raggiunge sempre la stessa altezza indipendentemente dall’inclinazione. La decelerazione è minore al diminuire dell’inclinazione del secondo piano, in quanto su piani più inclinati percorre più spazio rispetto a quelli con inclinazione maggiore. Quindi quando l’inclinazione del secondo piano è nulla, ovvero esso diventa orizzontale, la decelerazione è zero; pertanto Galileo intuì che in tali condizioni la sferetta si sarebbe mossa con velocità costante e che il suo moto sarebbe stato perpetuo. Questo naturalmente immaginando idealmente l’esperimento in assenza di attriti.

Un altro grande contributo di Galileo per la meccanica moderna è la scoperta del secondo principio della dinamica: le forze (D) applicate ai corpi non imprimono loro delle velocità, bensì della accelerazioni (anche se Galileo non utilizzò precisamente questo termine) che risultano direttamente proporzionali alle forze che le hanno prodotte. Con questo principio si può determinare il concetto di accelerazione come variazione di velocità (D)e il concetto di massa (D) di un corpo come rapporto di proporzionalità fra le forze ad esso applicate e le accelerazioni (D) prodotte da tali forze. Galilei trovò conferma di questo principio nello studio della forza di gravità che nel medesimo luogo risulta proporzionale alle masse dei corpi.

Caduta dei gravi

La fisica di Aristotele sosteneva che i gravi cadono a terra con velocità direttamente proporzionale al loro peso. Volendo confutare questa teoria Galileo, essendo la resistenza dell’aria un elemento di disturbo per il fenomeno, procede preliminarmente con un esperimento ideale nel vuoto. Osserva prima di tutto che unendo due mobili che hanno velocità disuguali il più lento ritarda il più veloce, contrariamente unendo due mobili che hanno uguale velocità il sistema dei due si muove ancora con la stessa velocità. Se si immaginano quindi tre blocchi di ferro A,B,C uguali per dimensioni e forma, abbandonandoli nel vuoto nello stesso istante e dalla stessa altezza, essi cadranno nello stesso modo, cioè ogni istante si troveranno alla stessa altezza. Affiancando ora A e B e legandoli idealmente con una catena senza peso, si lasciano cadere assieme a C, sempre nello stesso istante e dalla stessa altezza. Poiché nella prima caduta A e B seguivano la stessa legge è lecito ritenere che il sistema A+B si comporti ora come C. Nonostante sia quindi raddoppiato il peso, la legge di caduta è rimasta invariata.

La conclusione generale è che i due corpi dello stesso materiale cadono nel vuoto con la stessa legge indipendentemente dal peso.

La formulazione di leggi necessità però di un esperimento reale.

Galileo per poter eseguire le misure di tempi essendo il moto di caduta dei gravi molto rapido, lo rallenta con piano inclinato. Incavando in questo un condotto ben levigato vi fa rotolare una sferetta di bronzo. L’obiettivo che si prefiggeva era la dimostrazione sperimentale che il moto dei gravi è uniformemente accelerato. Con più misure del tempo impiegato dalla sferetta per percorrere diversi spazi di piano inclinato, Galileo giunge a dimostrare che lo spazio è direttamente proporzionale al quadrato del tempo, ovvero il moto è uniformemente accelerato; tale legge o, detto S lo spazio e T il tempo, è espresso da: con K costante al variare di S. Animazione

L’astronomia

Oltre ad aver messo in crisi la fisica aristotelica (ST) Galilei fece delle importanti scoperte in campo astronomico (ST), sostenne la cosmologia di Copernico (SB) demolendo la concezione tolemaica (ST) ed eliminando le obiezioni sollevate da Tycho Brache.

Innanzitutto rifiutava il dualismo astronomico e negava la diversità fra moti rettilinei, tipici del mondo sublunare, e moti circolari, tipici del mondo sopralunare, questo grazie ai due principi della dinamica. Giunse quindi al rifiuto della diversità fra le leggi che regolano i fenomeni celesti e quelli terrestri. Con l’uso del telescopio pervenne ad alcune scoperte, comunicate nel Sidereus Nuncius del 1610, con le quali dimostrava empiricamente le teorie di Copernico e sanciva il definitivo superamento della vecchia cosmologia.

Confutò la teoria di Aristotele della incorruttibilità dei cieli secondo la quale i corpi celesti, esclusa la terra, erano rivestiti da una superficie liscia ed erano perfetti anche non essendo soggetti al divenire. Galilei osservò che le macchie lunari erano delle ombre delle montagne proiettate dalla luce del sole, e che lo stesso sole presentava macchie oscure che si formavano e sparivano, attestando quindi un processo di trasformazione in atto che confutava la dottrina aristotelica.

Lo scienziato dimostrò inoltre l’esistenza di moti celesti aventi un centro diverso dalla Terra scoprendo i quattro satelliti di Giove. Dal momento che questi ruotavano con Giove attorno al Sole come riteneva Copernico, nulla impediva di pensare che anche la Terra e la Luna potesse ruotare attorno al Sole.

Scoprì le fasi di Venere che lo indussero a pensare che tale pianeta ricevesse la luce dal Sole girando attorno ad esso e che questo fosse valido per tutti i pianeti "tenebrosi" illuminati solo dal Sole.

Ne "Il Discorso Sopra I Due Massimi Sistemi Del Mondo", opponendosi alla tradizione tolemaico aristotelica la quale sosteneva che se la Terra avesse avuto un moto di rotazione su se stessa avrebbe sollevato tutto con un gran vento e i gravi avrebbero avuto una caduta obliqua, afferma che l’aria e ogni altra cosa partecipa al moto della Terra, in modo che rispetto alla stessa tutto è immobile.

Queste argomentazioni derivano dal principio di relatività galileiana, per cui in un sistema dotato di moto rettilineo uniforme tutti gli oggetti nei loro movimenti assumono le stesse posizioni che se il sistema fosse fermo. Questo principio viene esposto da Galileo nel celebre esperimento mentale della nave.(Riportare passo)

Oltre alla meccanica e all’astronomia Galilei si interessò ad altri rami della fisica.

Nel campo dell’ottica costruì il cannocchiale e il microscopio che, oltre all’utilità che hanno avuto nelle sue indagini, hanno un significato particolare. Dal momento che le lenti erano già conosciute fin dal XIII secolo, l’importanza di Galileo non è tanto quella di avere realizzato il cannocchiale, cosa che per altro era stata anticipata dagli olandesi, ma di averlo utilizzato nella ricerca scientifica dimostrando la necessità di sinergia tra scienza e tecnica. Questo utilizzo scientifico del cannocchiale dimostrò come lo strumento acquisisce un valore conoscitivo, cosa che per il tempo costituì un fatto rivoluzionario. Infatti a causa dei pregiudizi ormai secolari non si concepisce l’uso di strumenti, atti ad amplificare la potenza dei sensi, nella ricerca scientifica; la cultura ufficiale li condannava ritenendo ad esempio che le lenti fossero fonti di illusioni ottiche. Molti teologi li definivano "diabolici" in quanto sostituti degli occhi naturali creati da dio; anche fra i dotti vi fu il rifiuto di utilizzare il cannocchiale. Essi non potevano accettare la demolizione della scienza astronomica di Aristotele ad opera di un congegno meccanico.

Nel campo dell’acustica collegò lo studio delle vibrazioni sonore a quello delle vibrazioni del pendolo; si interessò altresì del magnetismo e della termologia ove ebbe il merito di costruire il primo termometro elementare (termoscopio).

Si occupò dei problemi legati all’ingegneria e in particolare di quella idraulica.

Non si interessò invece molto dello studio della matematica pura, pur essendo professore in questa disciplina. Questo non significa che l’abbia trascurata in quanto, come sappiamo, la pose come strumento base della sua fisica, ma la tratta solo sotto questo punto di vista. Anche se comunque si occupò del problema dei paradossi dell’infinito (D) che effettivamente sono matematica pura.

La figura filosofica di Galilei

Galilei non è stato propriamente un filosofo ma nella sua formulazione del metodo scientifico e nel rivoluzionare la fisica concettualmente si è ispirato ad alcune precise teorie ed indirettamente, con il successo della sua scienza, ha determinato una radicale svolta nel pensiero filosofico. Le dottrine a cui ha attinto sono quelle della tradizione e soprattutto quelle contemporanee. Concepisce la natura come un ordine casualmente strutturato.

Rifiutando la metafisica scolastica , Galilei esclude qualsiasi considerazione finalistica del mondo e ne esprime una concezione meccanicistica (D). L’uomo non deve indagare metafisicamente sull’essenza (D), la sostanza, le virtù delle cose. Lo scienziato si deve invece occupare delle cause efficienti, di come cioè i fenomeni avvengano e studiarne le leggi. Con questo non vuole negare in assoluto le cause finali, ma non ritiene che se ne possa fare uno studio scientifico .

La base concettuale di Galileo è la struttura matematica del cosmo, tutto cioè è un insieme di relazioni uniformi e necessarie: le leggi. (Citazione passo)

La matematica è la logica, lo strumento dello scienziato, perché Dio ha creato il mondo con proposizioni matematiche.

Galilei considera il reale dal punto di vista quantitativo e riprende la distinzione democritea (ST) tra proprietà oggettive e soggettive dei corpi. Le prime definiscono i corpi in quanto tali: quantità, grandezza, tempo, luogo, forma, quiete ecc., le altre, sebbene prodotte da essi, sussistono solo in funzione dei nostri sensi. Lo scienziato deve considerare le proprietà oggettive della natura e indagarle matematicamente. Questo deriva da una concezione della natura uniforme nel suo ordine che, come verità geometrico matematica, è immutabile.

Tutti i suddetti elementi sono sostenuti da un’unica importante convinzione di Galilei: la corrispondenza tra pensiero ed essere, ovvero la conformità fra le conoscenze acquisite con la scienza e la realtà, il realismo. Egli si riteneva un matematico filosofo dove filosofo concerne il significato ontologico(D), sottolinea cioè la concretezza i suoi studi. Da questa fiducia assoluta sulla verità della scienza deriva la teoria secondo la quale la conoscenza dell’uomo ha lo stesso grado di certezza di quella di Dio la differenza sta nel fatto che Dio possiede le infinite verità di tutto ciò che ha creato, mentre l’uomo ha una conoscenza limitata che acquisisce progressivamente.

Galileo ha lasciato ai filosofi successivi molti problemi teorici e gnoseologici (D) come il rapporto fra mente e realtà, sensi e ragione, la giustificazione della validità della scienza, la relazione tra metafisica e nuovo sapere ecc. Ciò mostra come la Rivoluzione Scientifica abbia influito sulla filosofia e si può affermare che parallelamente alla scienza si sia sviluppata una filosofia condizionata dalla scienza.

Galilei è pervaso dalla piena fiducia sulla ragione che vuole comunicare a tutti, per questo scrive in volgare e considera la scienza come elemento stimolante e rinnovatore della società.

Per questi elementi derivati dalla fiducia nella ragione è stato considerato un precursore dell’illuminismo(ST) e comunque rappresenta un capo saldo della storia della filosofia.

Il Relatore:
Nico Biagioli



 http://www.liceosansepolcro.org/nacita-della-coscienza-moderna/SVILUPPO-SCIENTIFICO.htm

 PITTURA FIAMMINGA NEL XVII SECOLO
Per arte fiamminga non si intende soltanto l'arte sviluppatasi a Bruges, a Gand e nei centri minori dell'antica contea di fiandra, ma anche quella fiorita nel ducato di Brabante, nel paese di Liegi e prfino nelle contee di Hainaut e di Artois, confinanti con la Francia: l'arte dei Paesi Bassi meridionali e dell'Olanda.

Le sue origini si perdono nel passato della civiltà di queste terre. La curia vescovile di Liegi ad esempio, fu centro artistico già intorno al 1000. L'arte monastica fiorì largamente nei secoli seguenti e senza dubbio influì molto anche nella produzione artistica delle piccole corti feudali. Grande sviluppo e magnifica fioritura, l'arte fiamminga ebbe poi quando le città acquistarono importanza e i loro cittadini s'arricchirono e cercarono il lusso della cultura e della bellezza. Di questo già le fonti storiche parlano verso la fine del Duecento. Durante il Trecento si formò e si affinò una vera e propria schiera di artisti.

Intorno al 1400 centro principale dell'arte fiamminga pare che sia stata la città di Tournai in Hainaut. Ivi fioriva Robert Campin con i suoi discepoli Jacques Daret e Roger de la Pasture (Van der Weyden). Presto l'attività degli artisti fiamminghi non bastò alle richieste, specialmente nel campo della pittura e poi anche nell'industria degli arazzi. Molti maestri accoresero nelle maggiori città e vi presero cittadinanza.

Nel '500 l'Olanda e le Fiandre si fecero centri artistici per eccellenza e anche centri di esportazione artistica (fabbriche di arazzi). Ma è durante il XVII secolo che assistiamo ad una straordinaria fioritura artistica, che presentò caratteri e tecniche innovativi e che fu espressione concreta di un mutato assetto sociale e politico.(ST)

Sia l'Olanda che le Fiandre infatti ci presentano una situazione favorevole allo sviluppo di un nuovo modello artistico del tutto particolare che non avrebbe trovato spazio in nessun altro stato europeo.

Nelle Fiandre, pur saldamenente dominate dalla Spagna e perciò necessariamente cattoliche, l'aristocrazia cominciava a trasformarsi in nobiltà di corte, abbandonando i suoi effettivi poteri politici ed economici e lasciando spazio all'ascesa della borghesia (D). Quest'ultima assumendo importanza e potere riuscì a far sentire la sua influenza in campi che vanno ben oltre quello economico e, anche nell'arte, che comunque mantenne un carattere ufficiale ed un accento religioso a causa del restaurato cattolicesimo, si pose come nuova committente, garantendo così maggior libertà espressiva agli artisti.

In Olanda la situazione era ben diversa: dopo la costituzione delle Provincie Unite (1579) e la conseguente proclamazione d'indipendenza dalla Spagna si sviluppò una solida struttura economico-sociale fondata sulla classe borghese.

Durante tutto il Seicento il ceto mercantile divenne il principale committente ed interlocutore degli artisti, (non la Chiesa dunque) determinando così un'esplosione dell'arte nei Paesi Bassi; arte che si allontanò sostanzialmente dai precedenti canoni culturali ed espressivi.In primo luogo assistiamo alla caduta di vincoli ecclesiastici e ad un graduale adeguamento delle forme e degli strumenti artistici al gusto borghese. Ecco allora che il quadro di devozione scomparve nell'ambiente protestante; le storie bibliche cedettero il posto ai soggetti profani, tra cui erano privilegiati temi naturali quali paesaggi o nature morte, ma anche ritratti collettivi, scene della vita di ogni giorno, studi architettonici. Si prediligeva la rappresentazione della realtà, colta all'improvviso, in movimento, con uno sguardo attento ai particolari e a nuovi aspetti della quotidianità. Il soggeto o più spesso i soggetti dei ritratti ad esempio, non venivano ripresi, come da tradizione, di fronte o di profilo, ma in atteggiamenti vari, prestando attenzione alle caratteristiche individuali dei volti, nel tentativo di cogliere e rappresentare singolari stati emotivi. In tutto ciò è individuabile una ricerca verista che distingue l'arte olandese dal barocco (D)di tutta Europa.

Altro originalissimo elemento nell'arte figurativa olandse del XVII secolo fu l'utilizzo del piccolo formato; i quadri erano infatti di ridotte dimensioni perchè queste interessavano i privati borghesi che erano praticamente gli unici committenti.

Da questo punto di vista quindi la pittura ricevette un enorme impulso e godette di uno sviluppo in precedenza mai raggiunto, perchè l'esuberanza di capitali presente nella borghesia olandese e la contemporanea impossibilità di investimenti produttivi, condusse molte famiglie agiate a spendere i loro averi nell'acquisto di quadri per abbellire abitazioni e palazzi. Non bisogna però pensare che il gusto della media e piccola borghesia fosse raffinato ed evoluto e bisogna tener bene in conto che, se da principio quest'aspetto fu un gran vantaggio per gli artsti che potevano esprimere liberamente il loro genio, a lungo andare si trasformò in un grave pericolo che fu addirittura fatale alla pittura fiamminga di fine seicento.

Infatti il concetto di acquistare opere d'arte con il solo scopo di investire danaro, portò in fretta allo sviluppo di un commercio artistico di ingenti dimensioni in Olanda e altove, con gravi conseguenze per la qualità dei dipinti e la creatività degli artisti.

La richiesta di mercato anzitutto indusse il pittore a specializzarsi in um determinato genere, poichè il mercante gli richiedeva sempre opere del tipo che si dimostrava più adatto allo smercio, inoltre il quadro divenne un oggetto impersonale come ogni altra merce e l'artista si abituò a lavorare per una clientela ignota, trasformandosi progressivamente in un semplice artigiano e perdendo estro e fantasia.

Il Relatore:
Giulio Brugoni


SCHEDE TEMATICHE
 
 

L’ASCESA DELLA BORGHESIA IN OLANDA L'Olanda vive nel XVII secolo un periodo di profondi sconvolgimenti politici ed una grande crescita economica, le cui cause sono individuabili in un processo storico complesso, che ha implicazioni anche nei campi sociale ed artistico.
L'inizio dell'esplosione economica e culturale dei Paesi Bassi è da far risalire ai secoli XIV e XV, quando il settore tessile e manufatturiero conoscono uno sviluppo notevole e conferiscono al commercio un impulso in precedenza sconosciuto.
E' proprio in questo periodo che agiscono i primi grandi pittori fiamminghi e che il Calvinismo inizia a diffondersi gradualmente nella società Olandese. Quest'ultimo, portatore di istanze innovatrici, risulta essere uno tra gli elementi più significativi nello sviluppo della classe borghese e nell'evoluzione economica e politica dell'Olanda, tanto da rivestire un ruolo importantissimo nella riscossa nazionale contro l'oppressione spagnola iniziata nel 1579.
Dopo tale data l'Olanda conosce una progressiva evoluzione dell'organizzazione statale e sociale, caratterizzata dall'ascesa della Borghesia che si impone andando a conquistare il predominio sull'economia dello stato e ad occupare le più alte cariche amministrative. Tale svolta è comprensibile se si prendono in considerazione diversi fattori che per le loro peculiarità rendono possibile la formazione di un modello economico-politico che trasforma i Paesi Bassi in una delle regioni più solide e prospere nell'Europa del XVII secolo.
Lo sviluppo del ceto mercantile e borghese che potenzia notevolmente la struttura economica prima fondata sull'allevamento e la pesca, è da mettere in stretta relazione con la nascita ed il consolidamento dello stato nazionale olandese che, da una parte, garantendo un apparato politico solido e stabile, fornisce sicurezze ed incoraggia l'investimento di capitali in opere produttive e quindi lo sviluppo di un'economia dinamica; dall'altra richiede un numero massiccio di funzionari ed impiegati per l'amministrazione della cosa pubblica e per il corretto funzionamento della burocrazia statale.
Altro fattore di primaria importanza è, come già anticipato, lo sviluppo e la diffusione del Calvinismo, innanzitutto per il fatto che il propagarsi di tale dottrina avviene dal basso, senza l'appoggio di principi e sovrani, facendosi strada tra la popolazione per la sua semplice struttura organizzativa; in secondo luogo per la sua rigorosa ed essenziale etica fondata su quello che Max Weber ha definito lo "spirito del Capitalismo". La teoria della predestinazione doppia, punto fondamentale della riformata chiesa calvinista, porta infatti con sè conseguenze importanti, in quanto, se pensiamo che il successo e l'affermazione personale siano sintomo ed indizio di una futura salvezza, risultano di facile comprensione gli effetti di forte spinta all'attivismo e allo spirito imprenditoriale, che sono basilari premesse per la nascita di un forte ceto mercantile.
L'affermazione del Calvinismo porta infine con sè un'ultima conseguenza di non secondaria importanza che libera l'arte e le sue espressioni dalle remore dottrinali cattoliche e che deriva direttamente dalla posizione assunta nei confronti delle immagini sacre, considerate inutili e addirittura dannose ai fini del culto. Quest'atteggiamento di netto rifiuto spinge infatti l'arte olandese verso nuovi indirizzi, sia per quanto riguarda tematiche e forme, sia nei confronti della committenza, che si identifica ora nella ricca borghesia. (vedi Pittura Fiamminga)
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Pittura fiamminga nel XVII secolo
L'economia del '600 (sintesi di un testo di C. M. Cipolla)
ANGLICANESIMO: dottrina e amministrazione ecclesiale che formano il fondamento e la struttura della Chiesa anglicana. Centro della Chiesa è la Bibbia, di cui si sottolineano i significati devozionale ed etico. Anche la liturgia è impostata sulla Bibbia. Base dell’Anglicanesimo, soprattutto nella Bassa Chiesa (di tendenza protestante), sono i 39 articoli tuttora caratterizzanti l’Anglicanesimo. Nell’Alta Chiesa invece, di tendenza cattolicizzante, ha molto peso il Prayer Book.
La liturgia assume un valore dottrinale, in cui il senso "cattolico" della Chiesa ha peso rilevante. Ci si preoccupa infatti di rifarsi alla più antica Chiesa cristiana, così che "la linea protestante viene inglobata all’interno di un sistema cattolico". Le dogmatizzazioni cattoliche, però, dell’infallibilità papale (Concilio Vaticano I°) e dell’Assunzione corporea di Maria in cielo (1950) non sono state accolte dall’Anglicanesimo, anche per le loro implicazioni antiecumeniche.
La chiesa anglicana ha avuto la sua matrice nello scisma provocato dalla richiesta che il Re di Inghilterra Enrico VIII (1491-1547) aveva fatto al Papa perché fosse annullato il suo matrimonio con Caterina d’Aragona. Non avendo avuto la concessione, Enrico decise di far pronunciare l’annullamento da un'autorità inglese. In verità già da tempo in Inghilterra vi era uno stato d’animo antiromano al quale si accompagnavano particolari forme di pietà religiosa individuale. Un secolo e mezzo prima dello scisma, Wycliffe si era opposto tenacemente a Roma per difendere le decisioni prese dal Parlamento inglese contro il censo feudale dovuto al Papa.-
Nel 1532 Enrico VIII stilò l’Atto di Supremazia, che proclamava il re "capo supremo in terra della Chieda di Inghilterra". Sua preoccupazione però fu quella di non trasformare lo scisma in eresia (il che avvenne in seguito con Edoardo VI).
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Lo sviluppo del Calvinismo e la tesi di Max Weber
Dogmatica protestante e cattolica
ARISTOTELISMO:Con questo termine si usa indicare sia l’insieme delle dottrine di Aristotele, sia le correnti filosofiche che si riallacciano alla sua opera. Gli studiosi distinguono un aristotelismo antico, uno medievale, uno rinascimentale e moderno e uno contemporaneo.
- L’aristotelismo antico ha il suo centro di diffusione nella scuola fondata da Aristotele (Liceo o Peripato) e si caratterizza sia per l’impegno nella sistemazione delle opere del maestro, sia per lo sviluppo dato agli studi naturalistici e scientifici.
- Durante il Medioevo fiorisce l’aristotelismo arabo, importanti contributi sono dati da Avicenno e da Averroé. La scolastica si basa sulla filosofia aristotelica.
- Tra il XII e il XIII secolo le opere di Aristotele tornano a circolare in Occidente. L’aristotelismo, dopo una prima opposizione della Chiesa, inizia a farsi strada anche fra gli autori cristiani.
Filosofi come R. Bacone, S. Tommaso, e Guglielmo di Ockham propongono un aristotelismo "depurato" dagli elementi neoplatonici, operando una conciliazione fra Aristotele e il Cristianesimo.
- Nel Rinascimento l’aristotelismo predomina nelle università europee, possiamo segnalare autori come Pomponazzi, che interpretano in chiave materialistica e deterministica Averroè, Afrodisia e Alessandro.
Con l’avvento della nuova filosofia della natura di Telesio, Bruno, Galilei, Newton, ecc., L’aristotelismo cessa di essere l’elemento fondamentale della ricerca scientifica e naturalistica.
- Nella filosofia contemporanea ritroviamo l’aristotelismo nella Neoscolastica cattolica.
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Telesio
Condizioni sociali e rivoluzione scientifica
La natura tra filosofia, letteratura e arte
Giordano Bruno
Galileo Galilei
Evoluzione del rapporto fede-ragione
ASTROLOGIA: scienza che si occupa dello studio degli astri e dell’influsso che essi avrebbero sull’uomo e sulle attività umane. Secondo questa esisterebbe un preciso rapporto tra il passaggio di un astro in una determinata parte del cielo, detta circolo zodiacale, e fatti specifici riguardanti l’uomo e il mondo.
Nasce inizialmente tra i Babilonesi, che ritenevano i corpi celesti degli dei o loro manifestazioni, e si sviluppa poi in India, Egitto e in Grecia. Qui raggiunge un notevole sviluppo, venendo a contatto con le nuove concezioni filosofiche e le scoperte astronomiche di Ipparco, fino ad arrivare alla determinazione di una vera e propria dottrina astrologica con il "Tetrabiblon" di Tolomeo. Durante il Medioevo grandi pensatori, sia arabi sia occidentali, tra i quali ad esempio Ruggero Bacone, si occupano di tale scienza, in particolare dell’astrologia giudiziaria, ossia quella riguardante la previsioni sul futuro, concludendo che è sempre possibile evitare effetti negativi prendendo adeguati provvedimenti. In questo aspetto l’astrologia trova una dura opposizione della Chiesa, sia Cattolica che Riformata, durante il Rinascimento, in quanto la riteneva motivo di sconvolgimento dei concetti di libertà e responsabilità umana e di una conseguente forma di paganesimo. Di contro molti importanti scienziati di questo periodo si applicano agli studi astrologici, tra cui Keplero e Brahe.
L’astrologia contemporanea è diversa da quella antica e medioevale in quanto si basa sulle attuali conoscenze di astronomia e di fisica per trovare un collegamento tra gli astri ed il comportamento umano.
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Condizioni sociali e rivoluzione scientifica
Giordano Bruno
Storia dell'alchimia
ASTRONOMIA:" Studio di tipo scientifico delle leggi necessarie e universali che governano il moto dei corpi celesti. Nasce come costola dell’astrologia, nel contesto cioè di una visione religiosa e magica del rapporto tra cielo (sede degli dei) e Terra (sede delle vicende umane), ma tende, a partire dagli studi di Galilei, Cartesio, Newton, ecc., a separarsene. E’ proprio l’idea seicentesca della scienza come ricerca che mette a capo unicamente a leggi assolutamente necessarie, certe e inderogabili, a puri rapporti esprimibili matematicamente, che conduce alla demarcazione tra astrologia e astronomia."
Dal Dizionario di filosofia e scienze umane, Emilio Morselli.
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Galileo Galilei
ATOMISMO: "E’ la dottrina filosofica e scientifica, che, negando la divisibilità all’infinito della materia, postula l’esistenza di elementi minimi irriducibili, indivisibili (a-tomos = privo di parti) alla base di ogni realtà corporea. L’atomismo filosofico ha i suoi fondatori in Leucippo e Democrito (V-VI sec. a. C.); nell’antichità si richiamano all’atomismo Epicuro (341-270 a. C.) e Lucrezio (98-54 a. C.). Avversato da bPlatone Aristotele, condannato in epoca medioevale come sinonimo di rozzo materialismo e ateismo, l’atomismo (soprattutto nella versione epicurea) rifiorisce tra il 1500 e il 1600 con Bruno, Galilei e Gassendi. Tesi fondamentale dell’atomismo è che gli elementi minimi non posseggano altre qualità al di fuori di quelle quantitative e misurabili: peso, forma, posizione e grandezza; le differenze qualitative che si riscontrano nei fenomeni sono solo sensazioni soggettive e devono essere ricondotte a differenze quantitative." Il concetto di atomo ha avuto una evoluzione veloce e abbastanza definitiva alla fine del XIX secolo e nei primi anni del XX, con Thomson, Rutherford e Bohr
Dal Dizionario di filosofia e scienze umane, Emilio Morselli.
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Giordano Bruno
Leibniz
Storia dell'alchimia
Galileo Galilei
Condizioni sociali e rivoluzione scientifica
L'atomismo democriteo in relazione alla rivoluzione scientifica
CENSURA ECCLESIASTICA: principale strumento di censura e repressione fu il Tribunale del Sant’ Uffizio, istituito da Paolo III nel 1542 su sollecitazione del cardinale G. P. Carafa. Il Tribunale dell’Inquisizione anticlericale fu il segno di una ripresa e di un rafforzamento dell’ attività dell’Inquisizione che seguiva due filoni principali: la lotta contro l’eresia e la difesa dell’ortodossia nei confronti delle dottrine protestanti e la lotta contro la stregoneria e il satanismo.
In Spagna l’Inquisizione ebbe una storia particolare per la presenza di arabi (moriscos) ed ebrei; infatti Ferdinando Il Cattolico ottenne, nel 1478, da Sisto IV la licenza di scegliere inquisitori di propria fiducia assumendo così il controllo sul tribunale.
Affidato al domenicano Tommaso da Torquemada, esso operò con estremo rigore, diventando un instrumentum regni per l’autorità regia. A Roma la riforma toccò anche questo settore rivedendo l’inquisizione medioevale, che nel 1588, diventò Congregazione del Sant’Uffizio. La procedura era divisa in due tempi: una serie di predicazioni e riunioni per avere la conversione dei colpevoli e, per i reticenti, venne istituito un processo. Normalmente l’accusato era a piede libero e, se condannato, venivano comminate pene spirituali (scomunica o interdetto) e, se si trattava di religiosi o vescovi, la relegazione in un monastero. In caso di particolare ostinazione, il condannato veniva affidato al " braccio secolare" con la conseguente pena di morte sul rogo considerata l’ultima possibile e paradossale forma di purificazione.
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Torquato Tasso
Una sintesi de "La chimera" di Sebastiano Vassalli
Lo sviluppo del Calvinismo e la tesi di Max Weber
CONTRORIFORMA E RIFORMA CATTOLICA "La riforma Cattolica ", scrive H. Jedin, "è la riflessione su di sé attuata dalla Chiesa in ordine all’ideale di vita cattolica raggiungibile mediante un rinnovamento interno; la Controriforma è l’autoaffermazione della Chiesa nella lotta contro il Protestantesimo ".
A maggior chiarimento: l’esigenza di una riforma, cioè di concepire in modo nuovo l’esperienza religiosa, è testimoniata già in età umanistica, trovando molteplici espressioni dalla devotio moderna ad Erasmo e all’orientamento conciliarista, che ritiene fondamentale, per il rinnovamento, la limitazione della potenza papale con l’istituzionalizzazione dei concili ecumenici.
Con il termine "Riforma Cattolica", quindi si fa riferimento a questo complesso di esigenze. La Controriforma invece è costituita dal Concilio di Trento (1542-1563) e dall’opera di riorganizzazione e autoaffermazione che la Chiesa compie in attuazione delle direttive elaborate dal Concilio tridentino. La Chiesa progetta quasi una "riconquista" di quella parte dell’Europa che è ormai in mano agli eretici. Il Concilio sancisce un accentuato ampliamento del potere papale e un centralismo direzionale, che non lasciava spazio a posizioni ed iniziative che non fossero rigidamente "allineate"; come ad esempio il controllo che i "visitatori apostolici" inviati da Roma esercitavano sull’operato dei vescovi o al ruolo puramente esecutivo assegnato ai docenti dei collegi gesuitici.
La Controriforma faceva coincidere l’esperienza religiosa con l’ossequio e l’obbedienza all’istituzione religiosa, nella quale nell’età post-tridentina si accentuava l’accentramento monarchico. Strettamente collegato a questo centralismo è "l’arroccamento ideologico", la difesa dell’ortodossia perseguita dalla chiesa con "l’ Indice dei Libri Proibiti", con il tribunale dell’ Inquisizione, con la collisione frequente con l’ autorità statale. Il Concilio di Trento, pur tenendo conto di quell’ insieme di fermenti e di istanze che avevano animato la Riforma Cattolica, stabilisce via i limiti dell’ ortodossia e la impone rigorosamente; procede ad una ridefinizione delle questioni ideologiche suscitate dai protestanti, fissa le linee del rinnovamento istituzionale della Chiesa e del suo intervento nella società. Alla rigorosa difesa dell’ ortodossia è collegato il problema dei rapporti tra intellettuali e potere(ecclesiastico); molti erano i casi di repressione, con condanna e roghi, contro gli eretici (si pensi a Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Galileo Galilei), ma oltre a ciò si osservano anche fenomeni di fuoriuscitismo, con l’esilio di importanti personaggi e fenomeni di nicodenismo, cioè la sofisticata pratica di conformismo e di arroccamento nella propria interiorità imposta dalla durezza dei tempi.
La ridefinizione teologica si fonda sul problema della salvazione affrontata da Lutero e Calvino. Il Concilio, infatti, respinge la convinzione che il peccato sia riscattato dalla fede e che solo per mezzo di quest’ultima si possa raggiungere la salvezza, decretando una dottrina della giustificazione in senso attivo. Derivano proprio da questa riformulazione del problema della salvezza le modalità e le finalità dell’intervento della Chiesa nella società in modo più operativo. Essa si dedica alla formazione e educazione del clero, opera per un’evangelizzazione del Nuovo Mondo, ed infine, per modellare la società secondo la prospettiva di religiosità ortodossa, si adopera per un controllo della attività intellettuale ed artistica. Infatti, nell’"Indice dei Libri Proibiti", che include Macchiavelli e Boccaccio, si accompagnano editti e trattati sulle arti figurative e teatrali, che vengono legittimate solo se inducono a cristiana devozione.
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La musica nel Rinascimento
L'arte nel periodo della Riforma e della Controriforma
Arte e catechesi nella concezione cattolica
Michelangelo Buonarroti
Pittori locali nell'ambito della Controriforma
Dogmatica protestante e cattolica
Il Concilio di Trento e il più complessivo processo della Riforma Cattolica
Torquato Tasso
DOTTRINA DELLA PREDESTINAZIONE Il termine indica, nella teologia cattolica, il decreto col quale Dio ha previsto e voluto gli avvenimenti che hanno luogo nel tempo. Al problema della predestinazione si sono dedicati alcuni importanti filosofi del medioevo quali S.Agostino, S.Anselmo d'Aosta, Lutero, Calvino e altri. Agostino nega il principio secondo cui l'uomo è libero e si emancipa da Dio mediante il libero arbitrio ed afferma che l'umanità avrebbe potuto essere lasciata tutta nel castigo eterno, conseguenza del peccato liberamente commesso, senza che si potesse accusare Dio di ingiustizia per questo, ma la sua bontà misericordiosa, mentre concede a tutti la possibilità di salvarsi, collaborando liberamente alla redenzione, vuole salvare alcuni ai quali, perciò, dona i mezzi per cui saranno sicuramente liberati. Perché alcuni e non altri è un mistero, ma dobbiamo avere la massima certezza che in Dio non c'è ingiustizia.
Secondo Anselmo, il fondamento di ogni speculazione è la fede, per cui l'uomo è libero, sia di fronte al peccato, sia nei confronti della predestinazione e della prescienza divina.
Il problema della predestinazione fu risolto da Lutero mediante una dottrina fondata sulla negazione del libero arbitrio, ma che venne condannata da Papa Leone X.
Secondo Calvino, che porta ai suoi sviluppi logici estremi la dottrina di Lutero e afferma pessimisticamente l'incapacità assoluta dell'uomo a sollevarsi dal peccato, così da contrapporre l'idea di Dio misericordioso a quella dell'uomo corrotto e malvagio, Dio agisce secondo una volontà insondabile, ma esclusiva, onnipotente, incontrastabile: egli predestina l'uomo alla salvezza o alla dannazione, così che per l'uomo la libertà è inesistente e incompatibile.
La dottrina cattolica della predestinazione venne definitivamente fissata nel Concilio di Trento con il Decretum de Justificatione (Gennaio 1547).
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Erasmo da Rotterdam
La riflessione teologica di Lutero
Lo sviluppo del Calvinismo e la tesi di Max Weber
EMPIRISMO Con il termine Empirismo, dal greco empeirìa, si designano in senso lato le posizioni filosofiche che, nell’ambito della teoria della conoscenza, fanno costante riferimento all’esperienza, considerando le impressioni dei sensi come il fondamento e la fonte prima, essenziale del sapere.
Anche se convenzionalmente si comincia a parlare di vera e propria concezione empiristica della conoscenza dal XVII secolo in avanti con l’elaborazione del modello filosofico di J. Locke, possiamo individuare alcune filosofie dell’antichità che si avvicinano, almeno per particolari istanze, all’empirismo; in particolare ci riferiamo alla Scuola Epicurea, che pone come punto di partenza dell’esplorazione filosofica l’esperienza sensibile, a quella Stoica e, soprattutto alla corrente Scettica che ha in comune con l’Empirismo il rifiuto di ogni dogmatismo, l’utilizzo critico del dubbio e la negazione dell’esistenza di verità assolute.
Procedendo nello sviluppo del pensiero filosofico giungiamo al XIV secolo, allorché Guglielmo di Ockham, decretando con la definizione di una nuova teoria conoscitiva, la fine della Scolastica, propone un modello filosofico che trova il suo fondamento in un Empirismo radicale. Ockham infatti, è convinto che tutto ciò che oltrepassa i limiti dell’esperienza non può essere conosciuto né dimostrato dall’uomo; egli inoltre assume nei confronti della disputa sugli universali una posizione radicalmente nominalista interpretandoli come segni in luogo delle cose o di classi di quelle stesse.
In Ockham però, l’appello all’esperienza non assume il significato metodologico di procedimento di prova, che l’Empirismo deriva invece direttamente dalla Rivoluzione Scientifica, e in particolare da pensatori quali Francesco Bacone che riconosce la stretta connessione tra la scienza e la potenza umana e tenta l’elaborazione di un metodo sperimentale, ed Hobbes, vicino all’Empirismo in quanto considera scienza e ragione efficaci solo se rivolte ad oggetti generabili, appartenenti cioè alla realtà materiale e corporea.
L’Empirismo considerato come indirizzo opposto al Realismo, raggiunge un punto di incontro persino con la filosofia Cartesiana dalla quale desume concetti e terminologia.
Un così articolato processo storico porta allo sviluppo del cosiddetto Empirismo Inglese che trova il suo fondatore in Locke e vede la sua fioritura a cavallo fra Seicento e Settecento inscrivendosi come una delle componenti di fondo nella formazione della cultura Illuministica.
In concreto le tesi principali dell’Empirismo possono essere così sintetizzate:
Non esistono certezze ultime e verità assolute; il sapere umano non ha mai carattere definitivo ma è per sua natura perfettibile; la validità di un assunto è data dal fatto che é stato verificato mediante il riferimento alla sfera sensibile.
Non è possibile conoscere la realtà ultima o sostanza delle cose e del mondo, perché la conoscenza umana è limitata agli aspetti fenomenici degli eventi. Il richiamo costante all’esperienza dunque, fa sì che l’Empirismo tenda ad assumere un atteggiamento limitativo o critico nei confronti delle capacità conoscitive dell’uomo e a seguire un indirizzo anti-metafisico escludendo qualsiasi problema riguardante realtà non accessibili agli strumenti mentali di cui l’uomo dispone.
Esistono solo entità individuali; ai concetti universali o generali non corrispondono oggetti reali; oltre alle sostanze singole non esistono che puri nomi (Nominalismo).
Da un punto di vista politico l’Empirismo valorizza l’individuo e la libertà personale; l’anti-innatismo e l’attitudine sperimentale e critica verso le cose e i fatti umani inducono a sostenere posizioni favorevoli alla libertà di pensiero e alla tolleranza. Esiste quindi un’affinità indiscutibile tra Empirismo e Illuminismo.
Questi punti fondamentali si pongono alla base dello sviluppo del pensiero moderno subendo revisioni ed interpretazioni da parte di pensatori come Berkeley e Hume
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
La "Crisi della coscienza Europea": il primo Settecento, età del Rinnovamento
Evoluzione del rapporto fede-ragione

