Lucia Tomasi Tongiorgi Illustrazione scientifica
Storia del Disegno dell'incisione e della Grafica - BC, LE
Prof. Lucia Tomasi Tongiorgi
Dipartimento di Storia delle Arti
Corso di Laurea: BC (38123), LE (10087) - Titolarità: S (BC),
M (LE) - Orario ricevimento: Ve 10 (Dip.) - Orario lezioni: Lu 16-18, Ve
11-13 (Dip.).
Capriccio e natura. Incisori nella Toscana del Seicento.
Il corso intende offrire, all'interno di una visione sintetica dei percorsi
disegnativi e incisori in Italia tra la metà del XV e la fine del
XVIII secolo, un'esperienza monografica incentrata sulla produzione incisoria
in Toscana nella prima metà del Seicento. La bottega dei Parigi
e la presenza a Firenze di Jacques Callot permettono l'affermazione di
una produzione incisoria straordinariamente innovativa sia sotto il profilo
dei contenuti che delle tecniche. Alla protezione e alla committenza medicea
si deve l'affermazione di numerose personalità di artisti che contribuirono
ad una profonda innovazione della produzione incisoria non solo in Italia,
ma anche in Europa.
Bibliography
Dall'essenza vegetale agglutinata all'immagine a stampa:il percorso
dell'illustrazione botanica nei secoli XVI-XVII. In 'Museologia Scientifica',VIII,(1992),
pag 271-295.
Erbari-conservare le piante attraverso i secoli. Provincia di Pisa
,Dipartimento di scienze botaniche dell'Universita' di Pisa - Aprile 1993
.
I musei dell'Ateneo pisano. Universita' degli Studi di Pisa, Giardini
Editori,Giugno 1991.
Il Giardiniere del Granduca _ Tongiorgi Tomasi, Garbari_ ETS edizioni,
Pisa 1995.
L'Orto Dipinto, botanica ed immagini_ Dipartimento di Scienze Botaniche
dell'Universira' di Pisa, Marzo 1996.
Gotico internazionale uso di elementi vegetali pittura scultura
architettura, pittura fiamminga Yan van Eyck la famiglia Arnolfini specchio
e riproduzione in dettaglio di elementi e particolari, Olanda sviluppo
del cannocchiale, reimportazione di cultura classica dall’oriente,Aristotele,Platone,Galeno,
astronomia, astrologia, miscroscopia, piccoli insetti che sembrano mostri....
Bruegel iconografia esoterismo ed alchimia, i legami con Bosch,
la cultura contadina Olandese, proverbi, il ciclo dei mesi, riproduzione
del vitalismo, i mostri, i nuovi mondi e i nuovi animali, l'uomo pesce,
in architettura riproduzione di elementi zoomorfi, antropomorfi, Serlio,
Michelangelo e la biblioteca Laurentiana (pavimento Santi Buglioni e Tribolo,
soffitto Tasso e Carota), il barocco, vitalismo tendere verso qualcosa,
Dioscoride e il suo erbario ( Mattioli) sviluppo dell’illustrazione
scientifica stampe di erbe medicinali, evoluzione dei giardini dei Semplici,
Platone distinzione tra lavoro manuale e intellettuale ( medici e chirurghi),
http://www.unisi.it/ricerca/dip/dsssf/ssf_e_fr3.htm
UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI SIENA FACOLTA' DI LETTERE E
FILOSOFIA IN AREZZO Dipartimento di Studi Storico-Sociali e Filosofici
Progetto Redi
Francesco Redi (Arezzo 1626 - Pisa 1697) è uno degli scienziati
più importanti nel panorama della scienza del Seicento, ed un vero
protagonista della modernità. Erede della tradizione galileiana
e geniale estensore del metodo delle "sensate esperienze" alle scienze
della vita, può essere considerato uno dei fondatori della biologia
sperimentale. Ma, alla prova dei fatti, egli rappresenta un classico esempio
di scienziato più noto che conosciuto, più citato che studiato,
più ammirato che amato. Lo dimostra anche lo stato della bibliografia
rediana che presenta una situazione di sostanziale inadeguatezza, se consideriamo
la statura del personaggio e il suo ruolo centrale nel contesto dell’eredità
galileiana e della scienza del Seicento. Non solo manca infatti un'edizione
completa delle Opere e dell'Epistolario di Redi (l'edizione più
affidabile dei suoi scritti principali risale all'inizio dell'Ottocento:
Opere, Milano, 1809-1811, 9 volumi), ma non esiste nel panorama editoriale
contemporaneo una biografia intellettuale dello scienziato. Ancora praticamente
inesplorato risulta, poi, l’imponente fondo dei manoscritti scientifici
e letterari rediani conservati nelle biblioteche fiorentine e toscane,
che raccolgono i protocolli delle sue ricerche naturalistiche, anatomiche,
biologiche e fisico-chimiche, oltre che le diverse redazioni manoscritte
delle sue opere e il suo carteggio.
È stato solo in occasione della ricorrenza del Terzo Centenario
della morte di Redi che si è registrata una significativa ripresa
degli studi. Oltre alla pubblicazione dei volumi F. Redi, Esperienze intorno
alla generazione degl'insetti, a cura di W. Bernardi (Giunti, Firenze 1996)
e Natura ed Immagine. Il manoscritto di Francesco Redi sugli insetti delle
galle, a cura di W. Bernardi, L. Tongiorgi Tomasi, P. Tongiorgi, G. Pagliano,
L. Santini, F. Strumia (ETS, Pisa 1998) si sono tenuti ad Arezzo due Convegni
sulla figura e l’opera del grande scienziato.
Gli Atti del primo Convegno, svoltosi il 28-29 novembre 1997 presso
la Biblioteca Comunale "Città di Arezzo", sono pubblicati nella
forma di un volume organico intitolato Francesco Redi. Un protagonista
della scienza moderna. Documenti, esperimenti, immagini, a cura di W. Bernardi
e L. Guerrini, Olschki, Firenze 1999.
Gli Atti del secondo Convegno, organizzato dall’Accademia Petrarca
nei giorni 12-13 febbraio 1998, sono raccolti nel volume a cura di Lorella
Mangani e Giuseppe Martini Francesco Redi Aretino, Accademia Petrarca di
Lettere, Arti e Scienze, Arezzo 1999, pp. 414, pubblicato con il contributo
finanziario della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio e del Dipartimento
di Studi Storico-Sociali e Filosofici dell'Università degli Studi
di Siena.
Il finanziamento da parte del Ministero dell’Università e della
Ricerca Scientifica e Tecnologica di un programma di ricerca inter-universitario
40%, diretto dal Prof. Walter Bernardi ed intitolato "La riscoperta di
un protagonista della scienza moderna: Francesco Redi nella prospettiva
dell’Edizione Nazionale delle Opere, Lettere e Manoscritti", consente oggi
di rilanciare con nuove possibilità e dotazione di mezzi la ricerca
storiografica sulla vita e l’opera del grande scienziato aretino.
Il progetto, di durata biennale (dicembre 1998 - dicembre 2000), prevede
due unità di ricerca, una ad Arezzo e l’altra a Firenze, e comprende
15 ricercatori. Esso si svilupperà attraverso un’analisi esaustiva
delle fonti primarie riguardanti tutta l’opera scientifica e letteraria
di Redi, e riguarderà quattro tipi di documenti:
5. le opere a stampa ed i Mss. che facevano parte della Biblioteca
personale di Redi conservata ad Arezzo;
6. i carteggi inediti raccolti nei Mss. Redi della Biblioteca Medicea
Laureanziana di Firenze;
7. i carteggi familiari ed i protocolli di laboratorio raccolti nei
Mss. Redi della Biblioteca Marucelliana di Firenze;
8. i Mss. rediani conservati nel Fondo Palatino della Biblioteca Nazionale
di Firenze.
Gli obiettivi del programma possono essere così sintetizzati:
A) Iniziative editoriali:
6. Pubblicazione (già in corso di realizzazione) degli Atti
dei due Convegni rediani del 1997 e 1998;
7. edizione del Catalogo della Biblioteca di Francesco Redi ad Arezzo,
realizzata attraverso una preliminare (ed in parte già avviata)
ricognizione, individuazione e catalogazione delle diverse centinaia di
libri scientifici, antichi e moderni, appartenuti a Francesco Redi;
8. edizione di singole opere rediane - di carattere scientifico, medico
e letterario - criticamente rivisitate e correlate ad una accurata storia
del testo e delle redazioni manoscritte;
9. pubblicazione del Ms. noto come Vacchetta (o "Libro di ricordi di
Francesco Redi"), conservato presso la Biblioteca "Città di Arezzo";
10. pubblicazione di un’edizione cartacea del Carteggio familiare di
Francesco Redi, basato sui fondi manoscritti di lettere della famiglia
Redi presenti nei Mss. Redi 1, 15, 16, 17, 18 della Biblioteca Marucelliana
di Firenze, che ci restituiscono un’immagine completa e sotto certi aspetti
imprescindibile del contesto umano e dell’esperienza di vita dello scienziato
aretino.
B) Iniziative di editoria elettronica:
3. preparazione di un ipertesto di carattere multimediale su CD-ROM
dedicato a "Francesco Redi e la cultura sperimentale e naturalistica della
Toscana del XVII secolo";
4. realizzazione di un data-base (consultabile on-line e su CD-Rom)
dedicato all’inventariazione di tutto il Carteggio rediano, sia quello
già edito sia quello inedito, che preveda:
a) la digitalizzazione del testo delle lettere già pubblicate,
b) per le lettere ancora manoscritte una decrizione sintetica del contenuto,
una riproduzione per immagini, e, se risulterà possibile e congruo
con il finanziamento disponibile, anche la relativa digitalizzazione del
testo.
C) Avvio dell’Edizione Nazionale delle Opere, dell'Epistolario e dei
Manoscritti di Francesco Redi
Resta questo l’obiettivo strategico dell’intero programma di ricerca,
anche se non si può non essere consapevoli che una iniziativa di
questo tipo comporta procedure amministrative, scientifiche ed editoriali
di grande complessità e di lungo periodo che si dilatano inevitabilmente
al di là della scadenza del presente progetto.
La prima iniziativa del programma è il Seminario "Idee e prospettive
per l’edizione delle Opere, dei manoscritti e dell’epistolario di Francesco
Redi", che si svolgerà ad Arezzo nei giorni 18-19 Dicembre 1998.
La mostra al Museo Regionale di Scienze Naturali è un omaggio
a Goethe in occasione del 250esimo anniversario della sua nascita, illustra
lo stato delle scienze nel XVIII-XIX secolo. Suddivisa in sezioni, permette
di verificare diversi aspetti della personalità del poeta, i suoi
paesaggi, i ritratti, ma anche la sua vera dedizione nei confronti della
ricerca scientifica, con disegni e studi di nuvole, schemi di piante per
illustrare la loro metamorfosi, tutti appoggiati a teorie proprie o di
altri scienziati (teoria goethiana della metamorfosi della Terra, teoria
del colore, classificazione delle nuvole di Howard, per citarne alcune).
L’esposizione è arricchita da una notevole collezione di reperti
botanici, zoologici e geologici messi a disposizione dal museo, nonché
da strumenti sperimentali di Goethe riprodotti grazie al prezioso aiuto
del Museo di Astronomia e Storia della Tecnica di Kassel. Cornelia Diekamp,
la curatrice del catalogo, sottolinea l’importanza di questa mostra per
la completezza del lavoro svolto, che ha inoltre avuto l’importante appoggio
del Goethe-Nationalmuseum di Weimar e del Frankfurter Goethe-Museum Frankfurt
am Main.
L’importante sezione dedicata ai disegni del viaggio in Italia è
completa e ben strutturata. Johann Wolfgang Goethe si recò più
volte in Italia ed il primo viaggio, fra l’autunno del 1786 e la primavera
del 1788, lo colpì a tal punto da fargli coniare frasi come “anch’io
in Arcadia” (vedi catalogo p.10). Ebbe la possibilità di scoprire
e contemplare le ricchezze del paesaggio nostrano; attraverso l’osservazione
delle architetture classiche ma anche della natura rigogliosa del bel paese
riuscì ad approfondire il significato di bellezza, a tal punto da
convincerlo che il concetto di bellezza è il risultato della conoscenza,
non delle sole proporzioni armoniche.
Dallo stesso Goethe il viaggio in Italia fu definito un periodo di rinascita,
nel quale visse una condizione privilegiata, da artista privo di impegni,
intento solo ad osservare, scrivere e disegnare. Gli schizzi che produsse
in quel periodo sarebbero serviti per l’edizione illustrata del viaggio
in Italia, tant’è che in seguito si preoccupò di cercare
artisti che li riproducessero su lastre di rame; sebbene l’opera non fu
mai realizzata. La collezione di disegni, costituita da oltre 2500 immagini
(delle quali un quarto sono del viaggio in Italia), fu poi smembrata nel
tempo; oggi in esposizione si possono ammirare moltissime riproduzioni
alcune contrassegnate da una croce, essa probabilmente indica che sarebbero
stati prescelti per la pubblicazione. Non v’è dubbio che tale evento
rappresenti, solo per questo tentativo di raccoglierli insieme, un importante
appuntamento a cui non mancare.
Achille Bonito OlivaRoma, 20-10-1996"L' anoressia dell'arte"SOMMARIO:·
La telematica implica una trasformazione anche dei linguaggi artistici
e porta all'"anoressia dell'arte". L'arte si trasforma e si trasferisce
dai luoghi obbligati di fruizione ai luoghi più disparati del mondo
dai quali si può visitare qualsiasi museo virtuale (1). ·
Uno degli aspetti più interessanti del rapporto tra arte e telematica
è quello della riproduzione di copie di opere d'arte (2). ·
Il rapporto dell'artista del novecento con la tecnica è stato molto
stretto, soprattutto nell'ambito delle avanguardie (3) · I nuovi
media potrebbero portare alla "morte dell'arte" ed è soprattutto
la realtà virtuale a porre problemi di questo genere (4) ·
Ancora Internet e gli altri nuovi mezzi telematici non sono puri strumenti
domati dall'artista, rischiano, infatti, di sfuggire al suo controllo (5).
· Comunque, produrre arte in una società avanzata significa
adeguarsi alla mentalità della tecnica che assiste chiunque, ogni
giorno, nelle attività quotidiane (6) · Nella creazione artistica
che si serve di strumenti tecnologici l'ideazione del progetto resta frutto
del lavoro dell'artista (7). · La trasformazione più evidente
dell'arte degli ultimi tempi è legata alla smaterializzazione dell'opera
(8). · I nuovi media, ovvero Internet o i CD-Rom, saranno utilissimi
per diffondere la conoscenza dell'arte (9). · L'uso della tecnologia
nella creazione artistica, oggi che sono superate le avanguardie, non è
più un uso sistematico ma sempre più individualizzato e strettamente
legato al tipo di opera in questione (10).
INTERVISTA:Domanda 1Quali trasformazioni porta la telematica nell'arte?RispostaLa
telematica ha, in qualche modo, introdotto delle conseguenze riguardanti
non soltanto il quotidiano, la comunicazione, l'informazione, ma finanche
lo sviluppo della storia dell'arte contemporanea. Ha creato quella che
io vorrei chiamare "l'anoressia dell'arte"; un fenomeno di smaterializzazione
del prodotto, un passaggio sempre più accentuato dall'oggetto al
concetto. Che cosa significa anoressia? Significa proprio quel processo
(riprendendo un termine che, come sappiamo, riguarda una certa tentazione
dell'ultima generazione al dimagrimento costante), quella tentazione verso
la scomparsa, verso l'assottigliamento, non solo del corpo, ma direi del
corpo dell'arte e quindi anche della forma artistica. Attraverso la telematica,
attraverso il computer, l'arte digitale, noi possiamo produrre immagini,
segni, segnali, forme e processi creativi che non hanno bisogno del luogo
fisico, ma si affidano ad un tragitto e alle dinamiche dell'Internet, ad
una comunicazione, appunto, telematica. Naturalmente, l'anoressia dell'arte
sviluppa una potenzialità enorme per artisti giovani e meno giovani,
sono permessi collegamenti tra luoghi lontanissimi, quindi ciò significa
riduzione delle distanze geografiche, accelerazione del tempo. Nello stesso
tempo introducono una virtualità estetica che prima l'arte non conosceva.
L'arte anoressica è, in qualche modo, il frutto non negativo (al
contrario di quella che è la malattia che sembra segnare il desiderio
dell'uomo o della donna di avvicinarsi allo standard delle modelle sempre
più bisessuali, sempre più legate ad un'idea androgina come
identità) perché sviluppa segnali e forme estetiche che colpiscono
non solo l'occhio, ma il cervello dello spettatore. E' un'arte che si insinua
nella casa, negli spazi della contemplazione, è un'arte che sostanzialmente,
però, produce anche una conseguenza positiva: scardina la cornice
obbligata del museo o della galleria, i luoghi deputati dove normalmente
l'arte può essere contemplata, e la degustazione, in qualche modo
come a tavola, può avvenire in ogni spazio domestico, in ogni camera
della nostra abitazione, nei luoghi più inusitati. Ecco, dunque,
che l'anoressia dell'arte attraverso la telematica non è una contrazione,
una riduzione, un assottigliamento del corpo, ma, anzi, paradossalmente,
attraverso l'assottigliamento ottiene il massimo della dilatazione, di
penetrazione capillare che la forma dell'arte può realizzare uscendo
dal luogo di propulsione, laddove l'artista ha mosso la propria mano elettronica
arrivando nei luoghi più disparati di tutto il mondo. La tecnologia,
in questo senso, diviene una sorta di sostanza estetica che con i suoi
vapori e le sue atmosfere può produrre effetti positivi e quindi
è una sorta di declinazione ecologica della fantasia che, invece
di danneggiare, migliorerà sicuramente il mondo. Domanda 2Potrebbe
darci una definizione di ciò che viene chiamato trash?RispostaUn
grande artista americano, Andy Warhol, star della Pop Art, ma anche artefice
dell'introduzione in Italia del termine trash, spazzatura, titolo di un
suo film, una volta ha affermato: "se avessi avuto più forza sarei
rimasto in casa a fare le pulizie"; ovvero l'artista, in fondo, non riesce
a frenare la propria vanità, il proprio narcisismo e si catapulta
fuori dal proprio spazio domestico. Incontra un mondo dominato dallo standard,
dal multiplo, dal grattacielo sempre uguale a se stesso, da una società
di massa. Questa massificazione è il prodotto di che cosa? Dello
sviluppo tecnologico, e anche della telematica, quindi il trash è
un fenomeno di modelli alti applicati da personaggi che tendono, in qualche
modo, ad assomigliare a questi modelli senza avere una grande vocazione
personale verso ciò che vanno a produrre. Si manifesta, dunque,
una sorta di imitazione senza pagare il copyright, quello che io vorrei
chiamare il "sosialismo reale". Paradossalmente, il capitalismo nella sua
fase più avanzata, nel suo sviluppo tecnologico più esasperato,
produce "sosialismo reale", il bisogno del sosia , la copia moltiplicata,
la fotocopia del comportamento; atteggiamenti ripetitivi che trovano, in
qualche modo, conferma attraverso l'applicazione di modelli a cui l'uomo-massa
cerca di rassomigliare. Potremmo fare anche degli esempi in questa direzione;
per esempio, Zeffirelli è trash rispetto a Luchino Visconti, Vittorio
Sgarbi è trash rispetto a Marianini, i fratelli Vanzina rispetto
a Dino Risi, Vittorio Feltri rispetto a Leo Longanesi, o Gervaso rispetto
a Pitti Grilli, Elio e le Storie Tese rispetto a Freak Antoni, la Tamaro
rispetto a Liala. Dunque, il trash non è fenomeno di per sé
disprezzabile, il termine spazzatura è un termine, naturalmente,
forzato, che vuol dire sostanzialmente ciò che resta dopo il consumo.
Ed allora abbiamo una società di massa in cui i sosia, i portatori
di "sosialismo reale", dopo aver consumato i modelli alti, in qualche modo,
espellono da sé ammirazione verso questi modelli producendo scorie,
producendo forme, libri, parole, musiche, letteratura, teatro, cinema,
giornalismo, e, sostanzialmente, si tratta solo dell'applicazione di modelli
alti, di un'applicazione che viaggia senza copyright, il che vuol dire
senza un'avventura personale, ma sull'onda della moltiplicazione e della
ripetizione. Domanda 3Una domanda di carattere retrospettivo: qual è
stato il rapporto tra tecnologia e arte nel '900? Alcuni critici sostengono
che l'avanguardia non si spiega se non in relazione al fatto che la tecnologia
ha modificato il nostro modo di vivere. RispostaDiciamo che tutta l'arte
contemporanea, dalla metà dell'800 in avanti, è conseguente
al forte sviluppo della tecnica; l'artista si rende conto che attraverso
la tecnica è possibile la riproduzione meccanica dell'immagine,
che all'occhio fisiologico si sostituisce l'occhio meccanico della fotografia,
poi del cinema e poi della televisione. Dunque corre ai ripari e sviluppa
una controffensiva sperimentale utilizzando i materiali che non sono più
quelli canonici che portano all'adozione dell'oggetto quotidiano, della
scultura, dell'elemento tecnologico, fino all'uso che interiorizza cinema,
fotografie e video nella produzione estetica. Perciò, evidentemente,
c'è un forte legame tra il concetto di avanguardia e tecnologie,
in questo manipolo di artisti che anticipa il grosso della produzione creativa
della massa di artisti, che sente il bisogno di sperimentare per sensibilità
un rapporto più adeguato, capace di agganciare una società
di massa che vive una vita accelerata sotto i colpi ed il ritmo della macchina.