ILLUMINISMO: Movimento culturale sviluppatosi nel XVIII secolo che, basandosi su esatte conoscenze scientifiche e tecniche, si adoperò per superare qualsiasi forma di pregiudizio e di superstizione . Notevoli furono le influenze di correnti precedenti come quelle liberali inglesi (Locke), o scientifiche (Galileo e Keplero), o politico-giuridiche (Grozio e il "diritto internazionale").
Strumento primo dell’Illuminismo è la ragione, di cui gli illuministi fanno uno specifico uso: ritengono infatti che gli uomini siano sempre stati in possesso dell’intelletto, ma che fino a questo momento non ne abbiano fatto il giusto utilizzo, trovandosi sempre in una posizione di inferiorità. Da qui il bisogno di indagare liberamente e pubblicamente ogni campo dello scibile, lottando duramente contro tutte quelle forze in grado di ostacolare la conoscenza umana: l’autorità, la religione, la tradizione.
In quest’ottica il filosofo illuminista non è più il semplice pensatore che elabora teorie astratte, ma diviene l’intellettuale che si adopera per un miglioramento della vita dell’uomo che, risorgendo dalle tenebre dell’ignoranza, può raggiungere la felicità.
Il sapere acquisisce quindi un compito civile e per questa sua specifica funzionalità gli illuministi sono portati ad una più ampia divulgazione delle opere illuministiche e alla ricerca di un diverso rapporto tra scrittori e pubblico in modo da ricevere una larga cerchia di lettori.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
La "Crisi della coscienza Europea": il primo Settecento, età del Rinnovamento
Galileo Galilei
INDULGENZA: Nella concezione cattolica l'indulgenza è un segno concreto che rimanda ad una realtà più profonda. E' segno della misericordia di Dio che è meritata dall'uomo attraverso un’opera, cui è applicata l'indulgenza stessa. L'uomo necessita della misericordia di Dio perchè peccatore. Attraverso il sacramento della riconciliazione la Chiesa ha il potere di rimettere i peccati in forza, potere che le è stato conferito da Dio per mezzo del sacrificio di Cristo. Resta la pena che il peccato, comunque commesso, il perdono è legato ad una penitenza che oggi è una preghiera e la "promessa solenne" di non ricadere nel peccato, ma nel medioevo e in epoca moderna erano anche penitenze dure e pesanti: obbligo di pellegrinaggi penitenziali, digiuno stretto, pene corporali, isolamento volontario, corrispondente ad una sorta di imprigionamento penitenziale. Nel corso dei secoli e anche sotto la spinta del mantenimento di una corte pontificia dispendiosa e di una capitale da rinnovare, ila prassi delle indulgenze scivola e si corrompe; diventa un vero mercato: scambio di indulgenza contro denaro; Lutero si scandalizza dicendo "Dannata e peccaminosa dottrina umana predica invece colui che viene a dire: appena la moneta tintinna nella cassetta l'anima salta in cielo (tesi 27). Questo fu uno dei principali punti d'avvio per l'inizio della Riforma.
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La riflessione teologica di Lutero
I movimenti ereticali nel medioevo
Dogmatica protestante e cattolica
Una sintesi de "La chimera" di Sebastiano Vassalli
Il Concilio di Trento e il più complessivo processo della Riforma Cattolica

INFINITO, CONCEZIONE ASTRONOMICA L'universo degli antichi e in particolare quello aristotelico-tolemaico, era unico perché pensato come il solo universo esistente e chiuso poiché immaginato come una sfera limitata dal cielo delle stele fisse, oltre il quale non c' era nulla.
La prima scossa decisiva a tale sistema, che vedendo la terra al centro dell'universo era detto geocentrico, fu data da Niccolò Copernico.
Quest'ultimo ideò un nuovo sistema che vedeva al centro dell' universo il sole. L'eliocentrismo copernicano, faceva però ancora parte del mondo del passato. Difatti, pur ampliando i confini del cosmo non li abbatteva, considerandolo ancora limitato dall' "ultima sphaera mundi", ossia dall'ultima e suprema sfera del mondo.
Di conseguenza, sebbene Copernico dica in un passo di lasciare "alle discussioni dei filosofi" il problema dell'infinità del cosmo, di fatto il suo universo è ancora finito. La prima affermazione del contrario è invece dovuta a Cusano, anche se il suo universo, più che infinito si può dire indeterminato.
Il primo a forzare le teorie di Cusano e ad asserire l'infinità del cosmo fu Giordano Bruno. Egli, partendo da Lucrezio e passando per Cusano, arriva ad asserire, in modo speculati e deduttivo che le infinite stelle del firmamento potrebbero essere infiniti soli con infiniti pianeti che gli ruotano attorno.
In conclusine, con Copernico, Cusano e Bruno, si vengono a determinare, a diversi livelli, le tesi cosmografiche rivoluzionarie dell'età moderna. Il lavoro dei tre infatti portò ad un abbattimento delle mura esterne dell'universo, all'ammissione della pluralità dei mondi, alla convinzione di identità di struttura tra cielo e terra e, per ultimo, all'ammissione dell'infinità del cosmo.
L'accoglienza delle tesi bruniane fu negativa, molti grandi astronomi e fisici, come Brahe, Keplero e Galileo, respinsero lidea della pluralità dei mondi e dell'infinità dell'universo.
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Giordano Bruno
Filosofia e matematica
L'atomismo democriteo in relazione alla rivoluzione scientifica
Galileo Galilei
LEGGI DI KEPLERO: La teoria geocentrica fu superata da quella eliocentrica elaborata da Copernico, la quale ebbe la sua definitiva affermazione con Keplero, che nel 1609 dimostrò che le orbite dei pianeti intorno al sole sono ellissi e non circonferenze. In tal modo fu possibile interpretare le proprietà del moto dei pianeti senza l’introduzione degli epicicli di Copernico. I risultati ai quali Keplero giunse sono compendiati nelle sue famose tre leggi:
1° LEGGE: i pianeti descrivono intorno al sole orbite ellittiche di cui il sole occupa uno dei fuochi. Il punto di minima distanza dal sole è il perielio, quello di massima distanza è l’afelio.
2°LEGGE: le aree descritte dal raggio vettore tracciato dal sole intorno ai pianeti sono proporzionali ai tempi impiegati a descriverle. Più in generale la seconda legge afferma che l’area descritta dal raggio vettore di ogni pianeta nell’unità di tempo D t cioè la cosiddetta velocità areale, è costante durante il moto dei pianeti.
3° LEGGE: i quadrati dei tempi impiegati dai pianeti a descrivere le proprie orbite sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle ellissi. Per esempio, se e sono i semiassi maggiori delle ellissi descritte da due pianeti, i cui periodi di rivoluzione sono rispettivamente e si ha :
= .Ne segue che il periodo di rivoluzione aumenta con la distanza dei pianeti dal sole.
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John Donne
LIMITE MATEMATICO: In matematica vi sono principalmente quattro casi di limite:
Limite finito per una funzione in un punto: .
Tale operazione significa che: scelto un e >0 e arbitrariamente piccolo esiste in corrispondenza di tale e un intorno di c tale che per x appartenente a tale intorno, il punto c al più escluso, vale la relazione .
Limite infinito per una funzione in un punto: .
Tale operazione significa che: scelto un M>0 e arbitrariamente grande esiste in corrispondenza di tale M un intorno di c tale che per x appartenente a tale intorno, il punto c escluso, vale la relazione .
Limite finito per una funzione all’infinito: .
Tale operazione significa che: scelto un e >0 e arbitrariamente piccolo esiste in corrispondenza di tale e un numero k, tale che per x in valore assoluto maggiore di k, vale la relazione .
Limite infinito per una funzione all’infinito: .
Tale operazione significa che: scelto un M>0 e arbitrariamente grande esiste in corrispondenza di tale M un numero k, tale che per x in valore assoluto maggiore di k, vale la relazione .
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Cartesio e Newton
Analisi infinitesimale: Newton e Leibniz

MASSA E PESO: Massa e peso sono due concetti profondamente diversi, infatti la massa è una grandezza scalare mentre il peso, in quanto forza, è una grandezza vettoriale. Tutti i corpi in prossimità della superficie terrestre, o di altri pianeti e satelliti che esercitino una forza gravitazionale, hanno un peso, inteso come forza che li accelera verso il basso. Ogni corpo ha anche una certa massa, che essendo una proprietà intrinseca del corpo, a contrario del peso, non varia con la posizione del corpo sulla Terra. Se un corpo si trovasse nello spazio non avrebbe più peso, ma manterrebbe la sua massa. Per il secondo principio della dinamica il peso nella Terra è espresso dalla seguente relazione (con g=9,8m/), e quindi il peso è direttamente proporzionale alla massa.
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La "Crisi della coscienza Europea": il primo Settecento, età del Rinnovamento
Cartesio e Newton
Galileo Galilei
MATEMATICA: si può genericamente intendere come scienza dei numeri. Il termine matematica significò dall'Antichità fino a tutto il Medioevo la scienza dei numeri, delle grandezze e delle figure geometriche. Veniva perciò classificata in aritmetica, geometria piana e solida, teoria della grandezze e dei loro rapporti; a questa classificazione corrispondono le quattro arti liberali del Quadrivio (aritmetica, musica, geometria, astronomia) che durante il Medioevo costituirono il complesso delle discipline scientifiche, contrapposte alle discipline letterarie del Trivio (grammatica, retorica, logica). Ma in seguito al grande sviluppo della matematica, non è più adeguato ed appropriato definirla scienza dei numeri. L'unica definizione accettabile è quella che cerchi di coglierne lo sviluppo storico e di giustificarne la profonde trasformazioni nel corso dei secoli. La matematica si può sostanzialmente distinguere in algebra, analisi, aritmetica e geometria. Adesso la potremmo individuare in quel gruppo di discipline correlate, comprendente anche l'algebra, la geometria, la trigonometria e il calcolo infinitesimale, che studianp i numeri, le quantità, le forme, lo spazio e le loro correlazioni, applicazioni, generalizzazioni e astrazioni.
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Piero della Francesca e la Matematica
Filosofia e matematica
Cartesio e le regole del metodo
Galileo Galilei
Analisi infinitesimale: Newton e Leibniz
MELODRAMMA: Durante il periodo della Magnificenza dei Medici, che inizia con l’avvento al trono di Cosimo I nel 1537 e prosegue poi con il regno dei figli Francesco I e Ferdinando I, entrambi appassionati d’arte, ma soprattutto durante il regno di quest’ultimo fioriscono iniziative artistiche e culturali, sia nell’ambito della corte che nei cenacoli delle varie case patrizie. In particolare si ha una svolta nel campo musicale, si istituiscono varie accademie, di cui una delle più vivaci e importanti fu la Camerata dei Bardi, che nel 1580 si riuniva nella casa del conte Giovanni Bardi di Vernio. Essa poi nel 1592, quando il fondatore si trasferì a Roma, divenne Camerata Fiorentina.
I più famosi esponenti di questa furono Vincenzo Galilei (1520 - 1591), padre del più famoso Galileo, e Ottavio Rinuccini (1564 - 1621). Durante queste riunioni si discutevano i problemi della musica del tempo e quale potesse essere stato l’aspetto musicale dell’antica tragedia greca, dalla quale vengono tratti esempi di canto monodico capace di esprimere i concetti dell’animo con la linea musicale e delle parole, e si maturava il desiderio di spogliarsi di quelli che erano i "legacci" della musica polifonica contemporanea che nel groviglio contrappuntistico delle parti vocali non consentiva di riconoscere esattamente né il suono, né il senso delle parole, per giungere invece ad una forma di monofonia ovvero il cosiddetto "recitar cantando".
Nasce così iol nuovo organismo del dramma per musica, per cui più tardi si userà il termine di melodramma o di opera in musica.
Il primo vero melodramma fu la Dafne del poeta Ottavio Rinuccini, musicata da Jacopo Peri, rappresentata nel 1594 in casa di Jacopo Corsi il quale era succeduto al Bardi nella veste di mecenate del gruppo. Tale opera ebbe varie esecuzioni e riprese nel corso di quegli anni, con diverse interpretazioni e varianti, per cui la stesura definitiva si ebbe nel carnevale del 1598 ed infatti è proprio a questa data che si fa riferimento per la nascita del melodramma. Esso ebbe molta fortuna nella tradizione musicale italiana e si può dire che ancora permanga nelle forme della musica operistica.
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La musica nel Rinascimento
MERCANTILISMO: "dottrine e prassi di politica economica, elaborate e sperimentate negli Stati europei fra i secoli XVI e XVII, che si fondano su una serie di principi economici quali la dipendenza, rivelatasi poi illusoria, della ricchezza di uno Stato dalla quantità di metallo prezioso in suo possesso; la protezione e l’incremento dell’industria manifatturiera in quanto elemento di trasformazione e di valorizzazione delle materie prime di estrazione locale; l’attenzione rivolta alla bilancia commerciale e orientata all’incremento delle esportazioni e alla limitazione, talora drastica, delle importazioni: tale sistema costituisce il primo rilevante esempio di studio empirico di fatti economici e (a livello politico) di dirigismo economico dell’Europa moderna, nel senso del coordinamento dell’attività economica e della subordinazione di essa ai fini politici dello stato."
Grande Dizionario della Lingua Italiana UTET 1978
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L'economia del '600 (sintesi di un testo di C. M. Cipolla)
MISTICA: Quella che noi consideriamo è prevalentemente la Mistica di Giovanni Eckhart, pensatore che subì notevoli influssi della filosofia di Guglielmo di Ockham. Sostanzialmente la mistica è un’aspirazione alla trascendenza, e dal punto di vista che stiamo considerando è in un certo senso il completamento della ricerca razionale. Certo, le capacità conoscitive dell’uomo sono molto limitate, ed è proprio per questa ragione che l’uomo per completare la sua ricerca razionale deve "trascendere". I quesiti che la Mistica "risolve" cercano di giustificare la connessione fra l’uomo e Dio. In particolare Eckhart trova questa saldatura dal fatto che la fede sarebbe impossibile se l’uomo non trovasse in se stesso un diretto rapporto con Dio. Nella fede ciò che è di basilare importanza è la distinzione fra il contenuto, cioè il dogma e l’atto del credere cioè la convinzione intima. Quest’ultima ha certamente più valore della prima perché è proprio essa stessa che porta alla visione del divino. La Mistica non basa la sua importanza storica e filosofica al di fuori di un ben preciso contesto che è quello della scolastica, anzi la fine della scolastica. Precedentemente si è visto quanta importanza abbia avuto il rapporto fra fede e ragione, e quali implicazioni teologiche e filosofiche esso abbia avuto; tuttavia adesso questo rapporto "perde" quasi di significato, la Mistica infatti è proprio una nuova prospettiva ideologica che trova appunto la connessione fra Dio e l’uomo. La peculiarità della Mistica è il fatto di mettere in risalto il fatto che questa connessione è "necessaria" ai fini dell’esistenza stessa della fede.
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Lo sviluppo del Calvinismo e la tesi di Max Weber
MODELLO TOLEMAICO: Fin dall’antichità si riteneva che la terra fosse al centro dell’universo e che le stelle ruotassero intorno ad essa . La teoria più completa di tipo geocentrico, con la terra cioè al centro dell’universo, fu quella di Tolomeo, astronomo della scuola Alessandrina, vissuto intorno al 150 D.C. Egli elaborò una teoria secondo la quale il moto dei pianeti si svolge su una circonferenza detta epiciclo, il cui centro ruota intorno alla terra su una seconda circonferenza di raggio più grande, detta deferente. Negli intervalli di tempo in cui il pianeta si muove sull’epiciclo nello stesso verso del centro dell’epiciclo sul deferente, sembra che il pianeta si muova più velocemente. Quando invece il pianeta sull’epiciclo si muove in verso opposto al moto del centro dell’epiciclo sul deferente, sembra che il pianeta si muova più lentamente e torni indietro.
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Condizioni sociali e rivoluzione scientifica
John Donne
Galileo Galilei
NEOPLATONISMO NELL'UMANESIMO La riscoperta del platonismo (neoplatonismo) è uno dei fenomeni più rilevanti dell’umanesimo.
Esso trova le premesse nell’opera del Petrarca che, tramite lo studio di Agostino, indicava nel pensiero di Platone la filosofia più affine al cristianesimo. Tale corrente influenzò la cultura nel suo complesso, l’arte figurativa, la musica e la letteratura. Il platonismo umanistico fu anzitutto filologico: l’Europa, tramite la collaborazione dei maestri bizantini, cominciò a rileggere Platone nella ricchezza della sua opera complessiva.
Fondamentali a questo fine furono poi le traduzioni e il commento dell’intero corpus platonico realizzati da Marsilio Ficino. Proprio esaminando questo autore si possono capire a pieno i caratteri del neoplatonismo rinascimentale, che deve considerarsi il punto culminante di una vicenda che ha attraversato l’antichità e il Medioevo per offrire i suoi ultimi frutti all’età moderna. È molto significativo ricordare che Ficino non si limitò a tradurre i dialoghi di Platone, ma anche le opere di Plotino e di molti altri esponenti della tradizione neoplatonica. Secondo Ficino il verbo (rivelazione) si è dapprima manifestato presso i persiani, gli Egizi, gli Ebrei e poi presso i greci ha inspirato il divino Platone e da lui si è trasferito al cristianesimo e ad Agostino.
Cosicché Marsilio inizia a credere, come molti intellettuali dell’epoca, che platonismo e cristianesimo sono due facce di una stessa vicenda spirituale, che ha come scopo la lotta al Materialismo e all’ateismo.
Strumento ideale di questo cammino è l’eros; l’amore platonico. Tramite esso l’uomo comunica con la forza amorosa che circola nell’universo, così da identificarsi nell’amore di Dio.
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Michelangelo Buonarroti

NOTTE DI SAN BARTOLOMEO: La notte tra il 23 e il 24 agosto 1572, furono massacrati da duemila a tremila ugonotti a Parigi e da dodicimila a ventimila nella provincia.
La regina madre Caterina de’ Medici, temendo che l’influenza del capo ugonotto Gaspard de Coligny inducesse il re Carlo IX ad appoggiare i ribelli dei Paesi Bassi mettendosi contro il suo indirizzo filospagnolo, eccitò il fanatismo dei cattolici all’orribile eccidio, per impegnare così la monarchia.
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La musica nel Rinascimento
Lo sviluppo del Calvinismo e la tesi di Max Weber
RAPPORTO FEDE RAGIONE IN OCKHAM: Gulielmo di Ockham è considerato l’ultima grande figura della scolastica e allo stesso tempo la prima figura dell’età moderna. Infatti, il problema sul quale la Scolastica era sorta, l’accordo tra ragione e fede, viene, da Ockham, per la prima volta dichiarato impossibile.
Le basi di questa affermazione vanno ricercate nel radicale empirismo di Gulielmo. Difatti, poiché l’unica conoscenza possibile è l’esperienza e l’unica realtà conoscibile è la natura, che ci è rivelata dall’esperienza, ogni altra realtà che trascenda quest’ultima non è umanamente conoscibile. Molto importante ai fini del discorso è un passo tratto dalla Logica (opera di Ockham), il quale afferma che "gli articoli di fede non sono principi di dimostrazione né conclusioni e non sono neppure probabili giacché appaiono falsi a tutti o ai più o ai sapienti, intendendo per sapienti quelli che si affidano alla ragione naturale". In conclusione afferma Ockham che le verità di fede non possono essere evidenti di per se stesse e non sono dimostrabili per mezzo della ragione naturale.
Anche le prove dell’esistenza di Dio, in quest’ottica, non hanno valore dimostrativo: viene respinta la prova ontologica e quelle a posteriori
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Evoluzione del rapporto fede-ragione
RIFORMA PROTESTANTE: Con il termine Riforma si intende il vasto movimento iniziato da Martin Lutero nel 1517, che partendo dalla contestazione della vendita delle indulgenze e della corruzione della chiesa provocò la rottura dell'unità del cristianesimo occidentale determinando in tal modo il venir meno di uno fra i più importanti fondamenti dell'identità della coscienza dell'Europa medievale.
Punto essenziale della contestazione alla dogmatica cattolica da parte delle chiese riformate è l'affermazione della dottrina della predestinazione con cui, interpretando S.Agostino, si sostiene che Dio ha predestinato gli uomini fin dalla nascita. Questa premessa implica la negazione della dottrina del libero arbitrio, cioè della possibilità per l'uomo di scegliere, e la negazione della dottrina delle opere, per la quale gli uomini facendo le "opere buone" possono acquisire meriti di fronte a Dio.
In conseguenza di ciò i riformati negavano il ruolo della chiesa quale intermediaria tra l'uomo e Dio con la funzione di rimettere i peccati e affermavano la dottrina del "sacerdozio universale": tutti gli uomini sono in rapporto diretto con il loro creatore del quale devono conoscere e interpretare la parola contenuta nelle Sacre Scritture; i sacramenti venivano ridotti al Battesimo e all'Eucarestia.
La diffusione delle dottrine protestanti trovarono fertile terreno nel momento storico della prima età moderna per il concorso di motivazioni sociali, politiche, economiche e culturali. Il concetto stesso di libera interpretazione delle Scritture, unitamente a motivazioni di ordine politico e sociale, determinò il rapido frazionamento delle chiese riformate. Fra le principali ricordiamo: la chiesa luterana, la calvinista e l'anglicana, ma moltissime sono le correnti e sotto correnti tutte accomunate dalla contestazione della chiesa cattolica.
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L'arte nel periodo della Riforma e della Controriforma
La musica nel Rinascimento
Arte e catechesi nella concezione cattolica
Strumentalismo e realismo (sintesi di un saggio di Popper)
Umanesimo e lettura dei testi sacri
Michelangelo Buonarroti
I movimenti ereticali nel medioevo
Dogmatica protestante e cattolica
Il Concilio di Trento e il più complessivo processo della Riforma Cattolica
Leonardo: un genio universale
Lo sviluppo del Calvinismo e la tesi di Max Weber
La repubblica fiorentina di Girolamo Savonarola
RIVOLUZIONE COPERNICANA: In contrapposizione alla teoria tolemaica, l’astronomo Niccolò Copernico, riprendendo una teoria di Aristarco (III sec. a.C.), fu il divulgatore della teoria eliocentrica, in base alla quale il Sole è immobile al centro dell’universo, mentre la Terra e i pianeti ruotano su orbite circolari intorno ad esso. La teoria eliocentrica spiega i moti retrogradi con il fatto che i pianeti vengono osservati dalla Terra in movimento. Anche Copernico, come Tolomeo, fu costretto ad introdurre gli epicicli per interpretare i fatti sperimentali osservati. Nella sua più famosa opera, De revolutionibus orbium coelestium, vi è un segno evidente del timore che si aveva in quell’epoca di contraddire la Sacra Scrittura urtando la Ciesa che riteneva la Terra al centro dell’universo. Indubbiamente la teoria di Copernico provocò una crisi profonda, non solo nel campo teologico, ma anche nel mondo della scienza. Infatti la teoria geocentrica era molto più vicina all’opinione comune in base alla quale, osservando il cielo, siamo portati istintivamente a ritenere il Sole e le altre stelle in rotazione intorno alla Terra. Tuttavia l’applicazione della teoria eliocentrica semplifica i calcoli delle orbite celesti. La disputa tra i sostenitori delle due teorie divenne sempre più accesa, soprattutto quando l’intervento di Galileo a sostegno della teoria eliocentrica, mirato a convincere gli esponenti della Chiesa cattolica, sortì l’effetto opposto. Infatti ben presto le opere a favore dell’eliocentrismo furono considerate eretiche e condannate dalla Chiesa.
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Filosofia e matematica
RIVOLUZIONE SCIENTIFICA "... Nella Storia della Filosofia e in quella della scienza, il termine R.S. viene impiegato, ..., per indicare il grande mutamento nei quadri del pensiero, nelle teorie scientifiche, nelle pratiche della tecnologia e del controllo della natura, che ebbe luogo fra l'età di Niccolò Copernico e quella di Isaac Newton (fra la metà del Cinquecento e i primi anni del Settecento. ... Nell'età della R.S. si ebbe la sensazione di una grande svolta, di un vero e proprio mutamento nei quadri del pensiero. Nel corso della rivoluzione astronomica vennero infatti abbandonati una serie di presupposti e di credenze che erano stati operanti per due millenni: per esempio, il presupposto della immobilità della Terra e della sua centralità nell'universo, la distinzione fra una fisica celeste (nella quale domina il moto perfettamente circolare) e una fisica valida solo nel mondo sublunare e sulla terra; la credenza nella finitezza dell'universo chiuso entro l'ultimo cielo delle stelle fisse; la convinzione che per spiegare il perdurare dello stato di quiete di un corpo non ci sia bisogno di addurre alcuna causa, mentre al contrario ogni movimento viene spiegato da un motore che lo produce e lo conserva durante il movimento.
da "Dizionario di Filosofia" a cura di Paolo Rossi
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Filosofia e matematica
Storia dell'alchimia
Leonardo: un genio universale
Michelangelo Buonarroti

SACCO DI ROMA: nel 1526 truppe imperiali formate dai cosiddetti lanzichenecchi e da mercenari italiani e spagnoli sono in Italia per far fronte alla Lega di Cognac, costituita da Francia, Papato e Repubblica di Venezia dopo l’inserimento del Milanese nel territorio dell’Impero. Qui, i soldati imperiali rimasti senza paga, decidono di saccheggiare atrocemente Roma (maggio 1527), all’insaputa dell’imperatore Carlo V.
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L'arte nel periodo della Riforma e della Controriforma
Pittori locali nell'ambito della Controriforma
SCOLASTICA: Movimento filosofico nato nelle scholae sorte presso cattedrali e monasteri a partire dal sec. XI e in cui gli insegnanti, detti scholastici, eleboravano e insegnavano le loro dottrine. Scolastica è perciò il nome generico con cui s'indicano diverse dottrine filosofiche e teologiche che, sviluppatesi tra il secolo XI e il XIV, hanno in comune alcuni caratteri fondamentali. Anzitutto il metodo impiegato è quello del sillogismo deduttivo di derivazione aristotelica, anche se molte delle opere di Aristotele si conobbero solo a partire dal sec.XIII attraverso la mediazione dei filosofi arabi. I sistemi prodotti dalla scolastica non tendono tanto a fornire strumenti per un' indagine critica, quanto piuttosto a rendere intellegibile il patrimonio della rivelazione cristiana. I contenuti perciò, dal platonismo presente nelle opere di S.Agostino e di Boezio. Essi sono le autorictates e la scolastica è innanzitutto un commento ai loro scritti , per la comprensione della verità già data. In questo ambito assumono significato le dispute scolastiche sull' autonomia delle singole scienze di fronte alla teologia e sui rapporti tra fede e ragione. Alcuni di essi tra cui Boezio di Dacia sostengono l'autonomia della ragione, altri tendeno a subordinarla alla fede. Altro punto di controversia è la disputa sugli universali,che è servita, in base alle soluzioni date, per distinguere i vari periodi della scolastica: la prescolastica(sec. XI-XII), l'epoca classica (sec. XIII) in cui emergono le figure di Tommaso d' Aquino e Duns Scoto e la decadenza (sec. XIV) con G.Ockham.La scolastica è il più grande sforzo speculativo della Chiesa: per questo non è mai morta, ma si è ripresentata come seconda scolastica. Questa va dal secolo .XV, il momento della sua rinascita dopo la decadenza, al sec.XVII, in coincidenza con la Riforma cattolica e con il Concilio di Trento. La ripresa della problematica teologica e filosofica della scolastica visse soprattutto in tre indirizzi sorti dalle rovine del periodo precedente: l'occamismo, lo scotismo e il tomismo, nel segno di una vigorosa ripresa del vigore speculativo proprio di queste correnti.Questa ripresa fu ulteriormente favorita dal Concilio di Trento; e sopprattutto in Spagna emersero personalità che non si limitarono a ripetere il pensiero precedente, ma strinsero fecondi contatti con la nuova filosofia e con le scienze naturali.
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Umanesimo e lettura dei testi sacri
Condizioni sociali e rivoluzione scientifica
Evoluzione del rapporto fede-ragione
La natura tra filosofia, letteratura e arte
Erasmo da Rotterdam
Giordano Bruno
Leibniz
UMANESIMO D'OLTRALPE: Tra la fine del 1400 e l'inizio del 1500 il problema religioso e l'impegno riformatore costituirono il momento centrale del pensiero e dell'attività dei maggiori umanisti d'oltralpe. Essi usando le armi della filologia scientifica e del metodo critico che l'umanesimo italiano aveva elaborato per studiare i testi sacri, al fine di rendere possibile un incontro più diretto con il pensiero cristiano, avviarono una nuova riflessione su decisive questioni della teologia cristiana. In questo modo l'umanesimo dell'Europa nord-occidentale, in particolare in Germania, Francia, Inghilterra e nelle Fiandre, riuscì a mantenere un più stretto legame con il travaglio spirituale della società. L'opera di Erasmo da Rotterdam, che è la figura più rappresentativa della corrente, si svolse soprattutto nello studio dei testi sacri e del pensiero cristiano. Egli, animato dal desiderio di rinnovamento della chiesa, introdusse nel campo teologico il metodo della filologia umanistica, realizzando opere critiche come il "Manuale del cavaliere cristiano", "Querela pacis", "Elogio della follia", dove il formalismo, l'ipocrisia, e la corruzione della chiesa venivano aspramente denunciate. Insieme a lui e animati con lo stesso spirito operavano altri umanisti come John Colet, Tommaso Moro, Hulrich Zwingli e Juan Luis Vives. L'umanesimo cristiano con la sua critica delle forme della religiosità medievale, ebbe larghissimi consensi, eppure anche questo movimento di idee fallì nel tentativo di riformare la chiesa. Alcuni umanisti come Erasmo, accettarono la sconfitta, rimanendo nell'ortodossia cattolica, altri, come lo Zwingli, giunsero a posizioni più radicali e alla rottura con la chiesa. Tuttavia l'umanesimo cristiano contribuì con la sua critica a preparare e spianare il terreno alla riforma protestante. Ebbe anche forte influenza nella parte più aperta dei prelati che operarono in seno alla Riforma Cattolica, come i cardinali Pole e Morone. Tuttavia quest'orientamento più conciliante nei confronti dei riformati venne sconfitto con l'affermarsi delle posizioni più intransigenti come quella del cardinale Carafa poi Paolo IV.
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Umanesimo e lettura dei testi sacri

VALDESI: Con questo termine si indica uno dei principali movimenti religiosi medievali, successivamente confluito nella Riforma protestante. Ne fu fondatore il mercante Valdo, che nel decennio 1170-80 scelse la povertà evangelica, costituendo il primo nucleo del movimento, detto dei "poveri di Lione". Sino dagli inizi, il movimento si scontrò con l'opposizione della Chiesa: al rifiuto del programma dei v. da parte del III Concilio Lateranense (1179) seguì la scomunica del Concilio di Verona (1184). Emarginati dall'istituzione ecclesiastica, i v. conobbero tuttavia una progressiva larghissima diffusione tra il sec. XIII e il XIV in Lombardia, in Linguadoca e in Provenza (fine sec. XII): elementi di predicazione v. vennero recepiti da ambienti già legati all'eterodossia, dando luogo a un movimento religioso caratterizzato da una tendenza anti-istituzionale particolarmente radicale e da una notevole capacità di espansione missionaria, che portò i v., attraverso la Svizzera, l'Austria e la Germania, sino nell'Ungheria e nella Boemia (dove considerevole fu poi l'apporto v. alla rivoluzione hussita del sec. XV). Altre aree di diffusione v. furono le vallate alpine del Piemonte occid., del Delfinato e, nell'Italia merid., la Calabria e le Puglie. La strategia dell'autorità ecclesiastica non escluse tentativi, parzialmente riusciti, d'istituzionalizzazione monastica dei v. (i poveri cattolici in Francia nel 1208, i poveri riconciliati in Lombardia nel 1210), tesa a neutralizzarne la carica contestativa, ma rimase essenzialmente repressiva. I motivi fondamentali del valdismo medievale risiedevano in una prassi che univa la predicazione itinerante del Vangelo al popolo con la povertà di vita. Di qui derivò la divisione tra ministri itineranti (distinti poi secondo i tre ordini dell'episcopato, del presbiteriato e del diaconato) e semplici fedeli, nonché la costituzione di strumenti di collegamento (rettori, capitoli annuali). La predicazione dei v., sostenuta da un'estesa attività di volgarizzazione della Scrittura, si arricchì di motivi esplicitamente antitradizionali (negazione del purgatorio e delle messe per i defunti, della validità dei sacramenti amministrati da sacerdoti indegni; riduzione del numero stesso dei sacramenti al battesimo, all'eucarestia e alla penitenza; rifiuto della gerarchia ecclesiastica e dei tradizionali ruoli di culto). Verso l'ordinamento civile (nonché ecclesiastico) del tempo i v. erano apertamente contestatori rifiutando il giuramento e la violenza. Nel sec. XV i v. di Boemia si unirono con gli hussiti e confluirono nella Unitas Fratrum, quelli di lingua neolatina aderirono nel sec. XVI alla Riforma protestante, adottando le Ordonnances ecclesiastiche ginevrine. Dalla metà del sec. XVI in poi, la storia dei v. è un alternarsi di persecuzioni e di effimere tregue, ottenute grazie alla resistenza armata e alla coesione sociale dei v. delle valli come alla solidità della loro nuova organizzazione calvinista. Nel 1551 i v. delle valli ottennero da Emanuele Filiberto di Savoia il riconoscimento di una relativa libertà di culto. Nel secolo successivo, la persecuzione antivaldese ebbe i suoi momenti culminanti nel 1655, allorché furono compiute le stragi note come le Pasque piemontesi, e nel 1683-85 quando i v. vennero espulsi dalle valli e costretti a un esilio che li portò nella Svizzera e nella Germania merid.: ritornarono nel 1689 e furono reintegrati nei loro territori. Furono loro riconosciute la libertà di culto e la pienezza dei diritti civili durante l'età napoleonica. Poterono così dedicarsi a un'attività di evangelizzazione, che ne estese la presenza nel corso della seconda metà del sec. XIX in numerose città e centri minori della penisola italiana. Attualmente la Chiesa v. è presente in Italia con circa un centinaio di comunità (il nucleo più numeroso di v. permane nelle valli del Pinerolese) e attiva attraverso iniziative di carattere culturale (p. es. la facoltà v. di teologia in Roma, la libreria editrice Claudiana di Torino, la stampa periodica) e sociale (scuole, ospedali, centri per minori o anziani): la sua struttura organizzativa è di tipo presbiteriale-sinodale. È stata inoltre attuata l'integrazione tra la Chiesa v. e la Chiesa evangelica metodista d'Italia. Centri di cospicua presenza v. fuori dell'Italia sono in Francia e in Svizzera (Losanna, Ginevra, Basilea, Zurigo), negli Stati Uniti d'America (chiesa di New York; chiese di Valdese, città dello Stato della Carolina) e soprattutto in Uruguay e in Argentina, dove una ventina di comunità direttamente legate alla Chiesa italiana raccolgono diverse migliaia di persone.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
I movimenti ereticali nel medioevo


L'EVOLUZIONE STORICA E CULTURALE DELL'ALCHIMIA
Questo lavoro si articola in cinque punti:

Alchimia Greco-Alessandrina
Alchimia Arabo-Islamica
Alchimia Rinascimentale
Rapporti fra l'Alchimia e la Chimica
Glossario dei termini Alchemici (ripreso da http://www.esonet.org/Gruppo/glossalc.html)
ALCHIMIA GRECO-ALESSANDRINA
L’arco di tempo durante il quale si sviluppò maggiormente l’alchimia Greco-Alessandrina è quello compreso fra la morte di Alessandro Magno (323 d.C.) e la chiusura dell’accademia di Atene (529 d.C.). Particolarmente significativa in questo periodo è la città di Alessandria d’Egitto, specialmente la sua biblioteca, che rappresentava al tempo una delle più importanti luoghi, in cui confluivano le maggiori conoscenze nel campo scientifico.

Gli elementi caratterizzanti l’attività chimica di tale epoca, sono fondamentalmente due: la manipolazione della materia e la realizzazione di varie forme di artigianato. I primi alchimisti alessandrini sono artigiani a tutti gli effetti e hanno anche risultati di notevole livello tecnico, ma ciò che più ci interessa è il fatto che si dedichino a quattro antichissime tecniche: la lavorazione dei metalli (oro e argento), la preparazione di pietre preziose sintetiche e perle, la tintura delle stoffe in porpora.

Sono proprio queste attività che saranno sempre considerate il più nobile cuore dell’alchimia. Infatti nell’alchimia, fin da questi tempi, si associarono varie idee filosofiche relative alla concezione della materia e del mondo, e si pongono come la base dell’elaborazione del linguaggio, infatti la filosofia della natura dell’universo alchemico (anche se con una serie di modificazioni e adattamenti) sarà valida fino alla fine del ‘500. I concetti essenziali sono quelli legati all’unità primordiale ed alla molteplicità sopraggiunta, l’imperfezione e il ‘necessario’ miglioramento, la sacralità della natura e l’intervento compiuto su di essa.

Sono principalmente quattro le componenti essenziali del pensiero alchemico: pitagorismo, platonismo, stoicismo e gnosticismo ermetico. Il mondo viene concepito come un insieme armonico ed è regolato da una fitta rete di corrispondenze. Tutto ciò ci introduce il concetto filosofico dell’unità dei contrari. Non è infatti un caso che l’atomismo di Democrito (ST), con la sua casualità, non abbia molto séguito nell’alchimia: a questo universo dominato dall’idea dell’Uno e della sacralità della natura, si adattano meglio i quattro elementi di Empedocle, di Aristotele e della filosofia stoica. C’è una provvidenza che domina il mondo, ed un principio ordinatore lo conduce al suo fine. C’è una naturale tendenza della natura imperfetta a raggiungere uno stato di perfezione, anzi di perfezionamento: tutte le trasformazioni "vanno" dal meno perfetto al più perfetto.

ALCHIMIA ARABO-ISLAMICA
L’entrata dell’alchimia nella cultura arabo-islamica, porta con sé una grande diffusione delle informazioni così che anche gli studi scientifici possano viaggiare molto rapidamente. Alcune tecniche sono riconosciute, altre diventano oggetto di studio. E’ universalmente noto l’alto livello raggiunto dai musulmani nelle estrazioni delle essenze profumate e naturali, nella fabbricazione di acciai (le famose lame di Toledo), nella preparazione di smalti bianchi e colorati, nella fabbricazione di vetri e di gemme sintetiche, che a poco prezzo consentivano di abbellire in modo sontuoso uomini e cose senza venire meno alla semplicità di fondo prescritta dal Corano.

Chimica dei materiali da costruzione, chimica della lavorazione di cuoi e pellami, raffinazione dello zucchero di canna, e tinture delle stoffe completano, ma sicuramente non esauriscono il quadro oceanico dell’industria chimica dei musulmani. E’ un periodo di grande innovazione tecnica in cui si cercano di migliorare le apparecchiature. L’alchimia si "matematizza" sempre di più poiché i rapporti quantitativi tra reagenti e prodotti sono stabiliti sulla base dell’esperienza e la stessa esperienza viene ripetuta infinite volte.