Il futurismo è un movimento che nasce in Italia per merito di Marinetti,
Balla, Boccioni, Severini, De Pero; sono artisti che sostanzialmente sostengono
il primato della tecnica e dello sviluppo tecnologico per una vita migliore.
C'è la famosa dichiarazione di Marinetti che dice che è più
bella una macchina in corsa della Nike di Samotracia, ovvero è più
bella la forma di una macchina che si muove nello spazio di una forma archeologica
di una grande scultura greca. Quindi, il futurismo è quel primo
movimento che esalta il futuro conseguente allo sviluppo della tecnica.
Anche il dadaismo, il surrealismo, l'automatismo psichico, ovvero tecniche
che introducono il movimento meccanico del gesto, della mano, del braccio,
del corpo, che ricordano il movimento ripetitivo della macchina. Nel dopoguerra
abbiamo artisti legati al New Dada ed alla Pop Art, specialmente che utilizzano
immagini frutto della riproduzione meccanica prodotta dai mass-media; cinema,
televisione, fotografia, vengono adottate come standard nell'opera di Andy
Warhol, Liechtenstein per il fumetto; dunque, tutte immagini riprodotte
in cui, nell'installazione, appaiono elementi in movimento; pensiamo anche
ad artisti come il Gruppo Fluxus, pensiamo a Tingeli che crea delle macchine
con pezzi scoordinati di altri macchinari, assemblati insieme, che producono
un movimento strambo, fantastico, non produttivo, solamente estetico. Ecco
l'emancipazione della macchina che si sottrae all'uso, all'impiego, al
suo essere strumentale e si emancipa fino ad un protagonismo producente
e produttivo di un movimento a sé, inutile, e quindi per il piacere
dell'occhio e del coinvolgimento del pubblico. Direi che tutta l'arte contemporanea
vive sotto questo rapporto ed anche la telematica, la computerizzazione,
l'elettronica, la televisione, sono state, in qualche modo, già
prese e assunte nell'ansia sperimentale degli artisti di oggi per vedere
che cosa può sviluppare l'arte a partire da questi spunti e da questi
stimoli, sempre con l'intento di emancipare la tecnica e destinarla ad
un uso di immagini capace di ingrandire il deterrente iconografico dell'antropologia
dell'uomo. Domanda 4Dunque il processo di sviluppo della storia dell'arte
è stato una costante risposta all'avanzamento dei media nel territorio
della comunicazione?RispostaQuesta è una domanda che corrisponde
ad un quesito che già si pose Hegel a suo tempo, e mi scuso della
citazione: la morte dell'arte; l'arte che si trasforma, assume le vesti
della filosofia o dell'investigazione astratta sotto l'incalzare della
trasformazione della tecnica e quindi della vita moderna. In effetti è
un problema che bisogna porsi, ma io credo che anche la realtà virtuale,
conseguendo allo sviluppo della telematica, non potrà sostituire
quello che è il processo di formazione dell'arte. Perché
la realtà virtuale, lo dice la parola stessa, è una finzione,
è una protesi di una fantasia che perde di corporeità. L'arte,
invece, non è realtà virtuale, è una controrealtà,
è un processo di formalizzazione di un impulso creativo a partire
da materiali concreti che l'artista assume, modella, assembla e unisce
per poi presentarci una controforma, un modo diverso di apparire delle
cose che ci circondano caoticamente, questa volta riordinate secondo un
sistema costruttivo che contrappone ordine al disordine del mondo. Domanda
5Dunque ritiene che la multimedialità, la telematica, Internet specialmente,
possano dare luogo a forme di espressione estetica diversa?RispostaDiciamo
che Internet ed i nuovi media possono dare forme di espressione estetica
finanche involontaria, direi quasi una riproduzione dell'arte attraverso
un uso estemporaneo di questi mezzi, ma non ad una produzione artistica.
La produzione artistica è l'effetto di un'intenzionalità
di chi partecipa a quest'idea di formalizzare un impulso creativo ed utilizza
i materiali e le tecniche come protesi e non come fine. Io ho un po' l'impressione
che per il momento Internet sia come un feticcio che inquieta la fantasia
dell'artista. Ma la rete ancora non è stata portata, con altri materiali
e tecniche, ad una tranquilla strumentazione; le nuove tecnologie sono
ancora, evidentemente, dei mezzi che sfuggono di mano e che quindi necessitano
una decantazione. Domanda 6Una riflessione che viene in mente guardando
questo tipo di esperienze è che nell'uso del computer (per esempio
nella computer grafica, cioè nella creazione delle immagini artistiche)
la macchina assume parte del processo creativo. In questo caso l'artista
che ruolo ha nella realizzazione dell'opera?RispostaIo credo che l'arte
(quando parlo di arte parlo di quell'attività creativa che riguarda
i livelli alti) scavalchi il presente e cavalchi il futuro. In questo senso
ciò che produce oggi la telematica, ovvero una realizzazione a partire
da un concetto, da un'idea, da un progetto, è ciò che gli
artisti cosiddetti concettuali avevano già negli anni '60 indicato;
ricordo di mostre fatte per telefono collegate con i musei, ricordo di
opere di Boetti realizzate da operai che vivevano in Afganistan e partivano
da un luogo visivo che lui presentava; ma potrei parlarvi, oltre che dell'Art
and Language, di opere che hanno avuto bisogno della collaborazione di
molti altri soggetti al di fuori dell'artista che progetta inizialmente
l'immagine, il segno, il messaggio. L'arte contemporanea in questo senso
è d'avanguardia, in quanto ha anticipato, nella mentalità
comune, la considerazione che produrre arte in una società avanzata
significhi adeguarsi alla mentalità della tecnica che ci assiste
ogni giorno nel nostro vivere. Domanda 7In questo tipo di deduzione, a
questo punto, c'è da chiedersi chi sia il responsabile dell'oggetto
estetico. Ovvero, se la macchina contribuisce alla creazione nel processo,
paradossalmente potrebbe diventare autonoma creatrice di immagini che hanno
valenza estetica?RispostaFino a quando non si dimostrerà che la
macchina può ribellarsi all'uomo e fino a quando noi non scopriremo
una cultura di macchine che di notte si mettono d'accordo, si collegano
fra di loro, contraddicendo quelli che sono gli input diurni di chi le
usa, dobbiamo dire che la responsabilità è sempre di chi
progetta. Questo vale anche per chi progetta i grattacieli, per Mies van
der Rohe che progetta la National Gallery di Berlino, per Philip Johnson
che progetta il suo grande grattacielo a New York; non a caso, quando sappiamo
che il grattacielo sfolgora nella sua forma il nome o il referente, quello
del suo progettista, quando crolla ne è responsabile non l'operaio,
ma come sappiamo bene, chi lo ha progettato. Nel bene o nel male, l'importante
è il progetto, è colui che inventa l'idea. E nella mentalità
della civiltà occidentale, il concetto precede l'oggetto; ma questo
è un secolo che tende a spostarsi dall'oggetto al concetto. Domanda
8Dunque, ritiene che queste forme di esperienza comunque diano luogo ad
una nuova estetica?RispostaSicuramente tutto questo incide ed inciderà
progressivamente, noi lo vediamo anche per quanto riguarda il discorso
di quello che chiamo "l'anoressia dell'arte", la smaterializzazione. Ci
sono già delle mostre in corso su questo tema, pensiamo all'ultima
biennale, la XXIII edizione della biennale di San Paolo a cui ho collaborato
curando la parte sull'Europa occidentale, che portava come tema la dematerializzazione
dell'arte. Questo riguarda anche il problema del corpo dell'arte in quanto
oggetto, forma, quadro, scultura, che tendono sempre più ad assottigliarsi
in quanto, in realtà, la telematica ci permette una trasmissione
del linguaggio dell'arte in maniera più veloce e rapida; più
è smaterializzato il contesto, più il viaggio è rapido
ed arriva a destinazione. Il concetto di arte si trasformerà, ma
le difficoltà per farla rimarranno inalterate. In realtà,
come sappiamo, le piramidi che troviamo in Egitto sono belle come i grattacieli
che troviamo a New York; i tempi sono passati, ma le forme definitive sono
quelle che resistono alla distruzione del tempo. Domanda 9Quale funzione
positiva o negativa potranno avere i nuovi media - mi riferisco ai CD ROM
ed Internet - nella diffusione e nella divulgazione dell'arte?RispostaSenza
dubbio, la telematica al servizio dell'informazione è utilissima;
direi che da Gutenberg in avanti, dalla scoperta della stampa ad oggi,
c'è stata una diffusione culturale che ha alfabetizzato la gran
parte dell'umanità sottraendo la cultura al chiuso della corte,
all'arbitrio di pochi, al silenzio del monastero, una cultura che è
quindi arrivata fino al rumore delle piazze diffondendosi in maniera capillare.
La telematica può portarla di nuovo al chiuso, ma al chiuso di tutte
le case, in una società di massa in cui, poi, è possibile
interagire, collegarsi, contattarsi. Trovo che tutto questo, in sé,
sia positivo e non può essere limitato, normalizzato se non dalla
consuetudine e dalla civiltà che dovrebbero accompagnare i contatti
e la diffusione culturale. Sicuramente, la virtualità assicurata
dal mezzo può anche dilatare e capovolgere il concetto di museo
fino adesso referente di un luogo fisico, di un contenitore materiale in
cui si depositavano le tracce ed i capolavori dell'arte e che comportava
il bisogno di un trasferimento, di un viaggio, come andare a Lourdes: vedere
la Madonna significava andare a toccare la qualità dell'opera mettendosi
in fila nei musei. Ora questa fila viene superata, ribaltata nella solitudine
del rapporto col computer da parte di un qualsiasi soggetto che con un
uso digitale può portare dentro casa propria questo museo virtuale.
Se da una parte, quindi, arriva l'informazione, nasce un problema; senza
dubbio la contemplazione è dimezzata, è come se l'opera perdesse
un concetto globale ed assumesse solo le vesti del fantasma. E' come quei
matrimoni dell'emigrante in Australia che si sposava con la fotografia
della fidanzata che veniva dall'Italia, si sposava prima ancora di incontrarla
(matrimoni per procura), prima di vedere e di toccare il corpo della propria
fidanzata. Tutto questo creerebbe, in qualche modo, anche un rapporto un
po' perverso: accontentarsi di ciò che l'occhio vede, percepisce
e sospetta, invece del corpo a corpo, del contatto, della frontalità
che il rapporto dell'arte può dare a chi la contempla. Mi viene
in mente un libro straordinario di Bioy Casares che si chiama L'invenzione
di Morel, che narra di un fuggiasco inseguito dalla polizia, vive in un'isola,
si nasconde nei cespugli di un palazzo, comincia a sospettare della vita
che ha intorno e a guardare di nascosto ciò che avviene davanti
al cespuglio: la vita in un palazzo fatta di climi notturni e diurni, di
feste, di baci, di abbracci, di urla, e ogni volta il fuggiasco si avvicina
sempre più al palazzo, assiste a delle scene e a un certo punto
si accorge improvvisamente che malgrado abbia fatto dei passi pericolosi
perché si è avvicinato troppo a queste persone, queste persone
non lo percepiscono; eppure lui si sente di carne ed ossa, e man mano,
incuriosito, entra nel palazzo e vede che nessuno lo nota, scende nelle
cantine e si accorge che la vita soprastante, gli incontri e scontri diurni
e notturni del palazzo sono frutto del movimento di una macchina mossa
al ritmo delle maree del mare. Quindi, L'invenzione di Morel è un'invenzione
di una vita che si prolunga nel tempo dopo la morte dei suoi protagonisti.
Ecco: non vorrei che L'invenzione di Morel diventasse il paradigma di un
rapporto con l'arte fantasmatico, anoressico e dunque teso verso l'entropia,
verso la scomparsa e verso la morte.. Domanda 10Quali sono le esperienze
più vitali nel settore artistico? Rientra in quest'esperienza vitale
qualche autore che sta sperimentando la strada della tecnologia?RispostaLa
tecnologia viene impiegata dagli artisti non in maniera sistematica, ma,
direi, a seconda delle opere che si trovano a realizzare, sono artisti
che usano il video come Bruce Newman; altre volte Newman usa altri materiali
più correnti, più statici, meno tecnici, e questo vale per
tutti gli artisti. Io direi che oggi non esiste, nella ricerca, un uso
sistematico della tecnologia proprio perché è stato smaltito
il concetto di avanguardia come sperimentazione di nuove tecniche e di
nuovi materiali ed è ripreso un concetto che è quello, più
che della sperimentazione, della esperienza creativa, e, direi, frutto
proprio (questo posso riconoscerlo e dichiararlo) di ciò che io
ho autorizzato con la "transavanguardia": il superamento del darwinismo
linguistico, dell'evoluzionismo dell'arte, sperimentazione a tutti i costi,
del feticismo, dell'adorazione della tecnologia (fotografia, video, cinema)
che negli anni '70 aveva creato una sorta di accademia del concettuale.
Una ripresa dunque del corpo dell'arte, una risposta anche alla telematica,
ma non pateticamente antagonista, quanto controrealtà capace di
ritotalizzare l'esperienza creativa in un oggetto che ingloba, oltre che
l'idea anche la materia, oltre che l'immagine anche l'eros plastico delle
forme e dei materiali.
http://erewhon.ticonuno.it/riv/arte/genoma/genoma.htm
la rivista di
L'arte transgenica di Eduardo Kachttp://www.ekac.org/transgenic.html
Eduardo Kac è uno dei più noti ricercatori delle nuove
direzioni dell'arte contemporanea tra tecnologia, biologia e creazione.
Ne è un esempio il suo progetto Genesis, un'opera d'arte transgenica
che esplora le relazione tra biologia, sistemi di credenze, tecnologie
dell'informazione, interazione, etica e Internet. L'elemento chiave del
lavoro è quello che l'autore ha definito gene d'artista, ovvero
un gene sintetico inventato da Kac traducendo una frase tratta dalla Genesi
in codice Morse e convertendo poi il Morse in coppie base di DNA. A partire
da questo DNA verrà in seguito creata una nuova proteina, per poi
proseguire lungo la catena della creazione della vita. Una recensione
del progetto Genesis scritta da Gerfried Stocker, direttore artistico dell'Ars
Electronica Festival.Sempre a opera di Eduardo Kac è possibile leggere
il saggio Internet e il futuro dell'arte sul sito di parol, la rivista
di epistemologia ed estetica dell'Università di Bologna.
"Le nuove tecnologie mutano la nostra percezione culturale del corpo umano,
da sistema naturale autoregolato a oggetto controllato artificialmente
e trasformato elettronicamente. (…) Gli sviluppi paralleli di tecnologie
mediche quali la chirurgia plastica e le neuroprotesi ci hanno consentito
di estendere questa plasticità immateriale ai corpi reali. (…) Più
che rendere visibile l'invisibile, l'arte deve spostare la nostra attenzione
su ciò che resta saldamente nascosto alla vista ma che nondimeno
ci influenza direttamente. Due delle più rilevanti tecnologie che
operano al di là della visione sono gli impianti digitali e l'ingegneria
genetica. (…) L'arte transgenetica è una nuova forma d'arte basata
sull'uso di tecniche dell'ingegneria genetica per trasferire geni sintetici
in un organismo o per trasferire materiale genetico naturale da una specie
all'altra, creando esseri viventi unici. La genetica molecolare consente
all'artista di progettare il genoma vegetale e animale e creare nuove forme
di vita." Eduardo Kac Insomma: l'idea è quella di creare una forma
d'arte che il pubblico possa portarsi via con sé, crescere nel giardino
di casa o allevare nel proprio salotto. Certo, si tratta di un'operazione
artistica dall'impianto assai suscettibile di discussione da un punto di
vista etico-morale, ma proprio questo ne è l'elemento propulsore
di fondo. Se è vero che ogni giorno nel mondo scompare in modo irreversibile
una specie animale, il suggerimento degli artisti transgenetici è
quello di contribuire all'aumento della bio-varietà globale inventando
nuove forme di vita. Segue
Originally published in Leonardo Electronic Almanac, Vol. 6, N. 11, December 1998, n/p/n (http://mitpress.mit.edu/e-journals/LEA/) - ISSN: 1071-4391. Republished in English and German in: Ars Electronica 99 - Life Science (Vienna, New York: Springer, 1999), pp. 289- 296. Also in English in: Parol - Quaderni d'arte e di epistemologia, ottobre/novembre 1999, n/p/n, Università di Bologna, Italy (http://www.unibo.it/parol) - ISSN: 88-7232-314-2. Republished in Spanish in Futuros Emergentes: El Arte en la Era Post-biológica, Angela Molina, ed. (Valencia: Centre Cultural la Beneficencia, 2000), forthcoming.
Transgenic art bibliography
TRANSGENIC ART
Eduardo Kac
New technologies culturally mutate our perception of the human body
from a naturally self-regulated system to an artificially controlled and
electronically transformed object. The digital manipulation of the appearance
of the body (and not of the body itself) clearly expresses the plasticity
of the newly formed and multifariously configured identity of the physical
body. We observe this phenomenon regularly through media representations
of idealized or imaginary bodies, virtual-reality incarnations, and network
projections of actual bodies (including avatars). Parallel developments
in medical technologies, such as plastic surgery and neuroprosthesis, have
ultimately allowed us to expand this immaterial plasticity to actual bodies.
The skin is no longer the immutable barrier that contains and defines the
body in space. Instead, it becomes the site of continuous transmutation.
While we try to cope with the staggering consequences of this ongoing process,
it is equally urgent to address the emergence of biotechnologies that operate
beneath the skin (or inside skinless bodies, such as bacteria) and therefore
out of sight. More than make visible the invisible, art needs to raise
our awareness of what firmly remains beyond our visual reach but which,
nonetheless, affects us directly. Two of the most prominent technologies
operating beyond vision are digital implants and genetic engineering, both
poised to have profound consequences in art as well as in the social, medical,
political, and economic life of the next century.
Transgenic art, I propose, is a new art form based on the use of genetic
engineering techniques to transfer synthetic genes to an organism or to
transfer natural genetic material from one species into another, to create
unique living beings [1]. Molecular genetics allows the artist to engineer
the plant and animal genome and create new life forms. The nature of this
new art is defined not only by the birth and growth of a new plant or animal
but above all by the nature of the relationship between artist, public,
and transgenic organism. Transgenic artworks can be taken home by the public
to be grown in the backyard or raised as human companions. With at least
one endangered species becoming extinct every day [2], I suggest that artists
can contribute to increase global biodiversity by inventing new life forms.
There is no transgenic art without a firm commitment to and responsibility
for the new life form thus created. Ethical concerns are paramount in any
artwork, and they become more crucial than ever in the context of biological
art, when a real living being is either the artwork itself or part of it.
From the perspective of interspecies communication, transgenic art calls
for a dialogical relationship between artist, creature/artwork, and those
who come in contact with it.
Jellyfish (Aequorea Victoria)
Photo: David Wrobel
Among the most common domesticated of mammals, the dog is a quintessentially
dialogical animal; it is not self-centered, it is empathic, and it is often
prone to extroverted social interaction [3]. Hence, my current work: GFP
K-9. GFP stands for Green Fluorescent Protein, which is isolated from Pacific
Northwest jellyfish (Aequorea Victoria) and which emits bright green light
when exposed to UV or blue light [4]. Wild type Aequorea GFP absorbs light
maximally at 395 nm and the fluorescence emission spectrum peaks at 510
nm [5]. The protein itself is 238 amino acids in length. The use of the
Green Fluorescent Protein in a dog is absolutely harmless, since GFP is
species independent and requires no additional proteins or substrates for
green light emission. GFP has been successfully expressed in several host
organisms and cells such as E. coli, yeast, and mammalian, insect, fish
and plant cells [6]. A GFP variant, GFPuv, is 18 times brighter than regular
GFP and can be easily detected by the naked eye when excited with standard,
long-wave UV light. GFP K-9 (or "G," as I affectionately call it) will
literally have a colorful personality and will be a welcome member of my
family. Its creation may be years or decades away, because it faces several
obstacles, among them the mapping of the dog genome. The number of genes
in the entire dog genome is estimated at about 100,000 [7]. However, collaborative
research is under way to map the canine genome, the results of which will
eventually enable precision work at the level of canine morphology and
behavior. Independently of the subtle phenotypic alteration, i.e., the
delicate coat color change, GFP K-9 will eat, sleep, mate, play and interact
with other dogs and humans normally. It will also be the founder of a new
transgenic lineage.