Il mondo eterno degli alessandrini, ordinato da un Demiurgo diviene il mondo creato dal nulla di un pensiero monoteistico, ma le antiche convinzioni presenti nell’alchimia alessandrina continuano ad affiorare a grandi passi nel lavoro dell’alchimista musulmano, a tratti anche originale.

Le sostanze sono generalmente ordinate secondo un grado di nobiltà, o minore tendenza all’alterazione, o minore resistenza al fuoco o all’umidità. Sono divise in categorie le sostanze che bruciano e quelle che sublimano, quelle che fondono senza decomposizione, e talvolta questo modo di classificare porta a collocazioni apparentemente strane. Ma va sottolineata anche la differenza di tutti i corpi dagli influssi dei pianeti, cioè la profonda corrispondenza tra i diversi appartenenti ai tre regni della natura. Inoltre, accanto alle componenti di cui si è parlato fin ora, nell’alchimia Arabo-Islamica c’è anche una componente misteriosa o oscura.

In un clima di grande oscurità, reso ancora più oscuro da una serie di incomprensioni, generatesi nel passaggio tra lingua e cultura, molti testi sono fatti risalire ad epoche errate. Molti studiosi alessandrini, prendendo spunto dai testi Greci, producono opere di tipo allegorico, in cui riprendono in mano il problema del misterioso procedimento e paradossalmente è proprio questo nucleo che provocherà il discredito dell’alchimia Arabo-Islamica.

L'ALCHIMIA DEL MEDIOEVO LATINO E DEL RINASCIMENTO
La data in cui si stabilisce convenzionalmente l'ingresso dell'alchimia nel medioevo è il 1144, data in cui compare in Europa la traduzione latina del Morienus curata da Roberto di Chester. Ci furono precedentemente anche altre opere, ma esse sono relegate al ruolo di fenomeno locale, catalizzato dalla massiccia presenza degli Arabi in Spagna.

Verso la meta del XII secolo, nel bel mezzo di quel periodo che giustamente è stato chiamato "la Rinascita del XII secolo", alcuni atteggiamenti vengono a cambiare. Nel 1141 una prima traduzione del Corano fu commissionata dall’abate Pietro di Cluny, per combattere l’Islam, ma anche per conoscere "dal vivo" gli elementi da combattere. Poiché già da qualche tempo tra gli intellettuali d’Occidente c’è molto fervore fra curiosità, iniziative, piccoli o grandi viaggi di studio compiuti nei paesi degli infedeli. Dai viaggi di studio alle traduzioni il passo è breve anche perchè nelle mani degli Arabi ci sono Aristotele, Platone, Tolomeo, Euclide, i loro commentatori, autori nuovi e sconosciuti, e tutta la scienza e la filosofia dell'antichità.

Parallelamente anche la distinzione fra arti liberali e arti servili viene meno. In questo "cantiere culturale" l'uomo si afferma come un artigiano che trasforma e crea, e viene quindi riscoperto il concetto di homo faber, cooperatore della creazione con Dio e con la natura. La nuova disciplina alchemica è accolta con entusiasmo e interesse, anche se dai problemi di traduzione derivano problematiche di vario tipo. A partire dalla fine del XII secolo alle traduzioni dall’arabo si affiancano, come già era successo all’epoca delle prime traduzioni dal greco in arabo, opere composte in latino dai nuovi e numerosi adepti, e tra queste, firmate o anonime, una serie di corpora attribuiti ai più grandi nomi della cultura: Alberto Magno (1193?-1280), Tommaso d’Aquino (1225-1274), Ruggero Bacone (1219-1292), Arnaldo da Villanova (?-1313?), Raimondo Lullo (1235-1315-). L’alchimia è una scienza anche per i latini, una scienza nuova di cui non si tratta nei libri di Aristotele e che contiene molte informazioni che permettono di conoscere meglio la natura. Con le traduzioni e la produzione di nuovi lavori originali, si costituisce il vocabolario chimico latino.

A questo punto è lecito domandarsi il ruolo, anzi la posizione che la Chiesa assunse circa questi "eventi scientifici". Dopo un primo periodo di osservazione la Chiesa espresse il suo parere sull’alchimia, e lo fece con una serie di solenni condanne. La presa di posizione di Tommaso d'Aquino nella Summa Theologica, gli atti capitolari che tra il 1272 e il 1373 proibiscono lo studio e la pratica dell'alchimia ai francescani e ai domenicani, e infine la famosa decretale Spondet quas non exhibent di Papa Giovanni XXII (1245-1334) sono attacchi perentori che si rivolgono tutti alla questione della trasmutazione. Dal momento che è impossibile realizzare la trasmutazione dei metalli in oro (così si espresse ufficialmente la Chiesa) coloro che affermano di trasmutare e non ottengono alcun risultato sono truffatori, o se vi riescono (ipotesi assurda) allora hanno trasmutato per mezzo di opere di magia. Di fronte a questa dura posizione ecclesiastica viene spontaneo chiedersi se alle motivazioni ufficiali date dalla Chiesa per la disapprovazione dell'alchimia non si voglia inoltre rifiutare una disciplina vistosamente pagana all'origine e trasmessa dalle terre del "nemico" più vicino e temibile. I risultati della condanna non si fanno attendere ma, a differenza di quanto si potrebbe credere, non si concretizzano in un abbandono della disciplina.

In prossimità dell’Umanesimo (D) e del Rinascimento (D), si ha sempre più l'impressione che, sulla base di un messaggio recepito ancora una volta in modo incompleto, dopo il primo passaggio, quello dell'VIII secolo, dalla lingua greca alla lingua araba, si verifichi un progressivo distaccarsi dell'alchimia dalle sue radici arabe e prima ancora alessandrine. Questo è un distacco e un mutamento che si traduce sempre più nell’improprio utilizzo di nomi, nel mancato riconoscimento delle allegorie, nello scollamento dei testi dalle immagini e dei simboli dai loro significati originari.

Una fra le prime concezioni a dare segni di cedimento è l'idea della necessaria esistenza di un unico mondo tenuto insieme da una rete gerarchica di sequenze e corrispondenze, e della posizione medioevale dell’uomo "fisso" fra terra e cielo, primo fra gli animali e ultimo fra gli angeli. Per Nicola Cusano (1401-1464) ci sono valide ragioni per ritenere possibile l’eventuale esistenza di altri mondi più o meno perfetti di questo nostro mondo, e in ogni caso l’uomo, che abita questa terra, non ha alcun motivo per desiderare una natura diversa o più perfetta di quella in cui già vive.

Leonardo da Vinci (SB) (1452-1519) rigettando le antiche argomentazioni sulla trasmutazione, giudica l'alchimia esclusivamente sulla base dei prodotti che è in grado di fornire, e anzi egli stesso si applica al lavoro di laboratorio con la preparazione di composti e il perfezionamento di apparecchiature.

L'immagine più rappresentativa degli ultimi sviluppi dell'alchimia del Rinascimento è probabilmente da ricercare nell’opera del medico svizzero Philipp Theophrast Bombast von Hohenheim (1493-1541) che, forse per affermare la sua superiorità sull’antico medico latino Cornelio Celso (SB) (I secolo d.C.) assume l'enigmatico nome di Paracelso. Nell'universo di Paracelso, diviso secondo la millenaria tradizione in macrocosmo e microcosmo, è il microcosmo, cioè l’uomo, il centro intorno a cui ruota ogni altra considerazione. Tutto ciò che la natura, grande organismo vivente e divino produce deve essere giudicato più o meno perfetto a seconda dell’utilizzazione più o meno diretta che l’uomo può trarne: ad esempio, se la natura produce grano e l’uomo mangia pane, il pane deve essere considerato uno stato più perfetto cui partecipa il materiale grano. Poiché la natura non produce pane ma si ferma al grano è necessario perfezionare l’opera della natura e portare tutte le cose allo stato in cui possono essere utilizzate dall'uomo. A questo perfezionamento, in ogni campo dell’attività umana, deve essere dato il nome di alchimia e al suo artefice, che non è solo il chimico, ma anche, fornaio nel caso sopra citato, deve essere dato il nome di alchimista.

A partire dai primi anni del XVII secolo, con le opere di Cartesio (SB) (1596-1650), di P. Gassendi (1592-1655), di R. Boyle (1621-1691), per la prima volta Dio diviene Colui che contempla il mondo come un gigantesco orologio che ha caricato all'inizio dei tempi. Non c'è dubbio che l'orologio sia stato caricato da lui, ma il meccanismo procede secondo leggi che non hanno bisogno del suo intervento. Mentre metafisica (D) e fisica si allontanano, non appare più così eretico contemplare la possibilità dell’esistenza di infiniti mondi, di infiniti corpuscoli, che non possono essere né affermati a priori, né direttamente individuabili dai sensi, ma che possono essere rivelati a partire dall'osservazione, dall'analisi, dai mezzi di cui lo scienziato di volta in volta può disporre. Impegnati come sono nelle loro argomentazioni pro o contro Paracelso, gli alchimisti non sembrano accorgersi tempestivamente che la realtà sta cambiando, ed il loro mondo è ormai "morto".

Il passaggio alla chimica avverrà fra poco, ma non sarà né "indolore", né immediato a causa di correnti che rimarranno ancora per alcuni tempi nelle concezioni e metodologie dei chimico-alchemici.

I RAPPORTI FRA L'ALCHIMIA E LA CHIMICA
Nei punti sopra sviluppati si sono messe in evidenza le differenze fra i vari periodi di sviluppo dell'Alchimia, e questo approfondimento nasce dall'esigenza di cogliere in che modo l'Alchimia si possa rapportare con la chimica.

Dire che la chimica è lo sviluppo in chiave scientifica dell'alchimia sarebbe riduttivo e forse errato. La chimica intesa come scienza della materia ha avuto uno sviluppo pieno di incongruenze, la sua struttura fu infatti basata su correnti culturali diverse, spesso addirittura operanti in modo indipendente. Hall definisce la chimica come prodotto della rivoluzione scientifica (ST), poiché essa non sorse né da una tradizione precisa e consolidata, né come diretta conseguenza dell'alchimia. Non bisogna però credere che ne sia totalmente separata: essa lasciò infatti una ricca eredità di esperienze e di strumenti, anche se si inserì in quadri concettuali diversi. Infatti le teorie e i processi alchemici sono per loro stessa natura patrimonio di pochi, mentre la ricerca chimica deve contribuire al processo generale della conoscenza della materia, e al generale miglioramento delle condizioni di vita.

A partire dal cinquecento le teorie chimiche emersero da diversi campi di ricerca (ricerche mediche, farmacologiche, mineralogiche, filosofiche, botaniche e alchemiche) così che si possa affermare che il chimico moderno ha come progenitori maghi, alchimisti, paracelsiani, peripatetici, iatrochimici ecc…

Paracelso (SB) è un personaggio di nodale importanza in questo contesto: nella filosofia del seicento è presente proprio una filosofia chimica di origine ermetica, che trovò la sua matrice teorica nelle opere di Paracelso e che costituirono la struttura teorica della filosofia chimica, una visione "chimica unitaria" del Cosmo ed infine la base per lo sviluppo delle indagini chimiche. La filosofia chimica è il risultato dell'opera di edizione, di commento e di esposizione dei primi paracelsiani. Per quanto riguarda l'opera di divulgazione è necessario citare Petrus Severinus, Oswald Croll ed in particolare Gerard Dorn, secondo il quale lo scopo della chimica era solo quello di individuare la "natura" caratteristica di una sostanza composta.

La Chimica nasce come scienza nel XVIII secolo, quando si inizia a seguire con misure quantitative il decorso dei fenomeni, in questo caso le reazioni chimiche, mediante misure di peso e volume. Non a caso la legge del principio di conservazione suona così: "la massa totale di tutti i prodotti di una reazione è uguale alla massa dei prodotti di partenza" (legge di Lavoisier), e non è che la versione chimica del più famoso "nulla si crea, nulla si distrugge". Questo non è che il primo pilastro della nuova scienza, infatti ben presto si capisce che gli atomi (ST) presenti prima e dopo una reazione chimica devono essere gli stessi e nello stesso numero. È questa la morte definitiva delle illusioni alchemiche. Tuttavia il metodo di postulare continuò ad essere utilizzato anche nella scienza.

Quando si parla di alchimia si sente spesso il termine flogisto. L'ammissione dell'esistenza di un flogisto consentì a Stahl di formulare una teoria completa della combustione. Il flogisto, proveniente dal carbone rientra nelle calci metalliche rigenerando le loro proprietà iniziali. Questo è un esempio di come, analogamente alla scienza moderna, si ammette l'esistenza di una entità "astratta" per spiegare alcuni fenomeni.

La chimica moderna ha poco a che fare con l'alchimia, perché le eventuali correlazioni l'hanno influenzata nella sua fase iniziale di sviluppo, cioè a dire che sono comuni solo le basi concettuali, ma queste due discipline differiscono soprattutto per il metodo. L'alchimia è fondamentalmente magia, la chimica è scienza ed utilizza il metodo sperimentale come l'alchimia, ma in modo diverso. La nascita vera e propria della chimica (anche se in verità è dell'ottocento) può essere collocata dopo la rivoluzione scientifica, ed è per questo che l'influenza dell'alchimia si è sentita soprattutto nella prima fase di sviluppo, quando ancora non si può neanche parlare di chimica moderna.

GLOSSARIO DEI PRINCIPALI TERMINI ALCHEMICI
Acqua: uno dei quattro Elementi degli Antichi. Non ha nulla in comune con l'acqua volgare.
Affinaggio: operazione con la quale si separa da un metallo tutto ciò che gli è estraneo. Si pratica particolarmente sull'oro e sull'argento.
Alberi: un albero che porta delle lune significa il Piccolo Magistero, la Pietra al bianco. Se porta dei soli, è la Grande Opera, la Pietra al rosso. Se porta i simboli dei sette metalli o i segni del sole, della luna e 5 stelle, si tratta allora della materia unica da cui nascono i metalli.
Albificazione: calcinazione al bianco o al rosso.
Alludel: apparecchio composto di vasi sovrapposti e comunicanti tra loro per effettuare una sublimazione lenta.
Amalgamazione: unione intima di diversi elementi metallici, in un tutto assai omogeneo e molto malleabile.
Angelo: simboleggia la sublimazione, ascensione di un principio volatile come le figure del "Viatorium spagyricum". Animali: in genere, quando ci si trova in presenza di due animali della stessa specie ma di sesso differente, come leone e leonessa, cane e cagna, stanno a significare lo Zolfo ed il Mercurio preparati in vista dell'opera, o ancora il fisso ed il volatile. Il maschio rappresenta allora il fisso, lo Zolfo, e la femmina il volatile, il Mercurio. Uniti, gli animali esprimono il congiungimento, le nozze, il matrimonio. Se si combattono: fissazione del volatile o volatilizzazione del fisso. Come nelle figure di Basilio Valentino, "Le Dodici Chiavi della Filosofia". Gli animali possono simboleggiare inoltre gli Elementi: Terra (leone o toro), Aria (aquila), Acqua (pesci, balena), Fuoco (dragone, salamandra). Se un'animale terrestre figura in un'immagine ermetica con un animale aereo, essi significano rispettivamente il fisso ed il volatile. Apollo: il sole, l'oro.
Aquila: simbolo della volatilizzazione ed anche degli acidi impiegati nell'Opera. Un'aquila che divora un leone, significa la volatilizzazione del fisso per mezzo del volatile. Due aquile che si combattono hanno lo stesso significato.
Argento dei Saggi: il Mercurio dei filosofi.
Aria: uno dei quattro Elementi degli Antichi. Non ha rapporto con quella che respiriamo.
Athanor: forno a riverbero.
Bagno: simbolo della dissoluzione dell'oro e dell'argento, della purificazione di questi due metalli.
Bagnomaria: apparecchio disposto in modo che il vaso contenente la materia, sia immerso nell'acqua calda.
Bianco: Pietra al Bianco, pietra ancora imperfetta, di cui tutte le possibilità trasmutatorie non sono ancora sviluppate od ottenute.
Calcinazione: riduzione dei corpi in calce; può essere secca o umida.
Caldo: una delle quattro qualità elementari della Natura.
Camera: simbolo dell'Uovo Filosofico, quando il Re e la Regina vi sono rinchiusi (Zolfo e Mercurio).
Cane: simbolo dello Zolfo, dell'Oro. Il cane divorato da un lupo, significa la purificazione dell'Oro per l'antimonio. Cane e cagna associati significano il fisso ed il volatile.
Caos: simbolo dell'Unità della Materia ed anche del colore nero, "Primo stadio dell'Opera", della putrefazione.
Capitello: cavità di vetro munita di becco, che si adatta al collo della cucurbita per poter distillare gli spiriti minerali. Capitello, cappa, alambicco, sono pressappoco la stessa cosa.
Cementazione: operazione con la quale per mezzo di polveri minerali, che si chiamano cemento, si purificano i metalli al punto che non vi resti più che la purissima sostanza metallica.
Cigno: simbolo dell'Opera al Bianco, secondo stadio dopo la putrefazione e l'iridescenza. Quest'ultima non figura nel ternario classico della Grande Opera, nero, rosso, bianco.
Circolatorio: vedi Pellicano.
Circolazione: consiste nel far circolare i liquidi in un vaso chiuso per effetto d'un calore lento.
Circonferenza: Unità della Materia, Armonica Universale.
Cucurbita: vaso a forma di zucca aperta in alto, che si copre con un capitello per la distillazione dei vegetali o altre materie.
Coobazione: azione di rimettere lo spirito metallico distillato, sul suo residuo.
Corona: simbolo della regalità chimica, della perfezione metallica. Ne "la Margharita Preciosa" i sei metalli sono prima presentati come schiavi, con la testa nuda ai piedi del Re, l'Oro. Ma poi, dopo la Trasmutazione essi sono figurati con una corona in testa. Da cui, nell'Alchimia Spirituale, la frase di L.C. de Saint Martin: "Ogni uomo è il suo proprio Re", cioè ogni uomo porta in sé la possibilità del ritorno alla sua regalità perduta, nel piano spirituale ed angelico.
Corvo: Uno dei primi stadi dell'Opera, la putrefazione.
Crisopea: La Pietra Filosofale, la Grande Opera realizzata.
Crogiolo: vaso di terra refrattaria svasato verso l'alto, destinato alla fusione dei metalli o dei corpi duri.
Decrepitazione: azione di scaldare il sale comune in un crogiuolo per scacciarne l'umidità.
Deflegmare: consiste nel separare l'acqua contenuta nei corpi (o flema), per evaporazione o distillazione.
Diana: vedi luna.
Digestione: disaggregazione, involuzione e maturazione della materia, ottenuta esponendo il vaso contenente al calore del bagnomaria, per un tempo conveniente.
Distillazione: operazione durante la quale si separano le parti sottili dei corpi solidi e liquidi, o ancora lo spirito della materia, che l'invischiano.
Dragone: un dragone che si morde la coda, l'Unità della Materia. Un dragone nelle fiamme, il simbolo del Fuoco. Parecchi dragoni che si combattono, la putrefazione. Dragone senza ali, il Fisso. Dragone alato, il Volatile.
Ermafrodito: il risultato della congiunzione dello Zolfo con il Mercurio, chiamato anche Rebis.
Falce: simbolo del Fuoco.
Fenice: simbolo del colore rosso dell'Opera. l'Uovo della Fenice è l'uovo filosofico. La Fenice è anche lo Zolfo ed il Mercurio dei Saggi, uniti e congiunti al termine ultimo dell'Opera.
Fiori: rappresentano i colori nel corso dell'Opera.
Fisso: Zolfo metallico o cane di Corascene.
Fontana: tre fontane rappresentano normalmente i tre Principi: Zolfo, Mercurio e Sale. Ci sono ancora altri aspetti di questa parola.
Freddo: una delle quattro qualità elementari della Natura.
Fuoco di Ruota: prima fase della seconda Opera, fuoco dolce e lento.
Fuoco di Sabbia: interposizione di sabbia tra fuoco ed il vaso contenente la materia da trattare.
Fuoco Segreto: spirito universale chiuso in seno alle tenebre metalliche, scintilla di vita chiusa in tutto ciò che è allo stato naturale primitivo.
Giove: simbolo dello stagno.
Leone: solo, simbolo del Fisso dello Zolfo. Alato, il Volatile, il Mercurio. Il leone rappresenta anche il Minerale, Vetriolo Verde, da cui si estrae l'olio di vetriolo (acido solforico). Il leone opposto a tre altri animali, simbolizza la Terra. È anche il simbolo della Crisopea.
Leonessa: il Volatile, il Mercurio.
Liquazione: l'Uovo Filosofico.
Liquefazione: o deliquescenza, risoluzione naturale dei sali in acqua per un'esposizione in luogo umido.
Luna: il Volatile, il Mercurio, l'Oro dei Saggi.
Lupo: il simbolo dell'antimonio.
Luto: strato fatto di materie, spesso ed untuoso, destinato ad otturare le giunte che legano diversi vasi tra loro.
Marmorizzare: triturazione di materie sul marmo con l'aiuto di un pestello. Si dice anche porfirizzare.
Marte: il ferro, la sfumatura arancione dell'Opera.
Matraccio: vaso di terra, rotondo, ovale o appiattito, munito di un lungo collo. Vi si mette a cuocere a fuoco lento la materia preparata.
Matrimonio: unione dello Zolfo e del Mercurio, del Fisso e del Volatile. Il prete che officia rappresenta il Sale, mezzo d'unione tra i due.
Mercurio: uno dei Principi occulti costitutivi della Materia. Non ha nulla in comune con il corpo volgare di questo nome. È anche simbolo dell'Argento preparato per l'Uovo finale.
Mestruo: acque minerali e vegetali di proprietà dissolventi. Corrosivo.
Montagna: fornello dei Filosofi, sommità dell'Uovo Filosofico.
Mortificazione: alterazione della materia per triturazione o per addizione d'un elemento attivo.
Nero: simbolizzato anche dal corvo, immagine della putrefazione.
Nettuno: l'acqua.
Nozze: vedi matrimonio.
Oro dei Saggi: Zolfo filosofico.
Palazzo: entrata nel Palazzo chiuso: scoperta dell'argento capace d'operare la riduzione del Fisso, della "reincrudation" in una forma analoga a quella della sua primitiva sostanza. Designa anche l'accesso all'Oro Vivo, Oro dei Saggi o Oro filosofico, se si tratta dell'accesso al Palazzo chiuso del Re. Designa al contrario l'Argento Vivo, l'Argento dei Saggi o Mercurio filosofico, se si tratta dell'entrata nel Palazzo chiuso della Regina.
Pallone: vaso di vetro ampio e rotondo destinato a ricevere i prodotti della distillazione.
Pellicano: cocurbita chiusa munita di due anse incavate, colleganti la testa al ventre. Si chiama anche circolatorio in ragione della sua funzione.
Pioggia: simbolo del colore Bianco nell'Opera o albificazione. È anche l'immagine della condensazione in corso di realizzazione.
Prete: sposando un uomo e una donna, un Re o una Regina, simbolizza il Principio Sale.
Prima Materia: Materia Prima dell'Opera Ermetica.
Proiezione: azione di trasmettere un minerale in fusione all'attivo di una polvere detergente e trasmutatoria.
Quadrato: simbolo dei quattro elementi.
Ragazzo: vestito con abito regale o semplicemente incoronato, simboleggia la Pietra Filosofale, altre volte l'Opera al rosso.
Re e Regina: vedi uomo e donna.
Rebis: un risultato dell'amalgama dell'Oro dei Saggi, materia doppia, ad un tempo umida e secca, avendo ricevuto dalla Natura e dall'Arte una doppia proprietà occulta, esattamente equilibrata.
Recipiente: designa qui un pallone di vetro.
Residuo: ciò che resta in un vaso dopo la distillazione. Sinonimo di feci, di terra morta, terra dannata, caput mortuus.
Rettificazione: ultima distillazione per ottenere uno spirito metallico estremamente puro. Si ottiene al fuoco assai vivo.
Riverberazione: esaltazione dell'energia interna dello spirito metallico per l'azione del fuoco violento sulla materia che contiene questo spirito. Seccamento totale.
Rosa: designa il colore rosso, stadio ultimo dell'Opera. Una rosa bianca ed una rosa rossa, unione del Fisso con il Volatile. La rosa è l'emblema dell'Arte Ermetica tutta intera.
Rosso: stadio ultimo della Grande Opera, simbolizza il Fuoco.
Rubificazione: azione di distruggere lo Zolfo combustibile e d'ottenere lo Zolfo incombustibile. Principio di Aurificazione in seno al minerale.
Rubino Magico: agente energetico d'una sottigliezza ignea, rivestito del colore o delle molteplici proprietà del Fuoco. Anche chiamato olio di Cristo, olio di Cristallo: è allora simbolizzato dalla Lucertola Araldica o alla Salamandra che vive nel fuoco e se ne pasce.
Salamandra: simbolo del Fuoco, qualche volta significa il colore rosso dell'ultimo stadio dell'Opera od anche il colore bianco che la precede. Rubino Magico.
Sale: chiamato anche Arsenico, uno dei quattro principi misteriosi che compongono i corpi. Non ha nulla in comune con il sale volgare. È l'unione tra lo Zolfo ed il Mercurio nei metalli, ne deriva come d'altronde, dall'azione reciproca dello spirito e dell'anima, o dell'anima e del doppio psichico, si costituisce il corpo degli uomini. Il Sale può essere paragonato al "totale" nell'addizione dei due fattori.
Saturno: designa il piombo; egualmente il colore nero dell'Opera allo stadio di putrefazione, sinonimo di corvo. Il tempo delle prove sul piano fisico.
Scheletro: putrefazione, il colore nero dell'Opera , sinonimo di corvo. Secco. Una delle quattro qualità elementari della Natura.
Sepolcro: Uovo Filosofico.
Serpente: stessi significati del dragone. Tre serpenti designano i tre Principi, Sale, Zolfo, Mercurio. Due serpenti sul Caduceo, Zolfo e Mercurio dei Saggi, serpente alato il volatile, senza ali il Fisso. Serpente crocifisso, designa la fissazione del Volatile.
Sfera: designa l'Unità della Materia.
Sole: talvolta indica l'oro ordinario preparato per l'Opera, talaltra designa lo Zolfo dei Saggi.
Spada: simbolo del Fuoco.
Spartizione: operazione consistente nel separare l'argento dall'oro per mezzo del salnitro. È un affinaggio.
Storta: vaso di vetro, rotondo con il becco rivolto verso il basso che serve a distillare la materia nel corso dell'Opera.
Stratificazione: sovrapposizione, per piani alterni, di diverse materie sottoposte ad un fuoco violento in un crogiolo chiuso. L'amalgama si opera allora per fusione, ma la sovrapposizione non è lasciata al caso, essa deve essere razionale e scientifica.
Sublimazione: violenta o lenta. Quella lenta è la migliore. La materia è rinchiusa in un vaso a collo lungo, su fuoco lento, in modo che le parti sottili (pure) si separino dalle parti grossolane (impure), salendo dal fondo del vaso verso l'alto.
Terra: uno dei quattro Elementi degli Antichi. Non ha nulla a che vedere con il suolo che calpestiamo.
Triangolo: simbolo di tre Principi misteriosi costitutivi dei metalli, Sale, Zolfo e Mercurio.
Uccello: che s'innalza nel cielo, volatilizzazione, ascensione, sublimazione. Che punta verso il suolo, precipitazione o condensazione. Le due immagini riunite nella stessa figura, la distillazione. Uccelli opposti ad animali terrestri, indicano l'Aria o il Volatile.
Umido: una delle quattro qualità elementari della Natura.
Uomo o Donna: Zolfo e Mercurio. Nudi designano l'oro e l'argento impuri. Le loro Nozze, congiunzione dello Zolfo e del Mercurio. Chiusi in un sepolcro, questi due principi uniti nell'Uovo filosofale.
Venere: designa il rame.
Volatilizzazione: azione di trasformare un solido in gas o in calore. Separazione degli Elementi Volatili da quelli Fissi.
Vulcano: simbolo del fuoco ordinario.
Zolfo: uno dei Principi occulti, costitutivi della Materia. Non ha nulla in comune con il corpo volgare di questo nome. È inoltre il simbolo dell'Oro, preparato per l'Opera finale. La terminologia simbolica appena trascorsa e quella che seguirà, "impiegano parole ed espressioni che non hanno rapporti diretti con i loro equivalenti della lingua profana". È auspicabile allora che il ricercatore apprenda prima della lettura definitiva ad interpretare i reali significati del testo. È dunque indispensabile definire ciò che si intende in certe parole essenziali, che sono i nomi degli elementi costitutivi della Materia Prima e della sua evoluzione verso lo stadio ultimo, l'Oro, simbolo della perfezione nel seno della Vita Metallica.

ALCHIMIA SUL WEB:
Chi fosse interessato ad aspetti diversi dell'alchimia rispetto a quelli qui trattati li può trovare ai seguenti indirizzi:
http://www.edscuola.com/archivio/alchimia.html
http://www.ips.it/musis/muchi_n0.html
http://www.pisa.intecs.it/community/alchimia.html
http://soalinux.comune.firenze.it/ilventaglio/alctaoi1.html
http://www.esonet.org/pg/alchimia.html
 

Relatori:
Filippo Antonelli, Elisa Celicchi, Francesca Conti, Marco Giubilei, Luca Torre, Giacomo Umani.



http://www.liceosansepolcro.org/nacita-della-coscienza-moderna/arte-controrif.htm

 L’ARTE NEL PERIODO DELLA RIFORMA E DELLA CONTRORIFORMA .
Il cinquecento è il secolo dei cambiamenti: nuove conquiste geografiche, scoperte scientifiche, mutamenti civili e politici portano al dissolvimento di una gerarchia di poteri derivanti da Dio e all’affermazione di una dura lotta di forze in cerca di equilibrio. È anche il secolo della riforma protestante (ST)che costringe la stessa chiesa a rivedere le proprie strutture e la propria condotta facendo, diventare la religione non solo rivelazione di verità eterne, bensì continua ricerca di Dio nell’animo umano.

Quindi la formazione di una diversa mentalità spinge l’uomo a proiettarsi sempre più in avanti: questo bisogno è riscontrabile anche nell’arte, parte integrante nella vita dell’uomo del rinascimento, la quale perciò tende a superare i canoni quattrocenteschi. Da qui si ha la continua ricerca di nuove forme, il superamento dello spazio a misura d’uomo e la conseguente eliminazione del quadrato, come figura piana, modello canonico del Quattrocento, sostituito con il cerchio. A questo è attribuito un valore non solo puramente grafico o figurativo, ma in particolar modo diventa simbolo del continuo bisogno dell’uomo di arricchire la sua conoscenza, e del fatto che egli non si accontenta più di sottostare agli schemi di un’arte chiusa, definita, che bada alla purezza classica delle linee: la circolarità indica continuità, movimento, armonia.

La stessa cosa avviene nell’utilizzo delle figure solide, poiché l’artista abbandona il cubo, figura carica di costrizioni e limiti, per lasciar spazio alla sfera e al cono. Con la prima infatti si esprime al meglio il concetto di infinito (D). Con il cono, alla stessa maniera, si arriva ad esprimere la stessa sensazione di illimitatezza, grazie alla sua struttura lungiforme.

Tutti questi cambiamenti sono riscontrabili in ogni campo artistico.

Prendendo ad esempio in considerazione l’architettura religiosa, si ritrova nel cinquecento l’uso della pianta a croce greca, che sostituisce quella a croce latina: con la prima infatti si ritorna all’idea di circolarità, avendo questa braccia uguali e quindi essendo inscrivibile in un cerchio.

Con Michelangelo (SB) possiamo notare anche il diverso utilizzo di specifici materiali, quali ad esempio la pietra serena, che in particolare nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo (a destra) egli utilizza per evidenziare la forza con la quale queste strutture si distaccano dal piano d’appoggio e si moltiplicano senza un ordine geometrico. Questo senso dell’infinito è in contrasto con la Sagrestia Vecchia nella quale il Brunelleschi (SB) utilizza la stessa pietra per definire geometricamente la forma e lo spazio, mediante prospettiva lineare.

L’Atrio della Biblioteca Laurenziana (a sinistra) è un ulteriore esempio fondamentale dell’importanza che assume il movimento delle forme in questo periodo. La scala è la vera protagonista di questo ambiente: essa si proietta dall’alto verso il basso, con una serie di gradini centrali curveggianti, che invitano alla salita. Nello stesso tempo si proietta anche dal basso verso l’alto, grazie alla presenza, fino ad una certa altezza, di altre scale ad ala, con gradini lineari, che essendo prive di balaustre, si aprono verso i lati. Tutta l’architettura del secolo è dominata da questo continuo movimento, ottenuto con una serie di sporgenze e rientranze in cui lo spazio penetra nella costruzione attraverso colonnati, balaustre, nicchie.

Il centro artistico più fervido in questo periodo, a differenza del Quattrocento, non è più Firenze, ma Roma: papa Giulio II (SB) aveva infatti il preciso intento di far diventare Roma la città più bella e grande del mondo. Così per raggiungere questo scopo vengono chiamati alla corte pontificia gli artisti più illustri e importanti. Qui in poco tempo si è venuto a formare un clima di straordinaria fusione tra l’ideale umano e quello divino, ma che dopo la morte di Giulio II e il sacco di Roma (ST) del ’27, che causò la dispersione dei diversi artisti in tutta Italia, altrettanto velocemente svanì. In conseguenza a questo anche gli ideali più alti di Leonardo (SB), Raffaello (SB) e Michelangelo vanno pian piano a scomparire, pur essendo guida al secolo. Ad esempio la profonda fede che Leonardo pone nella natura, vista come fonte di verità da cui l’uomo può continuamente attingere, non sarà del tutto compresa e interpretata nel suo significato.

Da qui si nota il diverso utilizzo della tecnica dello sfumato: a Firenze si ricorreva a questa tecnica per rendere più duttili le immagini, attenuando il tradizionale plasticismo sia lineare che chiaroscurale, mentre Leonardo la intendeva come strumento per armonizzare le figure con l’ambiente che faceva loro da sfondo. Egli, per rendere la vastità spaziale, non utilizza più la linea come mezzo per individuare e delineare i singoli oggetti, contornandoli con un tratto ideale, continuo e netto, ma per mezzo di brevi linee, curve o rette, riesce ad evocare e ad accennare la presenza delle figure che all’occhio umano appaiono vive ed in movimento.

In un’epoca di così grande crisi (D), i tre geni di questo secolo sembrano nascondere dietro al loro equilibrio classico tra naturalismo e idea, tra religione e laicità, l’inquietudine di molti altri artisti che non riescono ancora a trovare delle nuove leggi da sostituire a quelle già esistenti e vedono l’unica alternativa nell’imitazione di questi grandi, fino alla forzatura estrema e alla conseguente rottura dell’equilibrio. Promotore di questo nuovo movimento, denominato manierismo (D), fu Giorgio Vasari, primo vero scrittore d’arte, convinto che con Michelangelo l’arte avesse raggiunto il suo culmine.

Il Manierismo, comunque, trae i suoi spunti formali essenzialmente proprio da quest’ultimo, di cui sfrutta i colori cangianti, la composizione a spirale, la tensione delle forme al limite dello spazio. È un movimento contro corrente e anti-classico che mostra angosce e inquietudini tipiche di questo periodo: affiora dapprima a Firenze già nel terzo decennio del secolo, poi nella seconda metà del secolo trova una più ampia diffusione in tutta Italia e in Europa, con la maggiore scuola innovatrice che si trova in Francia, a Fontainebleau.

Il Seicento, secolo della controriforma cattolica (ST), diventa così protagonista dell’affannato e disperato bisogno di soluzione a questa profonda crisi, che troverà la sua più alta espressione nel Barocco (D).

L’arte in questo momento ha un ruolo determinante poiché fa in qualche modo da tramite tra la chiesa, impegnata nella predicazione delle idee controriformiste per mezzo dei nuovi ordini religiosi dei Gesuiti (D) e dei Filippini (D), e il fedele, cercando di sensibilizzare e toccare con efficacia e immediatezza il suo animo semplice. Nel seicento l’arte deve saper sedurre e commuovere, al fine di conquistare il gusto non più attraverso l’armonia e la razionalità, ma suscitando emozioni e sentimenti. A questo proposito il concilio di Trento raccomandava ad esempio che la figura di Cristo dovesse essere rappresentata sanguinante, afflitta, vilipesa, sgradevole a vedersi: in tale modo sarebbe stato più facile evocare nelle masse sentimenti di pietà e di devozione, facendo psicologicamente leva sulla compassione e sulla misericordia umana di fronte al dolore e alla sofferenza. Il pittore del seicento affronta senza mezzi termini il problema esistenziale dell’uomo, il suo dramma nella ricerca di una verità non più imposta dall’alto. Con Caravaggio (SB), massimo esponente della pittura seicentesca, esplode la polemica anticonformista con una tale immediatezza e violenza che, la prima tela dipinta per la cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, San Matteo e l’angelo, venne rifiutata dal clero perché, come testimonia il Bellori: "quella figura non aveva decoro, né aspetto di santo, stando a sedere con le gambe incavalcate e co’ piedi rozzamente esposti al popolo".

Sta qui la novità del pittore e della pittura del secolo, che rifiuta la tradizione e in particolare l’identificazione di bello con buono e di brutto con cattivo. Infatti in questo periodo si viene a formare una nuova concezione per la quale la grazia divina può toccare chiunque, non soltanto il meritevole: Dio solo, a suo giudizio, può salvare o condannare. Così la figura del santo non rispetta più la classica impostazione, non è abbellita, non ha decoro, non manifesta un atteggiamento devozionale, è addirittura volgare, povero e vecchio: questo esprime la presenza di Dio presso gli uomini più umili e bisognosi, non necessariamelte buoni e ossequiosi bensì i peccatori e gli emarginati. L’arte di questo periodo è l’arte dei sentimenti e delle passioni la cui rappresentazione, soprattutto in scultura e pittura, arriva a volte agli estremi, fino a rasentare la sdolcinatezza e la frivolezza.

Per quanto riguarda l’architettura, con il barocco si riscontra un forte desiderio di novità e ricerca del movimento, che spesso diventa tumultuoso e inquieto grazie alla compenetrazione tra struttura muraria e atmosfera.

Poiché gli artisti del secolo sentono che il rinascimento (D) era giunto ad un grado di perfezione oltre il quale non esiste che l’ex novo, si illudono di creare nuove forme modificando quelle cinquecentesche. Così piante ellittiche, linee spezzate, cornicioni decorativi e superfici aggettanti sono le strutture basilari di questa espressione artistica.

Le costruzioni civili e religiose, all’interno, mutano aspetto diventando più ricche e sfarzose mediante elementi ornamentali e decorazioni varie, stucchi e dorature. Gli ambienti grandi e luminosi si arricchiscono inoltre di scalinate marmoree, affreschi e statue rivelando nell’insieme la ricerca del maestoso, della magniloquenza e dello scenografico. All’esterno mentre le architetture civili appaiono solenni e severe, più o meno appesantite da fregi, nicchie, enormi portali ed elaborati cancellati, le chiese invece presentano superfici concave e convesse che determinano intensi contrasti chiaroscurali.