GFP-K9, Eduardo Kac (in progress)
While at first the GFP K-9 project may seem completely unprecedented,
human direct influence on dog evolution goes back at least 15,000 years
[8]. In fact, the very existence of the domesticated dog we know today,
with approximately 150 recognized breeds, is likely due to very early human-induced
selective breeding of adult wolves that retained immature characteristics
(a process known as "neoteny"). The similarities of physiognomy and behavior
between the immature wolf and the adult dog are remarkable. Barking, for
example, is typical of adult dogs but not adult wolves. The dog's head
is smaller than the wolf's and more closely resembles that of an immature
wolf. There are many other examples, including the very significant fact
that dogs are also interfertile with wolves. After centuries of natural
selective breeding, a turning point in human breeding of dogs took place
in 1859, when the first exhibition of dogs prompted appreciation for their
unique visual appearance. The search for visual consistency and for new
breeds led to the concept of pure breed and to the formation of different
groups of founding dogs. The practice is with us today and is responsible
for many of the dogs we see in homes everywhere. The results of indirect
genetic control of dogs by breeders are proudly expressed on the pages
of the canine trade press. A quick look at the marketplace reveals ads
for bulldogs "engineered for protection," mastiffs with a "careful genetic
breeding program," dogos with an "exclusive bloodline," and Dobermans with
a "unique genetic blueprint." Breeders aren't writing the genetic code
of their dogs yet, but they are certainly reading and recording it. The
American Kennel Club, for example, offers a DNA Certification Program to
settle questions of purebred identification and parentage.
This painted detail appears on an outer face of the wooden coffin of
Khuw. The deceased leads his dog on a leash. From the tomb of Khuw at Asyut,
Egypt. Twelfth Dynasty (1991-1783 B.C.).
Photo: Patrick Francis Houlihan
If the creation of dogs has long historical roots, more recent but equally
integrated into our daily experience is our use of hybrid living organisms.
A case in point is the well-known work of botanist and scientist Luther
Burbank (1849-1926) who invented many new fruits, plants, and flowers [9].
In 1871, for example, he developed the Burbank potato (also known as the
Idaho potato). Because of its low moisture and high starch content, it
has excellent baking qualities and is perfect for French fries. Since Burbank,
artificial selective breeding of plants and animals has been a standard
procedure widely used by farmers, scientists, and amateurs alike. Selective
breeding is a long-term technique based on the indirect manipulation of
the genetic material of two or more organisms and is responsible for many
of the crops we eat and the livestock we raise. Domestic ornamental plants
and pets thus invented are already so common that one rarely realizes that
a loved animal or a flower offered as a sign of affection are the practical
results of concerted scientific effort by humans. Hybrid Teas, for example
are the typical roses found at the Florist Shop -- the classic image of
the rose. The first Hybrid Tea was 'La France', raised by Giullot in 1867.
A cherished companion such as the Catalina macaw, with its fiery orange
breast and green-and-blue wings, does not exist in nature. Aviculturists
mate blue-and-gold macaws with scarlet macaws to create this beautiful
hybrid animal [10].
The classic Chimera of Arezzo, the best known image of the myth.
The Chimera of Arezzo is a bronze statue of Etruscan origin (c. 5th
century BC), approximately 80 cm (32") in height. It was found near Arezzo,
in Italy, in 1553. Collection Archeological Museum, Firenze. Reproduced
with permission of the Archeological Museum, Firenze.
This is not at all surprising, considering that cross-species hybrid
creatures have been part of our imaginary for millennia. In Greek mythology,
for example, the Chimera was a fire-breathing creature represented as a
composite of a lion, goat, and serpent. Sculptures and paintings of chimeras,
from ancient Greece to the Middle Ages and on to modern avant-garde movements,
inhabit museums worldwide. Chimeras, however, are no longer imaginary;
today, nearly 20 years after the first transgenic animal, they are being
routinely created in laboratories and are slowly becoming part of the larger
genescape. Some recent scientific examples are pigs that produce human
proteins [11], plants that produce plastic [12], and goats with spider
genes designed to produce a strong and biodegradable fabric [13]. While
in ordinary discourse the word "chimera" refers to any imaginary life form
made of disparate parts, in biology "chimera" is a technical term that
means actual organisms with cells from two or more distinct genomes. A
profound cultural transformation takes place when chimeras leap from legend
to life, from representation to reality.
GFP K-9 will be produced with a technique called microinjection. The DNA construct will be microinjected in a pronuclear embryo, which will be used for implantation and production of a founder GFP transgenic dog.
Likewise, there is a clear distinction between breeding and genetic
engineering. Breeders manipulate indirectly the natural processes of gene
selection and mutation that occur in nature. Breeders are unable, therefore,
to turn genes on or off with precision or to create hybrids with genomic
material so distinct as that of a dog and a jellyfish. In this sense, a
distinctive trait of transgenic art is that the genetic material is manipulated
directly: the foreign DNA is precisely integrated into the host genome.
In addition to genetic transfer of existing genes from one species to another,
we can also speak of "artist's genes," i.e., chimeric genes or new genetic
information completely created by the artist through the complementary
bases A (adenine) and T (thymine) or C (cytosine) and G (guanine). This
means that artists now can not only combine genes from different species
but easily write a DNA sequence on their word processors, email it to a
commercial synthesis facility, and in less than a week receive a test tube
with millions of molecules of DNA with the expected sequence.
Production of GFP K-9. (A) Fertilized eggs are removed from a female and (B) the DNA carrying the GFP gene is injected into the male pronucleus. (C) The eggs are then implanted into a carrier. (D) Some of the pups express the GFP gene.
Genes are made of deoxyribonucleic acid (DNA) molecules. DNA carries
all the genetic information necessary for a cell's duplication and for
the building of proteins. DNA instructs another substance (ribonucleic
acid, or RNA) how to build the proteins. RNA carries on the task using
as its raw material cellular structures called ribosomes (organelles with
the function of bringing together the amino acids, out of which proteins
are made). Genes have two important components: the structural element
(which codes for a particular protein) and the regulatory element ("switches"
that tell genes when and how to perform). Transgene constructs, created
by artists or scientists, also include regulatory elements that promote
expression of the transgene. The foreign DNA may be expressed as extrachromosomal
satellite DNA or it may be integrated into the cellular chromosomes. Every
living organism has a genetic code that can be manipulated, and the recombinant
DNA can be passed on to the next generations. The artist literally becomes
a genetic programmer who can create life forms by writing or altering this
code. With the creation and procreation of bioluminescent mammals and other
creatures in the future [14], dialogical interspecies communication will
change profoundly what we currently understand as interactive art. These
animals are to be loved and nurtured just like any other animal.
The result of transgenic art processes must be healthy creatures capable
of as regular a development as any other creatures from related species
[15]. Ethical and responsible interspecies creation will yield the generation
of beautiful chimeras and fantastic new living systems, such as plantimals
(plants with animal genetic material, or animals with plant genetic material)
and animans (animals with human genetic material, or humans with animal
genetic material).
GFP K-9, Eduardo Kac, 1998/99. Green Fluorescent Protein structure solved by Fan Yang and George N. Phillips, Jr. of Rice University and Larry Moss of Tufts University School of Medicine. Figure designed and rendered by Tod D. Romo of Rice University.
As genetic engineering continues to be developed in the safe harbor
of scientific rationalism, nourished by global capital, it unfortunately
remains partially sheltered from larger social issues, debates on ethics,
and local historical contexts. The patenting of new animals created in
the lab [16] and of genes of foreign peoples [17] are particularly complex
topics -- a situation often aggravated, in the human case, by the lack
of consent, equal benefit, or even understanding of the processes of appropriation,
patent, and profit on the part of the donor. Since 1980 the U.S. Patent
and Trademark Office (PTO) granted several transgenic animal patents, including
patents for transgenic mice and rabbits. Recently the debate over animal
patents has broadened to encompass patents on genetically engineered human
cell lines and synthetic constructs (e.g., "plasmids") incorporating human
genes. The use of genetics in art offers a reflection on these new developments
from a social and ethical point of view. It foregrounds related relevant
issues such as the domestic and social integration of transgenic animals,
arbitrary delineation of the concept of "normalcy" through genetic testing,
enhancement and therapy, health insurance discrimination based on results
of genetic testing, and the serious dangers of eugenics.
As we try to negotiate current disputes, it is clear that transgenetics
will be an integral part of our existence in the future. It will be possible,
for example, to harness the glow of the jellyfish protein for optical data
storage devices [18]. Transgenic crops will be a predominant part of the
landscape, transgenic organisms will populate the farm, and transgenic
animals will become part of our expanded family. For better or worse, vegetables
and animals we eat will never be the same. Genetically altered soybeans,
potatoes, corn, squash, and cotton have been widely planted and consumed
since 1995 [19]. The development of "plantibodies," i.e., human genes transplanted
into corn, soy, tobacco, and other plants to produce acres of pharmaceutical-quality
antibodies, promises cheap and abundant much needed proteins [20]. While
in many cases research and marketing strategies place profit above health
concerns (the risks of commercialization of unlabeled and potentially sickening
transgenic food can't be ignored) [21], in others biotechnology seems to
offer real promises of healing in areas presently difficult to treat effectively.
Pigs are a case in point. Because porcine physiological function is similar
in many ways to that of humans, and because society at large agrees to
breed and slaughter pigs for the food industry (unlike nonhuman primates,
for example), medicine is experimenting with genetically altered pigs [see
11]. These pigs produce human proteins that prevent rejection and are being
tested for liver and heart transplant (unmodified pig livers are already
used as a "bridge" to sustain patients waiting for a human donor), for
brain transplant (fetal pig neural cells are used to reconnect the nerve
tissue in Parkinson's patients), and to cure diabetes (through the transplant
of insulin-producing beta cells) [22]. In the future we will have foreign
genetic material in us as today we have mechanical and electronic implants.
In other words, we will be transgenic. As the concept of species based
on breeding barriers is undone through genetic engineering [23], the very
notion of what it means to be human is at stake [24]. However, this does
not constitute an ontological crisis. To be human will mean that the human
genome is, not a limitation, but our starting point.
NOTES
1 - George Gessert, an artist who works with plant hybridization, identified
Edward Steichen, well known for his photographic work, as the first artist
to propose and produce genetic art. See: Gessert, George. "Notes on Genetic
Art", Leonardo, Vol. 26, No. 3, 1993, p. 205. Indeed, in 1949 Steichen
wrote: "The science of heredity when applied to plant breeding, which has
as its ultimate purpose the aesthetic appeal of beauty, is a creative act."
Quoted in: Ronald J. Gedrim, "Edward Steichen's 1936 Exhibition of Delphinium
Blooms," in History of Photography Vol. 17, No. 4 (Winter 1993) pp. 352--363.
Also contributing to the development of genetic art is Joe Davis, a contemporary
artist who works with DNA synthesis technologies. See: Davis, Joe. "Microvenus,"
special issue of Art Journal Vol. 55, No. 1 (Spring 1996), pp. 70-74.
2 - According to the World Wildlife Federation the top 10 most endangered
species are: 1.Black Rhino; 2.Giant Panda; 3.Tiger; 4.Beluga Sturgeon;
5.Goldenseal; 6.Alligator Snapping Turtle; 7.Hawksbill Turtle; 8.Big Leaf
Mahogany; 9.Green-Cheeked Parrot; 10.Mako Shark.
3 - Von Kreisler, Kristin. The Compassion of Animals (Rocklin, CA:
Prima Publishing, 1997). This book is a compilation of informal accounts
of the sympathy, kindness and loyalty of dogs and other animals towards
species other than their own. For a specific discussion of human-canine
interaction, see: Serpell, James (ed.). The Domestic Dog: Its Evolution,
Behaviour, and Interactions With People (Cambridge; New York : Cambridge
Univ Pr 1996); and Wendt, Lloyd M. Dogs: A Historical Journey: The Human/Dog
Connection Through the Centuries (New York: Howell Book House, 1996).
4 - Chalfie, M., Tu, Y., Euskirchen, G., Ward, W.W. and Prasher, D.C.
(1994) Green fluorescent protein as a marker for gene expression. Science,
263: 802-805; Inouye, S. and Tsuji, F.I. (1994) Aequorea green fluorescent
protein. Expression of the gene and fluorescence characteristics of the
recombinant protein. FEBS Letters, 341: 277-280.
5 - Ward, W.W., Cody, C.W., Hart, R.C., and Cormier, M.J.: "Spectrophotometric
identity of the energy-transfer chromophores in Renilla and Aequorea green
fluorescent protein". Photochem. Photobiol. 31 (1980) 611-615.
6 - Niedz, Randall P., Sussman, Michael R., Satterlee, John S. (1995)
Green fluorescent protein: an in vivo reporter of plant gene expression.
Plant Cell Reports, 14:403-406; Amsterdam, A., Lin, S. & Hopkins, N.
(1995) The Aequorea victoria green fluorescent protein can be used as a
reporter in live zebrafish embryos. Devel. Biol. 171:123-129; Pines, J.
(1995) GFP in mammalian cells. Trends Genet. 11:326-327; Holden, C. (1997)
Jellyfish light up mice. Science, 277 (4 July): 41; Ikawa, Masahito; Yamada,
Shuichi; Nakanishi, Tomoko; Okabe, Masaru. "'Green mice' and their potential
usage in biological research", FEBS Letters.Volume 430, Number 1-2, 1998,
pp. 83; Cormack, B. P., Bertram, C., Egerbom, M., Gold, N. A., Falkow,
S. and Brown, A. J. (1997) Yeast-enhanced green fluorescent protein (yEGFP):
a reporter of gene expression in Candida albicans. Microbiology 143:303-311;
Yeh, E., Gustafson, K. and Boulianne, G. L. (1995) Green fluorescent protein
as a vital marker and reporter of gene expression in Drosophila. Proc.
Natl. Acad. Sci. USA 92:7036-7040.
7 - Two key obstacles to the creation of GFP K-9 are gene targeting
technology and in-vitro fertilization for dogs. These obstacles are on
the verge of being overcome. On September 1999, PPL Therapeutics announced
the creation of the first higher transgenic mammal by targeted gene manipulation.
See: Sophia Fox, "European Roundup", Genetic Engineering News, September
1, 1999, p. 54. The Dog Genome project will further contribute to this
work. See: Thorpe-Vargas, S., Coile, D. Caroline., Cargill, J., "Variety
Spices Up The Canine Gene Pool", Dog World (May 1998), Vol. 83, N. 5, p.
27. At last, in-vitro fertilization for dogs will be resolved by the "Missyplicity
Project". While there is a significant difference between a cloned dog
and a transgenic dog, it is worth mentioning that the "Missyplicity Project"
aims at producing the first cloned dog, from a mutt pet called Missy (mixed
border collie and husky). In August of 1998 a wealthy couple (Mr. and Mrs.
John Sperling) donated $2.3 million to Texas A & M University to implement
the project, with a two-year deadline. The project team is comprised of
scientists Mark Westhusin, Duane Kraemer, and Robert Burghardt. For information
on the "Missyplicity Project", see: http://www.missyplicity.com. Since
green fluorescent protein will not express in hair (because hair has no
cells; it is basically extruded protein), hairless dogs are the best candidates
for the GFP K-9 project. Breeds of hairless dogs include: American Hairless
Terrier, Mexican Xoloitzcuintli (or "Xolo"), Peruvian Inca Orchid, and
the Argentinian Pila. For a general reference on pre-Columbian hairless
dogs, see: Fernandez de Cordoba Joaquin: "Los Perros Pre-colombianos de
America". Journal "El Hijo Prodigo". Mexico, March 1945. Specific contemporary
references on hairless dogs can be found in: Whitney, Leon F., D.V.M.,
"How to Breed Dogs", Revised Edition, Eleventh Printing, Howell Book House,
Inc. New York, NY, 1984.
8 - Thurston, Mary Elizabeth. The Lost History of the Canine Race:
Our 15,000-Year Love Affair with Dogs (Kansas City: Andrews & McMeel,
1996).
9 - Burbank, Luther. The Harvest Of The Years (Boston; New York: Houghton
Mifflin, 1927); Dreyer, Peter. A gardener touched with genius: the life
of Luther Burbank (Santa Rosa, Calif.: L. Burbank Home & Gardens, 1993).
10 - The common roses of the twentieth century, such as Hybrid Teas,
Floribundas and Grandifloras, were created by crossing the European Roses
and the Chinas, Teas, and Meditteranean types, and many others during the
1700's and 1800's. See: Bennett, J. H. Experiments in Plant Hybridisation
(London: Oliver and Boyd, 1965) and Beales, Peter. Roses (Collins-Harvill
(HarperCollins), 1991). On a trip to the Sentosa Island, in Singapore,
in 1998, I had the opportunity to interact playfully with a Catalina macaw,
perched first on my shoulder and then on my forearm. I was able to appreciate
its distinct coloration and to observe and appreciate its interaction with
other macaws and humans. A description of the Catalina macaw and other
hybrids can be found in: Lantermann, Werner. Encyclopedia of Macaws (Neptune
City, NJ: T.F.H., 1995), p. 173. See also: Decoteau, A. E. Handbook of
Macaws (Neptune City, NJ: T.F.H., 1982). Other examples of beautiful birds
invented by humans which don't exist anywhere in the wild are the Harlequin
Macaw (hybrid derived from breeding a Blue and Gold and a Green Winged)
and the Parisian Frilled Canary, which has oddly frilled feathers.
11 - Cozzi, E. and White, DJG . "The generation of transgenic pigs
as potential organ donors for humans," Nature , Med 1, 1995, p. 964-966.
12 - Moore, Samuel K. "Natural Synthetics: Genetically engineered plants
produce cotton/polyester blends and nonallergenic rubber", Scientific American,
February 1997, p. 36-37.
13 - Cohen, Phil. "Spinning Steel: Goats and Spiders are working together
to create a novel material", New Scientist, Vol. 160, N. 2155, 10 October
1998, p. 11. Another combination of insect and mammal is a mouse with fly
genes. In this case, the research has the goal of demonstrating that the
biochemical activity utilized in mouse to mediate brain development has
been retained by certain kinds of proteins across the phyla. See: Mark
C. Hanks, Cynthia A. Loomis, Esther Harris, Chung-Xiang Tong, Lynn Anson-Cartwright,
Anna Auerbach and Alexandra Joyner. "Drosophila engrailed can substitute
for mouse Engrailed1 function in mid-hindbrain, but not limb development".
Development 125 (22), 1998, 4521-4530.
14 - Brem, G. and Müller, M. "Large Transgenic Mammals", in Maclean,
N. (ed.) Animals With Novel Genes (New York: Un. of Cambridge, 1994), pp.
179-244; Ikawa, M., Kominami, K., Yoshimura, Y., Tanaka, K., Nishimune,
Y. & Okabe, M. (1995) "Green fluorescent protein as a marker in transgenic
mice". Devel. Growth Differ. 37:455-459; Youvan, D. C. (1995) Green fluorescent
pets. Science, 268 (April 14): 264. Pennisi, Elizabeth. "Transgenic Lambs
From Cloning Lab", Science, Vol. 277, 1 August 1997, p. 631.
15 - Anthony Dyson and John Harris (eds.) Ethics and Biotechnology
(New York: Routledge, 1994); L. F. M. Van Zutphen and M. Vann Der Meer
(eds.). Welfare Aspects of Transgenic Animals (Berlin; New York: Springer
Verlag, 1995).
16 - Schneider, Keith. "New Animal Forms Will Be Patented," New York
Times (April 17, 1987); Adler, Reid G. "Controlling the Applications of
Biotechnology: A Critical Analysis of the Proposed Moratorium on Animal
Patenting," Harvard Journal of Law and Technology, vol. 1 (1988); Andrews,
Edmund L. "U.S. Seeks Patent on Genetic Codes, Setting Off Furor", New
York Times (October 21, 1991): A1, A12; Marshall, Eliot. "Companies Rush
to Patent DNA", Science, Vol. 275, 7 February 1997, pp. 780-781. Marshall,
Eliot. "The Mouse That Prompted a Roar", Science, Vol. 277, 4 July 1997,
pp. 24-25.
17 - Penenber, Adam L. "Gene Piracy", 21C-Scanning the Future, N. 2,
1996, pp. 44-50.