In questa maniera l’arte si precisa come espressione delle sensazioni dell’uomo, del suo precario collocarsi nello qpazio e nel tempo ed anche come veicolo diretto od indiretto dei contenuti controriformisti, come pure di tendenze contrapposte.

Relatori:
Francesca Conti, Arianna Vannini



http://www.liceosansepolcro.org/nacita-della-coscienza-moderna/la-crisi-della-coscienza%20europea.htm
LA "CRISI DELLA COSCIENZA EUROPEA":
IL PRIMO SETTECENTO, ETÀ DEL RINNOVAMENTO
Per certi aspetti il Settecento si pone in continuità con il Seicento, per altri ne segue la rottura. Infatti, la crisi delle certezze, già presente nel Seicento negli ambienti intellettuali, continua anche nel Settecento, ma diversa è la "reazione" che segue a questa crisi. Nel Seicento era sfociata nella letteratura, in una forzata e innaturale ricerca della sensualità, della meraviglia e in un conseguente ampliamento del poetabile e, aspetto più interessante, nell'uso della metafora (D) considerata da qualcuno "strumento eversivo di una normalità avvertita come pericolante e avviata alla disgregazione...", e "strumento della fondazione di un nuovo ordine, che si basa sulla esplorazione delle possibilità creative e conoscitive implicite nel linguaggio e non ancora utilizzate...." (Dalla Storia al Testo, dal Testo alla Storia-PARAVIA).La sostituzione di un termine con un altro implica una possibilità di comparazione, una qualche forma di somiglianza e quindi una possibilità di collegamento. Anche nel Settecento si cerca di dare un nuovo ordine, basato però sulla ragione. La ricerca di un nuovo ordine enfatizza la crisi delle certezze, che si traduce in crisi del dogmatismo (D) nel campo del sapere, e in crisi dell'assolutismo in campo politico. Se si considera il periodo nella sua globalità, si parla come appunto sostiene Paul Hazard di "crisi della coscienza europea", che ha la sua base in una disponibilità alla discussione e all'indagine razionale.

Uno dei filoni culturali che ha contribuito a definire quest'età come "rinnovamento" è quello costituito dall'evoluzione scientifica e dalla razionalità del metodo che ne consegue. Infatti fondamentale in questo contesto è il metodo con il quale si affronta lo studio della Natura (D). Questo rappresenta un elemento di unione con il Seicento, poiché già Galilei (SB), Bruno (SB) e Francesco Bacone avevano "studiato" la Natura, e posto quindi le basi affinché questo studio potesse continuare anche nel secolo successivo.

Il contributo di Newton (SB) è soprattutto costituito da concetti di fisica: per primo infatti distingue il peso dalla massa (ST), generalizza la nozione di forza (D) collegandola all'accelerazione (D) (e non alla velocità (D) come prima si credeva), stabilisce i principi della dinamica (D) e la teoria di gravitazione universale. Newton "studia" la Natura, ne comprende i meccanismi, ma alla base di tutto c'è l'idea di un moto assoluto riferito allo spazio vuoto, il che presuppone un tempo e uno spazio assoluti. La Natura, la materia, sono intese come assolute nel loro intimo e nella loro costituzione. La ragione è proprio strumento, mezzo di indagine del reale e ciò ha un notevole impulso anche nello sviluppo delle scienze umane e naturali. È quindi una nuova idea della ragione che si afferma, ne viene esaltata l'utilità e quindi il nuovo uso. Lo schema di lettura del mondo è in questo periodo la fisica, in particolare quella di Newton. Si avvertono negli ambienti culturali le influenze dell'empirismo (ST) di cui possiamo considerare Locke (SB) come il rappresentante che, riconducendo tutto il conoscere ai sensi, dà avvio al sensismo.

Egli elabora infatti una teoria secondo la quale le idee si fondano esclusivamente sull'esperienza empirica (cioè la sperimentazione), ma da essa possiamo ricavare solo un "tipo" di idee, quelle che Locke chiama idee semplici. Le idee complesse invece, benché infinite come numero, si possono ricondurre a tre categorie: i modi, le sostanze e le relazioni. Ma l'opera di Locke è particolarmente significativa per quanto riguarda l'idea complessa di sostanza. La sostanza non è mai percepita, è qualcosa che si "immagina" essere a fondamento delle idee. Pertanto della sostanza in quanto tale non è possibile asserire nulla di certo per essere coerenti con il presupposto precedente. Siamo vicini alla negazione dell'esistenza della sostanza, ma Locke non lo afferma, al contrario Berkeley lo introdurrà per la sostanza materiale e Hume lo estenderà anche per quella spirituale.
Di particolare interesse è un passo del Muratori, tratto da "Riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nelle arti", capitolo tredicesimo, parte seconda dedicata alla storiografia, "Una lezione di metodo: accertare, vagliare, interpretare". Sono proprio questi tre termini che racchiudono tre essenziali concetti ai fini di una indagine L'aspetto razionale della realtà. interessante è che per mezzo dello Muratori strumento filologico (D) applicato al documento nell'ambito dello studio, il perviene ad una disposizione critica, ed una tensione conoscitiva anche nei confronti del presente che cerca di correggere secondo i suoi stessi criteri di razionalità e rigore.In questo contesto si afferma una laicizzazione della cultura che diventa autonoma, mezzo di indagine ed inoltre caratterizzata da precise finalità. Nell'età del rinnovamento si hanno infatti molti esempi di studi di revisione storica, in particolare con Muratori già citato, Giannone, Maffei e Vico. Muratori e Giannone sono particolarmente significativi per il lavoro sul Medioevo, e Vico per la sua dottrina della storia. Muratori fornì una eccezionale quantità di materiali che saranno la base per gli studi storici sul medioevo in Italia. Nella sua attività Muratori svolse una funzione di stimolo ad una più razionale organizzazione della società civile. Nella sua cultura prevalgono interessi giuridici, storico-eruditi, letterari, filosofici e religiosi, ed essa sfocia spesso in indicazioni pedagogiche e politiche. Di particolare importanza è il trattato Della perfetta poesia italiana (1706) in cui tenta di conciliare la nuova prospettiva razionalistica con le componenti fantastiche della poesia, ereditate dal Barocco (D).

Per quanto riguarda Giannone, egli lavorò molto a lungo sulla Istoria civile del regno di Napoli, ed è proprio in quest'opera che si impegna a ricostruire l'origine dei poteri civili e ecclesiastici nel Meridione. Dall'opera di Giannone si ricava un modello radicalmente nuovo di storiografia, attenta soprattutto ai processi di evoluzione delle istituzioni civili (ne derivò una denuncia degli abusi dei poteri ecclesiastici). Ma l'opera più significativa di Giannone è la sua autobiografia, Vita di Pietro Giannone, in cui il protagonista si propone come un modello della nuova razionalità borghese, e stabilisce i termini con le istituzioni politiche.
In questo ampio contesto culturale si afferma una concezione del sapere priva di limiti rigidi tra i diversi campi del conoscere: "la nuova cultura della concretezza e dell'esperienza attribuisce un rilevo essenziale alle scienze della natura, favorisce la nascita di nuove discipline e modifica l'orizzonte retorico-letterario della cultura umanistica, ma non provoca ancora una rottura del sapere. L'uomo di cultura, quale che sia la sua specializzazione, fa parte di una comunità universale, i cui membri sono in genere definiti con il termine di letterati" (Giulio Ferroni). Alle lettere "non appartengono soltanto la letteratura e la poesia, ma l'intero ambito della conoscenza, che si comunica essenzialmente attraverso la scrittura ed entra così in una discussione di respiro internazionale" (Giulio Ferroni). È la cosiddetta "Repubblica delle lettere" favorita da contatti epistolari che facilitavano la comunicazione ed il confronto fra i vari ambienti letterari; i viaggi sono una nuova "mania", c'è una generale apertura al mondo, e ciò comporta una affermazione più marcata del relativismo (a questo proposito è da ricordare la "Lettera sulla tolleranza" di Locke che, benché precedente rispetto al contesto qui esposto, si pone come premessa all'affermazione del relativismo). Questo porterà alla concezione del cosmopolitismo, della tolleranza che sono valori propri dell'Illuminismo. La comunicazione è anche favorita dalla crescente e continua diffusione della stampa. Sul piano letterario vero e proprio i caratteri di razionalità e di evidenza della conoscenza, quindi di buon gusto nell'estetica, si traducono nella formula dell'Arcadia, un'accademia nata a Roma nel 1690 sulla scia di una stanchezza del Barocco, di un disgusto per la sensualità nella lirica ritenuta quasi non morale. L'Arcadia, nelle sue peculiarità, propone nella finzione una società ideale che prende il posto di quella reale riproducendone le stesse forme e regole. In questa ricerca di un nuovo ordine si intende rilanciare la tradizione, i valori classici (D), trasferendoli sul piano dell'utopia (D), ma il recupero della razionalità è compromesso dall'artificio. L'Arcadia è chiaramente una risposta italiana alla crisi della coscienza europea ed unifica il mondo intellettuale, dove la poesia è essenziale strumento di comunicazione. L'Arcadia, intesa quindi in opposizione al Barocco, vuole proporre un classicismo basato sulla razionalità, sul buon gusto e sulla semplicità, riplasmando il gusto delle persone, proponendo anche una condotta di vita naturale.

La compresenza di tutti questi elementi "comporta" inoltre una nuova concezione del rapporto natura-ragione, ed una conseguente apertura all'Illuminismo (ST). La ragione di Cartesio è ragione "pesante", fonda i principi e ricava la conoscenza determinando lo scibile umano. Il cogito è fondamento del sapere, e nel cogito la ragione trova le idee: la conoscenza è fondata tramite un procedimento logico e deduttivo. Nell'Illuminismo la ragione è strumento critico, funzionale ad una interpretazione del reale, non in modo logico-deduttivo, ma anzi in maniera che tenga conto della realtà consapevolmente vagliata dalla ragione stessa. È la ragione che deve definire gli strumenti critici che le appartengono. L'approccio di tipo filosofico è empirista, e questa nuova cultura è uno stadio dell'evoluzione del pensiero filosofico empirista. La concezione illuminista della ragione si propone quindi come una sintesi fra il razionalismo cartesiano e l'empirismo.

L'epicentro di tutti questi movimenti è la Francia, e qui il ruolo che l'illuminista si dà è quello di proporre e perseguire un'analisi critica della realtà. Interessante è il fatto che nel pensiero degli illuministi in genere prevalgano gli argomenti di filosofia pratica. La società è vagliata criticamente nella sua globalità, così che si possono individuare i motivi che ne impediscono il corretto sviluppo e "rimuoverli". La ricerca del settecento si pone in continuità con la tradizione inaugurata in età moderna da Machiavelli (SB), che per primo concepì l'autonomia del politico e si era sviluppata in autori come Grozio, Hobbes (SB) e Locke, e giunge a teorizzare la concezione del potere tripartito proposta da Montesquieu così come oggi la intendiamo. Un tentativo di riformare la società verrà introdotto dal "dispotismo illuminato", ma questo sforzo, particolarmente in Francia, resterà al di sotto delle necessità, ciò aprirà la strada alla Rivoluzione francese. .
 
 

Relatore:
Luca Torre



http://www.liceosansepolcro.org/nacita-della-coscienza-moderna/bruno.htm
GIORDANO BRUNO E LA RIFLESSIONE SULL'INFINITO
Quella di Giordano Bruno (SB) è una figura complessa che si inserisce in un periodo di profondo sconvolgimento e rinnovamento degli orizzonti conoscitivi delle dottrine filosofiche. Bruno in questo contesto svolge un ruolo significativo, proponendo un originale pensiero che si struttura sotto l'influenza di correnti filosofiche precedenti e contemporanee, quali l'Atomismo (ST), il Naturalismo (D), il Neoplatonismo e l'Ermetismo.

Le tesi di Bruno sono quindi improntate sulla base di un naturalismo che risente di una tensione amorosa tipica del neoplatonismo, ma anche di una predilezione per la magia (D) e l'astrologia (ST) come strumenti di indagine sul reale e sulla natura stessa. In quest'ottica l'opera di Bruno segna una battuta d'arresto nello sviluppo del naturalismo scientifico in quanto si configura quasi come una religione della natura.

Proprio per il suo carattere magico e miracoloso, la natura secondo Bruno non è conoscibile unicamente attraverso i sensi come aveva invece ipotizzato Telesio (SB); bisogna bensì indagarla attraverso l’intelletto che ci eleva al di sopra delle particolarità.

Grazie a questo concetto Bruno propone la natura come unico oggetto di studio della filosofia e unica fonte di verità certe. Giunge di conseguenza a ritenere qualsiasi tipo di religione positiva (rivelata), un insieme di superstizioni contrarie alle leggi e alla giustizia naturale.

Relegate le antiche credenze in luogo di inutili falsità, Bruno procede nella costruzione di una religione naturale, che individua in una sapienza originaria comune a tutti gli uomini d’intelletto, antichi e contemporanei, la via per giungere a Dio. Una via questa, che svolge il suo percorso nella natura, la quale si pone come oggetto e termine del filosofare e della religiosità stessa.

Nell’ambito della sua religione naturale, Bruno concepisce Dio in duplice maniera: da una parte, risentendo fortemente dell’influenza di principi Neoplatonici, la divinità è immaginata al di fuori dell’universo (mens super omnia), ineffabile e completamente trascendente, oggetto quindi della sola fede e in nessun modo comprensibile dalle capacità conoscitive umane; dall’altra Dio è considerato immanentemente come principio primo della natura e del cosmo (mens insita omnibus), e come tale risulta raggiungibile da parte dell’uomo perché si fa oggetto del suo impeto filosofico e religioso.

Sotto quest’aspetto Dio è l’artefice interno del mondo, è causa efficiente di tutti i fenomeni naturali ed agisce come Anima del cosmo plasmando l’infinita materia per creare l’intero universo.

La negazione della trascendenza di Dio, il riconoscimento della sua infinità consentono a Giordano Bruno di poter individuare una sostanziale unità della natura. Tale concetto di unità va ricercato in Dio stesso e si lega ad un’altra idea fondamentale della concezione bruniana: la coincidenza degli opposti, secondo la quale in Dio, e quindi necessariamente anche nel cosmo gli opposti coincidono; ecco quindi che il massimo e il minimo, l’amore e l’odio risultano la stessa cosa. Ma la coincidenza degli opposti è possibile soltanto in uno spazio illimitato, perché due realtà contrarie possono confondersi fino ad identificarsi solo se relazionate con l’infinito (D) ed in esso inserite. Da qui la postulazione di un universo appunto infinito espressione dell’infinità di Dio che comprende ogni aspetto della natura e del reale.

Quest’innovativa teoria che si affiancava e superava quella matematicamente provata di Copernico (SB)abbatteva definitivamente la vecchia concezione aristotelica che faceva dell’universo uno spazio chiuso, limitato e fornito di un unico centro, sostituendola con un modello cosmologico senza confini (ST), avente centro contemporaneamente in nessuno e in ogni luogo, caratterizzato da una pluralità di mondi e pianeti abitabili.

La definizione di un cosmo che riceve la sua peculiarità dall’infinità divina porta con sé un'altra importante critica alla fisica aristotelica, riconoscendo pari dignità a mondo stellare e realtà sublunare, in quanto parti della stessa infinità e opera della stessa mens insita omnibus e perciò espressioni identiche della sua potenza.

L'etica (D)di Bruno si fonda anch'essa sulla base di questa nuova concezione che concerne religione, metafisica e fisica; infatti se l’unità e l’infinità costituiscono il principio primo del mondo, esse devono anche costituire, secondo Bruno, l’aspirazione massima dell’intelletto umano. Quest’aspirazione è collocata al vertice delle virtù ed è raggiungibile attraverso quello che Bruno chiama l’eroico furore, ovvero l’identificarsi dell’uomo con la natura attraverso l’amore e l’accettazione della realtà. In questo modo l’uomo si fa natura e, contemplando dall'interno l'essenza delle cose, riesce con il proprio ingegno, ad assoggettarle a sé e, per mezzo del proprio lavoro, a plasmarle, esaltando così le doti che solo a lui sono concesse. A ben guardare nella filosofia, ma soprattutto nella cosmologia bruniana si ritrovano concetti estremamente innovativi che quindi risultano veramente rivoluzionari e destabilizzanti se considerati nell’ottica del XVI secolo. Basti pensare che l’universo ipotizzato da Bruno è in tutto e per tutto simile a quello delineato dalle conoscenze moderne, tanto che fu oggetto di molte critiche anche da parte di quelli che sono considerati i padri della cosmologia moderna, come Galileo (SB) e Keplero (SB), i quali con i loro mezzi conoscitivi non potevano ipotizzare sulla base di un ragionamento matematicamente rigoroso l’infinità dell’universo o la pluralità dei mondi. Un’opposizione convinta alle nuove teorie cosmologiche fu portata anche dagli esponenti della vecchia cultura aristotelica (ST) e scolastica (ST), ma soprattutto dagli apparati ecclesiastici che vedevano minacciate molte importanti verità di fede; la molteplicità di mondi abitati asserita da Bruno creava pericolose difficoltà dogmatiche che scatenarono la violenta reazione di cattolici e protestanti.
 
 
 

Relatore:
Giulio Brugoni



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LEONARDO: UN GENIO UNIVERSALE
Leonardo (SB) svolge la sua attività a cavallo di due secoli, il ‘400 e il ‘500, e proprio in questo sta la sua peculiarità : gli è infatti spesso riconosciuto il merito di essere colui che, sintetizzando i caratteri della cultura quattrocentesca, ha posto le basi per una nuova impostazione nel Cinquecento, un secolo sconvolto da grandi avvenimenti religiosi e politici (vedi le cause della riforma (ST).

Gli studi di Leonardo affrontano ogni campo dello scibile, dalla scienza alla pittura, all’urbanistica, all’ingegneria, riscontrando in ognuno grande successo : in quello scientifico la sua opera richiama il metodo galileiano (vedi rivoluzione scientifica) (ST), in quello artistico la rivoluzione caravaggesca (SB).

Leonardo interroga tutto: "Io domando", scrive spesso nei suoi quaderni. Ma questa sua grande curiosità è accompagnata da un altrettanto grande desiderio di concretizzare le sue conoscenze: scienza e pratica sono quindi indissolubili: "Quelli che si innamorano della pratica senza la scienza sono come il nocchiero che monta sulla nave senza il timone o la bussola, e non ha mai la certezza di dove va". Da questo punto di vista si possono analizzare i vari schizzi e progetti di Leonardo.
 
 

Importanti furono gli studi di Leonardo riguardo all’urbanistica: durante il periodo della peste a Milano, elaborò un progetto di città ideale, che teneva conto dei problemi e delle esigenze cittadine. Per primo infatti capì la necessità di decentrare la popolazione, che si ritrovava ammassata entro le mura, costretta in lugubri vicoli e abitazioni: nel suo disegno il popolo risiedeva in campagna, mentre ai nobili era riservata la città. Questa aveva una pianta a scacchiera, senza mura, nella quale compariva una rete di canali per lo smaltimento dei rifiuti. C’erano inoltre sopraelevate per il passeggio dei pedoni e scale a chiocciola che collegavano i vari piani.

Oltre all’elaborazione teorica, Leonardo si applicò in Francia nella bonifica di paludi ed acquitrini.

Lo spirito ingegneristico di Leonardo si applicò anche nella creazione di nuove tecnologie: profondamente affascinato dal volo, passò interi anni a costruire macchine per volare che, dapprima simili ad uccelli, diventano pian piano vere e proprie antenate dei nostri aereoplani.

Abbandonata infatti l’idea di azionare queste macchine con la sola forza muscolare, inserì congegni meccanici, dando vita a due diversi progetti: uno in cui l’uomo stava disteso, l’altro in cui era in piedi.

Di Leonardo scrittore invece, troviamo una curiosa testimonianza nelle sue "Favole", una raccolta di brevi componimenti che, mescolando arguzia e dottrina, nascondono un serio ammonimento: la farfalla che attratta dallo splendore del lume si brucia, la scimmia che si innamora dell’uccellino e lo soffoca di baci, l’asino che addormentandosi sul ghiaccio lo fonde e annega, sembrano tutte ricordare la tragedia dell’ignoranza dell’uomo sulle leggi naturali.

L’ASINO E IL GHIACCIO: "Addormentandosi l’asino sopra il diaccio di un profondo lago, il suo calore dissolvè esso diaccio, e l’asino sott’acqua, a mal suo danno, si destò e subito annegò"-(Codice Atl.fol. 67 verso-b).

Grande importanza ha per Leonardo il rapporto tra scienza e arte (vedi naturalismo (D)): partendo infatti da una concezione ancora quattrocentesca, fa della produzione artistica lo specchio della natura, la quale deve essere studiata e indagata a fondo per essere degnamente rappresentata. Da qui la sua dedizione per gli studi di botanica, anatomia e in particolare ottica, dove l’occhio è considerato come tramite tra l’immagine e l’anima.

Per Leonardo: "La pittura è composizione di luci e di tenebre insieme mista con le diverse qualità di tutti i suoi colori semplici e composti" (Trattato). A partire da questo aspetto possono essere analizzati i suoi dipinti: con la tecnica dello sfumato lo spazio acquista una profondità prospettica che egli stesso definisce "aerea", perché condizionata dal filtro dell’aria; luci ed ombre quindi si confondono portando ad un’armonia di forme e ad una perfezione che caratterizzeranno tutta la sua produzione artistica. Per meglio comprendere questi caratteri possiamo prendere in esame alcune tra le più importanti opere.

BATTESIMO DI CRISTO : Il dipinto è opera del Verrocchio, ma Leonardo vi compie il suo primo lavoro disegnando l’angelo che regge la tunica, in basso a sinistra. Già da qui è evidente lo stile che caratterizzerà anche le opere della maturità: la figura di questo angelo, visto di tre quarti da tergo, dinamico in ogni suo aspetto è in netto contrasto con l’impostazione quattrocentesca data dal maestro all’opera, in particolare con la staticità dell’altro angelo che gli sta accanto, disegnato appunto dal Verrocchio.

LA VALLATA DELL’ARNO VERSO PISA (1473):

Dopo essere intervenuto nel "Battesimo di Cristo" del Verrocchio, Leonardo nel 1473 dipinge il famoso "Paesaggio" che viene considerato la sua prima opera completa. E’ un disegno a penna su carta bianca che descrive una vallata (probabilmente quella dell’Arno) dove, partendo da sinistra verso destra, si trova un castello rialzato rispetto ad una pianura, che fa da sfondo e si intravede centralmente al di là di una grande roccia. L’immagine ai nostri occhi appare confusa e sfuocata; secondo Leonardo infatti tra noi e il paesaggio c’è una certa distanza, ed il nostro occhio non è capace di focalizzare tutto, soprattutto a causa dell’atmosfera che si interpone tra noi e ogni singolo oggetto del paesaggio.

Leonardo in quest’opera non si limita ad esprimere semplicemente ciò che vede, ma da agli altri l’impressione che tutto sia vivo, in movimento; egli rafforza la presenza dei fiumi, degli alberi e in generale della natura e rende la vastità spaziale.

Per fare tutto ciò, egli usa la linea in modo discontinuo, con piccoli tratti retti o curvi, accenna i contorni ed individua i singoli oggetti che sembrano quasi in movimento, infrangendo così la tradizione fiorentina.

ANNUNCIAZIONE (1470-80) :

Nell’"Annunciazione" del 1475 ritroviamo la sintesi della ricerca pittorica giovanile di Leonardo. In questa sacra rappresentazione vi sono ancora alcuni elementi comuni all’ambiente fiorentino, come ad esempio il sarcofago di marmo, uguale a quello costruito dal Verrocchio nella sagrestia vecchia di S.Lorenzo, o la collocazione dell’angelo a sinistra rispetto alla Vergine.

Questa scelta è il risultato di uno studio molto accurato (attraverso un esame radiografico si sono evidenziate le varie disposizioni dell’arcangelo scelte dal maestro prima dell’attuale), che indica un’evidente ed estrema attenzione alla ricerca della perfezione.

Proprio quest’ordine ha indotto Leonardo a commettere degli errori prospettici, infatti la posizione del leggio non è in linea con quella della Vergine.

Egli utilizza la prospettiva lineare e scopre quella cromatica e quella aerea: i colori diminuiscono d’intensità e i volumi sono meno delineati via via che si allontanano, poiché tra loro e il nostro occhio si va ad interporre l’aria in spessore sempre maggiore. Inoltre Leonardo sceglie una luce crepuscolare in modo da ammorbidire i volumi, attenuando e smorzando la loro staticità e rigidezza.

Tutta la scena si svolge in un ambiente colmo di tranquillità, dominato dalla ragione, circondato dalla natura, di fronte ad una villa del tardo ‘400. Tutto ci dà l’impressione che sia animato: le piante e i fiori sembrano vivere e le ali dell’arcangelo sono semiaperte, in una atmosfera di movimento.

In questo modo Leonardo studia attentamente i suoi personaggi e rende perfettamente evidente il loro stato d’animo di fronte all’osservatore.

IL CENACOLO (1495-97):

Considerando gli attimi dopo che Gesù disse: "uno di voi mi tradirà", Leonardo riesce ad esprimere nel volto dei dodici apostoli tutto lo stupore di quell’affermazione, a partire da Giuda che, appoggiandosi alla tavola con un gomito, fissa Gesù. La disposizione dei tredici uomini non è casuale, infatti mentre gli apostoli sono disposti in gruppi di tre, formando delle piramidi concatenate tra loro, Gesù è al centro distaccato da essi, perché egli è solo nel momento del sacrificio supremo: tiene la braccia larghe in segno di dedizione ed è illuminato non solo da sinistra ma anche dal fondo in modo tale da accentuare la divinità e ammorbidire le forme.

In questa rappresentazione è stata usata la prospettiva lineare, che viene rigorosamente rispettata all’interno della mensa ma che perde il suo significato al di là delle finestre nella parete che fa da sfondo, dove si staglia una pianura ed un cielo che sembrano infiniti.

SANT’ANNA... :

Durante il suo secondo soggiorno fiorentino (1503-06) Leonardo espone nel chiostro dell’Annunziata un cartone di Sant’Anna, la Madonna, il Bambino e San Giovannino che precede il dipinto meno classico ed avvolgente di Sant’Anna, la Madonna, il Bambino e l’agnello, improntato da una inquietudine dinamica, data da vettori sfuggenti e contrapposizioni plastiche. animazione (292 KB)

L’equilibrio fisico dell’immagine è dato da tre principali punti disposti a triangolo: il piede sinistro della Madonna e i due piedi di Sant’Anna, sorretti dalla testa della santa che fa loro da perno.

È proprio il volto di Sant’Anna a rendere l’opera suggestiva: il suo sorriso esprime perfettamente il rapporto d’amore tra l’uomo e la natura, l’espressione sembra interpretare lo stato d’animo dell’artista che dopo innumerevoli sforzi riesce a dominare la natura e per questo si sente realizzato.

LA GIOCONDA (1513-16):

Senz’altro uno dei capolavori più importanti di tutta la pittura è "la dama al balcone", che venne eseguita da Leonardo a Roma, sotto commissione di Giuliano de Medici, e di cui non abbiamo alcuno studio preparatorio. Celebrata da Vasari come ritratto di Monna Lisa Gherardini, moglie del fiorentino Francesco del Giocondo, la Gioconda si trova in una posizione elevata rispetto allo sfondo, costituito da un vasto paesaggio deserto, nel quale la donna si trova in perfetta armonia. Il fatto che soggetto e paesaggio siano un’unità totale sta ad indicare che l’uomo fa parte della natura senza urti né contrapposizioni.

Nell’opera possiamo ben notare come Monna Lisa domini a livello fisico sul paesaggio naturale, ma nonostante tutto viene avvolta dalla natura stessa. Apparentemente il soggetto sembra avere una struttura semplice, in realtà se analizziamo il suo impianto compositivo notiamo che è molto complesso: il busto, le braccia e la testa della dama ruotano secondo diverse direzioni di movimento, infrangendo impercettibilmente le leggi della simmetria. In questo modo Leonardo coglie al meglio la mobilità, rendendo l’immagine più possibile viva ed animata.

Anche il volto della dama ha una complessità fisica notevole, che ci permette di vedere il viso per tre quarti e inoltre, attraverso la sua espressione, di penetrare la sua psicologia. Nel volto il movimento è accentuato agli occhi dell’osservatore dal fatto che l’espressione non è fissata in maniera definitiva e quindi sembra essere mutevole.

In questo caso Leonardo utilizza la tecnica dello sfumato, che lascia alle forme un margine indeterminato accentuando la mobilità espressiva del soggetto. Con questa tecnica il disegno non è più al centro della nostra attenzione, ma ciò che ci colpisce sono i suggestivi trapassi chiaroscurali che rendono il tutto non definito, ma solamente percepito: torna così di nuovo il concetto di infinito.

Relatrici:
Conti Francesca, Vannini Arianna
 

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http://www.levity.com/alchemy/sonetti.html

SEI SONETTI ALCHEMICI DA UN CODICE DELLA BIBLIOTECA LAURENZIANA
 

I seguenti 6 sonetti, di epoca medievale, tratti dal codice Riccardiano N. 946 della Biblioteca Laurenziana di Firenze, furono pubblicati per la prima volta nel 1930 in un opuscolo a cura di M Mazzoni dal titolo Sonetti alchemici-Ermetici di Frate Elia e Cecco D’Ascoli, edito dalla Società Editrice Toscana.
La pubblicazione, venne ristampata, per quel che ne sappiamo, una sola volta, nel 1955 dalla Athanor.
Per esplicita ammissione del curatore , che senza addurre particolari motivazioni si dice convinto della attribuzione dei sonetti in questione a Frate Elia da Cortona, non vi sono né indicazioni né prove documentali che possano darci precise indicazioni sull’autore o sugli autori di questi sei sonetti. Nella pubblicazione manca inoltre qualsiasi informazione codicologica sul codice in questione.
Dall’opuscolo curato dal Mazzoni, ed ormai introvabile, trascrivo questi sei bei sonetti di argomento alchimistico. Ad ogni sonetto è aggiunta una versione in prosa in inglese.

The following six medieval sonnets, taken from Codex Riccardianus N. 946 available in the Biblioteca Laurenziana in Florence, were published for the first time in 1930 in a pamphlet edited by M. Mazzoni, bearing the title Sonetti Alchemici - Ermetici di Frate Elia e Cecco D’Ascoli, published by Società Editrice Toscana.
The pamphlet was reprinted, for all we know, only once in 1955 by Atanor (an Italian publishing house).
On the basis of an explicit statement by the editor, which, without any motivation, attributes the authorship to Frate Elia da Cortona, there is no evidence and no document which can validate this attribution. In the pamphlet, there is no paleographic information on that codex.
I extracted from that pamphlet, at present unavailable, these interesting sonnets about alchemical science. Every sonnet is available in an English version too.

By Massimo Marra
English versions by Carlo Borriello
 
 

- 1 -

Voi pellegrini che andate in romitaso
cercando la scientia excelente,
la vostra serva va con lui in viaggio
monaco bianco pare a chi non sente ;
Ma lo re dell’universo spatio
di sciamito d’oro veste la sua gente
chollui si scontrò e folle e saggio ;
colerico bianco fa el suo sergente
Et è così benigno a chi l’uccide
che gli fa lume nella casa oscura
e di tristesa fallo ingiovanire.
Chi fa questo è di grande ardire :
Non altro che colui dal quarto cerchio
posto in lo inferno sotto il so martire.
 
 
 

ENGLISH:

O ye pilgrims
going to hermitage,
in search of the excellent science,
your servant travels with it:
she looks like a white monk
to the unheeding ones.
But the King of the universal space,
he dresses his folk with golden drapes
and, mad and wise, he fought against it;
he makes his sergeant angrily white
and he is so good to the one killing him
that he lightens the dark house and,
with sadness, he makes him young again.
The man who does this is very bold: like
the one in the fourth circle of the hell,
martyr under the soil.
 

- 2 -

Io son la vera luce a diradare
del sommo archimia ogni rustico e sodo
animo, son colui che senza frodo
dell’arte mostro ciò che si può fare.
Io son colui che chi mi vuol usare
da povertà lo spicho e da suo nodo
co l’arte, colla regola e col modo
col suo bel fine, col suo coequare
Corpo disfò e poi rifò un corpo
rimosso da materia, e dogli forma
sempre sguardando al velenoso scorpo
Traggo da sua materia e metto in forma
[manca un verso]
coagolando con fuoco e con norma.
Giammai non si disforma
dal tuo intelletto, se ben hai inteso
per questi versi quel che ti paleso.
 
 

ENGLISH:

I am the true light of the supreme alchemy,
I dissipate the darkness
engulfing unrefined souls,
I am the one that truly
shows what men can do with the art.
I am the one that takes out
from poverty and restraints
the men who want to use me.
with the art, the rule and the way,
with its righteous aim, with his cooking,
I dissolve the body, then I remake it,
free from its matter, and then I model it,
always bearing in mind the poisonous purpose.
I take out from its matter and I give form
[missing line]
coagulating with fire and with rule.
If you understood well what I’ve just explained to you,
you would never forget it.
 
 

- 3 -

Geber
Quest’è la pietra magna benedetta
la qual tractò Ermete et Gratiano,
Elit, Rosir, Pandolfo e Ortolano,
Pictagora con tutta la sua secta.
Questa non si concede a gentilesa
né a bellesa, né a esser humano,
di questo ogni pensiero torna vano
a chi per sua virtù la gratia aspetta.
Di gratia speciale, da Dio recetta
basse vivande, vivere mesano,
sua residensa sta in piccole tetta
De’ tu che miri la figura picta
riman contento, e bastite sapere
quanto el balestro la saecta gitta.
E nello amore di Dio sta felice
e non voler saper quel che non lice !
 
 
 

ENGLISH:

This is the great, blessed stone
about which spoke Hermes and Gratianus,
Elit, Rosir, Pandolphus and Hortolanus,
and Pythagoras with all his sect.
It does not give in to neither kindness,
nor beauty, nor human being;
if a men waits for its grace,
he doth hope in vain.
This special grace, coming from God,
is: eating simple food and leading a simple life,
because it dwells in a little house.
O you looking at the painted symbol,
stay happy and content yourself to know
how far your arrow can go.
Be happy in God’s love,
and do not try to know what you have not to know !
 

- 4 -

Questa è la pietra che si va cercando
dagli alchimisti per ogni sentiero
da color che hanno l’animo sincero,
ma non da quei che vanno sofisticando.
A tutti quanti loro vò dare bando,
però che sono tutti ingannatori,
e non cognoscono e loro errori ;
per tutto el mondo vanno trapolando
Di solfo e di mercurio farò, quando
io vorrò, tutto l’arte a punto ;
e co’ l’arsenico, ch’è il terzo congiunto,
col sale armoniaco imbeverando
farò di tutti quanti un congiunto,
putrefaciendo e poi lor calcinando :
E fassi un corpo, et è Elisir perfetto ;
dicoti el vero, per Dio benedetto !
 
 
 

ENGLISH:

This is the stone
the alchemists are looking for,
following every path;
but only the ones with a sincere soul,
not the sophistic ones.
I want to ban the latter,
because they are all deceivers
and they do not know their mistakes;
setting traps, they go everywhere.
Using sulphur and mercury, I practise the art
every time I want.
And with the arsenic, the third,
soaking them with the harmoniac salt,
I will make them one,
making them rot and then calcining them.
And lo! A body creates itself: the perfect elixir;
I speak the truth, God be blessed!
 
 

- 5 -

O alchimisti ingrati, incredula gente
più che non fu Thomaso nella fede
andate sofisticando e nessuno crede
la verità mostrata a voi presente.
Al petto vostro recate la mente,
ché, come dice Cristo, più beato
sarà colui che non arà tocato
col dito la ferita tanto ulenta.
Quest’è la pietra ch’è tanto lucente
La qual trattò la gran Turba magna,
e dimostrasi a ciascuno intendente ;
la bella Rosa tratta certamente
delle scritture di quella compagna,
la qual parlò sì scuro a ogni gente.
El sole colla luna intendi il mio parlare
E col nostro mercurio seguitare.
 
 

ENGLISH:

O ye ungrateful alchemists, more doubtful
than Thomas, you use sophisms but nobody
believes in the truth you are showing,
even if it is before you.
Bring your mind to the heart, because, as Christ says,
more blessed will be the one who will not touch
with his finger the grievous wound.
This is the stone so shining
about wich spoke the great Turba,
showing itself to the wise.
Surely the pretty Rose deals
with the writings of that companion,
if speaking in an obscure manner to everyone.
Join the sun with the moon,
understand my words and
continue with our mercury.
 