18 - Dickson, Robert M. et al: "On/off blinking and switching behaviour
of single molecules of green fluorescent protein", Nature 388, 355-358
(1997) Letters to Nature. For a popular account of the potential use of
this technology, see: Tatterson, Kathleen G. "Jellyfish Genes Eyed for
Optical Storage", Photonics Spectra, September 97.
19 - Brown, Kathryn S. "With New Technology, Researchers Engineer A
Plant For Every Purpose", The Scientist, Vol. 9, N. 19, October 2, 1995,
pg.14-15; Jane Rissler and Margaret Mellon. The Ecological Risks of Engineered
Crops (Cambridge: MIT Press, 1996).
20 - Gibbs, W. Wayt. "Plantibodies: Human antibodies produced by field
crops enter clinical trials", Scientific American, November 1997, p. 44.
21 - Tokar, Brian. "Monsanto: A Checkered History", in "The Monsanto
Files", special issue of The Ecologist, Vol. 28, N. 5, September/October
1998, pp. 254-261; Kimbrell, Andrew. "Why Biotechnology and High-Tech Agriculture
Cannot Feed the World", in The Monsanto Files", special issue of The Ecologist,
Vol. 28, N. 5, September/October 1998, pp. 294-298.
22 - L Makowka, DV Cramer, A Hoffman, M Breeda, L Sher, G Eiras-Hreha,
PJ Tuso, C Yasunaga, CA Cosenza, G Du Wu, FA Chapman & L Podesta: "The
use of a pig liver xenograft for temporary support of a patient with fulminant
hepatic failure". Transplantation 59, 1654-1659 (1995); DJG White, GA Langford,
E Cozzi & VJ Young: "Production of pigs transgenic for human DAF: A
strategy for xenotransplantation". Xenotransplantation 2, 213-217 (1995);
DKC Cooper, E Kemp, JL Platt & DJG White (eds.), Xenotransplantation:
the transplantation of organs and tissues between species (Berlin; New
York: Springer, 1997).
23 - Some exemplary cases are the production of rat sperm in the testes
of a mouse (which clearly suggests that human sperm could also be produced
in the testicles of a rodent), the innitial division of a human cell in
the egg of a cow, and the creation of an embryonic clone of an adult woman
in South Korea. See: Clouthier, David E. et al: Rat spermatogenesis in
mouse testis. Nature 381, 418-421 (1996) Letters to Nature; Robl, J M;
Jerry, D J; Stice, S; Cibelli, J. Response - Quiescence in Nuclear Transfer,
Science. Volume 281, Number 5383, 1998, p. 1611; BBC Online, "S. Korean
scientists claim human cloning success", December 16, 1998 (http://www.news.bbc.co.uk).
24 - In an article for the New Scientist (October 23, 1999), entitled
"We Have the Power", Andy Coghlan reported that a Canadian company, Chromos
Molecular Systems of Burnaby, British Columbia, presented preliminary results
of experiments with mice given an artificial chromosome. He wrote: "By
taking cell samples and exposing them to fluorescent dyes that bind to
different parts of the chromosome, Chromos's scientists were able to discover
which animals had accepted the chromosome. When the mice carrying the extra
chromosome were crossed with normal mice, it was inherited in exactly the
same way as the animals' natural chromosomes." This is an indication that
human germline gene therapy is becoming a practical possibility. It shows
that one day it might be possible, for medical reasons, to add synthetic
genes to human embryos which otherwise would develop with serious or fatal
congenital defects.
Back to Kac Web
http://www.liceosansepolcro.org/nacita-della-coscienza-moderna/la-natura.htm
LA NATURA TRA FILOSOFIA, LETTERATURA E ARTE NEL SEICENTO
Le condizioni gnoseologiche (D)dell’estremo Cinquecento e del primo
Seicento furono caratterizzate dalla "perplessità interrogativa",
che era entrata negli spiriti subordinata alla crisi della vecchia concezione
scolastica (ST), e dall’incertezza in cui le medesime anime vennero a trovarsi
per le nuove posizioni scientifiche e filosofiche, indicate da personaggi
quali Copernico (SB), Telesio (SB), Bruno (SB) e altri. La scienza, per
esempio, non veniva più considerata come un sistema di idee compiuto
e dato per buono una volta per tutte o come ancorato al principio di autorità
dei grandi filosofi del passato e ai dogmi (D) della Chiesa; c’era bisogno
di nuova aria nelle scuole e soprattutto si avvertiva la necessità
di una cultura che fosse all’altezza delle grandi trasformazioni che si
stavano imponendo nella vita spirituale e materiale, nella società
civile, nella Chiesa.(Vedi Lo sviluppo della scienza nei rapporti socio-economici).
Il primo profondo impulso al rinnovamento venne dai filosofi naturalisti
italiani della fine del ‘500. Loro maestro fu Bernardino Telesio, che,
nella sua opera principale, evidenzia la necessità di tornare allo
studio della Natura, secondo i principi che le sono propri, rifiutando
la concezione aristotelica (ST) del Mondo. Accanto a Telesio si misero
in evidenza altre due importanti figure di intellettuali e filosofi: T.
Campanella (SB) e G. Bruno. Il primo, assumendo come unità di misura
i principi del vivere naturale, propugnava una radicale riforma della società
e della religione; il secondo, sostenitore del sistema eliocentrico di
Copernico, insegnò una filosofia centrata sul concetto dell’uniformità
dell’universo e della sostanziale identificazione di Dio con la Natura
(Vedi Spinoza). Con questi tre grandi filosofi si inizia a capire la nuova
importanza attribuita, già nel ‘500, allo studio della Natura; ma
se in un primo momento l’indagine naturale venne attuata partendo da una
concezione magica (D)del mondo reale, cioè concependo la Natura
stessa come un ente mossa da "forze intrinseche e armonizzate da una simpatia
universale" (Vedi Alchimia), con l’avvento della filosofia naturale si
rinuncia alla pretesa di penetrare i misteri della natura. Tale filosofia
rompe così i ponti con la magia e l’aristotelismo; intende interpretare
la natura con la natura, prescindendo da ipotesi e dottrine precostituite.
E così si apre la via alla vera e propria indagine scientifica.
In questo ambito spiccano figure quali Keplero (SB), Copernico e Galilei
(SB); essi furono, tra molti, coloro che diedero un più vivo e significativo
impulso, sia teorico che pratico, allo studio di fenomeni naturali. Galilei
fu il primo a concepire il metodo della scienza come mezzo di indagine
del naturale, visto innovativamente come ordine causale, necessario ed
immutabile.
Non solo le scoperte di Galileo nel campo fisico ed astronomico, ma
anche le innovazioni tecniche sviluppatesi in seguito alle richieste di
una società in continua evoluzione e fermento, come il microscopio
applicato alla biologia o alla botanica, caratterizzarono il XVII secolo
come un secolo di cambiamenti e di affermazione di un nuovo tipo di gnoseologia.
In un mondo che si rivelava ogni giorno diverso da come una tradizione
millenaria lo aveva presentato, non è strano che l’intero sistema
conoscitivo entri in crisi (la Luna, ora risulta simile alla Terra, l’universo
pare perdere ogni centro e confine, la Terra è costituita di continenti
sconosciuti) e il vuoto venga colmato dalla ricerca e dalla sperimentazione,
in un clima di tensione e dubbio, che stimola la riflessione e cerca nuove
basi per nuove certezze.
Non stupisce quindi che l’arte figurativa preferisca, oltre alla riproduzione
degli oggetti, la finzione. Inoltre, più si accentua la varietà
delle esperienze, sempre meno le conoscenze tradizionali valgono a spiegare
una realtà in evoluzione. La ricerca delle somiglianze nascoste
che l’occhio dell’osservatore scopre tra settori lontani tra loro, costituiscono
una nuova rete di collegamenti. Soltanto il "simbolo", come la metafora
(D), sembra riuscire a spiegare fenomeni sfuggenti; questo artificio tecnico,
assieme all’allegoria, permette al letterato come all’artista d’intuire
ciò che i sensi e la ragione non sono più in grado di decifrare.
La "fantasmagoria speciosa" delle metafore, è dovuta, nel Seicento,
al molteplice aspetto che la realtà prende nell’anima del singolo;
la sensibilità del poeta, o di qualsiasi altro intellettuale, è
messa in crisi. Nella lirica barocca si tende a far più attenzione
al mondo della natura, guardandolo sotto svariati punti di vista. Ecco
quindi che i lirici barocchi convertono l’astrattezza, la spiritualità,
l’atemporalità delle raffigurazioni petrarchesche in concretezza,
fisicità e, nel caso delle bellezze femminili, in sensualità
e lascivia. Analogamente al tema della bellezza naturale e muliebre, nuove
tematiche sono introdotte dai lirici barocchi nell’ambito di una tecnica
della catalogazione e variazione. Muovendo da un dato percettivo, da un’esperienza,
il poeta barocco tende a sperimentare tutte le possibili variazioni che
gli consentono di realizzare esperienze concettuali e verbali difficili
e argute. Nelle poesie si colgono attimi di vita, gesti, movimenti minimi,
senza mai oltrepassare la dimensione materiale e oggettuale. Questo realismo
fisico ed estetico prevede, ad esempio, che alla tipica donna bionda, si
aggiungano le castane, le rosse e le nere; c’è in sostanza una maggiore
attenzione al quotidiano e anche a più svariati oggetti, fiori,
frutti, ortaggi, piante e animali (perle, coralli, argento, oro, rose,
gigli, melograni, pere, viti, cedri, usignoli, lucciole, zanzare, farfalle
….. ). La realtà così descritta si presta poi a giochi prospettici
o a vere e proprie metamorfosi; in alcuni casi questi "giochi" derivano
proprio dalla ricchezza metaforica del testo: nel sonetto del Marino (SB),
"Onde dorate", "la donna tende ad assumere quasi una realtà minerale,
d’aurea e gemmea e perlacea essenza, a prendere insomma l’aspetto di un
lussuoso e raffinato gioiello"(Getto). Nella lirica barocca (D) si ha quindi
un ampliamento del poetabile, a cui però non corrisponde mai un
approfondimento psicologico o morale. I poeti barocchi privilegiano i dati
materiali e oggettuali, funebri e orrorosi, magari e magari rappresentati
simbolicamente (il teschio, la tomba).
Il gusto per l’indagine del reale trova ampio sfogo anche nell’ambito
delle arti figurative; ovunque si affermano nuovi generi che, pur ritenuti
marginali, hanno un fiorente sviluppo. Tra questi il più significativo
è quello della Natura Morta. Le cause che determinarono l’affermarsi
di tale genere in Europa e in Italia alla fine del Cinquecento furono disparate.
Un primo riferimento è alla ininterrotta tradizione della cultura
mediterranea nel rappresentare il mondo del reale in una coerente unità.
Questo porta all’isolamento della scena e alla possibilità di considerare
il soggetto inanimato non più come corredo della figura umana, ma
come autonomo protagonista. Un secondo riferimento va invece alla tradizione
nordica che presenta un’attenzione al particolare già espressa nella
rappresentazione delle storie sacre, nel ritratto e nel paesaggio. Sicuramente
anche l’attenzione scientifica, legata alla corporeità dell’oggetto
più che alla sua idealità, concorre nell’affermare questo
tipo di pittura; l’opera dei botanici Cressner e Fuchs, per esempio, rende
necessario rinnovare l’iconografia tradizionale degli erbari medioevali
per un’icona più rispondente all’osservazione diretta. In sostanza,
il concetto fondamentale e fondante della pittura di nature morte è
la convinzione che l’oggetto rappresentato, sia esso un vaso di fiori che
un cesto di frutta, abbia la stessa dignità di soggetto pittorico
quanta ne può avere la figura umana. Il Caravaggio (SB), nella sua
pittura, afferma chiaramente un interesse per il soggetto inanimato, non
più periferico alla figura umana, ma centrale ed esauriente. Con
opere quali la "Canestra di frutta" (1596) Caravaggio conferì alla
natura morta italiana piena autonomia di sviluppo; cimentandosi nel processo
mimetico nei confronti del mondo naturale l’artista pervenne ad una resa
quasi tangibile del reale e, a differenza degli esempi fiamminghi, ad un’interpretazione
unitaria basata su valori essenzialmente plastici. L’esperienza di Caravaggio,
che conferì alla natura alta dignità rappresentativa, impresse
al genere una nuova formulazione poi assimilata dalla cultura italiana
ed europea.
Il Relatore:
Luca Lazzarelli
L'ATOMISMO DEMOCRITEO IN RELAZIONE ALLA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
Lo scopo di questo lavoro è quello di individuare punti di contatto e convergenze tra l'Atomismo di Democrito, vissuto nel V secolo a. C., e quello straordinario evento verificatosi tra il XVI e il XVII secolo d. C. che è la Rivoluzione Scientifica; si cercherà di porre in evidenza l'influenza e il ruolo decisivo che la dottrina Democritea avrebbe potuto ricoprire nello sviluppo della scienza e della fisica moderna.
Il fulcro del nostro interesse è da individuare nella peculiarità
della posizione assunta da Democrito nell'affrontare le problematiche comuni
nella sua epoca. Innanzitutto dobbiamo sottolineare l'importanza che Democrito
affida all'esperienza sensibile, la quale diviene per lui il punto di partenza
dell'elaborazione intellettuale e che sarà il fondamento della rivoluzione
scientifica e del metodo sperimentale . Non bisogna dimenticare comunque
che Democrito pur riconoscendo l'importanza della sfera sensoriale come
base per l'esplorazione razionale, affida a quest'ultima il compito di
giungere alla verità tramite un processo di tipo speculativo; mentre
la fisica moderna, muovendo dall'osservazione dei fenomeni naturali, ricerca
la validità del costrutto logico ancora nella realtà, tramite
la prova sperimentale.
Questo particolare atteggiamento di Democrito è da collegarsi
strettamente con un'altra concezione fortemente originale che ci pone di
fronte ad un nuovo modo di intendere la Filosofia e la ricerca; in Democrito
troviamo la prima forma di Meccanicismo filosofico consistente nello spiegare
le "cose" in virtù delle cause efficienti che le producono, nel
chiedersi cioè come i fenomeni avvengano e non a quale scopo.
Questo concetto di cui la scienza moderna si è appropriata, è il nodo principale che lega Democrito alla rivoluzione scientifica, perché è proprio il radicale mutamento di indirizzo dello studio e dell'interesse filosofico che dà l'avvio al nuovo modo di pensare e di concepire il fine della ricerca. Su questo punto dobbiamo concentrare la nostra attenzione, perché possiamo renderci conto che in Democrito esistono già le basi per lo sviluppo di un pensiero filosofico moderno e che, se la sua dottrina avesse preso campo nell’antichità, lo sviluppo della scienza sarebbe stato forse molto più rapido.
Questo però non avvenne, e le cause che hanno portato all’affermazione di modelli filosofici diversi dall’Atomismo sono molteplici e sono da ricercare nell’ambito dello sviluppo del pensiero attraverso i secoli, ma anche dei cambiamenti sociali e religiosi che hanno caratterizzato differenti epoche nell’antichità e soprattutto nell’Alto Medioevo.
Il pensiero di Democrito infatti, trova ben presto un illustre oppositore nella figura di Platone, che addirittura non fa nessuna menzione di lui nei suoi "Dialoghi". A Platone segue Aristotele, che elabora un pensiero filosofico in netta antitesi con l’Atomismo e che più volte all’interno della sua opera manifesta un forte dissenso nei confronti di tale dottrina. In seguito Democrito riceve una rivalutazione da pensatori quali Epicuro e Lucrezio che ne ripropongono la filosofia, anche se con intenzionalità diverse da quelle naturalistiche, soprattutto il primo; e infine subisce un netto rifiuto con l’affermarsi del Cristianesimo, che, dato il suo stretto legame con la filosofia Scolastica direttamente derivata dal pensiero aristotelico e platonico giunge a definire eretico l’Atomismo e quindi a bandirlo dalla cultura "lecita".
Soltanto con il Rinascimento e con l’età moderna l’Atomismo sarà riscoperto e rivalutato e tornerà ad ispirare filosofi e pensatori.
Altre importanti tesi dell'Atomismo fanno sì che questa dottrina possa essere considerata vicina al modo di pensare moderno, come la concezione della pluralità dei mondi e dell'infinità dell'universo (ST), che lo mette in relazione con il pensiero di Giordano Bruno (SB) e su cui si fonda la cosmologia moderna, ma anche dell'unità e omogeneità tra le realtà celesti e quelle sublunari (teoria che rimane sepolta fino al periodo rinascimentale, quando con la rivoluzione astronomica viene rivalutata ed accettata).
Molto importante è l'introduzione del concetto del vuoto inteso
come qualcosa diverso dal non essere degli Eleati e infine, ultima ma di
fondamentale importanza, la concezione di una realtà costituita
da atomi e regolata nei fenomeni dal loro movimento e dal loro modo di
rapportarsi, principio che, ripreso in tempi moderni, porterà all'elaborazione
della fisica e della chimica moderne.
Relatore:
Giulio Brugoni
GALILEO GALILEI
La concezione della scienza ed il metodo
Secondo Galileo (SB) la funzione della fisica è la conoscenza della natura non come indagine sulle essenze dei fenomeni, ma sulle leggi che li regolano.
Questo dà vita ad una nuova concezione del rapporto causale diversa da quella metafisica(D) aristotelica secondo cui era necessario lo studio delle cause (D) dei fenomeni per la determinazione dei loro effetti. Essendo il concetto di causalità libero da ogni significato di fine e riferimento antropomorfico, l’indagine deve vertere sulle leggi meccaniche (D).
La scienza ha il compito quindi di descrivere e spiegare i fenomeni attraverso teorie matematiche. Lo strumento dell’indagine è la matematica (ST) che, oltre a consentire di rappresentare la realtà in termini quantitativi , permette di formulare con esattezza i principi delle teorie e di determinare le conseguenze deducibili. Ci deve essere un’attenta collaborazione fra l’osservazione empirica, con le dirette conseguenze che se ne traggono e i puri ragionamenti matematici i quali non devono indurre a escludere l’esperienza, ma servono a renderla più comprensibile.
Per la rigorosità dell’osservazione è necessario l’uso di strumenti che consentano di analizzare i dati dal punto di vista quantitativo. Si fonda un nuovo rapporto tra scienza e tecnica in cui lo scienziato deve sfruttare le scoperte di quest’ultima e, con i suoi studi, risolvere i problemi tecnici.
Galileo sostenne sempre l’indipendenza della scienza la quale deve sottostare alla sola autorità della ragione. Egli condusse una battaglia per liberare la scienza dall’influenza della tradizione religiosa e della tradizione filosofica. Nei confronti della religione, essendo uomo di fede, sostenne che sia la natura che la Bibbia, la quale conteneva concezioni che sembravano andare contro la moderna scienza, derivano da Dio e come tali non possono contraddirsi; le contraddizioni fra le verità scientifiche e quelle religiose sono quindi solo apparenti. La Bibbia va interpretata in quanto essa contiene una verità etico – religiosa, ma per quanto riguarda le verità naturali è la scienza che deve raggiungerle; l’interpretazione della Bibbia deve quindi adattarsi alla scienza.
Galilei ha dato un decisivo contributo alla scienza moderna, tanto da esserne considerato il padre, individuando un metodo per procedere nello studio dei fenomeni. Non espone tuttavia organicamente questo modo di procedere, lo applicò senza teorizzarlo . Dai suoi scritti si possono comunque ricostruirne le fasi.
Inizialmente si divide il lavoro in un momento risolutivo e in uno compositivo. Nel primo si ha lo studio degli elementi semplici quantitativi e misurabili e si formula un’ipotesi matematica della legge. Il secondo momento è costituito dalla verifica e dall’esperimento, in base al risultato del quale si controlla la verità dell’ipotesi ; se essa viene confermata diviene legge. Nel caso contrario lo scienziato è costretto ad avanzare un’altra ipotesi .
Ma l’effettivo criterio con cui Galileo avanza consiste in una compresenza fra l’indagine empirico induttiva e il momento ipotetico deduttivo. Questo significa che egli in certi casi, come nelle leggi sulle fasi di Venere, procede dall’osservazione di casi particolari giungendo ad una legge generale quindi per via empirica. In altri, come il principio d’inerzia o la caduta dei gravi, parte da ragionamenti logico matematici scaturiti da un’intuizione di base e procedendo per supposizioni formula la teoria; a questo punto lo scienziato si riserva la verifica.
L’oscillazione fra induttivismo e deduttivismo ha dato vita a diverse interpretazioni e lo stesso Galileo, in certi passi, scrive che l’esperienza empirica va anteposta ad ogni discorso, ma in altri :<< senza esperienza son sicuro che l’effetto seguirà come vi dico, perché così è necessario che segua. >>
In realtà possiamo affermare che vi è una sostanziale implicanza ed indissolubilità fra i due aspetti; infatti l’esperienza va rielaborata razionalmente per spogliarla dei caratteri qualitativi e le ipotesi e supposizioni fanno comunque riferimento alla realtà poiché necessitano della verifica sperimentale.
Dal metodo emerge come sia cambiato il concetto di esperienza che non è più legata immediatamente all’apparenza sensibile , ma presuppone una elaborazione di dati e una costruzione teorica. Ciò determina una frattura fra la comune concezione delle cose e la fisica che caratterizzerà tutta la scienza moderna.
Dovendo essere dimostrata con l’esperimento, l’esperienza finisce con l’identificarsi proprio con questo. L’esperimento deve riprodurre il fenomeno in laboratorio dove si devono ricreare le autentiche condizioni, ma nel far questo bisogna ridurre al massimo i fattori di disturbo come ad esempio l’attrito nel moto nel moto dei corpi; talvolta Galileo deve anche procedere con esperimenti ideali. Tale procedura è utilizzata dallo scienziato quando, soprattutto per mancanza di strumenti tecnici, non è in grado di verificare le proprie teorie e deve ricorre ad una sorta di fisica ideale, in cui immagina ad esempio piani perfettamente levigati o assenza di determinate forze..
La dinamica
I contributi di Galileo nella meccanica(D) e in particolare nella dinamica(D) dei corpi sono di fondamentale importanza.
Anche se non ne enunciò mai la legge intuì il primo principio della dinamica(D). Egli osservò che un corpo, che può risalire, per mezzo della velocità acquistata nella caduta, raggiunge la stessa altezza iniziale indipendentemente dalla traiettoria seguita. Così un pendolo portato dalla posizione di equilibrio ad una certa altezza, una volta abbandonato raggiunge quasi la stessa altezza, la piccola differenza è dovuta agli attriti.
Galileo considerò poi una sferetta lasciata rotolare in un piano inclinato, la quale raggiunge quasi la stessa altezza se fatta risalire lungo un secondo piano inclinato. Riteneva che in assenza di attrito le altezze sarebbero state uguali. Ora, variando l’inclinazione del secondo piano, la sferetta raggiunge sempre la stessa altezza indipendentemente dall’inclinazione. La decelerazione è minore al diminuire dell’inclinazione del secondo piano, in quanto su piani più inclinati percorre più spazio rispetto a quelli con inclinazione maggiore. Quindi quando l’inclinazione del secondo piano è nulla, ovvero esso diventa orizzontale, la decelerazione è zero; pertanto Galileo intuì che in tali condizioni la sferetta si sarebbe mossa con velocità costante e che il suo moto sarebbe stato perpetuo. Questo naturalmente immaginando idealmente l’esperimento in assenza di attriti.
Un altro grande contributo di Galileo per la meccanica moderna è la scoperta del secondo principio della dinamica: le forze (D) applicate ai corpi non imprimono loro delle velocità, bensì della accelerazioni (anche se Galileo non utilizzò precisamente questo termine) che risultano direttamente proporzionali alle forze che le hanno prodotte. Con questo principio si può determinare il concetto di accelerazione come variazione di velocità (D)e il concetto di massa (D) di un corpo come rapporto di proporzionalità fra le forze ad esso applicate e le accelerazioni (D) prodotte da tali forze. Galilei trovò conferma di questo principio nello studio della forza di gravità che nel medesimo luogo risulta proporzionale alle masse dei corpi.
Caduta dei gravi
La fisica di Aristotele sosteneva che i gravi cadono a terra con velocità direttamente proporzionale al loro peso. Volendo confutare questa teoria Galileo, essendo la resistenza dell’aria un elemento di disturbo per il fenomeno, procede preliminarmente con un esperimento ideale nel vuoto. Osserva prima di tutto che unendo due mobili che hanno velocità disuguali il più lento ritarda il più veloce, contrariamente unendo due mobili che hanno uguale velocità il sistema dei due si muove ancora con la stessa velocità. Se si immaginano quindi tre blocchi di ferro A,B,C uguali per dimensioni e forma, abbandonandoli nel vuoto nello stesso istante e dalla stessa altezza, essi cadranno nello stesso modo, cioè ogni istante si troveranno alla stessa altezza. Affiancando ora A e B e legandoli idealmente con una catena senza peso, si lasciano cadere assieme a C, sempre nello stesso istante e dalla stessa altezza. Poiché nella prima caduta A e B seguivano la stessa legge è lecito ritenere che il sistema A+B si comporti ora come C. Nonostante sia quindi raddoppiato il peso, la legge di caduta è rimasta invariata.
La conclusione generale è che i due corpi dello stesso materiale cadono nel vuoto con la stessa legge indipendentemente dal peso.
La formulazione di leggi necessità però di un esperimento reale.
Galileo per poter eseguire le misure di tempi essendo il moto di caduta dei gravi molto rapido, lo rallenta con piano inclinato. Incavando in questo un condotto ben levigato vi fa rotolare una sferetta di bronzo. L’obiettivo che si prefiggeva era la dimostrazione sperimentale che il moto dei gravi è uniformemente accelerato. Con più misure del tempo impiegato dalla sferetta per percorrere diversi spazi di piano inclinato, Galileo giunge a dimostrare che lo spazio è direttamente proporzionale al quadrato del tempo, ovvero il moto è uniformemente accelerato; tale legge o, detto S lo spazio e T il tempo, è espresso da: con K costante al variare di S. Animazione
L’astronomia
Oltre ad aver messo in crisi la fisica aristotelica (ST) Galilei fece delle importanti scoperte in campo astronomico (ST), sostenne la cosmologia di Copernico (SB) demolendo la concezione tolemaica (ST) ed eliminando le obiezioni sollevate da Tycho Brache.
Innanzitutto rifiutava il dualismo astronomico e negava la diversità fra moti rettilinei, tipici del mondo sublunare, e moti circolari, tipici del mondo sopralunare, questo grazie ai due principi della dinamica. Giunse quindi al rifiuto della diversità fra le leggi che regolano i fenomeni celesti e quelli terrestri. Con l’uso del telescopio pervenne ad alcune scoperte, comunicate nel Sidereus Nuncius del 1610, con le quali dimostrava empiricamente le teorie di Copernico e sanciva il definitivo superamento della vecchia cosmologia.
Confutò la teoria di Aristotele della incorruttibilità dei cieli secondo la quale i corpi celesti, esclusa la terra, erano rivestiti da una superficie liscia ed erano perfetti anche non essendo soggetti al divenire. Galilei osservò che le macchie lunari erano delle ombre delle montagne proiettate dalla luce del sole, e che lo stesso sole presentava macchie oscure che si formavano e sparivano, attestando quindi un processo di trasformazione in atto che confutava la dottrina aristotelica.
Lo scienziato dimostrò inoltre l’esistenza di moti celesti aventi un centro diverso dalla Terra scoprendo i quattro satelliti di Giove. Dal momento che questi ruotavano con Giove attorno al Sole come riteneva Copernico, nulla impediva di pensare che anche la Terra e la Luna potesse ruotare attorno al Sole.
Scoprì le fasi di Venere che lo indussero a pensare che tale pianeta ricevesse la luce dal Sole girando attorno ad esso e che questo fosse valido per tutti i pianeti "tenebrosi" illuminati solo dal Sole.
Ne "Il Discorso Sopra I Due Massimi Sistemi Del Mondo", opponendosi alla tradizione tolemaico aristotelica la quale sosteneva che se la Terra avesse avuto un moto di rotazione su se stessa avrebbe sollevato tutto con un gran vento e i gravi avrebbero avuto una caduta obliqua, afferma che l’aria e ogni altra cosa partecipa al moto della Terra, in modo che rispetto alla stessa tutto è immobile.
Queste argomentazioni derivano dal principio di relatività galileiana, per cui in un sistema dotato di moto rettilineo uniforme tutti gli oggetti nei loro movimenti assumono le stesse posizioni che se il sistema fosse fermo. Questo principio viene esposto da Galileo nel celebre esperimento mentale della nave.(Riportare passo)
Oltre alla meccanica e all’astronomia Galilei si interessò ad altri rami della fisica.
Nel campo dell’ottica costruì il cannocchiale e il microscopio che, oltre all’utilità che hanno avuto nelle sue indagini, hanno un significato particolare. Dal momento che le lenti erano già conosciute fin dal XIII secolo, l’importanza di Galileo non è tanto quella di avere realizzato il cannocchiale, cosa che per altro era stata anticipata dagli olandesi, ma di averlo utilizzato nella ricerca scientifica dimostrando la necessità di sinergia tra scienza e tecnica. Questo utilizzo scientifico del cannocchiale dimostrò come lo strumento acquisisce un valore conoscitivo, cosa che per il tempo costituì un fatto rivoluzionario. Infatti a causa dei pregiudizi ormai secolari non si concepisce l’uso di strumenti, atti ad amplificare la potenza dei sensi, nella ricerca scientifica; la cultura ufficiale li condannava ritenendo ad esempio che le lenti fossero fonti di illusioni ottiche. Molti teologi li definivano "diabolici" in quanto sostituti degli occhi naturali creati da dio; anche fra i dotti vi fu il rifiuto di utilizzare il cannocchiale. Essi non potevano accettare la demolizione della scienza astronomica di Aristotele ad opera di un congegno meccanico.
Nel campo dell’acustica collegò lo studio delle vibrazioni sonore a quello delle vibrazioni del pendolo; si interessò altresì del magnetismo e della termologia ove ebbe il merito di costruire il primo termometro elementare (termoscopio).
Si occupò dei problemi legati all’ingegneria e in particolare di quella idraulica.
Non si interessò invece molto dello studio della matematica pura, pur essendo professore in questa disciplina. Questo non significa che l’abbia trascurata in quanto, come sappiamo, la pose come strumento base della sua fisica, ma la tratta solo sotto questo punto di vista. Anche se comunque si occupò del problema dei paradossi dell’infinito (D) che effettivamente sono matematica pura.
La figura filosofica di Galilei
Galilei non è stato propriamente un filosofo ma nella sua formulazione del metodo scientifico e nel rivoluzionare la fisica concettualmente si è ispirato ad alcune precise teorie ed indirettamente, con il successo della sua scienza, ha determinato una radicale svolta nel pensiero filosofico. Le dottrine a cui ha attinto sono quelle della tradizione e soprattutto quelle contemporanee. Concepisce la natura come un ordine casualmente strutturato.
Rifiutando la metafisica scolastica , Galilei esclude qualsiasi considerazione finalistica del mondo e ne esprime una concezione meccanicistica (D). L’uomo non deve indagare metafisicamente sull’essenza (D), la sostanza, le virtù delle cose. Lo scienziato si deve invece occupare delle cause efficienti, di come cioè i fenomeni avvengano e studiarne le leggi. Con questo non vuole negare in assoluto le cause finali, ma non ritiene che se ne possa fare uno studio scientifico .
La base concettuale di Galileo è la struttura matematica del cosmo, tutto cioè è un insieme di relazioni uniformi e necessarie: le leggi. (Citazione passo)
La matematica è la logica, lo strumento dello scienziato, perché Dio ha creato il mondo con proposizioni matematiche.
Galilei considera il reale dal punto di vista quantitativo e riprende la distinzione democritea (ST) tra proprietà oggettive e soggettive dei corpi. Le prime definiscono i corpi in quanto tali: quantità, grandezza, tempo, luogo, forma, quiete ecc., le altre, sebbene prodotte da essi, sussistono solo in funzione dei nostri sensi. Lo scienziato deve considerare le proprietà oggettive della natura e indagarle matematicamente. Questo deriva da una concezione della natura uniforme nel suo ordine che, come verità geometrico matematica, è immutabile.
Tutti i suddetti elementi sono sostenuti da un’unica importante convinzione di Galilei: la corrispondenza tra pensiero ed essere, ovvero la conformità fra le conoscenze acquisite con la scienza e la realtà, il realismo. Egli si riteneva un matematico filosofo dove filosofo concerne il significato ontologico(D), sottolinea cioè la concretezza i suoi studi. Da questa fiducia assoluta sulla verità della scienza deriva la teoria secondo la quale la conoscenza dell’uomo ha lo stesso grado di certezza di quella di Dio la differenza sta nel fatto che Dio possiede le infinite verità di tutto ciò che ha creato, mentre l’uomo ha una conoscenza limitata che acquisisce progressivamente.
Galileo ha lasciato ai filosofi successivi molti problemi teorici e gnoseologici (D) come il rapporto fra mente e realtà, sensi e ragione, la giustificazione della validità della scienza, la relazione tra metafisica e nuovo sapere ecc. Ciò mostra come la Rivoluzione Scientifica abbia influito sulla filosofia e si può affermare che parallelamente alla scienza si sia sviluppata una filosofia condizionata dalla scienza.
Galilei è pervaso dalla piena fiducia sulla ragione che vuole comunicare a tutti, per questo scrive in volgare e considera la scienza come elemento stimolante e rinnovatore della società.
Per questi elementi derivati dalla fiducia nella ragione è stato considerato un precursore dell’illuminismo(ST) e comunque rappresenta un capo saldo della storia della filosofia.
Il Relatore:
Nico Biagioli
PITTURA FIAMMINGA NEL XVII SECOLO
Per arte fiamminga non si intende soltanto l'arte sviluppatasi a Bruges,
a Gand e nei centri minori dell'antica contea di fiandra, ma anche quella
fiorita nel ducato di Brabante, nel paese di Liegi e prfino nelle contee
di Hainaut e di Artois, confinanti con la Francia: l'arte dei Paesi Bassi
meridionali e dell'Olanda.
Le sue origini si perdono nel passato della civiltà di queste terre. La curia vescovile di Liegi ad esempio, fu centro artistico già intorno al 1000. L'arte monastica fiorì largamente nei secoli seguenti e senza dubbio influì molto anche nella produzione artistica delle piccole corti feudali. Grande sviluppo e magnifica fioritura, l'arte fiamminga ebbe poi quando le città acquistarono importanza e i loro cittadini s'arricchirono e cercarono il lusso della cultura e della bellezza. Di questo già le fonti storiche parlano verso la fine del Duecento. Durante il Trecento si formò e si affinò una vera e propria schiera di artisti.
Intorno al 1400 centro principale dell'arte fiamminga pare che sia stata la città di Tournai in Hainaut. Ivi fioriva Robert Campin con i suoi discepoli Jacques Daret e Roger de la Pasture (Van der Weyden). Presto l'attività degli artisti fiamminghi non bastò alle richieste, specialmente nel campo della pittura e poi anche nell'industria degli arazzi. Molti maestri accoresero nelle maggiori città e vi presero cittadinanza.
Nel '500 l'Olanda e le Fiandre si fecero centri artistici per eccellenza e anche centri di esportazione artistica (fabbriche di arazzi). Ma è durante il XVII secolo che assistiamo ad una straordinaria fioritura artistica, che presentò caratteri e tecniche innovativi e che fu espressione concreta di un mutato assetto sociale e politico.(ST)
Sia l'Olanda che le Fiandre infatti ci presentano una situazione favorevole allo sviluppo di un nuovo modello artistico del tutto particolare che non avrebbe trovato spazio in nessun altro stato europeo.
Nelle Fiandre, pur saldamenente dominate dalla Spagna e perciò necessariamente cattoliche, l'aristocrazia cominciava a trasformarsi in nobiltà di corte, abbandonando i suoi effettivi poteri politici ed economici e lasciando spazio all'ascesa della borghesia (D). Quest'ultima assumendo importanza e potere riuscì a far sentire la sua influenza in campi che vanno ben oltre quello economico e, anche nell'arte, che comunque mantenne un carattere ufficiale ed un accento religioso a causa del restaurato cattolicesimo, si pose come nuova committente, garantendo così maggior libertà espressiva agli artisti.
In Olanda la situazione era ben diversa: dopo la costituzione delle Provincie Unite (1579) e la conseguente proclamazione d'indipendenza dalla Spagna si sviluppò una solida struttura economico-sociale fondata sulla classe borghese.
Durante tutto il Seicento il ceto mercantile divenne il principale committente ed interlocutore degli artisti, (non la Chiesa dunque) determinando così un'esplosione dell'arte nei Paesi Bassi; arte che si allontanò sostanzialmente dai precedenti canoni culturali ed espressivi.In primo luogo assistiamo alla caduta di vincoli ecclesiastici e ad un graduale adeguamento delle forme e degli strumenti artistici al gusto borghese. Ecco allora che il quadro di devozione scomparve nell'ambiente protestante; le storie bibliche cedettero il posto ai soggetti profani, tra cui erano privilegiati temi naturali quali paesaggi o nature morte, ma anche ritratti collettivi, scene della vita di ogni giorno, studi architettonici. Si prediligeva la rappresentazione della realtà, colta all'improvviso, in movimento, con uno sguardo attento ai particolari e a nuovi aspetti della quotidianità. Il soggeto o più spesso i soggetti dei ritratti ad esempio, non venivano ripresi, come da tradizione, di fronte o di profilo, ma in atteggiamenti vari, prestando attenzione alle caratteristiche individuali dei volti, nel tentativo di cogliere e rappresentare singolari stati emotivi. In tutto ciò è individuabile una ricerca verista che distingue l'arte olandese dal barocco (D)di tutta Europa.
Altro originalissimo elemento nell'arte figurativa olandse del XVII secolo fu l'utilizzo del piccolo formato; i quadri erano infatti di ridotte dimensioni perchè queste interessavano i privati borghesi che erano praticamente gli unici committenti.
Da questo punto di vista quindi la pittura ricevette un enorme impulso e godette di uno sviluppo in precedenza mai raggiunto, perchè l'esuberanza di capitali presente nella borghesia olandese e la contemporanea impossibilità di investimenti produttivi, condusse molte famiglie agiate a spendere i loro averi nell'acquisto di quadri per abbellire abitazioni e palazzi. Non bisogna però pensare che il gusto della media e piccola borghesia fosse raffinato ed evoluto e bisogna tener bene in conto che, se da principio quest'aspetto fu un gran vantaggio per gli artsti che potevano esprimere liberamente il loro genio, a lungo andare si trasformò in un grave pericolo che fu addirittura fatale alla pittura fiamminga di fine seicento.
Infatti il concetto di acquistare opere d'arte con il solo scopo di investire danaro, portò in fretta allo sviluppo di un commercio artistico di ingenti dimensioni in Olanda e altove, con gravi conseguenze per la qualità dei dipinti e la creatività degli artisti.
La richiesta di mercato anzitutto indusse il pittore a specializzarsi in um determinato genere, poichè il mercante gli richiedeva sempre opere del tipo che si dimostrava più adatto allo smercio, inoltre il quadro divenne un oggetto impersonale come ogni altra merce e l'artista si abituò a lavorare per una clientela ignota, trasformandosi progressivamente in un semplice artigiano e perdendo estro e fantasia.
Il Relatore:
Giulio Brugoni
SCHEDE TEMATICHE
L’ASCESA DELLA BORGHESIA IN OLANDA L'Olanda vive nel XVII secolo un
periodo di profondi sconvolgimenti politici ed una grande crescita economica,
le cui cause sono individuabili in un processo storico complesso, che ha
implicazioni anche nei campi sociale ed artistico.
L'inizio dell'esplosione economica e culturale dei Paesi Bassi è
da far risalire ai secoli XIV e XV, quando il settore tessile e manufatturiero
conoscono uno sviluppo notevole e conferiscono al commercio un impulso
in precedenza sconosciuto.
E' proprio in questo periodo che agiscono i primi grandi pittori fiamminghi
e che il Calvinismo inizia a diffondersi gradualmente nella società
Olandese. Quest'ultimo, portatore di istanze innovatrici, risulta essere
uno tra gli elementi più significativi nello sviluppo della classe
borghese e nell'evoluzione economica e politica dell'Olanda, tanto da rivestire
un ruolo importantissimo nella riscossa nazionale contro l'oppressione
spagnola iniziata nel 1579.
Dopo tale data l'Olanda conosce una progressiva evoluzione dell'organizzazione
statale e sociale, caratterizzata dall'ascesa della Borghesia che si impone
andando a conquistare il predominio sull'economia dello stato e ad occupare
le più alte cariche amministrative. Tale svolta è comprensibile
se si prendono in considerazione diversi fattori che per le loro peculiarità
rendono possibile la formazione di un modello economico-politico che trasforma
i Paesi Bassi in una delle regioni più solide e prospere nell'Europa
del XVII secolo.
Lo sviluppo del ceto mercantile e borghese che potenzia notevolmente
la struttura economica prima fondata sull'allevamento e la pesca, è
da mettere in stretta relazione con la nascita ed il consolidamento dello
stato nazionale olandese che, da una parte, garantendo un apparato politico
solido e stabile, fornisce sicurezze ed incoraggia l'investimento di capitali
in opere produttive e quindi lo sviluppo di un'economia dinamica; dall'altra
richiede un numero massiccio di funzionari ed impiegati per l'amministrazione
della cosa pubblica e per il corretto funzionamento della burocrazia statale.