- 6 -

Intendi e nota ben quel ch’io ti dico ;
l’anima non entra se non col suo corpo
là donde ell’è cavata, senza corpo ;
questa è la verità o caro amico.
Se un altro congiugni al suo nimico,
lavori invano e perdi el tempo tuo,
però che l’altro non è fratello suo
e l’opera tua non varrà un fico.
Ma quando si congiugne col suo amico
e tutti due fanno conjuntione
nel ventre del lione a te saputo,
alora ti puoi tocare sotto al belico
e dire : i’ son ,maestro certamente
e nessun altro vale un lombrico.
Sarà Elisir perfetto in fede mia,
e potrai combattere la Saracinia
 
 
 

ENGLISH:

Understand and pay attention to what I say to you:
The soul does not join but with its body,
when it is extracted without body;
this is the truth, o dear friend!
If you join an element with its enemy,
you are striving in vain,
you waste your time,
because the other is not its brother,
and so your work is not worth a brass farthing.
But when it joins with its friend,
they unite themselves
in the lion’s womb that you know.
Then you can touch yourself under the navel
and you can say: "Of course I am a master and nobody else is worth a worm!"
This I swear: you could get the perfect Elixir and
so you could fight the Muslims.



http://www.levity.com/alchemy/isabella.html
Introduzione ai Secreti di Isabella Cortese
a cura di Massimo Marra

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INTRODUZIONE AI SECRETI DI ISABELLA CORTESE
a cura di Massimo Marra

Una vasta e dimenticata produzione, quella alchimistica italiana che, tra il XVI ed il XVII sec. rinveniamo in una serie di opere a stampa, spesso neanche repertoriate nelle bibliografie internazionali.
Il libro della Cortese, per la molteplicità di edizioni note, è ben conosciuto, eppure relegato nel limbo di una produzione considerata minore, del cui valore sarebbe forse il caso di operare una rivalutazione.
Tra le poche donne alchimiste di cui sono note opere a stampa, in Italia, il caso di Isabella Cortese è emblematico. I suoi Secreti ebbero diverse ristampe, e conobbero diffusione indubbiamente maggiore, ad esempio, di quelli di un’altra alchimista italiana coeva, Floriana Canale (autrice, tra l’altro, anche di un raro trattato sugli esorcismi e gli scongiuri) o della traduzione del libro di Marie Meurdrac (La Chimica caritatevole e facile in favor delle Dame… Venetia 1682).
Già dal titolo, al contrario del libro della Meurdrac, il testo della Cortese non presenta una alchimia "…facile in favor delle dame" , ma si presenta tout-court come raccolta di Secreti, mutuando toni e tematiche dalla più criptica tradizione alchemica.
Nel recensire l’opera di cui ci occupiamo, John Ferguson annotava nella sua Bibliotheca Chemica ( 1906) " The authoress is called Cortesa, Cortese, Cortesi, but I have not met with any account of here". A distanza di oltre 90 anni non possiamo aggiungere nulla in merito a quanto annotato da Ferguson, poiché, a tutt’oggi, non abbiamo notizie di sorta di Isabella Cortese. Sappiamo che i Secreti , unica opera nota dell’autrice, conobbero ampia e duratura diffusione , dal momento che ci sono note dodici edizioni veneziane, stampate tra il 1561 ed il 1677, di cui solo cinque citate da Ferguson. Quest’ultimo annota anche l’esistenza di una traduzione tedesca (Verborgene heimliche Kunste und Wunderwerke in der Alchymie, Medicin und Chyrurgia Hamburg 1592, 1596 e Frankfurt 1596).
Ma la diffusione dei Secreti dovette essere capillare al di là delle eventuali traduzioni, poiché troviamo una lusinghiera citazione del libro nell’introduzione alle Douze Clefs de Philosophie de frere Basile Valentin…, l’edizione francese delle Dodici chiavi, edita nel 1660 da da Pierre Moet, e basata, come nota Eugene Canseliet nell’introduzione alla sua traduzione delle Dodici Chiavi, su di una precedente edizione del 1624, che il Moet riproduce integralmente semplicemente sostituendo la propria insegna a quella del precedente editore. Proprio nella prefazione aggiunta dall’editore Pierre Moet, e dedicata a quel famoso Digby (1603-1665) che fu alchimista, filosofo, viaggiatore, cancelliere alla corte inglese, corsaro e, probabilmente, spia, troviamo citato il testo della Cortese. Leggiamo infatti nell’introduzione del Moet " ….ay veu un livre Italien d’une Damoiselle qui s’appelle Dona Isabella Cortesi, qui a fait des vers in sa langue si bien faits, que je ne le puis oublier à vous les reciter en ce lieu……". Il Moet riporta i due sonetti tratti dall’opera della Cortese con notevoli errori di trascrizione, ma mostra comunque di apprezzare e conoscere l’opera.
Come molte opere pubblicate in Italia tra la seconda metà del ‘500 e tutto il XVII secolo, il libro, e per lo più occupato da una collezione di ricette e di rimedi per una immensa varietà di impieghi terapeutici e cosmetici, mescolati a ricette di alchimia minerale e metallica. Senza soluzione di continuità, troveremo nell’opera un continuo saltellare tra una ricetta per fabbricare l’oro, una per far drizzare il membro maschile ed una per rendere la pelle femminile bianca e vellutata. Analoga impostazione, del resto, troviamo in molti libri alchemici del periodo (basti pensare, un titolo fra tutti, ai Secreti di Don Alessio Piemontese, al secolo l’erudito e letterato Girolamo Ruscelli, con oltre una dozzina di edizioni in italiano e quasi una cinquantina di edizioni in latino, tedesco, francese ed inglese, oppure alle opere di Domenico Auda). Una tale forma non deve però portarci a considerare con sufficienza il contenuto ermetico e simbolico delle opere, che spesso, confuse tra parti di contenuto metallurgico, cosmetico e farmaceutico, contengono esposizioni ermetiche e simboliche di originale fattura o direttamente mutuate ed adattate da testi classici di taglio filosofico ed ermetico. Sono proprio queste parti che, talvolta poste in apertura dell’opera, testimoniano, da parte degli autori, una precisa consapevolezza degli aspetti iniziatici della scienza di cui essi trattano. D’altronde è fuor di dubbio che è proprio il carattere di ricettari, di raccolta di secreti , a costituire il nocciolo del successo di tali libri, che stimolano il mercato sempre fiorente di speziali, medici, "soffiatori" e curiosi. Basta viceversa dare una rapida occhiata ai dati di pubblicazione delle opere in volgare (create quindi per un pubblico più vasto e non necessariamente di cultura accademica) per rendersi conto di come opere di taglio più scopertamente e dichiaratamente ermetico e simbolico, abbiano avuto ristampe ed impressioni assai meno frequenti.
D’altro canto, se il carattere di ricettari determinò in buona parte il successo presso i contemporanei, nel contempo determinò il pressoché totale stato di oblio presso i posteri. Questi, relegarono frettolosamente opere di taglio simile nel regno dell’infanzia della scienza, consegnandole ad un non meritato oblio.
Anche gli studi moderni sono, in merito al recupero di questo patrimonio testuale e storico, abbastanza avari.
In particolare, non siamo a conoscenza di alcuna riedizione moderna, né di alcuna citazione significativa del testo di Isabella Cortese, né tantomeno di alcun approfondimento critico od indagine storica in merito a questa alchimista.
Nel testo di Isabella Cortese troviamo una serie di topoi cari alla letteratura ermetico-alchemica, ed un esempio tipico può essere, tra gli estratti che presentiamo in questa sede, l’apertura del secondo capitolo, in cui l’autrice proclama l’amara delusione maturata in trent’anni di fallimenti, e la propria avversione per le trappole dell’oscuro linguaggio alchemico (che tuttavia adopererà con dovizia crittografica e mano esperta). Secondo questo topos sono proprio le drammatiche esperienze di fallimento e le avversità subite a spingere l’autrice alla piana (si fa per dire) e caritatevole esposizione che sta per prendere avvio. Analoghe considerazioni e dichiarazioni le troviamo in Flamel, nell’anonimo estensore della Lettera attribuita al Pontano, nel Sendivogio, in Bernardo Trevisano, e, secoli dopo, in apertura dell’Hermes Devoilé di Cyliani. L’alchimista che presenta il suo carico personale di peripezie e traversie, unitamente alla riprovazione per i sofismi e l’oscurità dei testi dei filosofi ed alchimisti precedenti ed accreditati, costituiscono una formula fissa che e tradizionale con cui gli alchimisti legittimano spesso la propria esposizione dottrinaria.
Altra formula fissa è quella dei consigli, autorevoli proprio in virtù delle peripezie attraversate, qui presentati nell’altrettanto tradizionale forma di decalogo.
Altro topos assai riconoscibile è poi quello del viandante (morto o comunque scomparso nel nulla) che lascia libri, lettere o carte illuminanti dietro di sé. Incontriamo questa topica in apertura del passo della Cortese sulla Pratica di Prete Benedetto da Vienna, che risulta indirizzata ad uno Stanislao di Cracovia.

I brani che presentiamo in questa sede sono scelti tra quelli che più esulano dall’impostazione del nudo e semplice ricettario, presentando, anche nella composizione di una semplice ricetta, precipitati simbolici e filosofici che rivelano la sicura consapevolezza del contenuto tradizionale della scienza alchemica.
Si è scelto di evitare il rimaneggiamento in linguaggio moderno del testo, alleggerendo unicamente la punteggiatura, riportando all’uso moderno l’accentazione ed operando pochi altri rimaneggiamenti su alcune forme lessicali arcaiche. Ciò al fine di alleggerire l’approccio al testo per il lettore moderno.
Sono state lasciate intatte le abbreviazioni alchimistiche di consueto utilizzo, altre su cui l’interpretazione è incerta sono state riprodotte in una forma il più possibile vicina all’originale. In particolare ricordiamo che il segno  è il segno dell’oncia, se seguito da una s. (s.) significa semioncia (la metà dell’oncia). L’abbreviazione lib. sta invece per libbra . Con iij. è stata invece resa una abbreviazione (di peso) di incerta interpretazione assai usata dalla Cortese.
Intatto è stato anche lasciato l’utilizzo del simbolismo alchemico planetario, che talvolta compare nel testo
Se qualcuno tra i lettori avesse notizie ulteriori inerenti il testo o l’autrice, è pregato di contattare l’Alchemy Web Site.

Massimo Marra
 
 

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DE GLI SECRETI
DELLA SIGNORA ISABELLA CORTESE

Opere di Canfora

estratto dal
Libro secondo

Particolare di Chirico abbate di Colonia.

Capitolo 1

Dico a te Fratel carissimo, che se vuoi seguir l’arte dell’Alchimia et in quella operare, non bisogna che più segui le opere di Geber, né di Raimondo, né di Arnaldo o dì altri Filosofi, perché non hanno detta verità alcuna ne i libri loro, se non con figure et enigmati, con sincopi. Dice Geber Recipe lapidem in capillis notum. Io l’ho letto e riletto, e non trovo se non favole, e ciance ; e Raimondo dice nella sua epistola accuratoria : Recipe Nigrum nigro nigrius e quell’altro dice Ascende in monte altiorem huius mundi et ibi inveniens lapidem absconsium. Un altro dice Plumbum Nigrum aes nostrum, magnesia nostra e molte altre pazzie, che sarebbe lungo a narrarle, le quali fanno perdere il tempo e li denari. Et ho studiato in tali libri più di trenta anni, e mai non ho trovato cosa alcuna buona, et ho consumato il tempo e persa quasi la vita mia e li denari. Ma per la misericordia di Dio ho ritrovato un particolare buono e vero, e certo fatto per me, qual m’ha ristaurato non solamente nella robba, ma nell’honore e nella vita. E perché, chiarissimo fratello, so che hai perso molto tempo e consumato la robba, ho avuto compassione di te, e però ti priego non perdere più il tempo attorno di questi libri de’ Filosofi, ma segui quel che ti scrivo ; e non levare né scemare cosa alcuna, ma farai quel che ti dico e scrivo, e segui gli infrascritti commandamenti miei, e Dio ti darà la sua gratia. Il primo precetto si è che non lavori mai con alcun Gran Maestro, acciò, facendo l’opra buona, non habbi mal fine la vita tua.

Il secondo che tu facci fare quei vasi di terra e di vetro che ti scrivo, che siano forti e ben fatti, acciò non si perda la medicina per diffetto delli vasi debili.
Il terzo ch’ impari a conoscere tutti i materiali e metalli, perché se ne fanno di sofistici, e non vagliono nulla.
Il quarto ch’avvertischi bene non dare troppo fuoco, né manco del dovere, ma proprio come ti scrivo, acciò non falli.
Il quinto, ch’abbi un paio de mantici a tua posta, et altre cose necessarie, acciò non vada per le mani del volgo.
Il sesto che se alcun ti domanda di alcuna cosa di quest’arte, fingi di non intendere, e mai non lassar entrar alcun dove lavori.
Il settimo che ben impari a conoscere i metalli, massimamente oro e argento, e non gli mettere in opera mai se prima non sono ben depurati, per tua mano, di copella e di cemento.
L’ottavo, che non insegni questa arte ad alcuno, perché il revelar de secreti fa perdere l’efficacia.
Il nono, ch’abbi un servitore fedele, e secreto, e buono d’anima, che stia innanzi alla tua persona, e mai non lo lassar solo.
Il decimo et ultimo commandamento è che quando haverai compiuta l’opera tua, habbi ad amare Dio glorioso, e che facci delle elemosine, e facci bene alli poveri, e pregoti che osservi bene questi dieci commandamenti, acciò possi pervenire a buon fine della tua fatica.
Fratel carissimo, tre cose scrivo che sono principij delle cose naturali secondo il filosofo, cioè materia, forma e privatione. E per tanto noi faremo questa nostra medicina di tre cose naturali, cioè materia, forma e privatione, che sono corpo, anima e spirito. Per materia, s’intende il corpo, per la forma s’intende l’anima, per la privatione s’intende lo spirito. Perché, secondo che per la privatione si fa ogni generatione e corrutione, così mediante lo spirito si fa l’unione, e si compone del corpo e dell’anima, e questo vediamo nell’huomo. Adunque, come haverete questi tre principi naturali, haverete la discussione del particolare, tal che non potrete fallire, e questa è la vera via naturale e buona. Adunque nel nome di Dio glorioso cominceremo a far il corpo, sì come fece Dio eterno, che fece il primo huomo Adam, e prima fé il corpo de limo terre, dapoi l’organizzò de spirito animale et sensibile, dapoi gli infuse l’anima rationale, la quale è il compimento del tutto ; così faremo noi questo nostro particolare.
Primo per far il corpo, faremo una terra spirituale, laquale col nostro magistero faremo fissa, e questo è necessario, perché come la terra mediante il moto del cielo produce tutti i frutti, così la terra nostra mediante lo spirito e l’anima haverà a fruttificare, e pertanto ben dice Hermes: la terra è nutrice et è humida, e sappi che i Philosophi non hanno voluto rivelare questa tal terra qual essa si sia , se non con parole oscure, et è terra nostra pura, senza tenebrosità. E però bisogna che questa terra sia senza alcuna superfluità, però è trasparente, e purissima, altrimenti non potria ricevere lo spirito e manco l’anima, e non bisogna che la terra di che si fa il corpo sia di natura d’anima, né di spirito, perché non sarebbero tre cose distinte, delle quali poi si fa una cosa, come vediamo nell’huomo, che’l corpo è d’una sostanza della quale non è l’anima né lo spirito. Nondimeno per l’union loro si fa una cosa.
Hora ti voglio nominare per nome questa santa terra, laquale nessun Filosofo ha voluto rivelare, anzi più presto l’hanno cancellata dalli lor libri, e sappi che questa terra si domanda Canfora, che è quella che si vende vuolgarmente.
E sappi che in quella ci sono gran secreti, che per sua freddezza è attissima a congelare in sé lo spirito e l’anima, perché la congelatione procede dal freddo, e la solutione procede dal caldo. E perché la Canfora è spirituale e brugia come fa il zolfo, però la chiamano zolfo de Filosofi e non volgare. Et è dibisogno che per artificio si faccia fissa in questo modo. Fissare Canfora:
Habbi buona acqua de vita senza flemma, e per ogni libra metti oncie iij. di canfora della più trasparente e buona che si truovi, laquale pesterai, e quando la vorruai pestare, pesta alquante mandole dolce prima nel mortaio, e poi pesta la canfora, laquale metterai nella detta acqua di vita in un orinale, e distillerai per cenere l’acqua, et un’altra fiata ritornerai la detta acqua sopra la detta Canfora per sette volte, e sarà fissa.
Perché gli spiriti dell’acqua vita entrano per tutto e fissano la Canfora, che più non bruciarà né sollimerà, né esalarà e così haverai il corpo ben preparato. Servalo a parte benissimo, e perché l’anima da sé non opera senza il corpo, ha bisogno di un corpo. E come l’anima dell’huomo non è quella che opera manco il corpo, ma il composito mediante lo spirito, così questo nostro spirito non ha frutto senza l’anima, e l’anima senza il corpo, però mediante lo spirito qual’ è sostanza mezana, argento vivo, senza cosa strania, cioè:
Piglia libbre iij. d’argento vivo minerale, che non sia né di piombo né di stagno, e farai fare un vaso di terra ben cotto, cioè due volte, e quando serà cotto la prima volta fallo invitriare tutto eccetto il fondo, quale ungerai con il grasso di porco, e non si invitriarà, e ciò farrai acciò la parte terrestre dell’argento vivo s’attachi nel fondo del vaso, che se fosse invitriato non s’attaccherebbe, e non preterire questo, e farai fare questo vaso longo un buon piede a modo di un orinale, ch’abbia un pippio nella sommità, com’è disegnato in fine di questo trattato, et habbi un forno fatto a posta. Che questo vaso vada murato dentro, nel fornello, e metti su il vaso col buon capello grande col suo recipiente, senza lutare, e dagli fuoco de carboni, tanto che l’vaso sia tutto infuocato e ben rosso.
Allhora cava fuori il fuoco, e presto metti su il mercurio per quel pippio e serra ben il pippio con luto et allhora l’argento vivo per la fortezza del caldo che truova così repentino si corromperà e dileguarà, e parte verrà in acqua, cioè alquante gocciole, e parte se n’attaccherà al fondo del vaso in terra nera, e lasserai raffreddare il vaso, e poi aprilo, e troverai l’argento vivo tutto nero, quale cava fuori e ben lavalo. E così lava il vaso e nettalo molto bene, e l’acqua distillata metti da banda o buttala via, che non val niente, che è tutta flemma, et un'altra volta metterai il vaso nel fornello, e infuocalo come prima. Poi butta su l’argento vivo e serra ben il pippio, e fa come la prima volta, e ciò farai tante volte che più non diventi nero, e ciò farai in dieci o undici volte, allhora cavalo fuori e troverai il tuo argento vivo senza flemma e senza terra perché ha queste due qualità grosse et infime, però è necessario separarle come i nemici della natura, e restora l’argento vivo puro in colore celestino in modo d’azzurro, il quale sarà questo segno.
Prendi un ferro et infuocalo, poi estinguilo in questo argento vivo, e diverrà bianco e dolce come argento fino, allhora mettilo in una ritorta di vetro fra capelli, che non tocchi il fondo né la sponda delli capelli, e li darai buon fuoco, di sotto, e con cenere calda di sopra il capello, accioché tenga meglio il fuoco, et in quaranta hore si distillarà l’argento vivo in forma d’acqua viscosa che non bagna la mano né cosa alcuna se non il metallo. E questa è l’acqua vita de Filosofi vera, spirito desiderato da tutti i Filosofi e dicesi sostanza mezzana dell' argento vivo, e molti altri nomi, senza cosa estranea e senza corrosivi.
Serba quest’acqua preziosa occulta da tutti i Filosofi senza laquale non si può fare nessuna buona opera, e lassa andare tutte le altre cose, e tieni questa, e ciascuno che vedrà quest’acqua, s’haverà qualche pratica si tenerà a questa, perché è pretiosa e vale un thesoro, si che lauda Dio in tal thesoro donato, il qual sia donato da tutto il mondo sempre mai.
Resta hora a fare l’anima, laqual è perfettione di tutto, senza laquale non si può far né vero oro né argento. Certo è che con il spirito si può fare cosa apparente e bella, ma non vera né perfetta, et dicono i Filosofi che l’anima è la sostanza che sostiene e conserva i corpi e fagli perfetti mentre che v’è dentro, adunque è necessario al nostro corpo una anima; perché altramente il corpo non si muoverebbe né operarebbe. E però sappi che tutti i metalli sono composti di mercurio e zolfo, cioè di materia e forma. Il mercurio è la materia et il zolfo è la forma, secondo la purità et l’impurità del mercurio e dello zolfo, mediante l’influenza che pigliano. E per questo l’oro è generato di argento purissimo e zolfo rosso è puro mediante il Sole, e però è il più perfetto metallo di tutti e l’argento è fatto di  e di zolfo bianco, mediante l’influenza della Luna, e però è più perfetta degli altri cinque, e non habbiam bisogno se non di zolfo con l’influenza del Sole, overo della Luna. Il qual zolfo è forma et anima dei metalli, et il resto è materia grossa dell’argento vivo.
I contadini sanno più di noi, tal hora, perché quando cogliono il formento nato nella terra, lo raccoglieno colla sua paglia e spiche; la paglia e le spiche sono la materia, et il grano si è la forma e l’anima, e quando vogliono seminare il grano non seminano la materia, cioè la paglia, ma il grano, che è la forma, onde bisogna che ancora noi volendo seminare oro o argento bisogna seminare la sua semenza e forma, e non la sua materia, e però bisogna fare la sua forma et anima in questo modo con l’aiuto di Dio, cioè: farai un sollimato buono e trasparente, cioè sette volte sollimato, e l’ultima volta il sollimarai con cinaprio e senza vitriolo, e piglierai una certa quinta essenza del zolfo che è nel cinaprio, poi piglia i. d’argento finissimo coppellato e limalo sottilmente. Poi piglia iij. del detto sollimato e mettilo a sollimare con la detta limatura in una boccia per sedici hore, e lassa raffreddare, e trita ogni cosa insieme, e un’altra volta sollima. Così farai quattro volte, e nella quarta si farà una certa rotella al modo d’ una materia di ragia bianca trasparente com’una perla orientale, la quale peserà circa dramme s. et il sollimato starà attaccato alle sponde del vaso, et in fondo sarà a modo d’una caligine laquale è la corrutione dell’argento.
Prendi questa rotella e dissolvila in aceto fortissimo distillato, perché si dissolverà in due o tre volte, mettendo in un orinale in bagno per tre dì, e così metti da canto, e di nuovo rimetti dell’altro aceto distillato, fin che tutta sia dissoluta, poi distilla per feltro, e quel che rimane nel vaso serva, perché è buono per imbianchir il rame finissimo. E quello che è passato per feltro con l’aceto metti alle ceneri, cava l’humidità a fuoco lento e levarai l’aceto, poi metti al sole e diventarà bianchissimo, com’una farina d’amito, e questo sarà la forma dell’argento, overo zolfo, il quale peserà quasi un quarto d’oncia, più tosto più che meno, e questa passerai per lambicco, con acqua vita, ma non bisogna perché questa materia è opera spirituale.
Serbala adunque benissimo, della quale si potriano dir cose grandi, e speculative, ma ciò lassarò al tuo ingegno.
Piglia co’l nome di Dio un orinale alto mezzo piede , e togli del corpo fisso s. et un quarto d’anima d’argento, overo d’oro, secondo il tuo volere e dello spirito, iij. mettendo ogni cosa nell’orinale come t’ho detto, e metti su il suo lambicco con il suo recipiente ben serrati, e li distillerai l’acqua da dosso, con lentissimo fuoco, e si distillerà la prima volta quasi iij., rimetti un’altra volta l’acqua senza muover l’orinale, et un’altra volta distilla finché più non distillerà; e ciò serà fatto alle sei, overo alle sette volte, et ogni cosa serà fissa, poi metterai il detto orinale nel letame cavallino per sette dì e tutto diventerà acqua, per virtù della sua sottilità, laquale distillerai per feltro con lingua di panno finissimo e sottile, e parte del corpo resterà nel fondo per la sua grossezza che non val niente. E tutto quel che serà passato per feltro, congela, che sarà circa iij.s. e così solvi e congela tre volte poi fondi x. d’argento fino coppellato, e quando sarà fuso metti su, i di questa medicina, e diventerà tutta medicina.
Similmente fondi borace, cera, e della detta medicina ana,  i. e metti tutto questo sopra libbre iij. d’argento vivo o sopra che corpo tu vorrai, e sarà argento vivissimo, ad ogni giudicio, e così si farà dell’oro.
E così è finito questo particolare, il quale si può fare in quaranta giorni a chi ha buona pratica, e sa ben sollecitare l’opera, ringraziato sia Iddio.
 
 

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Pratica di Prete Benedetto da Vienna

In Olmuz, un viandante m’alloggiò in casa, e per sua mala ventura infermò, e non poté pervenire a Cracovia, dove era mandato, che di quella infermità si morì in casa mia, e lasciò le littere che portava, lequali io aprì, et eran così scritte.

"Al discreto et erudito huomo Stanislao, moderatore del collegio de scolari. In Cracovia amico carissimo.
Sempre dopo che mi partì da voi ho avuto nell’animo la dolce et amorevole vasta conversazione, e mettendomi a lavorare, come è piaciuto a chi può far ogni cosa, io son pervenuto alla cognizione della verità dell’arte nostra, e per l’amore che vi porto ho voluto per il presente messo mandato a posta, significarvi et avisarvi della allegrezza mia, facendovi partecipe di quella, che tutto l’ordine et il progresso haverete nelle presenti mie lettere.
Tanto vi prego che saviamente vogliate operare a non manifestare questo divino secreto a qualche pazzo che usar lo possa in mala parte, e voi riconoscerete questo dono da Dio, e non da me, e fate che vi siano raccomandati i poveri, e state sano.
 
 
 

Vostro quanto fratello Benedetto
 

La compositione si fa di tre cose, cioè corpo, spirito et anima, io bene mi ricordo amico carissimo, che i due avete ben conosciuto, ma il terzo totalmente v’era incognito, cioè l’anima.
Adunque fratello et amico carissimo, vi rivelo hora il secreto de tutti i Filosofi almizadir, zolfo de Filosofi, argento vivo, acqua dolce onde è il verso:

Salza il fetor ingrato, e fa ogni membro albato
Risolve e ben licora, purga ogni cosa ancora,
E vieta il fuoco retto, fuggitivi tien stretto
E nulla senza sale, pratica nostra vale

Ancora altri versi

L’arte sta in acqua pura, et altro non far cura
Genera la tentura, cosa c’al fuoco dura,
Mercurio strugger suole, ogni fogliato Sole,
Lo dissolve e fa’l molle, l’alma del corpo il tolle,
E dopo lo congela, a chi Dio lo rivela.

Il modo di cavar l’anima di Saturno è questo. Piglia libbre i. del detto pianeto nuovo e calcinato molto bene e sottilmente, poi si triti sottilissimamente, e la polvere si ponga in un orinale di vetro. Poi habbisi dell’aceto fatto di un bianco puro, e distilli per il lambicco due o tre volte, e della detta distillatione si metta nel detto orinale, sopra, il saturno calcinato, che di tre dita gli stia di sopra, poi pongasi il detto vetro nel bagno di Maria e sia ben coperto, e tengasi ivi a putrefare per cinque giorni, ogni dì più fiate, con un bastoncello mescolando la detta materia per la gravezza sua. Il sesto giorno cavisi il vetro con la materia fuori dal bagno, e pongasi sopra uno scanno, mettendogli di sotto qualche cosa molle, e lascisi riposare, che la materia della polvere venga a far la residenza.
Allhora sopra pongaglisi il ricettacolo con l’acqua pura distillata sopra le ceneri calde, acciocché l’humidità dell’aceto venga ad evaporarsi, et evaporata l’humidità sopra’l fuoco lento, ne troverete l’anima d’esso pianeto così cacciata bianca, dolcissima e ponderosa, e così perfettamente preparata, e questo è quello che hanno nascosto i Filosofi con tanti diversi nomi nell’opere loro di questa arte benedetta.
Ma notate che vi bisogna havere una bona quantità d’aceto distillato sopra libra una del pianeto, e cacciare come si disse.
Ancora vi bisogna havere una buona quantità dell’anima, overo del mercurio de Filosofi, a far l’opera, acciò nel mettere e nel augumentare la tentura siate ben provvisto. Dunque disponetevi tre o quattro libre di  calcinato, ma sempremai si ponga libra una solo in un vetro, et un’altra libra in un altro vetro, e così si vada operando, per il gran peso di  che si mette.
Nota, quando la materia verrà all’albedine, se vi volete fermare in via particolare, allhora, senza giongervi mercurio, accresci il fuoco fin che la materia si vedrà essere fissa. E se pur volete augumentare, allhora dividete la materia per diversi vetri, et aggiongetegli più della materia volatile, o se vorrete augumentare , vediate quando la materia è mezzo fissa, così è meglio.
 
 

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Tintura e sbiancheggiamento cap. I

Piglia una libbra d’inchiostro romano, pestalo grossamente , lo metterai a distillare in un vaso di vetro con lento fuoco et caverai l’humidità et quella come cosa inutile, getterai et pesterai le feccie che rimarranno sul fondo, et le ridurrai in sottilissima polvere. Dapoi piglierai acqua ardente senza flemma et in un ampolla di vetro la infonderai sopra il detto inchiostro, et farai che quella gli nuoti sopra la misura di due dita, et mescolerai bene insieme tutte le cose, et le lascerai fino a che la detta acqua si colori, et essendo colorata, la caverai et in vetro la riponerai, et ben coperta la conserverai. Dapoi ne infonderai dell’altra, et essendo colorata la debbi cavare, et così tante volte farai finché tu vedi che l’acqua esca chiara dalle feccie. Allhora cavarai le ditte feccie bianche dall’inchiostro, et le conserverai per sbiancheggiare il metallo. Finalmente pigliarai sole et luna di peso uguale et le farai liquefare insieme nel fuoco, et le ridurrai in sottilissime lastre, et quelle, infuocate, estinguerai nella sopradetta colorata acqua, et questo trenta o quaranta volte tu farai, dapoi lascerai in acqua forte, accioché si dissolvano, et lasciarai, et si calcinano, dapoi cavarai l’acqua per lo lambicco, et nel fondo haverai la calcina, che vi resta sopra, la quale spargerai quella colorata acqua, et distillerai lo lambicco, et rimarrà lo spirito dell’inchiostro nella calce et sarà colorata, la quale piglierai così colorata et la metterai in un vaso di terra bene impegolato, et per lo spatio di hore dodici lascerai stare al fuoco de carboni, et fuoco tanto modesto usarai che non sia consumato, finalmente la gittarai in verga et haverai oro de ventisei caratti.
 
 

A fare che tutte le cose sofistiche dure siano molli cap. V

Infondi in oleo comune dieci volte volte in piombo liquefatto, et estingui nel detto oleo dieci volte le lastre infuocate del sofistico.
 
 

Oro potabile cap. XVIII

Piglia libre X de ottimo vino, e distillalo per lambicco, e cavane solamente una libra, dapoi lava il lambicco e rimettici nuovo vino, pur libre X., sopra ilquale rimetterai quella libra d’acqua, e ristillala ricavandone una libra sola, e così farai la terza volta con nuovo vino, e ne ricavarai una libra solamente.
Poi togli una boccia co’l collo lungo assai, e mettivi quella libra d’acqua, e li porrai un’altra boccia di sopradetta mezzo mondo, e mettila nel letame per quattro dì. Poi piglia della detta acqua, i. di zuccaro candido, e sarà buona, dapoi metti a lambicco la detta acqua e dentro gli metti x. pesi d’oro in foglia, e lassalo stare per quattro hore, poi distilla per bagno Maria, e, di fatto, non asciugare le feci, e così serva da parte in doi vasi.
 
 

A cavare il mercurio dell’antimonio cap. XXIII

Soblima il regolo dell’antimonio con altrettanto sale armoniaco, pestati et incorporati, e soblimagli; pesta poi il soblimato sopra il marmo con oleo di tartaro, et tu vedrai a separarsi esso mercurio, dal sale e dall’olio. Se lo vorrai augumentare, pesta il regolo ben trito con esso mercurio, et olio di tartaro, et così tu vederai esso in infinito riducersi nel suo mercurio, imperoché tutto quello che aggiongerai prenderà il corpo .
 
 

Tintura 22 K. capXXX

Piglia Sole et Luna di ugual peso, e altretanto di ferreto Spagnuolo, et incorpora aggiongendo al peso di tutte queste cose sale armoniaco, et il tutto soblima con lento fuoco per lo spatio di un giorno, e così tre volte tu debbi fare: dapoi piglia la materia che è nel fondo del vaso, et con cera rossa riducila in pillole, et in corpo, et  22 K. haverai.



http://www.levity.com/alchemy/ruscelli.html

Girolamo Ruscelli Proemio ai Secreti nuovi di maravigliosa virtu (Vinegia 1567).
Transcribed by Massimo Marra
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GIROLAMO RUSCELLI – Proemio ai Secreti nuovi di maravigliosa virtu (Vinegia 1567)
 

I Secreti nuovi di maravigliosa virtù di Girolamo Ruscelli (Viterbo 1500 circa\Venezia 1566) escono a Venezia nel 1567, dopo la morte dell’autore, quando il presunto segreto dell’identità del misterioso Don Alessio Piemontese è ormai dissolto. Le raccolte di Secreti firmate dal Ruscelli sotto lo pseudonimo di Alessio Piemontese sono, a cavallo tra il XVI ed il XVII secolo, probabilmente, le più diffuse in assoluto. Decine di edizioni in italiano, latino, tedesco, inglese e francese testimoniano il sicuro successo di quello che più di uno studioso ha identificato come vero e proprio prototipo di quei "libri di secreti" che tanta fortuna ebbero in questo periodo.

Intellettuale prolifico e dai molteplici interessi il Ruscelli curò l’edizione italiana della Geografia di Tolomeo, curò (assai spesso per l’importante editore veneziano Valgrisi) opere di poeti italiani (Ariosto, Boccaccio, Petrarca), scrisse autorevoli saggi sulla lingua italiana e, seguendo una moda diffusa tra gli intellettuali del tempo, un libro sull’ermeneutica delle Imprese.

Riservò solo ai suoi libri di Secreti (quasi come ad operette marginali nel quadro della sua produzione) lo pseudonimo di Alessio Piemontese. Pure, tra tutte le opere attribuite al geniale poligrafo, sono proprio queste raccolte di ricette e di Secreti ad ottenere un successo ed una diffusione con pochi precedenti.

Il proemio ai Secreti nuovi di maravigliosa virtù che trascriviamo di seguito ha un importante valore storico-documentario, poiché rappresenta una organica testimonianza dell’esistenza di una Accademia di carattere precipuamente alchemico nel regno di Napoli in pieno XVI secolo. La descrizione, non scevra da riferimenti di chiaro contenuto simbolico, rimanda ad un ambiente intellettuale assai fertile e probabilmente identificabile. Intorno al 1541 il Ruscelli si trasferisce dalla residenza romana del cardinale Grimani, nella residenza napoletana del marchese Alfonso D’Avalos. Con una ricostruzione puramente indiziaria ma non improbabile l’Eamon collega il Ruscelli all’ambiente intellettuale e scientifico raccolto intorno alla corte del principe di Salerno Ferrante Sanseverino, alleato politico del D’Avalos contro il comune nemico rappresentato dal viceré spagnolo Pedro da Toledo.

Purtroppo intorno all’accademia descritta dal Ruscelli, non abbiamo altre testimonianze. Nonostante ciò risulta spontaneo l’accostamento analogico con l’Accademia Dei Segreti che, intorno agli anni ’60 del secolo, il giovane Giovan Battista Della Porta fonderà e dirigerà a Napoli .

La trascrizione del brano che segue è stata eseguita con criteri conservativi, essendo rimaneggiata solo la punteggiatura.

Massimo Marra
 

Bibliografia essenziale: W. Eamon – La scienza e i segreti della natura. ECIG, Genova 1998

N. Badaloni – Fermenti di vita intellettuale a Napoli dal 1500 alla metà del ‘600 in Storia di Napoli, vol V tomo 1 pp.641\689, Napoli s.d.

M. Marra – Il Pulicinella Filosofo Chimico – uomini e idee dell’alchimia a Napoli nel periodo del viceregno, MIMESIS, Milano 2000

Girolamo Ruscelli – Secreti nuovi di maravigliosa virtù. Vinegia 1567
 
 
 
 
 

PROEMIO DEL SIGNOR IERONIMO

RUSCELLI

NELL’OPERA SUA DE’ SECRETI
 

A’ LETTORI
 
 
 

Quando io habitava nel Regno di Napoli, pochi anni innanzi ch’io venissi a Venetia, in una illustre città di quella provincia, trovandomi nella compagnia di XXIIII persone particolari & con esse il Principe & Signor della terra, si diede principio ad una onorata Accademia Filosofica la quale, per molti degni rispetti volsero che fusse & si chiamasse secreta, la quale andò tuttavia procedendo felicemente di bene in meglio con gli ordini & con l’operationi che qui compendiosamente si narreranno.

Primieramente noi fummo XXIIII compagni particolari, tre Signori & capi nostri, cioè il Principe Signor della Terra, un suo parente et un ministro, che tutti insieme eravamo al numero di XXVII, numer perfetto & d’altissimo misterio appresso i più eccellenti Filosofi gentili, ma anche da savi Teologi.

Di tutti XXIIII huomini sette erano Cittadini nativi della città propria, sette di diversi luoghi d’Itali, sette Oltramontani di diverse Province, uno Schiavone, un Greco & uno Ebreo di Salonichi, vecchio & che più volte era andato di Levante in Christianità.

Li sette cittadini della città erano tutte persone di Studi & di lettere di Filosofia, & tutti accomodati di beni della Fortuna, di modo che fra tutti havevano da nove mila scudi d’entrata. Cinque di loro erano senza mogliere & senza figliuoli. Il sesto la haveva, ma sterile di ventisette anni. Et il settimo haveva una sola figliuola maritata a persona comodissima & conforme al suo grado.

De’ quattordici forestieri nove erano ancora essi accomodati de beni della Fortuna alle patrie loro, et vivevano onoratamente de’ loro denari che si facevano venir da casa per li ministri lavoranti & servitori & per ogni altra cosa che si dirà qui seguente.

Li tre altri erano senza alcuna entrata o facultà, ancora che per se stessi s’essercitassero in alcune onorate operationi da guadagno, & la nostra compagnia non mancava di supplir loro a quanto bisognava.

Li sette Cittadini della città s’erano da loro stessi tassati a contribuire ciascun d’essi settecento scudi l’anno, & delli sette altri d’Italia due di loro non havevano da poter contribuire a spese comuni.

Gli altri quattro s’erano tassati volontariamente a metter l’anno cento scudi per uno, & cinquecento fra tutti loro ne volevano contribuire ogni anno i facoltosi Oltramontani.

Ma la compagnia sì per esser essi forestieri, sì ancora per far tra essi & gl’Italiani il numero di sette, non volle che essi mettessero più che trecento scudi fra tutti insieme.

Il nostro magnanimo Principe contribuiva mille scudi ogni anno, & altri mille ce ne aveva conceduti sopra d’un Datio, che, incantandosi ogni anno, colui a chi restava s’intendeva d’esser obligato a pagar questi mille scudi in più che venivano alla nostra compagnia. Ma perché ella si faceva secreta, si riscuotevano detti mille scudi sotto altro nome per terza mano.

Il ministro di sua eccellenza & il parente, contribuivano cento scudi per uno l’anno.

Onde in tutto la nostra compagnia haveva da spendere ogni anno ordinariamente cinque mila scudi, oltre a qualche migliaro che se ne guadagnava nel modo che si dirà appresso.

Avevamo poi per ministri & serventi due spetiali, due Orefici, due profumieri, un dipintore, Quattro Erbolarij & Simplicisti intendenti i quali tutti, per essere persone bisognose, si tenevano a spese continue della compagnia & a’ convenevoli salari, & stavano contentissimi essendo ancor’essi persone di bell’animo & desiderosi d’imparare & d’acquistar virtù.

Erano poi deputati i serventi da fatica in due parti.

L’una che attendeva solamente alla cura della casa ove si mangiava, provvedendo alla cucina, all’apparecchio delle tavole, al far di letti & a tutt’altre cose necessarie per il vivere di tutti i ministri & operarij della Filosofia & di se stessi.

I compagni mangiavano & dormivano tutti alle case loro. Et solamente ogni primo dì di ogni mese si radunavano a ricrearsi tutti insieme la mattina a desinare nella detta casa commune a tutti.

L’altra parte de’ serventi era deputata tutta al servitio & ministerio della Filosofia, come al portare acqua, pestare, macinare, fabricar forni & altre tai cose, attendere ai fuochi, lutar vasi, far luti, crivellar ceneri, far capitelli, nettar i vasi & le stanze, & tutti gli altri servitij di fatica necessari in tal Filosofia. Et a questi tutti stavano sopra intendenti, & comandavano i sopradetti spetiali, orefici & profumieri & dipintori, secondo che erano le cose che si venivano facendo. Cioé se erano cose di spetiarie, l’ordinava gli spetiali, se di profumerie i profumieri, se di colori i dipintori & così l’altre, non mancando ancor’essi soprastanti di metter le mani lietamente & d’adoperarsi dove bisognava.

Il nostro benignissimo Principe si aveva posto da se stesso, generosamente, obligo di volersi trovare ogni prima Domenica di mese ad una general congregatione che noi facevamo, ove si narravano & mostravano tutte le cose che in tutto il mese precedente si erano fatte. Et fin allora per certo non haveva mai in diece anni mancato se non sei volte per giustissimi impedimenti. Ma tuttavia haveva voluto sempre supplire con venirvi poi una dell’altre Domeniche o feste che havevano seguito appresso.