Altro fattore di primaria importanza è, come già anticipato,
lo sviluppo e la diffusione del Calvinismo, innanzitutto per il fatto che
il propagarsi di tale dottrina avviene dal basso, senza l'appoggio di principi
e sovrani, facendosi strada tra la popolazione per la sua semplice struttura
organizzativa; in secondo luogo per la sua rigorosa ed essenziale etica
fondata su quello che Max Weber ha definito lo "spirito del Capitalismo".
La teoria della predestinazione doppia, punto fondamentale della riformata
chiesa calvinista, porta infatti con sè conseguenze importanti,
in quanto, se pensiamo che il successo e l'affermazione personale siano
sintomo ed indizio di una futura salvezza, risultano di facile comprensione
gli effetti di forte spinta all'attivismo e allo spirito imprenditoriale,
che sono basilari premesse per la nascita di un forte ceto mercantile.
L'affermazione del Calvinismo porta infine con sè un'ultima
conseguenza di non secondaria importanza che libera l'arte e le sue espressioni
dalle remore dottrinali cattoliche e che deriva direttamente dalla posizione
assunta nei confronti delle immagini sacre, considerate inutili e addirittura
dannose ai fini del culto. Quest'atteggiamento di netto rifiuto spinge
infatti l'arte olandese verso nuovi indirizzi, sia per quanto riguarda
tematiche e forme, sia nei confronti della committenza, che si identifica
ora nella ricca borghesia. (vedi Pittura Fiamminga)
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Pittura fiamminga nel XVII secolo
L'economia del '600 (sintesi di un testo di C. M. Cipolla)
ANGLICANESIMO: dottrina e amministrazione ecclesiale che formano il
fondamento e la struttura della Chiesa anglicana. Centro della Chiesa è
la Bibbia, di cui si sottolineano i significati devozionale ed etico. Anche
la liturgia è impostata sulla Bibbia. Base dell’Anglicanesimo, soprattutto
nella Bassa Chiesa (di tendenza protestante), sono i 39 articoli tuttora
caratterizzanti l’Anglicanesimo. Nell’Alta Chiesa invece, di tendenza cattolicizzante,
ha molto peso il Prayer Book.
La liturgia assume un valore dottrinale, in cui il senso "cattolico"
della Chiesa ha peso rilevante. Ci si preoccupa infatti di rifarsi alla
più antica Chiesa cristiana, così che "la linea protestante
viene inglobata all’interno di un sistema cattolico". Le dogmatizzazioni
cattoliche, però, dell’infallibilità papale (Concilio Vaticano
I°) e dell’Assunzione corporea di Maria in cielo (1950) non sono state
accolte dall’Anglicanesimo, anche per le loro implicazioni antiecumeniche.
La chiesa anglicana ha avuto la sua matrice nello scisma provocato
dalla richiesta che il Re di Inghilterra Enrico VIII (1491-1547) aveva
fatto al Papa perché fosse annullato il suo matrimonio con Caterina
d’Aragona. Non avendo avuto la concessione, Enrico decise di far pronunciare
l’annullamento da un'autorità inglese. In verità già
da tempo in Inghilterra vi era uno stato d’animo antiromano al quale si
accompagnavano particolari forme di pietà religiosa individuale.
Un secolo e mezzo prima dello scisma, Wycliffe si era opposto tenacemente
a Roma per difendere le decisioni prese dal Parlamento inglese contro il
censo feudale dovuto al Papa.-
Nel 1532 Enrico VIII stilò l’Atto di Supremazia, che proclamava
il re "capo supremo in terra della Chieda di Inghilterra". Sua preoccupazione
però fu quella di non trasformare lo scisma in eresia (il che avvenne
in seguito con Edoardo VI).
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Lo sviluppo del Calvinismo e la tesi di Max Weber
Dogmatica protestante e cattolica
ARISTOTELISMO:Con questo termine si usa indicare sia l’insieme delle
dottrine di Aristotele, sia le correnti filosofiche che si riallacciano
alla sua opera. Gli studiosi distinguono un aristotelismo antico, uno medievale,
uno rinascimentale e moderno e uno contemporaneo.
- L’aristotelismo antico ha il suo centro di diffusione nella scuola
fondata da Aristotele (Liceo o Peripato) e si caratterizza sia per l’impegno
nella sistemazione delle opere del maestro, sia per lo sviluppo dato agli
studi naturalistici e scientifici.
- Durante il Medioevo fiorisce l’aristotelismo arabo, importanti contributi
sono dati da Avicenno e da Averroé. La scolastica si basa sulla
filosofia aristotelica.
- Tra il XII e il XIII secolo le opere di Aristotele tornano a circolare
in Occidente. L’aristotelismo, dopo una prima opposizione della Chiesa,
inizia a farsi strada anche fra gli autori cristiani.
Filosofi come R. Bacone, S. Tommaso, e Guglielmo di Ockham propongono
un aristotelismo "depurato" dagli elementi neoplatonici, operando una conciliazione
fra Aristotele e il Cristianesimo.
- Nel Rinascimento l’aristotelismo predomina nelle università
europee, possiamo segnalare autori come Pomponazzi, che interpretano in
chiave materialistica e deterministica Averroè, Afrodisia e Alessandro.
Con l’avvento della nuova filosofia della natura di Telesio, Bruno,
Galilei, Newton, ecc., L’aristotelismo cessa di essere l’elemento fondamentale
della ricerca scientifica e naturalistica.
- Nella filosofia contemporanea ritroviamo l’aristotelismo nella Neoscolastica
cattolica.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Telesio
Condizioni sociali e rivoluzione scientifica
La natura tra filosofia, letteratura e arte
Giordano Bruno
Galileo Galilei
Evoluzione del rapporto fede-ragione
ASTROLOGIA: scienza che si occupa dello studio degli astri e dell’influsso
che essi avrebbero sull’uomo e sulle attività umane. Secondo questa
esisterebbe un preciso rapporto tra il passaggio di un astro in una determinata
parte del cielo, detta circolo zodiacale, e fatti specifici riguardanti
l’uomo e il mondo.
Nasce inizialmente tra i Babilonesi, che ritenevano i corpi celesti
degli dei o loro manifestazioni, e si sviluppa poi in India, Egitto e in
Grecia. Qui raggiunge un notevole sviluppo, venendo a contatto con le nuove
concezioni filosofiche e le scoperte astronomiche di Ipparco, fino ad arrivare
alla determinazione di una vera e propria dottrina astrologica con il "Tetrabiblon"
di Tolomeo. Durante il Medioevo grandi pensatori, sia arabi sia occidentali,
tra i quali ad esempio Ruggero Bacone, si occupano di tale scienza, in
particolare dell’astrologia giudiziaria, ossia quella riguardante la previsioni
sul futuro, concludendo che è sempre possibile evitare effetti negativi
prendendo adeguati provvedimenti. In questo aspetto l’astrologia trova
una dura opposizione della Chiesa, sia Cattolica che Riformata, durante
il Rinascimento, in quanto la riteneva motivo di sconvolgimento dei concetti
di libertà e responsabilità umana e di una conseguente forma
di paganesimo. Di contro molti importanti scienziati di questo periodo
si applicano agli studi astrologici, tra cui Keplero e Brahe.
L’astrologia contemporanea è diversa da quella antica e medioevale
in quanto si basa sulle attuali conoscenze di astronomia e di fisica per
trovare un collegamento tra gli astri ed il comportamento umano.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Condizioni sociali e rivoluzione scientifica
Giordano Bruno
Storia dell'alchimia
ASTRONOMIA:" Studio di tipo scientifico delle leggi necessarie e universali
che governano il moto dei corpi celesti. Nasce come costola dell’astrologia,
nel contesto cioè di una visione religiosa e magica del rapporto
tra cielo (sede degli dei) e Terra (sede delle vicende umane), ma tende,
a partire dagli studi di Galilei, Cartesio, Newton, ecc., a separarsene.
E’ proprio l’idea seicentesca della scienza come ricerca che mette a capo
unicamente a leggi assolutamente necessarie, certe e inderogabili, a puri
rapporti esprimibili matematicamente, che conduce alla demarcazione tra
astrologia e astronomia."
Dal Dizionario di filosofia e scienze umane, Emilio Morselli.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Galileo Galilei
ATOMISMO: "E’ la dottrina filosofica e scientifica, che, negando la
divisibilità all’infinito della materia, postula l’esistenza di
elementi minimi irriducibili, indivisibili (a-tomos = privo di parti) alla
base di ogni realtà corporea. L’atomismo filosofico ha i suoi fondatori
in Leucippo e Democrito (V-VI sec. a. C.); nell’antichità si richiamano
all’atomismo Epicuro (341-270 a. C.) e Lucrezio (98-54 a. C.). Avversato
da bPlatone Aristotele, condannato in epoca medioevale come sinonimo di
rozzo materialismo e ateismo, l’atomismo (soprattutto nella versione epicurea)
rifiorisce tra il 1500 e il 1600 con Bruno, Galilei e Gassendi. Tesi fondamentale
dell’atomismo è che gli elementi minimi non posseggano altre qualità
al di fuori di quelle quantitative e misurabili: peso, forma, posizione
e grandezza; le differenze qualitative che si riscontrano nei fenomeni
sono solo sensazioni soggettive e devono essere ricondotte a differenze
quantitative." Il concetto di atomo ha avuto una evoluzione veloce e abbastanza
definitiva alla fine del XIX secolo e nei primi anni del XX, con Thomson,
Rutherford e Bohr
Dal Dizionario di filosofia e scienze umane, Emilio Morselli.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Giordano Bruno
Leibniz
Storia dell'alchimia
Galileo Galilei
Condizioni sociali e rivoluzione scientifica
L'atomismo democriteo in relazione alla rivoluzione scientifica
CENSURA ECCLESIASTICA: principale strumento di censura e repressione
fu il Tribunale del Sant’ Uffizio, istituito da Paolo III nel 1542 su sollecitazione
del cardinale G. P. Carafa. Il Tribunale dell’Inquisizione anticlericale
fu il segno di una ripresa e di un rafforzamento dell’ attività
dell’Inquisizione che seguiva due filoni principali: la lotta contro l’eresia
e la difesa dell’ortodossia nei confronti delle dottrine protestanti e
la lotta contro la stregoneria e il satanismo.
In Spagna l’Inquisizione ebbe una storia particolare per la presenza
di arabi (moriscos) ed ebrei; infatti Ferdinando Il Cattolico ottenne,
nel 1478, da Sisto IV la licenza di scegliere inquisitori di propria fiducia
assumendo così il controllo sul tribunale.
Affidato al domenicano Tommaso da Torquemada, esso operò con
estremo rigore, diventando un instrumentum regni per l’autorità
regia. A Roma la riforma toccò anche questo settore rivedendo l’inquisizione
medioevale, che nel 1588, diventò Congregazione del Sant’Uffizio.
La procedura era divisa in due tempi: una serie di predicazioni e riunioni
per avere la conversione dei colpevoli e, per i reticenti, venne istituito
un processo. Normalmente l’accusato era a piede libero e, se condannato,
venivano comminate pene spirituali (scomunica o interdetto) e, se si trattava
di religiosi o vescovi, la relegazione in un monastero. In caso di particolare
ostinazione, il condannato veniva affidato al " braccio secolare" con la
conseguente pena di morte sul rogo considerata l’ultima possibile e paradossale
forma di purificazione.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Torquato Tasso
Una sintesi de "La chimera" di Sebastiano Vassalli
Lo sviluppo del Calvinismo e la tesi di Max Weber
CONTRORIFORMA E RIFORMA CATTOLICA "La riforma Cattolica ", scrive H.
Jedin, "è la riflessione su di sé attuata dalla Chiesa in
ordine all’ideale di vita cattolica raggiungibile mediante un rinnovamento
interno; la Controriforma è l’autoaffermazione della Chiesa nella
lotta contro il Protestantesimo ".
A maggior chiarimento: l’esigenza di una riforma, cioè di concepire
in modo nuovo l’esperienza religiosa, è testimoniata già
in età umanistica, trovando molteplici espressioni dalla devotio
moderna ad Erasmo e all’orientamento conciliarista, che ritiene fondamentale,
per il rinnovamento, la limitazione della potenza papale con l’istituzionalizzazione
dei concili ecumenici.
Con il termine "Riforma Cattolica", quindi si fa riferimento a questo
complesso di esigenze. La Controriforma invece è costituita dal
Concilio di Trento (1542-1563) e dall’opera di riorganizzazione e autoaffermazione
che la Chiesa compie in attuazione delle direttive elaborate dal Concilio
tridentino. La Chiesa progetta quasi una "riconquista" di quella parte
dell’Europa che è ormai in mano agli eretici. Il Concilio sancisce
un accentuato ampliamento del potere papale e un centralismo direzionale,
che non lasciava spazio a posizioni ed iniziative che non fossero rigidamente
"allineate"; come ad esempio il controllo che i "visitatori apostolici"
inviati da Roma esercitavano sull’operato dei vescovi o al ruolo puramente
esecutivo assegnato ai docenti dei collegi gesuitici.
La Controriforma faceva coincidere l’esperienza religiosa con l’ossequio
e l’obbedienza all’istituzione religiosa, nella quale nell’età post-tridentina
si accentuava l’accentramento monarchico. Strettamente collegato a questo
centralismo è "l’arroccamento ideologico", la difesa dell’ortodossia
perseguita dalla chiesa con "l’ Indice dei Libri Proibiti", con il tribunale
dell’ Inquisizione, con la collisione frequente con l’ autorità
statale. Il Concilio di Trento, pur tenendo conto di quell’ insieme di
fermenti e di istanze che avevano animato la Riforma Cattolica, stabilisce
via i limiti dell’ ortodossia e la impone rigorosamente; procede ad una
ridefinizione delle questioni ideologiche suscitate dai protestanti, fissa
le linee del rinnovamento istituzionale della Chiesa e del suo intervento
nella società. Alla rigorosa difesa dell’ ortodossia è collegato
il problema dei rapporti tra intellettuali e potere(ecclesiastico); molti
erano i casi di repressione, con condanna e roghi, contro gli eretici (si
pensi a Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Galileo Galilei), ma oltre
a ciò si osservano anche fenomeni di fuoriuscitismo, con l’esilio
di importanti personaggi e fenomeni di nicodenismo, cioè la sofisticata
pratica di conformismo e di arroccamento nella propria interiorità
imposta dalla durezza dei tempi.
La ridefinizione teologica si fonda sul problema della salvazione affrontata
da Lutero e Calvino. Il Concilio, infatti, respinge la convinzione che
il peccato sia riscattato dalla fede e che solo per mezzo di quest’ultima
si possa raggiungere la salvezza, decretando una dottrina della giustificazione
in senso attivo. Derivano proprio da questa riformulazione del problema
della salvezza le modalità e le finalità dell’intervento
della Chiesa nella società in modo più operativo. Essa si
dedica alla formazione e educazione del clero, opera per un’evangelizzazione
del Nuovo Mondo, ed infine, per modellare la società secondo la
prospettiva di religiosità ortodossa, si adopera per un controllo
della attività intellettuale ed artistica. Infatti, nell’"Indice
dei Libri Proibiti", che include Macchiavelli e Boccaccio, si accompagnano
editti e trattati sulle arti figurative e teatrali, che vengono legittimate
solo se inducono a cristiana devozione.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
La musica nel Rinascimento
L'arte nel periodo della Riforma e della Controriforma
Arte e catechesi nella concezione cattolica
Michelangelo Buonarroti
Pittori locali nell'ambito della Controriforma
Dogmatica protestante e cattolica
Il Concilio di Trento e il più complessivo processo della Riforma
Cattolica
Torquato Tasso
DOTTRINA DELLA PREDESTINAZIONE Il termine indica, nella teologia cattolica,
il decreto col quale Dio ha previsto e voluto gli avvenimenti che hanno
luogo nel tempo. Al problema della predestinazione si sono dedicati alcuni
importanti filosofi del medioevo quali S.Agostino, S.Anselmo d'Aosta, Lutero,
Calvino e altri. Agostino nega il principio secondo cui l'uomo è
libero e si emancipa da Dio mediante il libero arbitrio ed afferma che
l'umanità avrebbe potuto essere lasciata tutta nel castigo eterno,
conseguenza del peccato liberamente commesso, senza che si potesse accusare
Dio di ingiustizia per questo, ma la sua bontà misericordiosa, mentre
concede a tutti la possibilità di salvarsi, collaborando liberamente
alla redenzione, vuole salvare alcuni ai quali, perciò, dona i mezzi
per cui saranno sicuramente liberati. Perché alcuni e non altri
è un mistero, ma dobbiamo avere la massima certezza che in Dio non
c'è ingiustizia.
Secondo Anselmo, il fondamento di ogni speculazione è la fede,
per cui l'uomo è libero, sia di fronte al peccato, sia nei confronti
della predestinazione e della prescienza divina.
Il problema della predestinazione fu risolto da Lutero mediante una
dottrina fondata sulla negazione del libero arbitrio, ma che venne condannata
da Papa Leone X.
Secondo Calvino, che porta ai suoi sviluppi logici estremi la dottrina
di Lutero e afferma pessimisticamente l'incapacità assoluta dell'uomo
a sollevarsi dal peccato, così da contrapporre l'idea di Dio misericordioso
a quella dell'uomo corrotto e malvagio, Dio agisce secondo una volontà
insondabile, ma esclusiva, onnipotente, incontrastabile: egli predestina
l'uomo alla salvezza o alla dannazione, così che per l'uomo la libertà
è inesistente e incompatibile.
La dottrina cattolica della predestinazione venne definitivamente fissata
nel Concilio di Trento con il Decretum de Justificatione (Gennaio 1547).
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Erasmo da Rotterdam
La riflessione teologica di Lutero
Lo sviluppo del Calvinismo e la tesi di Max Weber
EMPIRISMO Con il termine Empirismo, dal greco empeirìa, si designano
in senso lato le posizioni filosofiche che, nell’ambito della teoria della
conoscenza, fanno costante riferimento all’esperienza, considerando le
impressioni dei sensi come il fondamento e la fonte prima, essenziale del
sapere.
Anche se convenzionalmente si comincia a parlare di vera e propria
concezione empiristica della conoscenza dal XVII secolo in avanti con l’elaborazione
del modello filosofico di J. Locke, possiamo individuare alcune filosofie
dell’antichità che si avvicinano, almeno per particolari istanze,
all’empirismo; in particolare ci riferiamo alla Scuola Epicurea, che pone
come punto di partenza dell’esplorazione filosofica l’esperienza sensibile,
a quella Stoica e, soprattutto alla corrente Scettica che ha in comune
con l’Empirismo il rifiuto di ogni dogmatismo, l’utilizzo critico del dubbio
e la negazione dell’esistenza di verità assolute.
Procedendo nello sviluppo del pensiero filosofico giungiamo al XIV
secolo, allorché Guglielmo di Ockham, decretando con la definizione
di una nuova teoria conoscitiva, la fine della Scolastica, propone un modello
filosofico che trova il suo fondamento in un Empirismo radicale. Ockham
infatti, è convinto che tutto ciò che oltrepassa i limiti
dell’esperienza non può essere conosciuto né dimostrato dall’uomo;
egli inoltre assume nei confronti della disputa sugli universali una posizione
radicalmente nominalista interpretandoli come segni in luogo delle cose
o di classi di quelle stesse.
In Ockham però, l’appello all’esperienza non assume il significato
metodologico di procedimento di prova, che l’Empirismo deriva invece direttamente
dalla Rivoluzione Scientifica, e in particolare da pensatori quali Francesco
Bacone che riconosce la stretta connessione tra la scienza e la potenza
umana e tenta l’elaborazione di un metodo sperimentale, ed Hobbes, vicino
all’Empirismo in quanto considera scienza e ragione efficaci solo se rivolte
ad oggetti generabili, appartenenti cioè alla realtà materiale
e corporea.
L’Empirismo considerato come indirizzo opposto al Realismo, raggiunge
un punto di incontro persino con la filosofia Cartesiana dalla quale desume
concetti e terminologia.
Un così articolato processo storico porta allo sviluppo del
cosiddetto Empirismo Inglese che trova il suo fondatore in Locke e vede
la sua fioritura a cavallo fra Seicento e Settecento inscrivendosi come
una delle componenti di fondo nella formazione della cultura Illuministica.
In concreto le tesi principali dell’Empirismo possono essere così
sintetizzate:
Non esistono certezze ultime e verità assolute; il sapere umano
non ha mai carattere definitivo ma è per sua natura perfettibile;
la validità di un assunto è data dal fatto che é stato
verificato mediante il riferimento alla sfera sensibile.
Non è possibile conoscere la realtà ultima o sostanza
delle cose e del mondo, perché la conoscenza umana è limitata
agli aspetti fenomenici degli eventi. Il richiamo costante all’esperienza
dunque, fa sì che l’Empirismo tenda ad assumere un atteggiamento
limitativo o critico nei confronti delle capacità conoscitive dell’uomo
e a seguire un indirizzo anti-metafisico escludendo qualsiasi problema
riguardante realtà non accessibili agli strumenti mentali di cui
l’uomo dispone.
Esistono solo entità individuali; ai concetti universali o generali
non corrispondono oggetti reali; oltre alle sostanze singole non esistono
che puri nomi (Nominalismo).
Da un punto di vista politico l’Empirismo valorizza l’individuo e la
libertà personale; l’anti-innatismo e l’attitudine sperimentale
e critica verso le cose e i fatti umani inducono a sostenere posizioni
favorevoli alla libertà di pensiero e alla tolleranza. Esiste quindi
un’affinità indiscutibile tra Empirismo e Illuminismo.
Questi punti fondamentali si pongono alla base dello sviluppo del pensiero
moderno subendo revisioni ed interpretazioni da parte di pensatori come
Berkeley e Hume
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
La "Crisi della coscienza Europea": il primo Settecento, età
del Rinnovamento
Evoluzione del rapporto fede-ragione
ILLUMINISMO: Movimento culturale sviluppatosi nel XVIII secolo che,
basandosi su esatte conoscenze scientifiche e tecniche, si adoperò
per superare qualsiasi forma di pregiudizio e di superstizione . Notevoli
furono le influenze di correnti precedenti come quelle liberali inglesi
(Locke), o scientifiche (Galileo e Keplero), o politico-giuridiche (Grozio
e il "diritto internazionale").
Strumento primo dell’Illuminismo è la ragione, di cui gli illuministi
fanno uno specifico uso: ritengono infatti che gli uomini siano sempre
stati in possesso dell’intelletto, ma che fino a questo momento non ne
abbiano fatto il giusto utilizzo, trovandosi sempre in una posizione di
inferiorità. Da qui il bisogno di indagare liberamente e pubblicamente
ogni campo dello scibile, lottando duramente contro tutte quelle forze
in grado di ostacolare la conoscenza umana: l’autorità, la religione,
la tradizione.
In quest’ottica il filosofo illuminista non è più il
semplice pensatore che elabora teorie astratte, ma diviene l’intellettuale
che si adopera per un miglioramento della vita dell’uomo che, risorgendo
dalle tenebre dell’ignoranza, può raggiungere la felicità.
Il sapere acquisisce quindi un compito civile e per questa sua specifica
funzionalità gli illuministi sono portati ad una più ampia
divulgazione delle opere illuministiche e alla ricerca di un diverso rapporto
tra scrittori e pubblico in modo da ricevere una larga cerchia di lettori.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
La "Crisi della coscienza Europea": il primo Settecento, età
del Rinnovamento
Galileo Galilei
INDULGENZA: Nella concezione cattolica l'indulgenza è un segno
concreto che rimanda ad una realtà più profonda. E' segno
della misericordia di Dio che è meritata dall'uomo attraverso un’opera,
cui è applicata l'indulgenza stessa. L'uomo necessita della misericordia
di Dio perchè peccatore. Attraverso il sacramento della riconciliazione
la Chiesa ha il potere di rimettere i peccati in forza, potere che le è
stato conferito da Dio per mezzo del sacrificio di Cristo. Resta la pena
che il peccato, comunque commesso, il perdono è legato ad una penitenza
che oggi è una preghiera e la "promessa solenne" di non ricadere
nel peccato, ma nel medioevo e in epoca moderna erano anche penitenze dure
e pesanti: obbligo di pellegrinaggi penitenziali, digiuno stretto, pene
corporali, isolamento volontario, corrispondente ad una sorta di imprigionamento
penitenziale. Nel corso dei secoli e anche sotto la spinta del mantenimento
di una corte pontificia dispendiosa e di una capitale da rinnovare, ila
prassi delle indulgenze scivola e si corrompe; diventa un vero mercato:
scambio di indulgenza contro denaro; Lutero si scandalizza dicendo "Dannata
e peccaminosa dottrina umana predica invece colui che viene a dire: appena
la moneta tintinna nella cassetta l'anima salta in cielo (tesi 27). Questo
fu uno dei principali punti d'avvio per l'inizio della Riforma.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
La riflessione teologica di Lutero
I movimenti ereticali nel medioevo
Dogmatica protestante e cattolica
Una sintesi de "La chimera" di Sebastiano Vassalli
Il Concilio di Trento e il più complessivo processo della Riforma
Cattolica
INFINITO, CONCEZIONE ASTRONOMICA L'universo degli antichi e in particolare
quello aristotelico-tolemaico, era unico perché pensato come il
solo universo esistente e chiuso poiché immaginato come una sfera
limitata dal cielo delle stele fisse, oltre il quale non c' era nulla.
La prima scossa decisiva a tale sistema, che vedendo la terra al centro
dell'universo era detto geocentrico, fu data da Niccolò Copernico.
Quest'ultimo ideò un nuovo sistema che vedeva al centro dell'
universo il sole. L'eliocentrismo copernicano, faceva però ancora
parte del mondo del passato. Difatti, pur ampliando i confini del cosmo
non li abbatteva, considerandolo ancora limitato dall' "ultima sphaera
mundi", ossia dall'ultima e suprema sfera del mondo.
Di conseguenza, sebbene Copernico dica in un passo di lasciare "alle
discussioni dei filosofi" il problema dell'infinità del cosmo, di
fatto il suo universo è ancora finito. La prima affermazione del
contrario è invece dovuta a Cusano, anche se il suo universo, più
che infinito si può dire indeterminato.
Il primo a forzare le teorie di Cusano e ad asserire l'infinità
del cosmo fu Giordano Bruno. Egli, partendo da Lucrezio e passando per
Cusano, arriva ad asserire, in modo speculati e deduttivo che le infinite
stelle del firmamento potrebbero essere infiniti soli con infiniti pianeti
che gli ruotano attorno.
In conclusine, con Copernico, Cusano e Bruno, si vengono a determinare,
a diversi livelli, le tesi cosmografiche rivoluzionarie dell'età
moderna. Il lavoro dei tre infatti portò ad un abbattimento delle
mura esterne dell'universo, all'ammissione della pluralità dei mondi,
alla convinzione di identità di struttura tra cielo e terra e, per
ultimo, all'ammissione dell'infinità del cosmo.
L'accoglienza delle tesi bruniane fu negativa, molti grandi astronomi
e fisici, come Brahe, Keplero e Galileo, respinsero lidea della pluralità
dei mondi e dell'infinità dell'universo.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Giordano Bruno
Filosofia e matematica
L'atomismo democriteo in relazione alla rivoluzione scientifica
Galileo Galilei
LEGGI DI KEPLERO: La teoria geocentrica fu superata da quella eliocentrica
elaborata da Copernico, la quale ebbe la sua definitiva affermazione con
Keplero, che nel 1609 dimostrò che le orbite dei pianeti intorno
al sole sono ellissi e non circonferenze. In tal modo fu possibile interpretare
le proprietà del moto dei pianeti senza l’introduzione degli epicicli
di Copernico. I risultati ai quali Keplero giunse sono compendiati nelle
sue famose tre leggi:
1° LEGGE: i pianeti descrivono intorno al sole orbite ellittiche
di cui il sole occupa uno dei fuochi. Il punto di minima distanza dal sole
è il perielio, quello di massima distanza è l’afelio.
2°LEGGE: le aree descritte dal raggio vettore tracciato dal sole
intorno ai pianeti sono proporzionali ai tempi impiegati a descriverle.
Più in generale la seconda legge afferma che l’area descritta dal
raggio vettore di ogni pianeta nell’unità di tempo D t cioè
la cosiddetta velocità areale, è costante durante il moto
dei pianeti.
3° LEGGE: i quadrati dei tempi impiegati dai pianeti a descrivere
le proprie orbite sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle
ellissi. Per esempio, se e sono i semiassi maggiori delle ellissi descritte
da due pianeti, i cui periodi di rivoluzione sono rispettivamente e si
ha :
= .Ne segue che il periodo di rivoluzione aumenta con la distanza dei
pianeti dal sole.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
John Donne
LIMITE MATEMATICO: In matematica vi sono principalmente quattro casi
di limite:
Limite finito per una funzione in un punto: .
Tale operazione significa che: scelto un e >0 e arbitrariamente piccolo
esiste in corrispondenza di tale e un intorno di c tale che per x appartenente
a tale intorno, il punto c al più escluso, vale la relazione .
Limite infinito per una funzione in un punto: .
Tale operazione significa che: scelto un M>0 e arbitrariamente grande
esiste in corrispondenza di tale M un intorno di c tale che per x appartenente
a tale intorno, il punto c escluso, vale la relazione .
Limite finito per una funzione all’infinito: .
Tale operazione significa che: scelto un e >0 e arbitrariamente piccolo
esiste in corrispondenza di tale e un numero k, tale che per x in valore
assoluto maggiore di k, vale la relazione .
Limite infinito per una funzione all’infinito: .
Tale operazione significa che: scelto un M>0 e arbitrariamente grande
esiste in corrispondenza di tale M un numero k, tale che per x in valore
assoluto maggiore di k, vale la relazione .
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Cartesio e Newton
Analisi infinitesimale: Newton e Leibniz
MASSA E PESO: Massa e peso sono due concetti profondamente diversi,
infatti la massa è una grandezza scalare mentre il peso, in quanto
forza, è una grandezza vettoriale. Tutti i corpi in prossimità
della superficie terrestre, o di altri pianeti e satelliti che esercitino
una forza gravitazionale, hanno un peso, inteso come forza che li accelera
verso il basso. Ogni corpo ha anche una certa massa, che essendo una proprietà
intrinseca del corpo, a contrario del peso, non varia con la posizione
del corpo sulla Terra. Se un corpo si trovasse nello spazio non avrebbe
più peso, ma manterrebbe la sua massa. Per il secondo principio
della dinamica il peso nella Terra è espresso dalla seguente relazione
(con g=9,8m/), e quindi il peso è direttamente proporzionale alla
massa.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
La "Crisi della coscienza Europea": il primo Settecento, età
del Rinnovamento
Cartesio e Newton
Galileo Galilei
MATEMATICA: si può genericamente intendere come scienza dei
numeri. Il termine matematica significò dall'Antichità fino
a tutto il Medioevo la scienza dei numeri, delle grandezze e delle figure
geometriche. Veniva perciò classificata in aritmetica, geometria
piana e solida, teoria della grandezze e dei loro rapporti; a questa classificazione
corrispondono le quattro arti liberali del Quadrivio (aritmetica, musica,
geometria, astronomia) che durante il Medioevo costituirono il complesso
delle discipline scientifiche, contrapposte alle discipline letterarie
del Trivio (grammatica, retorica, logica). Ma in seguito al grande sviluppo
della matematica, non è più adeguato ed appropriato definirla
scienza dei numeri. L'unica definizione accettabile è quella che
cerchi di coglierne lo sviluppo storico e di giustificarne la profonde
trasformazioni nel corso dei secoli. La matematica si può sostanzialmente
distinguere in algebra, analisi, aritmetica e geometria. Adesso la potremmo
individuare in quel gruppo di discipline correlate, comprendente anche
l'algebra, la geometria, la trigonometria e il calcolo infinitesimale,
che studianp i numeri, le quantità, le forme, lo spazio e le loro
correlazioni, applicazioni, generalizzazioni e astrazioni.
Pagine collegate:
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Piero della Francesca e la Matematica
Filosofia e matematica
Cartesio e le regole del metodo
Galileo Galilei
Analisi infinitesimale: Newton e Leibniz
MELODRAMMA: Durante il periodo della Magnificenza dei Medici, che inizia
con l’avvento al trono di Cosimo I nel 1537 e prosegue poi con il regno
dei figli Francesco I e Ferdinando I, entrambi appassionati d’arte, ma
soprattutto durante il regno di quest’ultimo fioriscono iniziative artistiche
e culturali, sia nell’ambito della corte che nei cenacoli delle varie case
patrizie. In particolare si ha una svolta nel campo musicale, si istituiscono
varie accademie, di cui una delle più vivaci e importanti fu la
Camerata dei Bardi, che nel 1580 si riuniva nella casa del conte Giovanni
Bardi di Vernio. Essa poi nel 1592, quando il fondatore si trasferì
a Roma, divenne Camerata Fiorentina.
I più famosi esponenti di questa furono Vincenzo Galilei (1520
- 1591), padre del più famoso Galileo, e Ottavio Rinuccini (1564
- 1621). Durante queste riunioni si discutevano i problemi della musica
del tempo e quale potesse essere stato l’aspetto musicale dell’antica tragedia
greca, dalla quale vengono tratti esempi di canto monodico capace di esprimere
i concetti dell’animo con la linea musicale e delle parole, e si maturava
il desiderio di spogliarsi di quelli che erano i "legacci" della musica
polifonica contemporanea che nel groviglio contrappuntistico delle parti
vocali non consentiva di riconoscere esattamente né il suono, né
il senso delle parole, per giungere invece ad una forma di monofonia ovvero
il cosiddetto "recitar cantando".
Nasce così iol nuovo organismo del dramma per musica, per cui
più tardi si userà il termine di melodramma o di opera in
musica.
Il primo vero melodramma fu la Dafne del poeta Ottavio Rinuccini, musicata
da Jacopo Peri, rappresentata nel 1594 in casa di Jacopo Corsi il quale
era succeduto al Bardi nella veste di mecenate del gruppo. Tale opera ebbe
varie esecuzioni e riprese nel corso di quegli anni, con diverse interpretazioni
e varianti, per cui la stesura definitiva si ebbe nel carnevale del 1598
ed infatti è proprio a questa data che si fa riferimento per la
nascita del melodramma. Esso ebbe molta fortuna nella tradizione musicale
italiana e si può dire che ancora permanga nelle forme della musica
operistica.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
La musica nel Rinascimento
MERCANTILISMO: "dottrine e prassi di politica economica, elaborate
e sperimentate negli Stati europei fra i secoli XVI e XVII, che si fondano
su una serie di principi economici quali la dipendenza, rivelatasi poi
illusoria, della ricchezza di uno Stato dalla quantità di metallo
prezioso in suo possesso; la protezione e l’incremento dell’industria manifatturiera
in quanto elemento di trasformazione e di valorizzazione delle materie
prime di estrazione locale; l’attenzione rivolta alla bilancia commerciale
e orientata all’incremento delle esportazioni e alla limitazione, talora
drastica, delle importazioni: tale sistema costituisce il primo rilevante
esempio di studio empirico di fatti economici e (a livello politico) di
dirigismo economico dell’Europa moderna, nel senso del coordinamento dell’attività
economica e della subordinazione di essa ai fini politici dello stato."
Grande Dizionario della Lingua Italiana UTET 1978
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
L'economia del '600 (sintesi di un testo di C. M. Cipolla)
MISTICA: Quella che noi consideriamo è prevalentemente la Mistica
di Giovanni Eckhart, pensatore che subì notevoli influssi della
filosofia di Guglielmo di Ockham. Sostanzialmente la mistica è un’aspirazione
alla trascendenza, e dal punto di vista che stiamo considerando è
in un certo senso il completamento della ricerca razionale. Certo, le capacità
conoscitive dell’uomo sono molto limitate, ed è proprio per questa
ragione che l’uomo per completare la sua ricerca razionale deve "trascendere".
I quesiti che la Mistica "risolve" cercano di giustificare la connessione
fra l’uomo e Dio. In particolare Eckhart trova questa saldatura dal fatto
che la fede sarebbe impossibile se l’uomo non trovasse in se stesso un
diretto rapporto con Dio. Nella fede ciò che è di basilare
importanza è la distinzione fra il contenuto, cioè il dogma
e l’atto del credere cioè la convinzione intima. Quest’ultima ha
certamente più valore della prima perché è proprio
essa stessa che porta alla visione del divino. La Mistica non basa la sua
importanza storica e filosofica al di fuori di un ben preciso contesto
che è quello della scolastica, anzi la fine della scolastica. Precedentemente
si è visto quanta importanza abbia avuto il rapporto fra fede e
ragione, e quali implicazioni teologiche e filosofiche esso abbia avuto;
tuttavia adesso questo rapporto "perde" quasi di significato, la Mistica
infatti è proprio una nuova prospettiva ideologica che trova appunto
la connessione fra Dio e l’uomo. La peculiarità della Mistica è
il fatto di mettere in risalto il fatto che questa connessione è
"necessaria" ai fini dell’esistenza stessa della fede.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Lo sviluppo del Calvinismo e la tesi di Max Weber
MODELLO TOLEMAICO: Fin dall’antichità si riteneva che la terra
fosse al centro dell’universo e che le stelle ruotassero intorno ad essa
. La teoria più completa di tipo geocentrico, con la terra cioè
al centro dell’universo, fu quella di Tolomeo, astronomo della scuola Alessandrina,
vissuto intorno al 150 D.C. Egli elaborò una teoria secondo la quale
il moto dei pianeti si svolge su una circonferenza detta epiciclo, il cui
centro ruota intorno alla terra su una seconda circonferenza di raggio
più grande, detta deferente. Negli intervalli di tempo in cui il
pianeta si muove sull’epiciclo nello stesso verso del centro dell’epiciclo
sul deferente, sembra che il pianeta si muova più velocemente. Quando
invece il pianeta sull’epiciclo si muove in verso opposto al moto del centro
dell’epiciclo sul deferente, sembra che il pianeta si muova più
lentamente e torni indietro.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Condizioni sociali e rivoluzione scientifica
John Donne
Galileo Galilei
NEOPLATONISMO NELL'UMANESIMO La riscoperta del platonismo (neoplatonismo)
è uno dei fenomeni più rilevanti dell’umanesimo.
Esso trova le premesse nell’opera del Petrarca che, tramite lo studio
di Agostino, indicava nel pensiero di Platone la filosofia più affine
al cristianesimo. Tale corrente influenzò la cultura nel suo complesso,
l’arte figurativa, la musica e la letteratura. Il platonismo umanistico
fu anzitutto filologico: l’Europa, tramite la collaborazione dei maestri
bizantini, cominciò a rileggere Platone nella ricchezza della sua
opera complessiva.
Fondamentali a questo fine furono poi le traduzioni e il commento dell’intero
corpus platonico realizzati da Marsilio Ficino. Proprio esaminando questo
autore si possono capire a pieno i caratteri del neoplatonismo rinascimentale,
che deve considerarsi il punto culminante di una vicenda che ha attraversato
l’antichità e il Medioevo per offrire i suoi ultimi frutti all’età
moderna. È molto significativo ricordare che Ficino non si limitò
a tradurre i dialoghi di Platone, ma anche le opere di Plotino e di molti
altri esponenti della tradizione neoplatonica. Secondo Ficino il verbo
(rivelazione) si è dapprima manifestato presso i persiani, gli Egizi,
gli Ebrei e poi presso i greci ha inspirato il divino Platone e da lui
si è trasferito al cristianesimo e ad Agostino.
Cosicché Marsilio inizia a credere, come molti intellettuali
dell’epoca, che platonismo e cristianesimo sono due facce di una stessa
vicenda spirituale, che ha come scopo la lotta al Materialismo e all’ateismo.
Strumento ideale di questo cammino è l’eros; l’amore platonico.
Tramite esso l’uomo comunica con la forza amorosa che circola nell’universo,
così da identificarsi nell’amore di Dio.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Michelangelo Buonarroti
NOTTE DI SAN BARTOLOMEO: La notte tra il 23 e il 24 agosto 1572, furono
massacrati da duemila a tremila ugonotti a Parigi e da dodicimila a ventimila
nella provincia.
La regina madre Caterina de’ Medici, temendo che l’influenza del capo
ugonotto Gaspard de Coligny inducesse il re Carlo IX ad appoggiare i ribelli
dei Paesi Bassi mettendosi contro il suo indirizzo filospagnolo, eccitò
il fanatismo dei cattolici all’orribile eccidio, per impegnare così
la monarchia.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
La musica nel Rinascimento
Lo sviluppo del Calvinismo e la tesi di Max Weber
RAPPORTO FEDE RAGIONE IN OCKHAM: Gulielmo di Ockham è considerato
l’ultima grande figura della scolastica e allo stesso tempo la prima figura
dell’età moderna. Infatti, il problema sul quale la Scolastica era
sorta, l’accordo tra ragione e fede, viene, da Ockham, per la prima volta
dichiarato impossibile.