Il parente & il ministro di sua Eccellenza havevano obligo volontario di venir’alla filosofia (che così fra noi chiamavamo la detta nostra casa comune) una volta la settimana. Ma perché erano signori che si dilettavano, vi venivano molte volte più delle lor’obligationi & erano quasi così continui come ciascuno di noi. I quali per volontà & per obligation non lasciavamo mai giorno che non vi andassimo. Ben’è vero che all’andar nostro non era prefissa ora particolare, & potevamo andare a qual’ora ci piaceva & starvi quanto volevamo, Vedendo & intendendo da quei soprastanti quello che si era fatto & che si faceva, & ordinando noi o di commune consultatione fra tutti o fra alcuni di noi, o ancora ciascuno di noi quello che particolarmente ci pareva di voler provare & mettere in opera. Ma dovendosi qui per satisfattione de’ Lettori soggiungere gli ordini et l’operationi della detta nostra compagnia, sarà bene che primieramente si narri qual sia stata l’intentione del generosissimo nostro Principe & nostra, in fondare & continuare questa nostra onestissima & felicissima compagnia.

L’intention nostra era stata primieramente di studiare & imparare noi stessi, non essendo studio né altro essercitio alcuno che più sia vero della Filosofia naturale, che questo di far diligentissima inquisitione & come una vera anatomia delle cose & dell’operationi della Natura in se stessa. Et aiutata dall’arte si vede aver’avuto origine & accrescimento la Medicina & tante altre arti importantissime alla vita Umana & all’ornamento del mondo. Et insieme con questa dilettatione & utilità nostra noi avevamo parimente caro di far beneficio al mondo in generale & in particolare, con ridurre a certezza & a notizia vera tanti utilissimi & importantissimi secreti d’ogni sorte & per ogni qualità di persona, così ricca & povera, Dotta & indotta, & maschio & femina, gioveni o vecchi che essi sieno.

Et però primieramente in tutti questi anni attendemmo di continuo a fare esperienze di tutte le sorti di secreti che in libri a stampa o a penna, così antichi come moderni potessimo ritrovare.

Et nel far tale esperienze abbiamo tenuto & tenemmo un’ordine & un modo che non si può forse trovare né imaginare il migliore, come appresso si narrerà.

Et di tutti quei secreti & esperimenti che abbiamo trovati esser veri con farne di ciascuno tre esperienze, nel modo che si dirà più basso, noi, per comandamento del nostro Principe et Signore, facemmo scelta d’una parte, cioè di quelli che sono più facili da farsi da ciascheduno, di minore spesa & più da esser cari ad ogni sorte di persone generalmente, & così li mando hora in luce a beneficio et dilettatione commune d’ogni bello ingegno che se ne diletti & che stia per avergli cari.
 
 
 
 
 

Descrittione della casa o lavoratorio chiamato da noi per

suo nome proprio la FILOSOFIA
 
 
 

Il Nostro benignissimo Principe fin dal primo giorno fece dono alla nostra compagnia d’uno spatio di terreno ove erano alcune case diverse in uno di migliori luoghi della Città sua, che è non in tutto in piazza & nella strada principale, né ancora molto lontana dalla piazza & dal palazzo di sua Eccellentia.

Tira questo spatio di terreno per lunghezza, cioè, per quella parte che vien secondando la strada ove egli è, cinquanta braccia ordinarie come quelle da panni o tele, che quasi per tutta Italia sono ad un modo o con poca differenza fra loro. Per larghezza poi tira vent’otto, onde viene ad essere di forma più lunga un terzo che larga, & è poi in isola, cioè distaccato & discosto da ogn’altra casa, & per ogni suo lato ha una strada.

Questo spatio, buttandosene in tutto a terra le case vecchie che vi eran prima, fu da noi, con i tre quarti della spesa o denari del nostro Principe, & un quarto de’ nostri, fabricato in questa guisa.

Primieramente si hebbero tutte queste considerationi & intentioni.

La prima, che la fabrica fosse bellissima così di dentro come di fuori quanto più sia stato possibile.

La seconda che fosse comodissima per quattro sorti di genti, cioè per quei che servono di continuo alla Filosofia o lavoratorio, per quei che servono poi a detti serventi & a se stessi nel mangiare & nell’altre cose. Per li compagni che venendovi stiano in luoghi allegri & comodi così di verno come di State. Et per essi compagni o qualche altra persona & in buon numero che per giorni o settimane o mesi volessero abitare in quella casa per trovarsi più continui all’operationi.

La terza che il lavoratorio stesse in parte di detta casa che fosse accomodatissima per ogni suo bisogno, fosse allegra, fosse sana & sopra tutto fosse remota & quieta in modo che né da coloro che passano per le strade, né ancora da quelli che venissero a diporto o spasso nel giardino & nell’altre stanze, Né da alcuni altri potessero esser veduti o uditi quei che lavoravano, se non dai compagni o da quelli soli che essi compagni & il Principe volesser menarvi,

Et qui si dichiara, gentilissimi Lettori, che se ben tal nostra compagnia si chiamava & si teneva Secreta, questo non si faceva però perché Né il nostro prudentissimo Principe né alcun di noi si curasse che ella non fosse parimente pubblica. Anzi l’intentione di sua Eccellenza & nostra era che fra pochi anni ella si manifestasse, & si pubblicasse a ciascheduno come cosa virtuosissima & onoratissima & degna di muovere a nobilissima sua concorrenza ogni vero Signore o Principe nello Stato suo, & ogni bello & sublime ingegno.

Ma noi l’abbiamo voluta così secreta per qualche tempo per alcuni nostri degni rispetti, & ancora perché mentre ella si è venuta riducendo a perfettione potessimo farlo più quietamente, senza essere ad ogni ora disturbati & impediti o inquietati da questo & quello che corresse a voler vederla. Et sopratutto ci parve cosa degna di persone di studij il voler che prima il mondo vedesse & sentisse i frutti delle nostre operationi, che i romori & le promesse stravaganti come molti fanno. Nella nostra compagnia era ordine & giuramento che niuno potesse nominarla né farne motto con alcuna persona se prima non se ne avesse licenza dalla Compagnia, ove però non usavamo ballottationi, che si convengono solamente a Repubbliche o a Principi, ma così a bocca piacevolmente dicendosi da ciascuno il parer suo si conchiudeva quasi sempre conforme all’intentione di chi l’aveva proposta. Et era questo nostro ordine così ben osservato con ogni tranquillità d’animo di ciascuno, che il nostro clementissimo Principe & Signore della casa in tutti quei diece anni non ha voluto menarvi se non tre sole persone, fra le quali furono l’illustrissima Signora sua Consorte & una illustrissima sua sorella. Et l’altro fu un signore francese dottissimo & che sommamente si dilettava di generosamente filosofare. Et a tutti si dava il giuramento, non però sopra nome di Dio né di cose sacre, ma sopra l’amore e la gratia del nostro Principe & sopra la persona che essi più amavano, di non manifestare mai ad alcuno tal nostra compagnia senza haverne prima licenza a bocca o per lettere dal nostro Principe.

I medici tutti della città ne havevano notitia, ma non potevano né essi né altri venirvi mai se non vi erano condotti da alcuni dei nostri, con averne licenza in prima da tutta la compagnia come s’è detto. Et havevano il medesimo giuramento sopra l’amore & la gratia del nostro Principe di non farne motto ad alcuno senza la licenza nostra, come tutti gli altri.

Ora, la detta casa o Filosofia nostra, per aver tutte le sopradette qualità & comodità, fu fabricata in questa maniera. Primieramente dalla parte davanti che era nella strada più larga, & si è detto che tira cinquanta piedi, vi erano tre porte. L’una in mezo più grande di tutte & due dalle teste, minori che quella di mezo ma equali fra loro, & erano fatte tutte con bellissima forma et fattura come è ancor fatta tutta la facciata. Tutte tre queste porte havevano dentro di loro alcuni volti che facevano lo spatio dell’entrata di dentro et erano in altezza venti braccia, in larghezza, cioè da man manca & da man dritta, braccia quindeci, et in lungo, cioè procedendo oltre secondo la faccia di chi entra & camina dritto, è lo spatio di dodici braccia. Et in ciascuna d’esse nel mezo era la scala a lumaca quadra, larga & lustrissima, che conduceva nelle stanze di sopra. A terra piana fra dette porte erano stanze belle & ben fatte per abitatione onoratissima & comodissima la State & anco il verno, le quai stanze hanno finestre serrate sopra la strada & altr incontro a quelle, cioè dall’altra parte loro, che escivano sopra il cortil scoperto che diremo appresso, & ciascuna d’esse haveva l’entrata o l’uscita per una porta in detto cortile o chiostro scoperto, & un’altra porta era nell’anditello o spatio sopradetto che era sotto i volti delle porte della casa. & di queste porte interiori di dette camere a terreno, una serviva a tre stanze, entrando poi quelle d’una in altra per quella via, ma havendo ciascuna l’altra porta sua che esce nel già detto cortil o chiostro. Et il solaro di sopra era tutto corrispondente a quello di sotto in quanto all’haver fenestre da due bande ancor quelle stanze come quelle di sotto.

Ma perché questo disopra avanzava i tre spatij degli anditelli coi volti alle tre porte della casa, era diviso altramente, havendo in mezo una molto gran Sala, & benissimo proportionata, & un’altra sala minore havendo per ciascuna testa, però con camini da fuoco da poter anco servir per camere in ogni tempo. Et dalle bande di queste tre scale & fra l’una & l’altra erano poi camere bellissime, grandi & ottimamente proporzionate d’ogni ornamento & comodità possibile.

Et sopra questo secondo solaro ne era un terzo, tutto corrispondente a esso secondo o di mezo, se non che era alquanto più basso.

Onde questo primo quarto di tal nostra casa, oltre all’esser bellissimo, era poi comodissimo & da potervi abitare a i bisogni Principe con molta gente, & similmente da potersene accomodare in qualche parte alcune persone forestiere che o il Principe o la Compagnia volesse onorarne, essendo però egli persona che si dilettasse di Filosofia et havesse cara la conversatione della nostra Compagnia per qualche giorno. Oltre che l’havevamo fatto perché il nostro Principe havesse cagione di venirvi alcune volte a tenerci tutti ricreati et condurvi tutte quelle persone che a Sua Eccellenza erano in grado, & anco per farvi spesso tutti noi, o la maggior parte, alcune filosofiche recreationi, & perché quando pur la nostra compagnia & Filosofia si manifestasse si vedesse una stanza che da ogni parte dilettasse & si facesse conoscere per degna di persone di non basso ingegno.

Questo già detto adunque era u quarto giusto di tutto lo spatio della nostra Filosofia tirato in lungo, cioè dalle mani destra & sinistra di chi entra dalla facciata principale.

L’altra quarto, giustamente tanto lungo & largo quanto tutto il già detto palazzo primo, era conceduto ad un cortile o chiostro scoperto, ove da una banda erano tre scale benissimo collocate che ancor quindi conducono al detto palazzo, cioè al solaro di mezo, accioché quei che stavano in detto cortile & quei che stavano in detto solaro potessero comodamente salire et scendere a talento loro.

Oltre che quelle porte, onde poi s’entrava dalle scale nelle lor Sale, davano loro gratia et bellezza maggiore.

In questo cortile all’altra facciata del muro che era incontra o dirimpetto a quello del palazzo, erano tre porte, l’una maggiore e l’altre minori, che dirittamente rispondevano alle tre porte che il palazzo haveva nella strada come s’è detto. Ma erano fatte d’altra guisa per variare, & bellissime ancor’esse con haver quel muro facciata bellissima di cornice, di fenestre & d’altri ornamenti, che anco a chi stava nella strada quando le porte del palazzo s’aprono, si potessero vedere. Et fra mezo ad esse porte, di tal seconda facciata nel cortile erano murelli o pozzetti & seggi di pietra bellissimi, sopra i quali erano fatti alcuni orticelli d’erbe gentili, & nella parete a certi luoghi convenevoli erano fenestre a gabbia d’uccelli con altre cose molto vaghe, & in mezzo vi era una maravigliosamente bella tavola di marmo lunga otto braccia & larga tre & mezo.

Et in capo & in piede di detto cortile erano poi due altre tavole ad otto facce, di noce l’una & l’altra d’Ebeno, rimesse dalle bando con Avorio & legni di diversi colori, & queste dai serventi si rimettevano dentro al coperto per non lasciarle guastar dall’acqua & dal Sole, & solamente si mettevano fuori a certi giorni solenni fra noi, o quando vi veniva qualche personaggio che si voglia onorare & dargli dilettatione & spasso, & così vi erano di continuo sedie per ogni qualità di persone. In questo luogo adunque così fatto, radunandoci noi spesso et preponendo diverse cose che si facevano alla giornata, io raccolsi tutti i secreti seguenti & gli anteriori ancora, ch’io publicai pochi anni [or] sono di Donno Alessio Piemontese, li quali nel vero tutti furono raccolti nella predetta Academia, & provati & trovati dalla nostra felice Compagnia. Et perché sono stati più volte provati et riprovati gli ho sempre tenuti cari & stimati grandemente, & massime che vedendo io quanto il mondo sia curioso di queste cose, non ho voluto mai darle fuori se io non ho prima havutane la licenza da quel mio Principe & da quei nostri compagni, li quali ancora vanno operando di continuo cose nuove & maravigliose a pro de’ mortali che si dilettano delle virtù che produce la natura ne’ minerali, nelle erbe & nelle pietre.

Et perché s’altro avvenisse di me in questa mia crudel malattia la quale mi ha tolto le forze & mi tiene continuamente oppresso nel letto, li presenti secreti non vadano a male et si sappia come mi sono pervenuti alle mani, ho voluto raccontar come passa la cosa interamente & senza alcuna fraude, accioché se mai verranno a luce, i lettori stiano di buon animo che non troveranno i questo libro cosa che non sia più vera et sperimentata più volte. Et li secreti sono l’infrascritti.



http://www.levity.com/alchemy/testamento_lullo.html

L’Elucidazione, o chiarimento del testamento di Raimondo Lullo (Bibliotheque des philosophes chimiques, Paris, 1740-1754, vol. IV.)
Translated by Massimo Marra
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Sebbene abbiamo composto diversi Libri sulle diverse operazioni della nostra Arte filosofica, questo piccolo trattato , che è il nostro ultimo, è tuttavia quello che preferiamo a tutti gli altri, così che egli ben merita di essere da noi intitolato L’Elucidazione del nostro Testamento. Tanto più che ciò che noi abbiamo veramente nascosto nel nostro Testamento e nel nostro Codicillo attraverso lunghe dissertazioni riguardo gli scritti dei Filosofi, noi lo chiariamo qui in modo molto netto ed in assai poche parole. Ma affinché io non abbia bisogno di comporre altri libri, poiché la composizione non è altra cosa, e non consiste d’altro che nella sottigliezza di un bello spirito nel ben coprire e nascondere la nostra Arte, ciò che abbiamo abbondantemente dimostrato nei nostri libri esce ora dall’oscurità ed è condotto ad una piacevole luce, tanto più che nessuno dei Filosofi ha mai osato questa impresa.
Pertanto dividiamo questo libro in sei capitoli, nei quali tutto il mistero di quest’Arte è chiarito attraverso parole assai chiare, dei quali capitoli:
 

Il primo tratta della materia della Pietra,
Il secondo tratta del Vaso
Il terzo del Fornello
Il quarto del Fuoco
Il quinto della Decozione
E il settimo della Tintura e della moltiplicazione della Pietra.
 
 
 

CAPITOLO I

Della materia della Pietra
 

Cominciamo dunque innanzi tutto a far conoscere la materia della nostra Pietra. Benché noi abbiamo applicato cose estranee al nostro Magistero in virtù delle loro similitudini, tuttavia la nostra Pietra è composta di una sola cosa, trina in rapporto alla sua efficacia ed al suo principio, alla quale noi non aggiungiamo alcuna cosa estranea, né la diminuiamo. Abbiamo descritto tre Pietre, ossia la minerale, l’animale e la vegetale, quantunque non vi sia che una sola pietra nella nostra Arte. Noi desideriamo, o figli della dottrina, indicare che questo composto contiene tre cose, ossia anima, spirito e corpo. Esso viene chiamato minerale, poiché è una miniera; animale, perché ha un’anima; vegetale, perché cresce ed è moltiplicato. Nel che è celato tutto il mistero del nostro Magistero, che è il Sole, la Luna e l’Acqua di Vita; e questa acqua di vita è l’anima e la vita dei corpi, attraverso la quale la nostra pietra è vivificata. Per questa ragione noi la chiamiamo Cielo, quintessenza incombustibile e con altri infiniti nomi, dal momento che essa è pressoché incorruttibile come lo è il Cielo nella circolazione continua del suo movimento. Così, attraverso questa chiara dimostrazione, voi avete la materia della nostra Pietra in tutta la sua grandezza.
 
 

CAPITOLO II

Del vaso
 

Abbiamo deciso ora di parlare del nostro Vaso; o voi, figli della dottrina, prestate bene orecchio, affinché intendiate il nostro sentimento ed il nostro spirito. Quantunque vi abbiamo mostrato diversi generi di vasi che sono enigmaticamente descritti nei nostri libri, tuttavia non siamo dell’opinione di servirci di diversi vasi, ma unicamente di uno, il quale mostreremo qui attraverso delle dimostrazioni sensibili e visibili. In questo Vaso la nostra opera si porta a termine a partire dall’inizio fino alla fine di tutto il Magistero.

Il nostro Vaso è così composto: vi sono due vasi collegati ai loro alambicchi, di uguale grandezza,

quantità e forma in alto, dove il naso dell’uno entra nel ventre dell’altro, in modo che per l’azione del calore, ciò che è nell’una e nell’altra parte sale nella testa del vaso, ed attraverso l’azione del freddo scende poi nel ventre.

O figli della dottrina, se non siete gente dal cervello duro, avete la conoscenza del nostro vaso.
 
 

CAPITOLO III

Del Fornello
 

Noi parleremo adesso del nostro Fornello, ma ci sarà assai difficile esporre qui il segreto del nostro Forno, che gli antichi Filosofi hanno tanto bene nascosto. Noi abbiamo disegnato nei nostri libri diversi Fornelli, nondimeno vi dichiaro sinceramente che non ci serviamo che di un sol Fornello, che è chiamato Athanor, il cui significato è quello d’essere un fuoco immortale, poiché esso dona sempre il fuoco ugualmente ed allo stesso grado, vivificando e nutrendo il nostro composto dall’inizio fino al compimento della nostra Pietra. O figli della dottrina, ascoltate le nostre parole ed intendete: il nostro forno è composto di due parti, esso deve essere ben sigillato in tutte le giunture del suo involucro. Ed ecco com’è la natura di questo Fornello: che il Fornello sia fatto grande o piccolo, a seconda che la gran quantità di materia domandi un Fornello grande, o la piccola quantità un Fornello piccolo; bisogna che sia costruito alla maniera di un Fornello distillatorio col suo coperchio, che sia ben chiuso e sigillato. In tal modo, quando il Fornello sarà stato costruito col suo coperchio, fate in modo che vi sia uno spiraglio sul fondo, affinché il calore del fuoco acceso vi possa respirare; questa natura di fuoco richiede e domanda questo solo forno, e non altri. La chiusura delle giunture del nostro Fornello è chiamata sigillo di Hermes, dal momento che essa è conosciuta solamente dai Saggi, e non è in alcun luogo esplicitata da nessuno dei Filosofi, poiché essa è protetta nella Sapienza, che la sorveglia con comune potenza.
 
 

CAPITOLO IV

Del Fuoco
 

Ancorché nei nostri libri abbiamo trattato perfettamente di tre tipi di fuoco, ossia del naturale, del connaturale e del contro-natura, e di diverse altre modalità del nostro fuoco, nondimeno vogliamo attraverso ciò significare un fuoco composto di diverse cose, ed è un segreto assai grande quello di pervenire alla conoscenza di questo fuoco, perché esso non è umano, ma angelico. Bisogna rivelarvi questo dono celeste, ma per paura che la maledizione e l’esecrazione dei Filosofi, che questi hanno lasciato ai loro successori, non sia gettata su di noi, preghiamo Dio affinché il tesoro del nostro Fuoco segreto non possa passare e pervenire che nelle mani dei Saggi, e non di altri.

O Figli della saggezza, prestate orecchio per ben comprendere e comprendere il nostro Fuoco composto, che sarà di due cose: sappiate che il Creatore di ogni cosa ha creato, tra le altre, due cose adatte per questo fuoco, ovvero il fimo di cavallo e la calce viva, la cui composizione causa il nostro Fuoco, la cui natura è la seguente: prendete del ventre del Cavallo - vale a dire del letame di Cavallo ben digerito - una parte, della calce viva pura, un’altra parte. Avendo composto queste cose, impastate insieme e messe nel nostro fornello, ed avendo piazzato il nostro vaso contenente la materia della nostra Pietra, ed avendo chiuso bene da ogni lato il forno, avrete allora il fuoco divino senza luce e senza carbone, posto nel suo Fornello; e non potrebbe essere altrimenti, avendo tutto ciò che gli è necessario.

Ma questo letame e questa calce sono divini, e si intendono della nostra materia che ha il suo fuoco interno e Divino: perché il nostro fuoco artificiale è il debole calore prodotto dal fuoco di lampada.
 
 

CAPITOLO V

Della Decozione
 

Vi sono anche diverse maniere di preparare la nostra Pietra nel nostro Testamento, che sono chiarite in altri nostri trattati: ovvero la soluzione, la coagulazione, la sublimazione, la distillazione, la calcinazione, la separazione, la fusione, l’incerazione, l’imbibizione e la fissazione etc.. Il significato di tutte queste operazioni non è che la sola decozione. Ciò nonostante nella nostra sola decozione, si compiono tutte queste maniere di operare, ma la natura della nostra decozione è di mettere la materia del composto secondo misura, nel suo vaso, nel suo forno e sul suo fuoco, a cuocere continuamente. In ciò, secondo i Filosofi, consiste tutta la nostra opera. Attraverso questa cottura lineare, dolce ed untuosa all’inizio, la materia perviene alla sua perfetta maturità; il che si compirà in dieci mesi filosofici, dall’inizio alla fine di tutto il Magistero, senza alcun lavoro manuale. Attraverso queste maniere e queste operazioni, vogliamo farvi conoscere l’eccellenza e la sublimità della nostra arte, e come lo spirito dei Saggi l’abbia avvolta in un velo tenebroso, per la paura che colui che è indegno di quest’Arte non arrivi fino alla cime della montagna del nostro segreto; ma che egli persista piuttosto nel suo errore, fino a quando il Sole e la Luna non siano assemblati in un globo, il che gli sarà impossibile a fare se non per volere di Dio.
 
 

CAPITOLO VI

Della Tintura e della moltiplicazione della nostra Pietra
 
 

Parleremo infine della Tintura e della moltiplicazione, che è la fine ed il compimento di tutto il Magistero. Abbiamo mostrato nei nostri altri libri vari tipologie e maniere della proiezione della nostra Tintura; tuttavia, poiché la nostra tintura non è differente dalla moltiplicazione, e poiché nessuna delle due può compiersi senza l’altra, per questo bisogna che la nostra pietra sia dapprima tinta, e quando è tinta, la sua quantità è moltiplicata. Così essa è tinta per mezzo della nostra pietra moltiplicata bianca o rossa. O figli della saggezza, respingete le tenebre e le oscurità del vostro spirito per intendere il segreto dei segreti nascosto nei nostri libri con mirabile industria, il quale segreto esce ora da un abisso ed appare alla luce del giorno. Udite ed intendete, dal momento che la nostra moltiplicazione non è altra cosa che la reiterazione del composto della nostra Opera primordiale composta; perché nella prima reiterazione una parte della nostra Pietra tinge tre parti di corpo imperfetto, ed in altrettante parti essa si moltiplica e cresce in quantità; nella seconda reiterazione una parte ne tinge sette; nella terza una parte ne tinge quindici; nella quarta reiterazione una parte ne tinge trentuno; nella quinta reiterazione una parte ne tinge sessantatré; nella sesta reiterazione una parte ne tinge centoventisette, e sempre essa è moltiplicata ed aumentata in altrettante parti, procedendo così all’infinito.

Ecco, o figli della dottrina, come i nostri scritti che erano stati celati fino ad oggi sotto delle parabole sono scoperti, e noi li rischiariamo contro i precetti dei Filosofi, ma vogliamo ben scusarci delle loro reprimende e dei loro rimproveri, per il timore di cadere col permesso divino nella loro esecrazione e nelle loro maledizioni; per questo noi mettiamo le parole di questo trattato sotto la custodia di Dio Onnipotente, colui che dona ogni scienza ed ogni dono perfetto a chi vuole, e toglie a chi gli piace, affinché esse siano rimesse alla potenza della sua divinità, ed anche affinché egli non permetta che siano trovate dagli empi e dai malvagi. O figli della dottrina, rendete subito grazie a Dio poiché con la sua divina illuminazione, egli chiude e apre l’umano intelletto. E che il santo Nome di Dio sia benedetto in tutti i secoli dei secoli.
 

Così sia.


http://www.levity.com/alchemy/sette_capitoli.html

I sette capitoli di Eremete
Questa traduzione dei Sette Capitoli attribuiti ad Ermete fu pubblicata nel 1911 sul fascicolo numero VIII\XI che concludeva le pubblicazioni della rivista Commentarium diretta da Giuliano Kremmerz. La traduzione è siglata P. C.. E’ stato omesso il corredo di note. Transcribed by Massimo Marra
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Ecco quello che dice Ermete:

Durante il lungo tempo ch’io ho vissuto, non ho cessato di fare esperienze, ed ho sempre lavorato senza risparmiarmi.

Non ho ricevuto quest’Arte o questa Scienza che dalla sola ispirazione di Dio. Egli si è degnato rivelarla al suo Servo.

Egli ha dato a coloro che sanno bene usare della loro ragione il mezzo di conoscere la verità; ma non è stato mai causa che qualcuno abbia seguito l’errore né la menzogna.

Quanto a me, se non temessi il giorno del giudizio, e di essere dannato per aver nascosta questa Scienza, non ne avrei parlato affatto, e non scriverei punto per insegnarla a coloro che verranno dopo di me.

Ma ho voluto rendere ai Fedeli quanto loro dovevo, insegnando loro ciò che l’Autore della fedeltà

s’è degnato rivelarmi.

Ascoltate dunque, Figli dei saggi Filosofi nostri Predecessori, non corporalmente né inconsideratamente la Scienza dei quattro Elementi sui quali si può operare e che possono essere alterati e cangiati nelle loro Forme; e che sono nascosti con la loro azione.

Poiché la loro azione è nascosta nel nostro Elisir; perché questo non saprebbe agire se non sia composto dall’unione esattissima di questi stessi Elementi; e non è punto perfetto se non è passato per tutti i Colori, di cui ciascuno nota la dominazione di un Elemento particolare.

Sappiate, Figli dei Saggi, che v’è una divisione dell’Acqua degli antichi Filosofi, che la ripartisce i altre quattro cose. Una è a due, e tre ad una.

Ed al colore di queste cose, cioè all’Umore che coagula, appartiene la terza parte, e gli altri due terzi sono per l’Acqua. Ecco i pesi dei Filosofi.

Prendete dell’Umore un’oncia e mezzo, e del Rosso meridionale o dell’Anima del Sole la quarta parte, che corrisponde ad una mezza oncia, e la metà d’Orpimento, che sono otto, cioè tre once.

E sappiate che la Vigna dei Saggi si tira in tre, e che il suo vino è perfetto alla fine di trenta.

Concepite come se ne fa l’operazione. La cottura lo diminuisce in quantità e la Tintura l’aumenta in qualità; poiché la Luna incomincia a decrescere dopo il suo quindicesimo giorno, e cresce al terzo. E’ dunque là il cominciamento e la fine. Eccovi in tal modo dichiarato ciò che vi era stato celato. Poiché l’opera è con voi e presso di voi; di tal che trovandola in voi stessi, dov'essa è continuamente, l’avete anche sempre in qualunque luogo voi siate, sia in Terra od in Mare.

Custodite dunque l’Argento vivo che si fa nei Luoghi o Gabinetti interiori, cioè nei Principii dei Metalli che di esso son composti, e nei quali esso è coagulato. Poiché è là quest’argento vivo che si dice esser della Terra che resta.

Chi dunque non intende le mie parole, ne chieda intelligenza a Dio, che non giustifica le Opere di nessun Malvagio, e non rifiuta a nessun Uomo dabbene la ricompensa dovutagli.

Imperocché io ho scoperto tutto quanto era stato nascosto di questa Scienza; ho reso chiaro un grandissimo Segreto ; e ho ancora detta tutta la Scienza a coloro che sapranno intenderla. Voi, dunque, Inquisitori della Scienza, e Voi, Figli della saggezza, sappiate che l’avvoltojo ch’è sulla Montagna, grida ad alta voce: "Io sono il bianco del nero, ed il rosso del bianco, e l’arancione del rosso". Certamente io dico la verità.

Sappiate ancora che il Corvo che vola senz’ali nel nero della notte e nel chiaro del giorno, è la testa ed il cominciamento dell’Arte.

Il Colorito si prende dall’amarezza ch’è nella sua gola, e la tintura è tratta dal suo corpo e si tira fuori un’Acqua vera ed affatto pura dal suo dorso.

Comprendete dunque quanto io dico, e ricevete per lo stesso mezzo il Dono di Dio ch’io vi comunico: ma nascondetelo a tutti gl’Imprudenti.

E’ una pietra che devesi onorare, ch’è nascosta nelle Caverne o nel profondo dei Metalli. Il suo colore la rende abbagliante; è un’Anima od uno Spirito sublime, ed un Mare aperto.

Ecco ve l’ho dichiarato: ringraziate Iddio dell’avervi egli insegnata questa Scienza; poiché egli ama chi gli è riconoscente delle sue grazie.

Mettete dunque questa pietra, cioè la sua materia, in un fuoco umido e fatevela cuocere. Quel fuoco aumenta il calore dell’umidità, ed uccide la secchezza della incombustione, fino all’apparire della radice: cioè fino a che il Corpo sia disciolto nel suo Mercurio. Dopo ciò fate uscire da questa Materia il rossore e la sua parte leggera, continuando a far ciò finché non ne sia restata che la terza parte.

Figliuoli dei Saggi, la ragione per cui si sono chiamati i Filosofi (Invidiosi) non è stata perché essi abbiano avuto mai il disegno di celare qualcosa alle persone dabbene, né a coloro che vivono piamente, né ai legittimi e veri Figli della Scienza, né ai Saggi.

Ma perch’essi la nascondono agl’Ignoranti, cioè a chi non ne sa abbastanza per conoscerla, ai Viziosi ed a coloro che vivono senza legge e senza carità; per timore che con questo mezzo i Malvagi non divengano potenti per commettere ogni sorta di delitti, di cui i Filosofi sarebbero responsabili verso Dio. Poiché tutti i Malvagi sono indegni di possedere la saggezza.

Sappiate che io chiamo questa Pietra col suo nome. Perché i Filosofi la chiamano la Femmina della Magnesia, o la Gallina, o la Saliva bianca, il Latte delle cose volatili, e la cenere incombustibile, allo scopo di nasconderla agl’Imprudenti, che non hanno né sensi, né legge, né umanità.

Ma io l’ho chiamata con un nome notissimo, col dirla Pietra dei Saggi.

Conservate dunque in questa Pietra il Mare, il Fuoco ed il Volatile del Cielo, fino al momento della sua Uscita.

Ora vi scongiuro tutti, o Figli dei Filosofi, in nome del nostro Benefattore che vi fa una grazia così singolare, di non svelare mai il nome di questa Pietra ad alcun pazzo, ad alcun Ignorante, né ad alcuno che ne sia indegno.

Quanto a me posso dire che nessuno m’ha dato mai nulla, senza ch’io gli abbia restituito tutto quello che m’ha dato. Non ho mai mancato al rispetto che gli dovevo, ed ho sempre parlato molto onorevolmente di lui.

Figlio mio, questa Pietra è avviluppata di parecchi Colori che la nascondono; ma non ve n’è che uno solo che dà segno della sua nascita e della sua intera perfezione. Apprendete qual è questo Colore e non ne dite mai niente.

Con l’aiuto di Dio onnipotente, questa pietra vi libererà e vi garantirà da malattie per gravi ch’esse siano; vi preserverà da ogni tristezza ed afflizione, e da tutto quanto potrebbe nuocere al copro ed allo spirito. Essa vi condurrà ancora dalle Tenebre alla Luce, dal deserto alla magione, dalla necessità all’abbondanza.



 http://www.artonline.it/edicola/artdos2/065/i09m-065.html
 La lezione di anatomia del dottor Tulp,
1632,
L'Aja, Mauritshuis.

Tra i ritratti di gruppo, è significativa La lezione di anatomia del dottor Tulp, ordinato dalla gilda dei chirurghi, per ricordare la lezione tenuta pubblicamente nel 1632 dal dottor Nicolas Tulp, primo anatomista, sulla fisiologia del braccio del cadavere di un giustiziato. Il celebre dipinto firmato e datato 1632 rappresenta sette personaggi incollettati di bianco attenti alle spiegazioni del dottor Tulp, il cui nome è scritto in un foglio in mano a uno di loro. L'opera, lontana dalla staticità che aveva caratterizzato sino allora questo genere di pittura, rivoluziona il ritratto di gruppo. È un successo straordinario per l'artista ventiseienne, che consacra cosi ufficialmente la sua arte.
 
 
 
 

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Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze, ITALIA
 
 

SALA  VIII IL MICROSCOPIO Collezione
Medicea
 

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Microscopio  Il microscopio costituisce una delle invenzioni strumentali più emblematiche della rivoluzione scientifica. Per suo mezzo l'arte dell'osservazione medico-biologica e naturalistica, già molto coltivata durante tutto il Cinquecento, varcò i limiti naturali dell'occhio umano. Il microscopio permise di indagare la struttura fine dei corpi minuti, imponendosi col tempo come uno strumento fondamentale d'indagine sia per le discipline medico-biologiche, sia per quelle naturalistiche. I primi strumenti realizzati furono microscopi composti, cioè costituiti da due o più lenti inserite in un tubo rigido. Il microscopio semplice, formato da una sola lente, venne invece introdotto nella pratica scientifica durante la seconda metà del secolo. In questa sala si segue in sequenza cronologica l'evoluzione dello strumento: dall "occhialino" messo a punto da Galileo nel 1620 fino ai complessi strumenti ricchi di accessori sofisticati della ricerca microscopica di metà Ottocento.
 

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Per ulteriori informazioni contattare:
Mara Miniati: mara@galileo.imss.firenze.it
 

http://www.museionline.it/ita/cerca/default.htm


UN LIBRO SU
PIETRO ANDREA MATTIOLI

Sarà presentato il 9 ottobre il libro “Pietro Andrea Mattioli (Siena 1501 - Trento 1578). La vita e le opere” curato dalla Professoressa Sara Ferri. L’iniziativa, promossa dall’Università Popolare Senese, si terrà nell’Aula Magna Storica alle ore 18. Tracceranno la figura delle scienziato e illustreranno il testo i Professori Chiara Crisciani, Ordinario di Storia della Filosofia Rinascimentale dell’Università di Pavia, da Giuliano Catoni, Ordinario di Archivistica del nostro Ateneo e da Guido Moggi, Ordinario di Botanica Sistematica dell’Università di Firenze.

Pietro Andrea Mattioli, senese di nascita e di carattere, medico a Trento alla corte del Principe Vescovo Bernardo Clesio, poi a Gorizia, infine a Praga e a Innsbruck alla corte di Ferdinando d'Asburgo, arciduca d'Austria, fu autore del più famoso libro di botanica del Cinquecento. La prima edizione ("Il Dioscoride") apparsa nel 1544 era una traduzione commentata della materia medica di Dioscoride, ma nelle edizioni successive ("I Discorsi", o "Commentarii" nella edizione latina) la traduzione divenne solo la scusa per descrivere la natura, in particolare per illustrare il mondo vegetale, riportando anche le nuove piante che arrivavano dall'America o dall'Oriente, rendendo note pratiche curative millenarie trasmesse dalla tradizione orale.I lettori del '500 accolsero in modo entusiastico il libro, illustrato da bellissime incisioni di piante, che divenne il più importante testo di botanica del tempo. L'editore Valgrisi nel 1568 affermava di avere venduto oltre 32mila copie dell'opera di Mattioli, quando di norma le tirature usuali erano di mille, millecinquecento copie; era diffuso in tutta Europa, in Siria, in Persia, in Egitto, fu tradotto in tante lingue (anche in ebraico e sembra in cinese) e ispirò tanti libri simili. La sua importanza fu avvertita anche dopo la sua morte tanto da essere ristampato fino al 1744. Anche oggi le librerie antiquarie apprezzano notevolmente gli antichi volumi e non c'è bottega di stampe che non ne possieda qualche foglio smembrato e trasformato in quadro. Studiosi di varia estrazione culturale hanno analizzato il testo, effettuando una revisione critica della vita e delle opere del geniale studioso senese. Hanno pubblicato degli inediti, tradotto lettere latine, identificato con nomenclatura moderna quasi tutte le piante. Sara FerriOrdinario di Botanica Farmaceutica
 
 

 Istituto e Museo di
Storia della Scienza
 Regione
Toscana
 

I luoghi della Scienza in Toscana - Biografie

Pietro Andrea Mattioli
 
 
 

Siena 1501 - Trento 1577

 Medico e naturalista, esercitò la professione a Siena, Roma, Trento e Gorizia, divenendo medico personale di Ferdinando e Massimiliano II. Attento studioso di botanica, (descrisse ben 100 nuove piante), coordinò tutte le conoscenze di botanica medica del suo tempo nell'opera Pedanii Dioscoridis de materia medica libri sex (1544), nota come Commentarii a Dioscoride, che ebbe molte edizioni in latino, italiano, francese, tedesco e boemo.
 

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Per commenti e suggerimenti:
Marco Berni: marco@galileo.imss.firenze.it



ore 15,30 Relazioni:
Lucia Tongiorgi Tomasi (Un. di Siena), L'infinitamente piccolo. Immagini al microscopio di Francesco Redi e al tempo di Redi.
Michele Rak (Un. di Siena), Modi e tecniche di diffusione della conoscenza attraverso l'illustrazione scientifica nell'opera di Francesco Redi.
Francesco Redi
Testi, immagini e documenti della scienza moderna.
Convegno internazionale di studi nel terzo Centenario della morte

Arezzo, Sala Grande della Biblioteca "Città di Arezzo"
Palazzo Pretorio, Via dei Pileati
28-29 Novembre 1997

Lucia Tongiorgi Tomasi, (Siena University), The infinitely small. Redi's microscopic images and those of his time

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA IN AREZZO

Dipartimento di Studi Storico-Sociali e Filosofici
 
 
 

Francesco Redi, un protagonista della scienza moderna. Documenti Esperimenti Immagini
a cura di Walter Bernardi e Luigi Guerrini
 

Firenze, Olschki, 1999
 

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Introduzione

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1. Non esistono immagini storiografiche, per quanto geniali e ben elaborate, in grado di contenere e compendiare esaurientemente la complessa e talvolta contraddittoria serie di atteggiamenti intellettuali che ha animato l’opera di un letterato o di uno scienziato, il ‘libro ancora vivente’, si potrebbe dire, che continua a rappresentarne la memoria culturale nel corso del tempo. Vi è una sorta di illusione in questo stile quasi fotografico di ‘fare storia’, particolarmente quando le forme della rappresentazione letteraria assumono i caratteri di canoni critici prescrittivi. L’orizzonte della ricerca storica appare invece quasi sempre sfumato e digradante, condizionato dall’inevitabile rinvio ad un aldilà di approfondimento a cui la somma dei dati e delle occorrenze che lo studioso riesce a strappare ai documenti che analizza, sintetizza, incrocia e valuta, inesauribilmente richiama.
Se ciò appare valido generalmente per ogni personaggio storico, in una maniera del tutto peculiare sembra adeguarsi all’analisi delle vicende umane e ai contenuti scientifici e letterari delle opere di Francesco Redi. Chiunque abbia oggi intrapreso ricerche rediane si è immediatamente reso conto della necessità di superare talune ricorrenti e certificate presentazioni del personaggio che tanto hanno pesato durante i secoli trascorsi, limitandone la complessa figura entro la semplicistica raffigurazione di ‘eroe della scienza’.
La multiforme attività del personaggio e il suo ingegno ‘curioso’, d’altra parte, scoraggiano, se osservati dall’interno, ogni nuovo e ulteriore tentativo di questo genere. Sorge oggi, al contrario, negli studiosi la necessità di dispiegare il ‘fenomeno Redi’ in tutta la sua pluridimensionalità, non solo per esteso, orizzontalmente, ma anche nei variati e complessi intrecci che le diverse maglie dei suoi interessi andarono formando, ponendo finalmente in evidenza la stretta connessione che unificò le sue ricerche scientifiche, storiche, linguistiche, poetiche ed erudite.
Sono apparsi così più che opportuni alcuni larghi sondaggi sull’interezza del corpo degli scritti rediani, dedicati al tentativo di interconnessione del materiale inedito con quello edito e noto, alla ricerca della resa di un quadro documentario completo e il più possibile esauriente e all’individuazione di taluni indizi sintomatici dai quali poter dedurre crisi o momenti decisivi dell’esperienza intellettuale del naturalista aretino in grado di rivelarne, quasi pieghe orogenetiche, i processi profondi.
Gli studi raccolti in questo volume, da quelli propriamente biografici a quelli maggiormente interni, da quelli di carattere linguistico a quelli inerenti alla fortuna dell’opera, possono aiutare a far comprendere a ogni nuovo lettore degli scritti di Redi l’insufficienza e l’inidoneità di ogni sintesi storica troppo decisiva e ‘forte’, e nello stesso tempo dare avvio a una ricca e promettente stagione di ricerca attorno al medico aretino e alla sua opera ispirata a una vocazione insieme archivistica, filologica ed interpretativa. E forse proprio la sezione della ricerca pertinente alle indagini attorno ai personaggi che ebbero con lui relazioni dirette e indirette e alle opere che egli lesse e possedette si mostrerà, dopo questo volume, quella particolarmente suscettibile di ampliamento e potenzialmente la più ricca di sorprese. Coloro che tenteranno di sondare il terreno della scienza e della letteratura che fu cornice e barocca scenografia della vita intellettuale di Redi, ponendolo in connessione con la sua opera in un ideale viaggio di andata e ritorno, affluenza e defluenza, delle conoscenze, è molto probabile che riescano a far emergere preziose novità e inaspettate evenienze.
Un fondamentale, insoluto, problema che la lettura delle opere e dei manoscritti, per esempio, non svela, se non in una misura ridotta e insoddisfacente, è certamente quello della genesi, del progresso e del contenuto medesimo dell’ispirazione ideale del pensiero rediano. In epoca di controversie e accesi contrasti intorno all’interpretazione e assimilazione delle dottrine filosofiche di Bacon, di Descartes e di Gassendi, per fare soltanto i nomi più noti, di trapasso nei contenuti, negli obbiettivi e nei termini stessi di esposizione della storia naturale, Redi appare insensibile verso ogni tentativo di messa a fuoco di un preliminare discorso sul metodo e sembra affidare la propria scienza a un spirito sperimentale troppo semplificato ed estremamente laconico persino nelle autoreferenze. Per arrivare a saperne di più potrebbe dunque risultare utile l’allestimento di un cantiere di lavoro in grado di permettere una larga indagine attorno alle frequentazioni intellettuali del personaggio e, quindi, collegare i risultati di tale impresa con i ‘momenti’ noti della vicenda scientifica rediana: poiché le opere dell’aretino direttamente non parlano, potranno forse le sue relazioni far lampeggiare incoffesate inclinazioni filosofiche.
 

2. Aretino di nascita, ma fiorentino di adozione, Redi visse ad Arezzo solo fino all’età di sedici anni, ed in seguito vi fece ritorno solo sporadicamente. Eppure, anche per il fatto di non essersi mai formato una famiglia a Firenze, rimase per tutta la vita profondamente legato alla sua ‘patria’, al microcosmo aretino in cui era nato e dove intendeva morire. Non solo Redi dichiarava infatti la in ogni occasione propria aretinità, ma continuò sempre a guardare con molta benevolenza alle istituzioni accademiche, culturali e religiose della città, inviando in continuazione ad Arezzo denaro, libri, cimeli, ritratti e statue con il preciso scopo di accreditare una precisa immagine di se stesso e della sua famiglia nel contesto della nobiltà cittadina. Fino agli ultimi anni continuò anche a coltivare la segreta aspirazione (destinata però a rimanere tale) di ritirarsi nella sua splendida villa degli Orti, per passarvi "in quiete, ed in pace" gli ultimi giorni della sua vita. Di questo aspetto della biografia rediana trattano ampiamente nel volume, con l’apporto di nuovi documenti, i saggi di Giovanni Bianchini, Stefano Casciu e Carla Doni.
A differenza di Redi, la città di Arezzo ha guardato (almeno fino a non molto tempo fa) alla figura e all’eredità storica dello scienziato più illustre che abbia annoverato nel corso della sua gloriosa storia con un strano atteggiamento, che nel 1924 un appassionato cultore di storia locale come Ugo Viviani definì, non a torto, di “apatia”. Lo dimostrano ampiamente anche le vicende a cui andò incontro, col passare dei secoli, la sua tomba. Subito dopo la morte, com’è noto, il corpo di Redi era stato trasportato da Pisa ad Arezzo e tumulato con grande solennità nella Chiesa di S. Francesco, secondo quanto egli aveva chiesto nel suo testamento, stilato nel 1687. Nel 1812, all’epoca della municipalità napoleonica, venne ventilata l’ipotesi di trasformare S. Francesco in un teatro, e allora il pronipote di Redi, Francesco Saverio, fece trasferire il monumento sepolcrale in Duomo. Esso è ancora visibile nella parete di destra della navata, vicino alla Cappella del Conforto, in una posizione piuttosto infelice. Sopra una cassa di marmo si erge il busto dello scienziato, e sotto l’epigrafe fattavi apporre nel 1697 dal nipote Gregorio: "Francisco Redi Gregorius fratris filius". Sotto la cassa è scolpito lo stemma di famiglia e la lapide porta questa semplice scritta: "Obiit Pisis kalendas mart. MDIIIC aetatis LXXI diebus X hic sepu. eiusd. et anno". Il destino della salma di Redi resta invece avvolto nel mistero: nessuna fonte chiarisce se anch’essa venne traslata in Duomo, se rimase in S. Francesco o venne portata dai parenti altrove. Fatto sta, che, a dispetto delle accurate ricerche fatte da Viviani, risulta oggi impossibile sapere dove riposano i resti mortali del medico aretino.
Ben più gravi furono le disavventure a cui andò incontro nel corso dell’Ottocento l’eredità storico-documentaria rediana. Dopo la morte dello scienziato, la sua biblioteca e la straordinaria collezione di manoscritti, lettere e codici antichi che aveva raccolto nel corso della sua lunga vita di scapolo e bibliofilo impenitente vennero ereditati dal nipote Gregorio, figlio del fratello Diego e di Chiara Gamurrini. Nel 1820 però, quando morì il suo pronipote, il Balì Francesco Saverio, che in tutte le occasioni aveva rivendicato di essere l’ultimo discendente diretto di Francesco, questo inestimabile patrimonio venne irrimediabilmente disperso, proprio per effetto delle sue (stravaganti) disposizioni testamentarie. Soltanto la biblioteca personale di Redi (composta di oltre 4.000 testi scientifici e letterari, molti dei quali impreziositi da note di possesso e marginalia) venne conservata ad Arezzo, anche se, per gelosie cittadine, finì per andare divisa (ed in parte perduta) tra la Biblioteca della Fraternita dei Laici (passata poi all’attuale Biblioteca Comunale "Città d’Arezzo") e l’Accademia Aretina di Scienze, Lettere ed Arti (oggi Accademia Petrarca). Di questo importante fondo librario, esplorato con diligenza da Lorella Mangani, si spera quanto prima di pubblicare il Catalogo, in modo da consentire agli studiosi di accedere direttamente allo scrittoio di uno dei protagonisti della nascita della scienza moderna. I codici manoscritti del Trecento e del Quattrocento collezionati da Redi, insieme ad una parte del suo voluminosissimo epistolario, passarono invece in eredità alla Biblioteca Mediceo Laureanziana di Firenze, mentre altri documenti rediani, tra i quali i protocolli scientifici ed il carteggio di famiglia vennero venduti dagli eredi sul mercato antiquario prima di pervenire, attraverso successivi smembramenti e passaggi di proprietà, alla Biblioteca Marucelliana, alla Biblioteca Nazionale Centrale e alla Biblioteca Riccardiana di Firenze. Di questa ‘storia’ il saggio di Luigi Scapecchi consente ora di ripercorrere, attraverso un paziente scandaglio di inediti percorsi del collezionismo seicentesco, alcuni momenti essenziali.

3. La situazione attuale degli studi rediani presenta un quadro di sostanziale arretratezza che, stante le dimensioni del personaggio ed il suo ruolo di indiscusso protagonista della nascita della biologia moderna, non può più essere considerato accettabile anche in considerazione delle attenzioni e dei significativi sviluppi che hanno avuto in questi ultimi decenni le indagini relative ad altri naturalisti italiani del Seicento e del Settecento, come Malpighi Vallisneri e Spallanzani. Redi rappresenta un classico esempio di scienziato più noto che conosciuto, più citato che studiato, più ammirato che amato, che, pur essendo stato oggetto di un continuo interesse erudito a partire dall'Ottocento, risulta oggi abbastanza trascurato nel panorama della ricerca storica contemporanea. Per convincersi di questa realtà, basta gettare un rapido sguardo alla bibiografia rediana, di cui si può ritrovare nel capitolo d’apertura del volume una sintesi pressoché completa. Manca ancora un'edizione completa ed affidabile delle Opere dello scienziato aretino, per le quali occorre rifarsi all'edizione milanese dei "Classici Italiani" dell'inizio dell'Ottocento che riprendeva, senza significativi miglioramenti critici e filologici, le numerose ristampe settecentesche. La stessa situazione vale per il suo sterminato Epistolario, di cui si conoscono (e solo in parte) le lettere dell'autore mentre sarebbe decisivo, per ricostruire la trama della sua esperienza scientifica e per illuminare aspetti importanti della realtà socio-culturale della Toscana della seconda metà del Seicento, disporre anche delle risposte dei suoi corrispondenti. Assai arduo sarebbe, d’altra parte, il compito di indicare una biografia intellettuale di Redi, uno studio organico ed aggiornato sulla sua opera scientifica e letteraria che abbia significativamente migliorato i lavori pubblicati nei primi decenni del nostro secolo da Enrica Micheli Pellegrini, Gaetano Imbert e Ubaldo Viviani. Ancora agli inizi risulta, infine, l’esplorazione dell’immenso corpus dei manoscritti scientifici e letterari rediani sparso nei diversi "Fondi Redi" delle biblioteche fiorentine, sul quale solo da pochi anni si è cominciato a lavorare.
Questa situazione appare destinata a mutare rapidamente in un prossimo futuro. L’occasione della celebrazione del Terzo Centenario della morte di Redi, il 1° marzo 1997, ha infatti rappresentato un punto di svolta ed innescato una spinta di rinnovato vigore ed interesse per la figura e l’opera del grande scienziato e poeta aretino. La città di Arezzo, giustamente fiera delle proprie tradizioni e prerogative, ha ricordato l'evento con una serie di manifestazioni, organizzate in collaborazione tra la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Siena, sede di Arezzo, il Comune e la Provincia di Arezzo, la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, l'Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, la Biblioteca Comunale “Città di Arezzo”, l’Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze, l'Archivio di Stato di Arezzo, la Fraternita dei Laici. Ci sia consentito di ricordare le date di quella che si spera verrà ricordata come una vera e propria "Redi Renaissance" destinata a svilupparsi nei prossimi anni con sempre maggior vigore.

18 Marzo 1997: presentazione della nuova edizione del capolavoro scientifico rediano, le Esperienze intorno alla generazione degl'insetti, curata da Walter Bernardi per i tipi di Giunti Editore (Firenze 1996), e Mostra documentaria "La Biblioteca di Francesco Redi ad Arezzo" curata da Lorella Mangani nell'ambito delle manifestazioni della VII Settimana della Cultura Scientifica promossa dal Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica.

28-29 novembre 1997: Convegno Internazionale intitolato "Francesco Redi, Testi, immagini e documenti della scienza moderna", svoltosi presso la Biblioteca Comunale "Città di Arezzo", di cui questo libro costituisce gli Atti.

Novembre 1997: pubblicazione presso le Edizioni ETS di Pisa del volume Natura ed Immagine. Il manoscritto di Francesco Redi sugli insetti delle galle, a cura di Walter Bernardi, Guido Pagliano, Luciano Santini, Franco Strumia, Lucia Tongiorgi Tomasi, Paolo Tongiorgi.

12-13 Febbraio 1998: Convegno presso l'Accademia Petrarca intitolato "Francesco Redi aretino", di cui sono in corso di pubblicazione gli Atti, e Mostra di immagini, documenti e testi rediani preparata da Lorella Mangani e Giuseppe Martini.

Di entrambi i Convegni rediani arrivano, o stanno arrivando, alle stampe gli Atti. Il presente volume, oltre a raccogliere i testi di gran parte delle relazioni e comunicazioni lette al Convegno del novembre 1997, presenta anche alcuni interventi di studiosi che, pur non avendo potuto partecipare personalmente ai lavori, hanno voluto testimoniare il loro interesse e la loro fattiva collaborazione alla ripresa in atto degli studi rediani. Per questa loro dimostrazione di affetto e simpatia i curatori ringraziano Giancarlo Baffo, Antonella Bonciani, Maria Conforti, Michela Fazzari e Susana Gómez López.
L'auspicio e l’impegno di tutti coloro che hanno lavorato con generosa dedizione alle numerose manifestazioni dell’Anno rediano 1997 è che, partendo dai risultati significativi già raggiunti, possa essere avviato quanto prima un progetto di grande respiro che consenta di pervenire in tempi ragionevoli alla pubblicazione dell’Edizione Nazionale delle Opere, dell’Epistolario e dei Manoscritti di Francesco Redi. E’ questa la nuova prospettiva di intervento alla quale l’intera città di Arezzo è ormai chiamata a rispondere, attraverso le sue diverse componenti istituzionali, economiche e culturali, affinché la salvaguardia e la promozione dell’eredità storica legata al nome di uno dei suoi figli più illustri possa trasformarsi in una sfida ideale per il futuro della stessa città.
4. Al termine di questa presentazione, corre l’obbligo di ringraziare alcuni amici e colleghi senza la cui costante e preziosa collaborazione questa iniziativa non sarebbe giunta in porto. Innanzitutto Lapo Moriani, che ci ha lasciati prematuramente e non può festeggiare con noi la conclusione dell’evento al quale aveva prestato tutta la sua generosa competenza. Poi Ferdinando Abbri, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia di Arezzo, che ha assicurato all’iniziativa il sostegno dell’Università di Siena. E Camillo Brezzi, Presidente della Biblioteca "Città di Arezzo", che ha accompagnato fin dall’inizio con la sua simpatia e la sua fattiva determinazione il progetto del Centenario rediano. Infine Paolo Galluzzi, Direttore dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, già docente di Storia della Scienza presso la Facoltà aretina, che, oltre a favorire il reperimento delle risorse finanziarie necessarie per la pubblicazione del volume, ha acconsentito ad accoglierlo nella prestigiosa Collana "Biblioteca di Nuncius".
 
 
 

Arezzo, 30 Settembre 1998
Walter Bernardi e Luigi Guerrini
 
 

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autori R | Redi, Francesco (cenni biografici)
 

Bacco in Toscana
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E-text del 26 marzo 1999.
Si ringrazia il Prof. Giuseppe Bonghi e la Biblioteca dei Classici Italiani per averci concesso il diritto di pubblicazione.
 
 

Cenni biografici
Francesco Redi nasce il 18 febbraio 1626 ad Arezzo, primogenito di otto figli, di cui 5 femmine, che prenderanno tutte i voti, da Gregorio e Cecilia dei Ghinci; dopo aver fatto i suoi primi studi a Firenze, si laurea a Pisa in Filosofia e Medicina nel 1647. Dal 1650 al '54 è a Roma, ospite del Cardinal Colonna, dove continua gli studi e stringe amicizia con molti letterati e uomini di scienza dell'epoca, facilitato anche dal suo carattere socievole, gioviale e pronto nell'aiutare gli amici.

Tornato a Firenze, viene accolto al servizio dei Medici, coi quali sembra essere stato uno dei promotori dell'Accademia del Cimento, di cui fu comunque uno dei primi e più brillanti membri, e comincia a studiare le più importanti lingue europee (francese, tedesco, inglese e spagnolo) che riuscirà a possedere abbastanza bene; successivamente intraprende a studiare perfino l'arabo e il greco, di cui si accinge perfino a scrivere un vocabolario, che non è stato mai pubblicato; l'amore per le lingue lo aiuterà nella sua opera di compilatore del Vocabolario della Crusca, opera condotta insieme ad altri Accademici e che verrà pubblicata nel 1691.

Nel 1655, il 23 dicembre, come ebbe a scrivere lo stesso Redi in una lettera inviata all'amico Egidio Menagio nel 1678, fu nominato Accademico della Crusca, anche se non aveva ancora scritto né pubblicato niente, e quindi non poteva avere una fama di Letterato tale che potesse permettergli la nomina stessa; ma sicuramente molto gli giovò il fatto che fosse figlio del Primo medico del Granduca Ferdinando II, gli studi condotti e superati brillantemente a Pisa e una certa notorietà acquisita come erudito presso celebri Letterati e uomini di scienza, che in quegli anni aveva conosciuto sia a Roma che a Firenze.

Tre anni più tardi, nel '58, fu incaricato insieme ad altri della correzione e dell'ampliamento delle voci del Vocabolario della Crusca, facendosi fautore di una lingua viva, lontana da ogni pedanteria, tutta basata sulle cose e sull'osservazione dei fenomeni linguistici operata con razionalità. Il Redi si mostrò favorevole all'accettazione non solo delle parole usate dai grandi scrittori del Trecento, ma anche di quelle consacrate dalla pratica quotidiana della lingua parlata dagli eruditi e dai cortigiani raffinati, anche se talvolta, per confermare l'uso di certi vocaboli, nei suoi lavori di compilazione del Vocabolario inventava addirittura degli autori, che affermava di possedere manoscritti nella sua ricca biblioteca, da cui riprendeva degli esempi calzanti o, nella migliore delle ipotesi, riportava a memoria brani di autori conosciuti, quindi in maniera del tutto personale, in modo che confermassero le sue idee: questo suo modo di procedere verrà messo in evidenza due secoli dopo da uno studioso della stessa Accademia.

Questo incarico venne portato avanti in modo più vivo e impegnato dal momento in cui fu nominato Arciconsolo dell'Accademia, il 27 giugno 1678, succedendo a un illustre personaggio, l'amico Vincenzo da Filicaia, che verrà nominato anche nel Ditirambo; manterrà l'Arciconsolato fino al 1690, quando gli subentrerà il Gentiluomo fiorentino Manfredi Macigni.

Il suo impegno come Accademico della Crusca e l'amicizia col Granduca, determinata anche dal fatto, come abbiamo detto, che suo padre era Primo medico della corte medicea, gli permisero di partecipare, nel '57, alla fondazione dell'Accademia del Cimento, della quale fu uno dei rappresentanti più attivi: comincia così quella sua attività di ricercatore più o meno scientifico che lo porta al possesso non solo di una vasta e solida cultura medica per quei tempi notevole, ma anche ad affermare un principio che sempre avrà presente nella sua produzione, anche poetica: quello di attenersi ai fatti e alla realtà, di sperimentare le verità e le affermazioni anche in prima persona, come farà con il veleno delle vipere, ingerito per dimostrare che questo diventa praticamente innocuo se bevuto ma è mortale se iniettato nel sangue. Come Accademico del Cimento scriverà la maggior parte delle sue opere scientifiche e delle sue lettere che avranno come argomento osservazioni naturalistiche ed esperimenti vari di anatomia.

Nel 1663 viene nominato Lettore di Lingua Toscana dello Studio Fiorentino, ed ha come discepoli personaggi che assumeranno un posto di notevole importanza nel campo letterario verso la fine del secolo, tra i quali i più importanti furono il Filicaia, il Menzini ed il Salvini. Del 1664 è la sua prima opera, un opuscolo di storia naturale, le Osservazioni intorno alle vipere, con la quale egli afferma una posizione di raggiunto prestigio non solo come medico e ricercatore scientifico, ma anche presso la corte granducale, tanto che tre anni più tardi, nel 1666, gli viene affidato l'incarico di sovrintendente della Fonderia e della Spezieria, e soprattutto di Archiatro, cioè Primo medico, da Ferdinando II, succedendo in pratica al padre che aveva mantenuto questa carica per molti anni, un incarico che continuerà a mantenere anche sotto il successore Cosimo III, divenuto Granduca di Toscana alla morte del padre nel 1670.

I suoi scritti nascono, secondo alcuni critici, da osservazioni occasionali, non in un preordinato campo di ricerca; il Redi mette comunque da parte superstizioni e dicerie e porta il suo lavoro sul piano della sperimentazione razionale e sensista, scindendo, per quanto possibil,e la scienza dalla morale cattolica e dai princìpi religiosi, spesso legati a una lettura acritica della Bibbia e che talvolta non tenevano conto dell'evoluzione lenta e faticosa della ricerca scientifica; anzi princìpi religiosi e morale cattolica spesso si mettono in violento contrasto con la scienza, basti pensare alla vicenda emblematica di Galileo, della teoria eliocentrica, della distinzione fra sostanza e accidente, ecc.

In lui, come nei ricercatori che vivono e operano a cavallo fra il Seicento e il Settecento, non interessano tanto le grandi questioni generali della Fisica o dell'Astronomia, quanto la realtà naturale del microcosmo, delle piccole cose, indagate con senso naturalistico e razionale, non privo di intuizioni geniali, che negli ultimi tempi stanno venendo alla luce grazie agli studi di appassionati studiosi di quella vasta attività di "appunti" che giace per lo più inesplorata. Da questo nascono le sue già citate Osservazioni intorno alle vipere (1664), le Esperienze intorno alla generazione degli insetti (1668), le Esperienze intorno a diverse cose naturali, e particolarmente a quelle che ci son portate dalle Indie (1671), e infine, solo per citare le più importanti, le Osservazioni intorno agli animali viventi che si trovano negli animali viventi, pubblicate nel 1684.

Proprio nel campo della ricerca Redi acquistò una fama che lo rese celebre in Europa.

I Principi Mecenati trattavano allo stesso modo scienziati e artisti, letterati e poeti, mettendo a disposizione di tutti larghi mezzi per esprimere al massimo livello la propria personalità sia come elemento per vedersi onorare e soddisfare l'ambizione di essere ricordati dai posteri, sia come semplice e pura liberalità.

Nel 1685 pubblica il Bacco in Toscana, la sua opera letteraria più celebre, e viene chiamato a far parte dell'Accademia di Camera di Maria Cristina di Svezia e col nome di Anicio Traustio è tra i primissimi accademici dell'Arcadia, nella quale porta la sua esperienza non solo di letterato, ma anche di ricercatore naturalista, di persona lontana da ogni ampollosità marinista, legata ai fatti e alle espressioni chiare e semplici.

Dal 1690 la sua salute comincia a peggiorare, affetto da una malattia che si può approssimativamente identificare con l'epilessia, come afferma il Giacosa. Negli ultimi mesi della sua vita, l'uomo che con tanta sobrietà aveva curato i suoi ammalati con buon senso e realismo, lontano dalle superstizioni e dai consueti farmaci privi di benefici effetti, invocava tutti i giorni Gesù e si mostrava nel privato, perché non osava dichiararlo pubblicamente, fiducioso in pratiche un po' arcane e irrazionali, come quella di farsi ungere di olii di devozione o di credere nel potere di guarigione delle fettuccie che avevano toccato le ossa o la testa di S. Ranieri.

Negli ultimi tempi fu, quindi, un po' bigotto, come il Granduca Cosimo III, di cui era il cortigiano affettuoso e il confidente. Nel 1697, mentre si trovava a Pisa insieme alla corte di Cosimo III, la mattina del primo marzo fu trovato morto nel suo letto. Così scrive l'abate Salvino Salvini (Opere di Francesco Redi, vol. I, Milano, Società tipografica de' Classici italiani contrada di Santa Margherita n. 1118, anno 1809, pag. XX e seguenti) nella sua breve biografia di Redi: "In mezzo a queste sue glorie (le opere che letterati e scienziati gli dedicavano, ndr), ad onta di sua piccola complessione debilitata bene spesso dalle malattie, che lo travagliavano, come fu il mal caduco, da lui pazientemente negli ultimi anni di sua vita sofferto, mantenne sempre indefesso l'amore alle Lettere, e l'affezione agli amici, i cui parti d'ingegno volentieri tutto dì ascoltava: e sopra tutto l'assiduo servigio, che egli prestava alla Casa Serenissima di Toscana, colla quale portatosi finalmente a Pisa l'anno 1697. Fu la mattina del dì primo del mese di Marzo dall'Incarnazione del Salvatore trovato nel proprio letto, esser passato, a cagione delle suddette sue indisposizioni, da un breve e placido sonno agli eterni riposi del cielo, dove il suo buon costume, e la sua religiosità ci persuadono, che egli sia andato sicuramente."

Il cadavere, imbalsamato nella stessa Pisa, venne trasportato per sua espressa volontà ad Arezzo e tumulato in un ricco mausoleo nella Chiesa di San Francesco fattogli edificare dal nipote Gregorino, anch'egli Accademico della Crusca, erede di tutti i suoi beni e unico familiare cui il celibe Redi fu legato da affetto. Sul sepolcro furono scolpite solamente queste parole: FRANCISCO REDI PATRITIO ARETINO GREGORIUS FRATRIS FILIUS.

La 'Casa Serenissima di Toscana' per pubblico decreto "collocò il suo ritratto come suol fare degli illustri suoi cittadini, nel palagio pubblico; imitando in ciò il glorioso esempio di Cosimo III, che non solo in foglio, ma in bronzo lui vivente, fece imprimere in tre artificiose medaglie con ingegnosi rovesci, alludenti alle tre facoltà, che in eccellente grado possedeva di filosofia, Medicina e Poesia.

L'Arcadia, di cui fece parte col nome di Anicio Traustio, gli tributò particolari onori; e l'Accademia della Crusca di Firenze il 13 agosto 1699 gli celebrò un particolare onore, con la lettura di numerosi componimenti poetici e un'orazione funebre, che riportiamo in altra parte, scritta e recitata dall'Abate Salvino Salvini, che mise in luce come tutta la vita del Redi fosse stata un "continuo esercizio di letterata amicizia".

Note biografiche a cura del Prof. Giuseppe Bonghi



 Seicento - Settecento
L'ETÀ D'ORO DEL BRINDISI. PARTE PRIMA: FRANCESCO REDI

Shakespeare e Alfieri segnano gli estremi cronologici del Seicento/Settecento. Se uno apre, l'altro chiude il bicentenario d'oro del brindisi. Tra il XVII e il XVIII secolo tanti e tantissimi minori, composero brindisi. Fu una vera e propria moda, al cui vertice c'è il Bacco in Toscana di Francesco Redi, concepito da un non precisato stravizzo della Crusca, la sera del 12 settembre 1666. Redi fu un personaggio insigne del suo tempo. Fu primo medico di corte, ma fu anche protofisico granducale e tra i più attivi, nell'Accademia del Cimento, (1657 - 1667) allora protetta dal principe Leopoldo e dal granduca di Toscana Ferdinando, a mantenere vivo il magistero galileiano. Ovviamente, fu anche uomo di lettere.
Come tale, entrò tra i primi nell'Accademia della Crusca e lavorò al Vocabolario. Conosceva il greco, il latino, l'ebraico; qualcosa dell'arabo e dell'abissino. Si attivò come editore e come scopritore di testi. Ma fu anche poeta. La prima stesura de Il Bacco in Toscana contava 44 versi, ma 11 anni dopo, il 4 febbraio 1685, i versi erano saliti ai definitivi 980. Il componimento ebbe un successo strepitoso. Fu definito il capolavoro della poesia bacchica, il miglior ditirambo in lingua italiana, secondo la nuova moda poetica. Il ditirambo - canto corale in onore di Dioniso-Bacco - venne introdotto dal Chiabrera con il suo Ditirambo alla maniera dei Greci. Ma l'invenzione spetta alla letteratura francese e in particolare a Ronsard, Chant de folie à Bacchus. Il brindisi ha tutti i caratteri del nuovo genere: nessun legame di rima, versi brevi e lunghi per la libertà dell'invenzione, qua e là qualche grecismo. "Una misuratissima pazzia" lo definì il Pancrazi. Curioso è anche il modo con cui Redi giunge al brindisi. Il ditirambo inizia raccontando l'arrivo in Toscana da Oriente del dio del vino. Segue l'elogio delle proprietà del vino e in specie dei vini toscani. Celebre la definizione del vino come "oro potabile", mentre si critica il caffè, la birra, il "sidro d'Inghilterra", l'acqua, i sorbetti. Viva il vino e l'ebbrezza e il vivere spensierato, questo è il messaggio. Tuttavia, a furia di bere, la testa di Bacco inizia a girare e il terreno a tremargli sotto i piedi. Quando le cose stanno così, non si può che lasciare la terra e andare in mare. E questo fa Bacco. Il viaggio per mare, l'ebbrezza, il desiderio di bere ancora determina un continuo bisticcio tra Brindisi città, meta della navigazione, e brindisi di vino. Alla fine è il vomito a riequilibrare tutto e a permettergli di ricominciare a bere. Il ditirambo si conclude con l'enunciazione, tra il solenne e l'ironico, della verità divina: "ascolti questo altissimo decreto, / che Bassareo (Bacco) pronunzia, e gli dia fé: / Montepulciano d'ogni vino è il re".

2. FRANCESCO REDI (1626 - 1698)

Ditirambo di Bacco: brindisi

Quali strani capogiri
d'improvviso mi fan guerra?
Parmi proprio che la terra,
sotto i piè mi si raggiri;
ma se la terra comincia a tremare,
e traballando minaccia disastri,
lascio la terra, mi salvo nel mare.
Vara, vara quella gondola
più capace e ben fornita,
ch'è la nostra favorita.
Su questa nave,
che tempra ha di cristallo,
e pur non pave
del mar cruccioso il ballo,
io gir men voglio
per mio gentil diporto,
conforme io soglio,
di Brindisi nel porto;
purché sia carca
di brindisevol merce
questa mia barca.
Sù, voghiamo,
navighiamo
navighiamo infino a Brindisi:
Arianna, brindis, brindisi.
O bell'andare
per barca in mare,
verso la sera,
di primavera!
(…)
Sù, voghiamo
navighiamo infino a Brindisi:
Arianna, brindis, brindisi.
Passavoga, arranca, arranca,
ché la ciurma non si stanca,
anzi lieta si rinfranca
quando arranca inverso Brindisi;
Arianna, brindis, brindisi:
e se a te brindisi io fo,
perché a me faccia buon pro,
Ariannuccia vaguccia, belluccia,
cantami un poco, e ricantami tu,
sulla mandòla la cuccurucù,
la cuccurucù,
la cuccurucù;
(…)
Or qual nera, con fremiti orribili,
scatenossi tempesta fierissima.
(…)
Ecco, Ohimé! Ch'io mi mareggio:
e m'avveggio
che noi siamo tutti perduti:
ecco, Ohimè! che io faccio getto,
con grandissimo rammarico,
delle merci preziose,
delle merci mie vinose:
ma mi sento un po' più scarico.
Allegrezza, Allegrezza! Io già rimiro,
per apportar salute al legno infermo,
sull'antenna da prua muoversi in giro
l'oricrinite stelle di Santermo.
Ah! no no, non sono stelle;
son due belle,
fiasche gravide di buon vini;
i buon vini sono quegli che acquetano
le procelle si fosce e rubelle,
che nel lago del cor l'anime inquietano.
Satirelli
ricciutelli,
satirelli, or chi di voi
porgerà più pronto a noi
qualche nuovo smisurato
sterminato calicione,
sarà sempre il mio mignone:
né m'importa se un tal calice
sia d'avorio, o sia di salice
o sia d'oro arciricchissimo;
purché sia molto grandissimo.

Testo e ricerche Luigi Borgo - copyright Santa Margherita S.p.a.

  Giuseppe Bonghi

Introduzione
Bacco in Toscana
di
Francesco Redi
 
 

- La presente Introduzione può essere riprodotta su qualsiasi tipo di supporto magnetico, ma non su carta in qualsiasi forma. Per i diritti d'autore rivolgersi a Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it -
 
 

Indice
 Introduzione
      Il ditirambo
         La struttura
             Il Ditirambo e la società del Seicento
                 L'uso linguistico
                     Bacco in Toscana
                          - vv. 1-357
                          - vv. 358-732
                          - vv. 733-980
 
 

BACCO IN TOSCANA
ditirambo
di
FRANCESCO REDI
accademico della Crusca

nota - pubblicato per la prima volta nella versione completa in Firenze nel 1685 con molte annotazioni dell'Autore, accresciute nella terza edizione, del 1691, avvenuta a spese dell'editore Piero Matini - riprendiamo il testo da Bacco in Toscana, Ditirambo di Francesco Redi accademico della Crusca, con le Annotazioni, ed. Piero Matini all'insegna del Lion d'oro, con licenza dei superiori, Firenze 1685, (pubblicato sotto il patronato del Granduca di Toscana) - Il volume giace presso la Biblioteca comunale di Novara -
 
 

INTRODUZIONE

 - IL DITIRAMBO (n. 1)

      "Questo benedetto Ditirambo è diventato l'Opera di Santa Liperata, direbbe un Battilano" (n. 2). Così scriveva il 29 dicembre 1684 il Redi all'amico Lorenzo Magalotti, riferendosi a tutte le aggiunte che nel corso degli anni, dalla prima idea del 1666, era venuto facendo, specialmente negli ultimi mesi prima della pubblicazione, avvenuta nel 1685, colle spese del Granduca di Toscana Cosimo III. L'ironica battuta del Redi, riferita a un battilano, lavorante addetto alla battitura della lana, quindi di bassa condizione sociale, sta ad indicare un lavoro di cui non si vede mai la fine. Due volte all'anno, gli Accademici della Crusca si riunivano a un pranzo collettivo, un solenne simposio, detto stravizzo, alla presenza di autorità di governo, rappresentanti del Granduca e illustri personaggi, in occasione della elezione di nuovi membri dell'Accademia. Il 12 settembre 1666 si tenne alla presenza dei principi Leopoldo e Mattias de' Medici uno stravizzo per la nomina anche del nuovo arciconsolo, nella persona di Vincenzo da Filicaia. Durante lo scambio dei brindisi, rispondendo a un'ottava scherzosa dell'amico Lorenzo Magalotti, che aveva affermato che non è l'amore che deve reggere il mondo, ma il vino:

l vin sia quel che 'l mondo regge in piede
ed or m'avveggio che il pensier non erra
se sotto i piè mi fa girar la terra'.

il Redi improvvisò un ditirambo scherzoso di quarantaquattro versi, facendo le lodi di alcuni vini toscani. Era il primo nucleo del Ditirambo, che, come afferma Ranieri Schippisi (n. 3),
 

"sette anni più tardi (1673) erano già diventati i novantasette versi dello Scherzo anacreontico, poi i centoventidue de I vini della Toscana, i centocinquantasette del Baccanale in lode dei vini della Toscana".

      Nel 1673, comunque, in una lettera inviata da Firenze all'amico Lorenzo Magalotti il 26 Agosto, il Redi scrive:

"Il Ditirambo dell'acque (n. 4) non è finito; ma egli è divenuto la rete del barbiere (n. 5). È finito il Ditirambo de' vini ed è cresciuto fino a quattrocento tanti versi. V.S. Illustriss. lo vedrà stampato presto, e quel che più importa cum notibus et commentaribus." (n. 6)

      Si tratta evidentemente del Bacco in Toscana, ma il Ditirambo dei Vini (n. 7), come lo chiama in modo discorsivo e colloquiale l'autore, non verrà mai stampato, anche se cominciarono a circolare molte copie dei quattrocento versi, che subito si imposero per la loro freschezza, diventando celebri presso tutti gli intellettuali della Toscana e presso la Corte del Granduca. É solo a questo punto che si inseriscono non solo gli interventi degli amici, a cominciare da Lorenzo Magalotti, tendenti a far introdurre dei versi in ricordo degli stessi, a cominciare da Cosimo III, ma anche un sentimento di devozione dell'Autore che tendeva a ripagarli in qualche modo dell'amicizia e dell'aiuto che questi gli avevano dato in svariate occasioni: riprova ne è la stessa lettera citata, nella quale l'Autore riporta tre brani del suo Ditirambo (che non subiranno variazioni nell'edizione definitiva: sulle bevande nordiche, birra, ecc.; sulla nave in mare verso Brindisi dalla quiete alla tempesta; sul vino che bisogna bere freddo: in totale 127 versi) nei quali manca qualsiasi accenno agli amici.
      Dopo un certo periodo di pausa, in quanto era impegnato in altre occupazioni, fra cui quella di Primo Medico della Corte, e da interessi più specificamente scientifici, il Redi rimette mano al Ditirambo all'inizio del 1684. I versi diventeranno definitivamente 980 nel 1685, pubblicati col titolo di Bacco in Toscana, dopo dodici anni di aggiunte, rifacimenti e revisioni dal 1673 fino alla versione definitiva, ma soprattutto degli ultimi due anni, legati dall'esile filo dell'elogio dei vini, realizzato da un personaggio che non amava quasi per niente il vino o che comunque difficilmente si abbandonava al bere, e dell'elogio degli amici più cari insieme ai personaggi più in vista dell'epoca.
      Il Redi immagina che Bacco, il dio del vino, ed Arianna sua moglie, in uno dei loro frequenti viaggi per i luoghi in cui si coltivano vigneti a lui dedicati, si fermino con tutto il seguito di Satiri e di Ninfe nelle villa medicea di Poggio Imperiale (il titolo imperiale deriva dal fatto che fu posseduta dalla Granduchessa Maria Maddalena della famiglia imperiale d'Austria, consorte di Cosimo II), una delle residenze estive dei Granduchi di Toscana e soggiorno preferito delle principesse Medicee, una grandiosa costruzione sul posto di un antico castello, dotata di un bellissimo parco. Sul verdeggiante prato del parco, sedendo vicino ad Arianna, Bacco passa in rassegna i vini della Toscana, in particolare del contado fiorentino, insieme ad alcuni non toscani, che egli conosceva per esperienza personale o semplicemente letteraria, in tutto 57, eleggendo infine il migliore di tutti i vini, il Montepulciano, e facendo l'elogio di alcuni degli uomini migliori dell'epoca, con in testa il Mecenate Granduca Cosimo III.
      Proprio sul vino di Montepulciano, elogiandone le grandiose qualità, scrisse un'ode (n. 8) al Conte Federico Veterani in quegli anni, per ringraziarlo di alcuni assaggi di vino che gli aveva mandato, sapendo che il Redi era alle prese con il Ditirambo:

      Se l'Unghero rubelle, e il Transilvano (n. 9)
ridurre al giogo imperial (n. 10) bramate,
bevete, o signor Conte, anzi trincate
questo ch'or vi mand'io Montepulciano.
      Se di questo, Signor, voi trincherete
a colizione, a desinare, e a cena,
il Prence Montecuccoli, e il Turrena
in gloria militar trapasserete:

      anzi quel re di Francia ( n. 11) sì terribile,
che fa paura a tutto quanto il mondo,
e tutto lo vorria domare a tondo,
avrà di voi una paura orribile.

      E se 'l demonio lo tentasse mai
d'attaccarvi di notte nel quartiere ( n. 12),
se baderete, o Signor Conte, a bere,
il Re di Francia n'averà de' guai.

      Bevete dunque, e giorno e notte in guerra
state col fiasco, e generoso, e forte,
e sarete più bravo della morte,
e il maggior capitan, che viva in terra.

      Bevete pur, e ve lo dice il medico,
bevetel freddo, che non fa mai male,
e stimate un solenne arcistivale ( n. 13)
chi non dà fede a quanto adesso io predico.

      E se tornate in Alemagna, dite
al nostro Imperator da parte mia,
che se vuol gastigar quell'Ungheria,
e far le ribellioni ormai finite;

      anch'egli bea Montepulciano, e faccia
nel bel mezzo di Vienna un'ampia grotta,
dove sempre ognun trinchi a guerra rotta ( n. 14)
Verdea, Montepulcian, Chianti, e Vernaccia.

      Se questo fia, vedremo a' nostri giorni
marcire il Turco prigioniero in Vienna,
e la superba trionfale Ardenna
contenta star de' vasti suoi contorni.

      Vedremo, io so bene io, ch'io son Profeta,
perché un fiasco di vino in sen mi bolle,
e tutto pieno di furor m'estolle ( n. 15)
del profetico Pindo all'alta meta.
 
 
 

 - LA STRUTTURA

      Nel Ditirambo, per comodità, possiamo distinguere i seguenti punti, che segnano l'evoluzione sia dell'elogio dei vini che di un brindisi che porta più o meno tutti a uno stato di ubriachezza simile a quello delle scimmie, evidenziato non solo dalla tirata a volte confusionaria e balbettante di Bacco, così genialmente espressa dai giochi di parole, di rime e di assonanze e onomatopee, ma anche dall'intrecciarsi di balli e canti sfrenati, esaltati dallo strepito di strumenti primitivi che, nulla avendo di dolce, spingono al parossismo del piacere dei sensi sollecitati dal bere:

vv.
1-94 definizione del vino, come sangue amabile che rinnova le arterie, creato dai raggi del sole che tutto vivifica (11-18); Bacco loda i buoni vini, a cominciare da quelli di Avignone e di Artimino e, passando per i vini da scartare come quelli di Lecore, finisce col Moscadelletto di Montalcino, degno di essere custodito dalle Vestali;
vv.
95-139 alcuni vini non buoni, come il Pisciarello per la mancanza di forza, e l'Asprino perché troppo forte e acre; tirata contro coloro che, come Ciccio d'Andrea e Fasano, superbi, credono di intendersi di vino come Bacco, brandendogli contro il tirso, ma farebbero meglio a bere il Greco di Posillipo e di Ischia;
vv.
140-203 elogio di ottimi vini, come il Trebbiano, il Buriano e il Colombano, insieme alla Barbarossa, al Corso e all'Ispano, che affinano il cervello, come al buon Rucellai che può in questo modo sviluppare i suoi studi scientifici; come contrapposizione abbiamo la condanna di bevande barbare come il cioccolato, il the e il caffè;
vv.
204-290 anche in questa sezione, come nella precedente, alterna l'elogio dei buoni vini del contado fiorentino, e in genere toscano, come la Malvagia, (216-228) il Sansavino, il Vaiano o l'Albano (250-265), e il disprezzo e la maledizione contro coloro che bevono birra, sidro e le bevande del nord Europa (229-244), chiudendo con l'ottimo Topazio di Lamporecchio;
vv.
291-357 tra i modi di bere il vino (puretto o innacquato), indica il modo migliore: il vino va bevuto freddo; e, quindi, elenca vari tipi di vasi che servono a tenere in fresco il vino, come le cantinette e le cantimplore o le bombolette; invita i suoi Satiri a procurargli il ghiaccio necessario dalla Grotta di Boboli, il celebre giardino di Palazzo Pitti, il più bel giardino all'italiana esistente; la sezione chiude con il canto armonioso dei poeti, come Menzini e Filicaia, e degli Accademici della Crusca, invocando Bacco con l'acclamazione "Evoè";
vv.
358-384 piccola sezione, che chiude la prima parte del Ditirambo, con Bacco che, dopo essersi lavato la bocca con la Malvagia del Trebbio, fa una lode a Cosimo III, Granduca di Toscana e Mecenate, che, come ha accolto presso la sua Corte gli intelletti più vivi di Toscana, così possa essere accolto fra i satelliti di Giove, astro novello nel Cielo degli dei;
vv.
385-444 Comincia una seconda parte più movimentata, in cui sono presenti i divertimenti di corte, come balli e canti, sollecitati da vari tipi di strumenti musicali, e allietati da canzoni e poesie ed eccitati ancor più da un immancabile ottimo vino, come il dolce Mammolo di Montisone;
vv.
445-530 la sezione ha un andamento lento, calmo e maestoso, prima del finale travolgente: Redi, cioè Bacco, ha trovato finalmente dei vini eccezionali e si ferma a gustarne il sapore centellinando ogni goccia; sono i vini di Fiesole, di val di Marina, di val di Botte e la Vernaccia, che invitano alla calma e ad ascoltare egloghe al suono dello zufolo all'ombra di una rovere, allontanando tutti coloro che bevono il debole e leggero vino delle Cinque Terre di Toscana (della piana di Lècore alle porte di Firenze) infliggendo loro una vergognosa punizione: ma il tutto è espresso sempre con un garbato sorriso, senza violenza;
vv.
531-585 il ritmo diventa più convulso, rapido e precipitoso, con i versi brevi e i suoni che si inseguono veloci, anche quando (559-580) condanna coloro che preferiscono gli orribili odori alla moda, come il muschio e l'ambra o gli odori fatti venire dal Perù e da Tolù, conservati in cunziere e guancialetti, borsigli e soavi profumiere, all'odore vero e unico del vino; la rinnovata voglia di bere (531-557) apre e chiude la sezione, con l'elogio dell'Antinoro (531), del Canaiuolo (535) e dell'Ambra (581) del Cavalier dell'Ambra;
vv.
586-645 è la sezione che presenta i benefici effetti del vino: fa le menti chiare e svelte (600), come il Pumino; rende contenti i desideri a pieno (615) ed è l'allegria del mondo (620), come il Vermiglio di Gualfonda o il Piropo di Mezzomonte; ispira la poesia (630: mi sollevo sovra i gioghi di Permesso) fino a spingere Bacco a sentirsi in grado di gareggiare con lo stesso Apollo, se beve il rubino di Valdarno o il vino di Gersolè, cantando (643-645) le lodi della chioma naturalmente bionda e della bocca bella di Arianna (tutte le donne dei poeti sono bionde e tutte hanno la bocca bella: la superficialità di queste due immagini è effetto del vino: Bacco non sa trovare di meglio;
vv.
646-731 il vino e l'amore cominciano a produrre i loro effetti su Bacco che si dichiara "Cavalier bagnato" di Arianna per poter sedere con onore alla mensa di Giove, come gli antichi cavalieri della letteratura cortese e in particolare secondo il costume dei cavalieri Longobardi; in questa sezione troviamo sia l'elogio dei vini (Falerno, Tolfa, Verdea, Lacrima del Vesuvio, ecc.) sia i tipi di fabbricazione del vino (mezzograppolo, alla franzese, granella, ecc.) e finisce con l'elogio del Chianti e del Carmignano: intanto s'avanza l'ebbrezza fra i tanti inviti a continuare a bere i buoni vini;
vv.
732-806 è una sezione che rappresenta un intermezzo necessario prima della volata finale: questi versi sono una 'tirata' contro l'acqua, così capricciosa quando mette a soqquadro il mondo con le sue inondazioni che rovinano monumenti stabili da secoli (739-751) e chi la beve (757-760), contro i mediconzoli che la consigliano perché sperano di guarire con essa molti mali (761-770), contro tutte le bevande che non siano vino, come l'acqua cedrata o il limoncello o l'aloscia (778-791), perché sono bevande da femmine leziose: solo il vino (792-806) protegge e fa bene anche al freddoloso Redi (l'autore trova il modo di accennare anche a se stesso);
vv.
807-880 comincia la parte finale del Ditirambo, la più celebre per la genialità ritmica della composizione: l'alternarsi dei versi nella loro varia lunghezza metrica e dei giochi di assonanze e di rime, riflettono bene l'ebbrezza di Bacco, che ondeggiando crede di essere su una nave che naviga verso Brindisi in un comico bisticcio tra Brindisi città e brindisi vinoso: Bacco, come dice il Redi in una lettera al Menagio del 6/1/1684, "comincia ad essere briaco, o per dir meglio è tutto briaco";
vv.
881-960 è la sezione che rappresenta la scena finale: quella della tempesta marina parallela alla tempesta dell'ubriachezza nel corpo di Bacco e dei suoi seguaci, per superare la quale bisogna pur fare qualche sacrificio, buttando a mare i preziosi barili pieni di vino e buttando fuori dal proprio corpo (simboleggiato dalla nave) il vino ingurgitato; una volta alleggeriti, la tempesta sembra essere superata e lo scampato pericolo deve essere festeggiato da una abbondante bevuta: invita i Satiri a mescere altro vino non in bicchieretti, caraffini, buffoncini, zampilletti e borbottini, ma in sterminati calicioni grandi come un tonfano;
vv.
961-980 è la chiusura col brindisi finale col vino di Montepulciano, dichiarato con "altissimo decreto" il re di tutti i vini, bevuto fino a cadere stremato per l'ubriachezza sulla tenera erbetta: mentre gli occhi di Bacco si disciolgono per la dolcezza e la sua anima va in estasi e in visibilio dopo che il vino gli ha baciato e morso l'ugola sdrucciolando verso il cuore, le sue festose Baccanti alternano i canti e i Satiri si sdraiano per terra, "cotti come monne", ubriachi come scimmie.

Sul piano del contenuto mettiamo in evidenza:

elogio dei vini
57 Claretto di Avignone, Rosso di Artimino, Moscadello di Petraia, Moscadello di Castello, Crisolito, Moscadelletto di Montalcino, Pisciancio del Cotone, Pisciarello di Bracciano, Asprino d'Aversa, vino di Posillipo, vino di Ischia, Greco di Posillipo, Greco d'Ischia, Buriano di Pescia, Trebbiano, Colombano, Barbarossa, Corso, Ispano, Malvagia di Montegonzi o Malvagia etrusca, Ambra cretense, vino di Sansavino, Vermiglio di Tregozzano, Vermiglio di Giggiano, Albano, Vaiano, Topazio di Lamporecchio, Malvagia del Trebbio, porpora di Monterappoli, Mammolo di Mantisone, Maiano di Fiesole del Salviati, vino di Val di Marina, vino di Val di Botte, Vin di Lesmo, vino di Colombano, Vernaccia di Pietrafitta di San Gimignano, vin di Brozzi, vin di Quaracchi, vin di Peretola, vino de Le Rose d'Antinoro, Canaiuolo, vino del cav. dell'Ambra, vino di Pumino, vin d'Albizzi, Vermiglio di Gualfonda, Piropo di Mezzomonte, Rubino di Valdarno, Mammoletta, vin di Gersolè, Falerno, Tolfa, Lacrima del Vesuvio, Verdea d'Arcetri, vino porporino di Lappeggio, Chianti, Carmignano, Montepulciano;
tipi di lavorazione del vino: 7 mezzograppolo, alla francese, rincappellato, granella, soleggiato, rullato, alla sciotta;
accenno particolare al Granduca di Toscana Cosimo III de' Medici ed elogio di alcuni degli amici più cari: 21 Scarlatti, Stefano Pignatelli, Ciccio d'Andrea, Gabbriello Fasano, Marchese dell'Oliveto, Orazio Rucellai, Benedetto Menzini, Vincenzo da Filicaia, Alessandro Segni, Monsieur l'Abbé Régnier, Lorenzo Magalotti, Salviati, Anton M. Salvini, Carlo Maria Maggi, Francesco de Lemene di Lodi, Cavalier dell'Ambra, Albizzi, Riccardi, Corsini, Lorenzo Bellini, Vincenzo Viviani;
strumenti musicali popolari: 18 cetera, cembalo, crotalo, flauti, nacchere, talabalacchi, tamburacci, corni, cornamuse, pifferi, sveglioni, colascioni, dabbudà, zufolo, ghironda, cennamella, mandola, viola;
canti popolari, balli e generi di poesie: 12 tresca, frottole, riboboli, strambotti, bombababà, mottetti, cobbole, sonetti, cantici, fiori scambievoli, egloghe, cuccurucù;
vari tipi di bicchieri e di vasi: 33 vetri maiusculi, bellicone, tino, fiasco, botticin, la pevera, nappo, anfore, inguistare, ciotole, bicchier, pecchero, ciotolone, tazze, cantinette, cantimplore, bombolette, coppa, boccale, bigoncia, vaso, fiasche, calice, calicione, bicchieretti fatti a foggia, bicchieri arrovesciati, gozzi strangolati, caraffini, tazze, buffoncini (da buffone), zampilletti, borbottini, vetro che chiamasi tonfano;
odori preziosi e contenitori: 7 ventagli, guancialetti, ambra, soavi profumiere, cunziere, polvigli, borsigli;
bevande diverse: 11 cioccolatte, tè, caffè, cervogia o birra, Sidro d'Inghilterra, bevande di Lapponi e Norvegi, acqua cedrata di limoncello, bevanda di gelsomini, Aloscia, Candiero, sorbetti;
palazzi e ville: 13 Imperial Palagio di Maria Maddalena d'Austria, villa Artimino di Ferdinando I Granduca di Toscana, villa Petraia dei Medici, villa Castello dei Medici, villa di Lamporecchio dei Rospigliosi, villa dei Medici di Trebbio in Mugello, la Salviatina (dei Salviati di Maiano), villa di Lesmo del Maggi, villa di Mezzomonte dei principi Corsini, villa di Gualfonda dei Riccardi, villa del Cotone degli Scarlatti, villa Le Rose degli Antinori, villa Lappeggio (Lampeggio) di Francesco Maria di Toscana;
elementi mitologici: 45 Bacco Domator dell'Indico Oriente, Arianna, Venere, Vergini severe di Vesta, Tigri Nisee, Sebeto, tirso, Febo, Minerva, Elena, nepente d'Elena, Ipocrate, Andromaco, Tartaro, Erebo, empie Belidi figlie di Danao, Tesifone, Furie, Proserpina, Cidonio scoglio, Aurora druda di Titone, Satiri, Grazie, Febea ghirlanda, Pindo, Cigni ebrifestosi, Giove, Bassaridi cinte di nebridi, Fauni, Menadi, Egipani, Esone, Atlante (fiesolano), Parnaso, Narciso, Sileno, Pan, famiglia capribarbicornipede, Permesso (Parnaso), Marte Gradivo egidarmato, Eros (fanciullo faretrato), Sioni, oricrinite stelle di Santermo, Satirelli, Lieo, Bassareo, Baccanti.

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 - IL DITIRAMBO E LA SOCIETÀ DEL SEICENTO

      La divisione in quindici sezioni ci serve soprattutto per poter capire con maggiore immediatezza il contenuto del Ditirambo e l'ambiente del Seicento Barocco nel quale è nato, un ambiente raffinato che non è solo quello della Corte di Cosimo III dei Medici, ma anche quello dei Letterati dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia del Cimento, alcuni dei quali sono nominati sia per il loro valore che per i buoni vini che si producono nelle loro terre. Col passare del tempo e il diffondersi di copie a mano dell'abbozzo del Ditirambo si verifica una nuova necessità: quella del desiderio di amici più o meno influenti, ai quali non si poteva dir di no, che sollecitavano un posto nel Ditirambo.
      Le due necessità - trovare un idoneo posto per i suoi amici e decantare le lodi dei vini migliori che conosceva, anche se non tutti in maniera diretta, perché non era un gran bevitore - così estranee all'idea originaria di una scherzosa lode dei vini di Toscana, erano state accolte soprattutto a causa del suo temperamento, che era improntato da un lato a una certa precisione catalogatoria tipica del naturalista, che gli permetteva il suo lavoro di medico e di ricercatore più o meno scientifico, pur senza grandi intuizioni e senza la sistematicità dello scienziato, e dall'altro a una naturale e sincera cortesia che era sia educata affabilità che opportunismo cortigiano.
      E molte volte lo sforzo di accontentare gli amici si sente: trovare un riferimento calzante per le lodi di tutti gli amici, senza urtare suscettibilità o suscitare permalosità, non dovette essere impresa facile: ne fanno fede le numerose lettere scritte agli amici più intimi, in cui esprime le difficoltà non solo nel trovare il taglio giusto per parlare dei suoi amici, ma anche nel collegare i vari pezzi, in modo che non ne fosse spezzata l'unitarietà. Per evitare che si creasse un'aria di sdolcinata e stucchevole adulazione, mutò l'iniziale idea di lodare i vini e gli uomini in prima persona, coll'artificio di rendere Bacco protagonista e trovatore di quelle lodi e di quelle discrete allusioni, talvolta concordate, spesso lette in anteprima dai destinatari e qualche volta corrette. Il Redi, che come abbiamo più volte detto di vino si intendeva poco, che non lo beveva ma talvolta lo centellinava come se si trattasse di liquore, ed era convinto, anche come medico, che dopo che da Noè fu introdotto l'uso del vino ... molto fu accorciato il nostro vivere, finisce per trovare per alcuni vini aggettivi e qualità comuni e generiche, comunque mai esaltanti e precise, tali che potessero permettere di distinguere sostanzialmente un vino dall'altro, liberando la propria fantasia soprattutto sui modi del bere e sulle ebrifestose conseguenze.
 

       Scrive Ranieri Schippisi (n. 16):

C'è nel Bacco in Toscana un equilibratissimo gioco tra cultura e tecnica letteraria da un lato, e l'impeto di un estro divertito e poetico dall'altro; ma i due elementi non si intralciano e non si contrastano: piuttosto mutuamente si condizionano e si sottolineano. La scaltrezza del letterato si alleggerisce e si rallegra sempre nell'immagine netta e nell'accavallarsi rapido e lieve dei metri, l'estrosità del poeta si sostanzia e si fissa in una continuata e sorvegliata invenzione; ed il risultato è quell'artificiosa naturalezza di cui ha detto un critico Moderno (il Pancrazi)...

      Il Ditirambo ci offre uno spaccato della società secentesca e barocca coi suoi giochi di corte estivi, col tipo di strumenti usati all'aperto, con il comportamento cortese dei cortigiani, in cui tutto sembra naturale e invece è studiato nei più piccoli particolari dall'inchino al modo di parlare, dal linguaggio ai gesti, al vestire, al camminare, al sedersi sull'erba, fino all'ubbidienza al Principe, cieca e assoluta, nella quale i moti dell'animo sono praticamente esclusi: Bacco è un po' come il Principe Granduca, e la Corte è rappresentata dai Satiri e dalle Ninfe.
       La vita di Corte scivolava lenta e noiosa, fatta da mille impegni per lo più inutili, che distraevano il Redi dalle sue occupazioni predilette, dei quali ebbe qualche volta a lamentarsi, anche se mai in maniera almeno un po' vigorosa: il vigore doveva essere limitato a contrasti assolutamente apparenti e sostanzialmente vuoti, come in una lamentela ( n. 17) contro il figlio del Marchese Pierfrancesco Vitelli, Capitano della Guardia del Granduca, un po' troppo avaro, mentre trascorre l'inverno nella sua villa all'Ambrogiana insieme alla Corte; scrive il Redi:

a quel vostro figliuol, che tanto amate;

       A quel vostro figliuol (Signor Marchese)
che la regia anticamera governa,
a quel vostro figiuol, che quando verna,
non vuol veder mai le fascine accese.
       Grida, strida, schiamazza, e pare un diavolo
a cui l'Angel Michel tolt'abbia un'anima,
e contro me sì bestialmente e s'anima,
che vuol mandarmi ad ingrassare il cavolo.

       Ma faccia lui: che poco ingrasserollo,
perché il freddo m'ha secco il cuoio ( n. 18) addosso,
...

       Voi, ch'avete paterna autorità
sopra il vostro figliuol grasso e paffuto,
che dal Granduca è così ben veduto,
fateci a tutti un po' di carità;

       fategli una solenne riprensione,
e nel farla fingetevi adirato;
ditegli che sarebbe un gran peccato
il far morir di freddo le persone.
 

       Lo spirito controriformistico a lungo andare, nella seconda metà del Seicento, aveva determinato un isolamento degli ingegni, che, esaurito il periodo dell'influenza dell'insegnamento di Galilei e dei suoi diretti discepoli, venivano a perdere un solido retroterra fondato sugli scambi culturali; e questo si può a maggior ragione notare in personaggi come il Redi, le cui opere scientifiche erano ben conosciute e stampate fuori dai confini della Toscana (a Parigi, ad Amsterdam, ad esempio), ma mancavano della possibilità di un serio sviluppo scientifico perché mancavano scuole e strumenti adeguati che il mecenatismo dei Principi non ha mai offerto e non è riuscito a creare.
       Il controllo ideologico dell'Inquisizione e dell'opera in particolare dei Gesuiti, aveva esteso una cappa che impediva l'approfondimento delle ricerche scientifiche almeno fino al primo quarto del secolo XVIII, e l'espressione dell'arte si era sempre più richiusa in un bozzolo di vuoto concettismo dal quale l'Accademia dell'Arcadia faticosamente comincerà a tirarla fuori verso la fine del Seicento, quando il controllo delle autorità ecclesiastiche su tutte le attività umane comincerà finalmente ad essere limitato.
       Un Granduca come Cosimo III, che manterrà il potere per mezzo secolo fino al 1721, in questa generale atmosfera, con il suo atteggiamento profondamente bigotto e superstizioso, paternalistico e spesso punitivo contro chiunque si discostasse troppo dal comune modo di agire e di pensare, basato più sull'apparenza che sulla sostanza, riservato alle piccole cose quotidiane, senza mai il lampo d'ingegno di una visione generale, non poteva che essere un formidabile freno ai desideri delle persone più colte e più intraprendenti. Per questo, personaggi come il Redi si sono facilmente adagiati a un vivere quotidiano in cui le norme di comportamento piovevano dall'alto e dovevano essere seguite supinamente, mentre le difficoltà venivano risolte e superate dai funzionari della Corte stessa, se mai ve ne fossero state, senza che ai cortigiani venisse lasciata una qualunque libertà d'azione.
       Per questo gli aspetti esteriori dell'esistenza, il gusto del meraviglioso, la tendenza a una visione ludica della vita, l'aspirazione a superare la monotonia quotidiana con la giocosità dell'arte e la concettosità ingegnosa del pensiero che lasciava tutti stupiti e quasi incantati, erano gli aspetti più importanti della visione della vita di questo periodo.
       Su questo piano il Ditirambo del Redi è un gioco di ritmi e di suoni, sottilmente e sapientemente costruito, che produce negli uomini di corte e di cultura quel sottile piacere che fa godere e apprezzare la vita e i suoi doni.
 

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 - L'USO LINGUNGUISTICO

       Sul piano linguistico possiamo notare soprattutto l'uso abbastanza frequente del vezzeggiativo, del superlativo e soprattutto del diminutivo, presenti quando vuol dare una patina di dolcezza alle sue parole, anticipando in questo il gusto dell'Arcadia, nata ufficialmente a Roma il 5 ottobre 1690.
       In una delle note al Ditirambo il Redi stesso scriveva:

       Un gentilissimo e pulitissimo scrittore esalta la moderna lingua franzese perché non ammette i diminutivi; biasima l'antica perché gli costumava; non loda l'italiana perché ne ha dovizia. Io per me sarei di contrario avviso, e crederei che i diminutivi fossero da noverarsi tra la ricchezza delle lingue, e particolarmente se con finezza di giudizio a luogo e tempo sieno posti in uso.

       Il diminutivo, quindi, serviva a ingentilire l'argomento, quando si trattava delle qualità delle donne, e a far capire l'insufficienza di determinati elementi; quando, ad es., vuol indicare l'insufficienza di certi contenitori, usa diminutivi come cantinette, bombolette, un uso che è lontano dal classicismo rinascimentale e che anticipa il gusto arcadico, tutto pieno di sentimenti velati e spesso superficiali, ma che hanno il merito di essere legati alla realtà quotidiana. In questo senso la lingua del Ditirambo rappresenta il rifiuto del modello espressivo barocco imperniato sulla poetica della meraviglia, della ricerca della metafora a tutti i costi, dell'iperbole che colpisce la fantasia e l'immaginazione del lettore; è una lingua che possiamo gustare in pochissime altre poesie del Redi, come la seguente, senza titolo ( n. 19):

Quando io ero ancor bambina
lessi un giorno una leggenda,
e imparai sebben piccina,
ch'Amore è la Befana, e la Tregenda ( n. 20).
Semplicetta
pargoletta
lo credetti allora affè (n. 21),
ed al sol nome d'amore
il mio core
spiritava ( n. 22) di paura.
Ma in etade or più matura
rido ben di mia sciocchezza,
e di mia semplicità,
perch'ho letto
in un libretto (n. 23),
che l'amore è un batticuore,
che chi nol vuol non l'ha.

      Oppure questo esempio di poesia anacreontica tipica dello stile arcadico, che tocca il grande tema del passar degli anni, della giovinezza che passa, pubblicata col titolo Altro scherzo per musica (n. 24):

      Donzelletta,
superbetta,
che ti pregi d'un crin d'oro (n. 25),
ch'hai di rose
rugiadose
nelle guancie un bel tesoro;
quei tuoi fiori,
i rigori
proveran tosto del verno (n. 26),
e sul crine
folte brine
ti cadranno a farti scherno.
Damigella,
pazzerella,
godi godi in gioventù;
se languisce,
se sparisce
quest'età, non torna più,
ed al rotar degli anni ( n. 27)
scema sempre il gioir, crescon gli affanni.
La tua beltà
or ch'è amabile,
gioia ineffabile
goder potrà;
       ma se del viso tuo la fresca rosa (n. 28)
per pioggia grandinosa
tempestata dagli anni al fin cadrà,
la tua beltà,
fattasi pallida (n. 29),
tremante, e squallida
lacrimerà,
che dell'etade il verde
per decreto fatal d'iniqua Stella
non ritorna già mai quando si perde.
 

      Proprio questi "scherzi per musica", che anticipano il melodramma di Pietro Metastasio, sono una sorta di palestra, nella quale il Redi allena il gusto del ritmo all'interno di una lingua quasi popolare, realistica perché calata nell'uso quotidiano, talvolta con qualche parola scurrile, quando deve fare una battuta di spirito o deve dare un consiglio un po' salace o deve fare un commento particolare che si perderebbe usando un linguaggio come quello consacrato dalla tradizione dei classici Trecenteschi. Negli "scherzi" troviamo una puntuale ricerca di musicalità fondata sulla coesistenza di versi di differente lunghezza, dal quadrisillabo all'endecasillabo, tendenti a mettere in mostra con maggiore facilità e immediatezza la variabilità multiforme della vita stessa.
      Un altro aspetto del modello espressivo del Redi nel Ditirambo è la presenza classicistica, in modo continuo, della mitologia: ben 48 sono gli elementi mitologici e 10 gli dei nominati: Bacco, Venere, Febo, Minerva, Aurora, Giove, Marte, Eros, Proserpina, le Grazie; anche la mitologia serve, comunque, per esprimere concetti legati all'attualità, ma denota una certa povertà espressiva di fondo, una certa stanchezza della lingua che ha bisogno di non restare più alla superficie delle cose, ma di calarsi nell'intimo della realtà della vita. Ma l'organizzazione di quella società impediva proprio che si approfondissero i temi della vita, nascondendo tutto sotto l'apparenza di un comportamento cortigiano fatto di regole esteriori, alle quali bisognava ubbidire se non si voleva essere emarginati.
       La vita di corte, in fondo, contro la quale bonariamente esprimeva qualche lamentela lo stesso Redi, perché veniva distratto dalle occupazioni che prediligeva maggiormente, era la morte stessa dell'intelligenza umana e della capacità di analizzare la realtà con qualche fondamento di scientificità: tutto era preordinato e doveva seguire regole precise, un cerimoniale che, se non veniva seguito alla lettera, poteva generare effetti tragicomici: è l'irresistibile comicità in cui cadono personaggi gravi e apparentemente saggi, che hanno nelle mani le sorti di migliaia di persone, quando su cose banali, reputate di grande importanza, scocca la scintilla della tragedia (ripensiamo ad esempio all'episodio di Ludovico narrato ne I promessi sposi o a quello de La vergine cuccia narrato dal Parini ne Il Giorno).
 
 

Indice
 Introduzione
      Il ditirambo
         La struttura
             Il Ditirambo e la società del Seicento
                 L'uso linguistico
                     Bacco in Toscana
                          - vv. 1-357
                          - vv. 358-732
                          - vv. 733-980
 
 
 

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Biografia
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Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze, Italia

Francesco Redi
(Arezzo 1626 - Pisa 1697)

 Opere scientifiche
 A differenza di altri contemporanei come Borelli, Malpighi e Bellini, Redi non scrisse trattati sistematici, pur essendosi occupato nelle sue opere propriamente scientifiche di svariati problemi di zoologia, botanica, chimica, anatomia comparata, fisiologia, embriologia e tossicologia. L'esordio scientifico avvenne nel 1664 con le Osservazioni intorno alle vipere, una memoria di argomento tossicologico indirizzata a Lorenzo Magalotti che analizzava sul piano sperimentale il problema della tossicità del veleno e delle modalità della sua inoculazione.
 

 Ma il vero capolavoro di Redi sono le Esperienze intorno alla generazione degl'insetti del 1668, un libro destinato a segnare una tappa miliare nella storia della scienza moderna. Redi falsificò la millenaria teoria della generazione spontanea dei Metazoi attraverso un esperimento di portata epocale, che per la prima volta introduceva nella storia del metodo scientifico la procedura seriale e il confronto tra esperimenti di ricerca ed esperimenti di controllo.
 Si trattava di una prassi assolutamente inedita nella storia della scienza. Redi allestì una serie di otto recipienti riempiti di vari tipi di carne, di cui quattro li lasciò all'aria aperta e gli altri quattro li sigillò accuratamente. Il risultato fu inequivocabile: solo i primi campioni, nei quali le mosche avevano potuto posarsi sulla carne e deporre le loro uova, avevano dato origine a larve che poi si erano sviluppate in mosche identiche alle prime. La carne dei recipienti sigillati, invece, era diventata putrida, ma senza dar luogo a nessuna forma di vita. Inoltre, per escludere che la chiusura ermetica dei recipienti, impedendo l'afflusso di aria, potesse aver alterato il ciclo vitale delle larve, Redi immaginò una variante di assoluta genialità. Rifece l'esperimento utilizzando due altre serie identiche di recipienti, ma nei campioni di controllo fece in modo, con un accorgimento tecnico semplicissimo, che l'accesso ai recipienti fosse consentito solo ad aria pura, che non poteva contenere nessun elemento contaminante proveniente da insetti volanti: chiuse i recipienti con un filtro di sottilissimo velo. E questo era davvero l'esperimento cruciale che segnava la sconfitta della generazione spontanea.
  L'attacco alla inaffidabilità sperimentale della scienza gesuitica venne intensificato da Redi nelle Esperienze intorno a diverse cose naturali, e particolarmente a quelle che ci son portate dall'Indie, pubblicate nel 1671 e dedicate allo stesso padre Athanasius Kircher che era stato criticato nella precedente memoria per la sua difesa della generazione spontanea.
 

 Nel 1684 Redi completò la sua tetralogia biologica pubblicando un trattato di parassitologia e di anatomia comparata, intitolato Osservazioni intorno agli animali viventi che si trovano negli animali viventi, che rimase incompiuto sulla promessa di una seconda sezione destinata a non vedere mai la luce.
 

© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail:
Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it

Ultimo aggiornamento: 05 febbraio, 1998
Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze, Italia

Francesco Redi
(Arezzo 1626 - Pisa 1697)

 Medicina
 In campo medico Redi si fece interprete di una riforma in senso naturale della terapeutica che raccomandava la prescrizione di rimedi semplici, fatti soprattutto di dieta, purganti e clisteri, che, secondo i canoni dell'umoralismo ippocratico, dovevano servire a depurare l'organismo dalle impurità superflue. Redi svolse un ruolo decisivo nella più importante scoperta della medicina seicentesca: l'individuazione dell'eziologia acarica della scabbia realizzata da Giovan Cosimo Bonomo e Giacinto Cestoni. Fu proprio lui infatti a pubblicare nel 1687, con il nome del solo Bonomo, le Osservazioni intorno a' pellicelli del corpo umano, in cui veniva dimostrato che l'infezione dipendeva dall'aggressione di un microscopico acaro che si riproduceva tramite uova depositate sotto la pelle dei malati. La scoperta costituiva una vera e propria 'rivoluzione copernicana' nella storia della patologia, perché, spostando l'attenzione dal soggetto parassitato all'agente infettante, indicava strategie terapeutiche completamente nuove per la cura delle malattie provocate da cause patogene vitali.
Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze, Italia

Francesco Redi
(Arezzo 1626 - Pisa 1697)

 Letteratura e poesia
 Oltre che medico e scienziato, Redi fu anche scrittore e poeta di gusti raffinati che seppe coniugare in una sintesi difficilmente ripetibile la passione per le ricerche scientifiche, l'estro fantastico delle belle lettere e il gusto umanistico per la lingua, i codici antichi e la storia. Nel 1655 era stato ammesso all'Accademia della Crusca, dove svolse le funzioni di Arciconsolo dal 1678 al 1690, partecipando attivamente alla redazione della terza edizione del Vocabolario uscita nel 1691. Nel 1665 era stato nominato anche lettore di lingua toscana nello Studio fiorentino, e nel 1692 venne iscritto, con il nome di Anicio Traustio, all'Accademia dell'Arcadia. Tra i suoi scritti letterari ebbe grande successo il famoso ditirambo Bacco in Toscana, pubblicato nel 1685 con molte annotazioni erudite. Lasciò incompiuto anche un altro ditirambo, dedicato a magnificare le proprietà delle acque toscane, l'Arianna inferma. A partire dal 1670 Redi lavorò assiduamente anche ad un Vocabolario di alcune voci aretine, che anticipa in modo originale i moderni studi di dialettologia e di storia della lingua.
IL SEICENTO
Al microscopio

Jan Swammerdam
 
 

Sulla scia di Francesco Redi e al suo fianco nella battaglia contro il mito della generazione spontanea, si pone il fiammingo Jan Swammerdam (1637-1682), le cui riproduzioni di insetti, nell'opera Biblia Naturae pubblicata in prima edizione nel 1685 e riedita nel 1737, raggiungono livelli altissimi di cura e di precisione.

Jannes Swammerdam, Biblia Naturae sive Historia insectorum Leydae, apud I. Severinum, B. et P. Vanderaa, 1737.
 

 Biblioteca Panizzi

Mostre virtuali
 
 
 

IL CINQUECENTO
L'enciclopedismo naturalistico
K. Gesner
U. Aldrovandi
J. Johnston
L'osservazione scientifica
P. Belon
G. Rondelet
C. Ruini
I nuovi mondi
G. B. Ramusio
O. Stor
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IL SEICENTO
La zoologia fantastica
G. A. Cavazzi
A. Kircher
F. Liceti
Al microscopio
F. Stelluti
F. Redi
J.Swammerdam
IL SETTECENTO
La classificazione della natura
G. L. Buffon
L' Encyclopédie
L. F. Marsigli
Le "gallerie" di animali
Storia naturale degli uccelli

Animali quadrupedi disegnati

Tra i libri di Spallanzani



 
 
 

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UN LIBRO SU
PIETRO ANDREA MATTIOLI

Sarà presentato il 9 ottobre il libro “Pietro Andrea Mattioli (Siena 1501 - Trento 1578). La vita e le opere” curato dalla Professoressa Sara Ferri. L’iniziativa, promossa dall’Università Popolare Senese, si terrà nell’Aula Magna Storica alle ore 18. Tracceranno la figura delle scienziato e illustreranno il testo i Professori Chiara Crisciani, Ordinario di Storia della Filosofia Rinascimentale dell’Università di Pavia, da Giuliano Catoni, Ordinario di Archivistica del nostro Ateneo e da Guido Moggi, Ordinario di Botanica Sistematica dell’Università di Firenze.

Pietro Andrea Mattioli, senese di nascita e di carattere, medico a Trento alla corte del Principe Vescovo Bernardo Clesio, poi a Gorizia, infine a Praga e a Innsbruck alla corte di Ferdinando d'Asburgo, arciduca d'Austria, fu autore del più famoso libro di botanica del Cinquecento. La prima edizione ("Il Dioscoride") apparsa nel 1544 era una traduzione commentata della materia medica di Dioscoride, ma nelle edizioni successive ("I Discorsi", o "Commentarii" nella edizione latina) la traduzione divenne solo la scusa per descrivere la natura, in particolare per illustrare il mondo vegetale, riportando anche le nuove piante che arrivavano dall'America o dall'Oriente, rendendo note pratiche curative millenarie trasmesse dalla tradizione orale.I lettori del '500 accolsero in modo entusiastico il libro, illustrato da bellissime incisioni di piante, che divenne il più importante testo di botanica del tempo. L'editore Valgrisi nel 1568 affermava di avere venduto oltre 32mila copie dell'opera di Mattioli, quando di norma le tirature usuali erano di mille, millecinquecento copie; era diffuso in tutta Europa, in Siria, in Persia, in Egitto, fu tradotto in tante lingue (anche in ebraico e sembra in cinese) e ispirò tanti libri simili. La sua importanza fu avvertita anche dopo la sua morte tanto da essere ristampato fino al 1744. Anche oggi le librerie antiquarie apprezzano notevolmente gli antichi volumi e non c'è bottega di stampe che non ne possieda qualche foglio smembrato e trasformato in quadro. Studiosi di varia estrazione culturale hanno analizzato il testo, effettuando una revisione critica della vita e delle opere del geniale studioso senese. Hanno pubblicato degli inediti, tradotto lettere latine, identificato con nomenclatura moderna quasi tutte le piante. Sara FerriOrdinario di Botanica Farmaceutica
 
 
 

 Istituto e Museo di
Storia della Scienza
 Regione
Toscana
 

I luoghi della Scienza in Toscana - Biografie

Pietro Andrea Mattioli

Siena 1501 - Trento 1577

 Medico e naturalista, esercitò la professione a Siena, Roma, Trento e Gorizia, divenendo medico personale di Ferdinando e Massimiliano II. Attento studioso di botanica, (descrisse ben 100 nuove piante), coordinò tutte le conoscenze di botanica medica del suo tempo nell'opera Pedanii Dioscoridis de materia medica libri sex (1544), nota come Commentarii a Dioscoride, che ebbe molte edizioni in latino, italiano, francese, tedesco e boemo.
 

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Per commenti e suggerimenti:
Marco Berni: marco@galileo.imss.firenze.it