Le basi di questa affermazione vanno ricercate nel radicale empirismo
di Gulielmo. Difatti, poiché l’unica conoscenza possibile è
l’esperienza e l’unica realtà conoscibile è la natura, che
ci è rivelata dall’esperienza, ogni altra realtà che trascenda
quest’ultima non è umanamente conoscibile. Molto importante ai fini
del discorso è un passo tratto dalla Logica (opera di Ockham), il
quale afferma che "gli articoli di fede non sono principi di dimostrazione
né conclusioni e non sono neppure probabili giacché appaiono
falsi a tutti o ai più o ai sapienti, intendendo per sapienti quelli
che si affidano alla ragione naturale". In conclusione afferma Ockham che
le verità di fede non possono essere evidenti di per se stesse e
non sono dimostrabili per mezzo della ragione naturale.
Anche le prove dell’esistenza di Dio, in quest’ottica, non hanno valore
dimostrativo: viene respinta la prova ontologica e quelle a posteriori
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Evoluzione del rapporto fede-ragione
RIFORMA PROTESTANTE: Con il termine Riforma si intende il vasto movimento
iniziato da Martin Lutero nel 1517, che partendo dalla contestazione della
vendita delle indulgenze e della corruzione della chiesa provocò
la rottura dell'unità del cristianesimo occidentale determinando
in tal modo il venir meno di uno fra i più importanti fondamenti
dell'identità della coscienza dell'Europa medievale.
Punto essenziale della contestazione alla dogmatica cattolica da parte
delle chiese riformate è l'affermazione della dottrina della predestinazione
con cui, interpretando S.Agostino, si sostiene che Dio ha predestinato
gli uomini fin dalla nascita. Questa premessa implica la negazione della
dottrina del libero arbitrio, cioè della possibilità per
l'uomo di scegliere, e la negazione della dottrina delle opere, per la
quale gli uomini facendo le "opere buone" possono acquisire meriti di fronte
a Dio.
In conseguenza di ciò i riformati negavano il ruolo della chiesa
quale intermediaria tra l'uomo e Dio con la funzione di rimettere i peccati
e affermavano la dottrina del "sacerdozio universale": tutti gli uomini
sono in rapporto diretto con il loro creatore del quale devono conoscere
e interpretare la parola contenuta nelle Sacre Scritture; i sacramenti
venivano ridotti al Battesimo e all'Eucarestia.
La diffusione delle dottrine protestanti trovarono fertile terreno
nel momento storico della prima età moderna per il concorso di motivazioni
sociali, politiche, economiche e culturali. Il concetto stesso di libera
interpretazione delle Scritture, unitamente a motivazioni di ordine politico
e sociale, determinò il rapido frazionamento delle chiese riformate.
Fra le principali ricordiamo: la chiesa luterana, la calvinista e l'anglicana,
ma moltissime sono le correnti e sotto correnti tutte accomunate dalla
contestazione della chiesa cattolica.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
L'arte nel periodo della Riforma e della Controriforma
La musica nel Rinascimento
Arte e catechesi nella concezione cattolica
Strumentalismo e realismo (sintesi di un saggio di Popper)
Umanesimo e lettura dei testi sacri
Michelangelo Buonarroti
I movimenti ereticali nel medioevo
Dogmatica protestante e cattolica
Il Concilio di Trento e il più complessivo processo della Riforma
Cattolica
Leonardo: un genio universale
Lo sviluppo del Calvinismo e la tesi di Max Weber
La repubblica fiorentina di Girolamo Savonarola
RIVOLUZIONE COPERNICANA: In contrapposizione alla teoria tolemaica,
l’astronomo Niccolò Copernico, riprendendo una teoria di Aristarco
(III sec. a.C.), fu il divulgatore della teoria eliocentrica, in base alla
quale il Sole è immobile al centro dell’universo, mentre la Terra
e i pianeti ruotano su orbite circolari intorno ad esso. La teoria eliocentrica
spiega i moti retrogradi con il fatto che i pianeti vengono osservati dalla
Terra in movimento. Anche Copernico, come Tolomeo, fu costretto ad introdurre
gli epicicli per interpretare i fatti sperimentali osservati. Nella sua
più famosa opera, De revolutionibus orbium coelestium, vi è
un segno evidente del timore che si aveva in quell’epoca di contraddire
la Sacra Scrittura urtando la Ciesa che riteneva la Terra al centro dell’universo.
Indubbiamente la teoria di Copernico provocò una crisi profonda,
non solo nel campo teologico, ma anche nel mondo della scienza. Infatti
la teoria geocentrica era molto più vicina all’opinione comune in
base alla quale, osservando il cielo, siamo portati istintivamente a ritenere
il Sole e le altre stelle in rotazione intorno alla Terra. Tuttavia l’applicazione
della teoria eliocentrica semplifica i calcoli delle orbite celesti. La
disputa tra i sostenitori delle due teorie divenne sempre più accesa,
soprattutto quando l’intervento di Galileo a sostegno della teoria eliocentrica,
mirato a convincere gli esponenti della Chiesa cattolica, sortì
l’effetto opposto. Infatti ben presto le opere a favore dell’eliocentrismo
furono considerate eretiche e condannate dalla Chiesa.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Filosofia e matematica
RIVOLUZIONE SCIENTIFICA "... Nella Storia della Filosofia e in quella
della scienza, il termine R.S. viene impiegato, ..., per indicare il grande
mutamento nei quadri del pensiero, nelle teorie scientifiche, nelle pratiche
della tecnologia e del controllo della natura, che ebbe luogo fra l'età
di Niccolò Copernico e quella di Isaac Newton (fra la metà
del Cinquecento e i primi anni del Settecento. ... Nell'età della
R.S. si ebbe la sensazione di una grande svolta, di un vero e proprio mutamento
nei quadri del pensiero. Nel corso della rivoluzione astronomica vennero
infatti abbandonati una serie di presupposti e di credenze che erano stati
operanti per due millenni: per esempio, il presupposto della immobilità
della Terra e della sua centralità nell'universo, la distinzione
fra una fisica celeste (nella quale domina il moto perfettamente circolare)
e una fisica valida solo nel mondo sublunare e sulla terra; la credenza
nella finitezza dell'universo chiuso entro l'ultimo cielo delle stelle
fisse; la convinzione che per spiegare il perdurare dello stato di quiete
di un corpo non ci sia bisogno di addurre alcuna causa, mentre al contrario
ogni movimento viene spiegato da un motore che lo produce e lo conserva
durante il movimento.
da "Dizionario di Filosofia" a cura di Paolo Rossi
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Filosofia e matematica
Storia dell'alchimia
Leonardo: un genio universale
Michelangelo Buonarroti
SACCO DI ROMA: nel 1526 truppe imperiali formate dai cosiddetti lanzichenecchi
e da mercenari italiani e spagnoli sono in Italia per far fronte alla Lega
di Cognac, costituita da Francia, Papato e Repubblica di Venezia dopo l’inserimento
del Milanese nel territorio dell’Impero. Qui, i soldati imperiali rimasti
senza paga, decidono di saccheggiare atrocemente Roma (maggio 1527), all’insaputa
dell’imperatore Carlo V.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
L'arte nel periodo della Riforma e della Controriforma
Pittori locali nell'ambito della Controriforma
SCOLASTICA: Movimento filosofico nato nelle scholae sorte presso cattedrali
e monasteri a partire dal sec. XI e in cui gli insegnanti, detti scholastici,
eleboravano e insegnavano le loro dottrine. Scolastica è perciò
il nome generico con cui s'indicano diverse dottrine filosofiche e teologiche
che, sviluppatesi tra il secolo XI e il XIV, hanno in comune alcuni caratteri
fondamentali. Anzitutto il metodo impiegato è quello del sillogismo
deduttivo di derivazione aristotelica, anche se molte delle opere di Aristotele
si conobbero solo a partire dal sec.XIII attraverso la mediazione dei filosofi
arabi. I sistemi prodotti dalla scolastica non tendono tanto a fornire
strumenti per un' indagine critica, quanto piuttosto a rendere intellegibile
il patrimonio della rivelazione cristiana. I contenuti perciò, dal
platonismo presente nelle opere di S.Agostino e di Boezio. Essi sono le
autorictates e la scolastica è innanzitutto un commento ai loro
scritti , per la comprensione della verità già data. In questo
ambito assumono significato le dispute scolastiche sull' autonomia delle
singole scienze di fronte alla teologia e sui rapporti tra fede e ragione.
Alcuni di essi tra cui Boezio di Dacia sostengono l'autonomia della ragione,
altri tendeno a subordinarla alla fede. Altro punto di controversia è
la disputa sugli universali,che è servita, in base alle soluzioni
date, per distinguere i vari periodi della scolastica: la prescolastica(sec.
XI-XII), l'epoca classica (sec. XIII) in cui emergono le figure di Tommaso
d' Aquino e Duns Scoto e la decadenza (sec. XIV) con G.Ockham.La scolastica
è il più grande sforzo speculativo della Chiesa: per questo
non è mai morta, ma si è ripresentata come seconda scolastica.
Questa va dal secolo .XV, il momento della sua rinascita dopo la decadenza,
al sec.XVII, in coincidenza con la Riforma cattolica e con il Concilio
di Trento. La ripresa della problematica teologica e filosofica della scolastica
visse soprattutto in tre indirizzi sorti dalle rovine del periodo precedente:
l'occamismo, lo scotismo e il tomismo, nel segno di una vigorosa ripresa
del vigore speculativo proprio di queste correnti.Questa ripresa fu ulteriormente
favorita dal Concilio di Trento; e sopprattutto in Spagna emersero personalità
che non si limitarono a ripetere il pensiero precedente, ma strinsero fecondi
contatti con la nuova filosofia e con le scienze naturali.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Umanesimo e lettura dei testi sacri
Condizioni sociali e rivoluzione scientifica
Evoluzione del rapporto fede-ragione
La natura tra filosofia, letteratura e arte
Erasmo da Rotterdam
Giordano Bruno
Leibniz
UMANESIMO D'OLTRALPE: Tra la fine del 1400 e l'inizio del 1500 il problema
religioso e l'impegno riformatore costituirono il momento centrale del
pensiero e dell'attività dei maggiori umanisti d'oltralpe. Essi
usando le armi della filologia scientifica e del metodo critico che l'umanesimo
italiano aveva elaborato per studiare i testi sacri, al fine di rendere
possibile un incontro più diretto con il pensiero cristiano, avviarono
una nuova riflessione su decisive questioni della teologia cristiana. In
questo modo l'umanesimo dell'Europa nord-occidentale, in particolare in
Germania, Francia, Inghilterra e nelle Fiandre, riuscì a mantenere
un più stretto legame con il travaglio spirituale della società.
L'opera di Erasmo da Rotterdam, che è la figura più rappresentativa
della corrente, si svolse soprattutto nello studio dei testi sacri e del
pensiero cristiano. Egli, animato dal desiderio di rinnovamento della chiesa,
introdusse nel campo teologico il metodo della filologia umanistica, realizzando
opere critiche come il "Manuale del cavaliere cristiano", "Querela pacis",
"Elogio della follia", dove il formalismo, l'ipocrisia, e la corruzione
della chiesa venivano aspramente denunciate. Insieme a lui e animati con
lo stesso spirito operavano altri umanisti come John Colet, Tommaso Moro,
Hulrich Zwingli e Juan Luis Vives. L'umanesimo cristiano con la sua critica
delle forme della religiosità medievale, ebbe larghissimi consensi,
eppure anche questo movimento di idee fallì nel tentativo di riformare
la chiesa. Alcuni umanisti come Erasmo, accettarono la sconfitta, rimanendo
nell'ortodossia cattolica, altri, come lo Zwingli, giunsero a posizioni
più radicali e alla rottura con la chiesa. Tuttavia l'umanesimo
cristiano contribuì con la sua critica a preparare e spianare il
terreno alla riforma protestante. Ebbe anche forte influenza nella parte
più aperta dei prelati che operarono in seno alla Riforma Cattolica,
come i cardinali Pole e Morone. Tuttavia quest'orientamento più
conciliante nei confronti dei riformati venne sconfitto con l'affermarsi
delle posizioni più intransigenti come quella del cardinale Carafa
poi Paolo IV.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
Umanesimo e lettura dei testi sacri
VALDESI: Con questo termine si indica uno dei principali movimenti religiosi
medievali, successivamente confluito nella Riforma protestante. Ne fu fondatore
il mercante Valdo, che nel decennio 1170-80 scelse la povertà evangelica,
costituendo il primo nucleo del movimento, detto dei "poveri di Lione".
Sino dagli inizi, il movimento si scontrò con l'opposizione della
Chiesa: al rifiuto del programma dei v. da parte del III Concilio Lateranense
(1179) seguì la scomunica del Concilio di Verona (1184). Emarginati
dall'istituzione ecclesiastica, i v. conobbero tuttavia una progressiva
larghissima diffusione tra il sec. XIII e il XIV in Lombardia, in Linguadoca
e in Provenza (fine sec. XII): elementi di predicazione v. vennero recepiti
da ambienti già legati all'eterodossia, dando luogo a un movimento
religioso caratterizzato da una tendenza anti-istituzionale particolarmente
radicale e da una notevole capacità di espansione missionaria, che
portò i v., attraverso la Svizzera, l'Austria e la Germania, sino
nell'Ungheria e nella Boemia (dove considerevole fu poi l'apporto v. alla
rivoluzione hussita del sec. XV). Altre aree di diffusione v. furono le
vallate alpine del Piemonte occid., del Delfinato e, nell'Italia merid.,
la Calabria e le Puglie. La strategia dell'autorità ecclesiastica
non escluse tentativi, parzialmente riusciti, d'istituzionalizzazione monastica
dei v. (i poveri cattolici in Francia nel 1208, i poveri riconciliati in
Lombardia nel 1210), tesa a neutralizzarne la carica contestativa, ma rimase
essenzialmente repressiva. I motivi fondamentali del valdismo medievale
risiedevano in una prassi che univa la predicazione itinerante del Vangelo
al popolo con la povertà di vita. Di qui derivò la divisione
tra ministri itineranti (distinti poi secondo i tre ordini dell'episcopato,
del presbiteriato e del diaconato) e semplici fedeli, nonché la
costituzione di strumenti di collegamento (rettori, capitoli annuali).
La predicazione dei v., sostenuta da un'estesa attività di volgarizzazione
della Scrittura, si arricchì di motivi esplicitamente antitradizionali
(negazione del purgatorio e delle messe per i defunti, della validità
dei sacramenti amministrati da sacerdoti indegni; riduzione del numero
stesso dei sacramenti al battesimo, all'eucarestia e alla penitenza; rifiuto
della gerarchia ecclesiastica e dei tradizionali ruoli di culto). Verso
l'ordinamento civile (nonché ecclesiastico) del tempo i v. erano
apertamente contestatori rifiutando il giuramento e la violenza. Nel sec.
XV i v. di Boemia si unirono con gli hussiti e confluirono nella Unitas
Fratrum, quelli di lingua neolatina aderirono nel sec. XVI alla Riforma
protestante, adottando le Ordonnances ecclesiastiche ginevrine. Dalla metà
del sec. XVI in poi, la storia dei v. è un alternarsi di persecuzioni
e di effimere tregue, ottenute grazie alla resistenza armata e alla coesione
sociale dei v. delle valli come alla solidità della loro nuova organizzazione
calvinista. Nel 1551 i v. delle valli ottennero da Emanuele Filiberto di
Savoia il riconoscimento di una relativa libertà di culto. Nel secolo
successivo, la persecuzione antivaldese ebbe i suoi momenti culminanti
nel 1655, allorché furono compiute le stragi note come le Pasque
piemontesi, e nel 1683-85 quando i v. vennero espulsi dalle valli e costretti
a un esilio che li portò nella Svizzera e nella Germania merid.:
ritornarono nel 1689 e furono reintegrati nei loro territori. Furono loro
riconosciute la libertà di culto e la pienezza dei diritti civili
durante l'età napoleonica. Poterono così dedicarsi a un'attività
di evangelizzazione, che ne estese la presenza nel corso della seconda
metà del sec. XIX in numerose città e centri minori della
penisola italiana. Attualmente la Chiesa v. è presente in Italia
con circa un centinaio di comunità (il nucleo più numeroso
di v. permane nelle valli del Pinerolese) e attiva attraverso iniziative
di carattere culturale (p. es. la facoltà v. di teologia in Roma,
la libreria editrice Claudiana di Torino, la stampa periodica) e sociale
(scuole, ospedali, centri per minori o anziani): la sua struttura organizzativa
è di tipo presbiteriale-sinodale. È stata inoltre attuata
l'integrazione tra la Chiesa v. e la Chiesa evangelica metodista d'Italia.
Centri di cospicua presenza v. fuori dell'Italia sono in Francia e in Svizzera
(Losanna, Ginevra, Basilea, Zurigo), negli Stati Uniti d'America (chiesa
di New York; chiese di Valdese, città dello Stato della Carolina)
e soprattutto in Uruguay e in Argentina, dove una ventina di comunità
direttamente legate alla Chiesa italiana raccolgono diverse migliaia di
persone.
Di questo tema si tratta anche nelle pagine:
I movimenti ereticali nel medioevo
L'EVOLUZIONE STORICA E CULTURALE DELL'ALCHIMIA
Questo lavoro si articola in cinque punti:
Alchimia Greco-Alessandrina
Alchimia Arabo-Islamica
Alchimia Rinascimentale
Rapporti fra l'Alchimia e la Chimica
Glossario dei termini Alchemici (ripreso da http://www.esonet.org/Gruppo/glossalc.html)
ALCHIMIA GRECO-ALESSANDRINA
L’arco di tempo durante il quale si sviluppò maggiormente l’alchimia
Greco-Alessandrina è quello compreso fra la morte di Alessandro
Magno (323 d.C.) e la chiusura dell’accademia di Atene (529 d.C.). Particolarmente
significativa in questo periodo è la città di Alessandria
d’Egitto, specialmente la sua biblioteca, che rappresentava al tempo una
delle più importanti luoghi, in cui confluivano le maggiori conoscenze
nel campo scientifico.
Gli elementi caratterizzanti l’attività chimica di tale epoca, sono fondamentalmente due: la manipolazione della materia e la realizzazione di varie forme di artigianato. I primi alchimisti alessandrini sono artigiani a tutti gli effetti e hanno anche risultati di notevole livello tecnico, ma ciò che più ci interessa è il fatto che si dedichino a quattro antichissime tecniche: la lavorazione dei metalli (oro e argento), la preparazione di pietre preziose sintetiche e perle, la tintura delle stoffe in porpora.
Sono proprio queste attività che saranno sempre considerate il più nobile cuore dell’alchimia. Infatti nell’alchimia, fin da questi tempi, si associarono varie idee filosofiche relative alla concezione della materia e del mondo, e si pongono come la base dell’elaborazione del linguaggio, infatti la filosofia della natura dell’universo alchemico (anche se con una serie di modificazioni e adattamenti) sarà valida fino alla fine del ‘500. I concetti essenziali sono quelli legati all’unità primordiale ed alla molteplicità sopraggiunta, l’imperfezione e il ‘necessario’ miglioramento, la sacralità della natura e l’intervento compiuto su di essa.
Sono principalmente quattro le componenti essenziali del pensiero alchemico: pitagorismo, platonismo, stoicismo e gnosticismo ermetico. Il mondo viene concepito come un insieme armonico ed è regolato da una fitta rete di corrispondenze. Tutto ciò ci introduce il concetto filosofico dell’unità dei contrari. Non è infatti un caso che l’atomismo di Democrito (ST), con la sua casualità, non abbia molto séguito nell’alchimia: a questo universo dominato dall’idea dell’Uno e della sacralità della natura, si adattano meglio i quattro elementi di Empedocle, di Aristotele e della filosofia stoica. C’è una provvidenza che domina il mondo, ed un principio ordinatore lo conduce al suo fine. C’è una naturale tendenza della natura imperfetta a raggiungere uno stato di perfezione, anzi di perfezionamento: tutte le trasformazioni "vanno" dal meno perfetto al più perfetto.
ALCHIMIA ARABO-ISLAMICA
L’entrata dell’alchimia nella cultura arabo-islamica, porta con sé
una grande diffusione delle informazioni così che anche gli studi
scientifici possano viaggiare molto rapidamente. Alcune tecniche sono riconosciute,
altre diventano oggetto di studio. E’ universalmente noto l’alto livello
raggiunto dai musulmani nelle estrazioni delle essenze profumate e naturali,
nella fabbricazione di acciai (le famose lame di Toledo), nella preparazione
di smalti bianchi e colorati, nella fabbricazione di vetri e di gemme sintetiche,
che a poco prezzo consentivano di abbellire in modo sontuoso uomini e cose
senza venire meno alla semplicità di fondo prescritta dal Corano.
Chimica dei materiali da costruzione, chimica della lavorazione di cuoi e pellami, raffinazione dello zucchero di canna, e tinture delle stoffe completano, ma sicuramente non esauriscono il quadro oceanico dell’industria chimica dei musulmani. E’ un periodo di grande innovazione tecnica in cui si cercano di migliorare le apparecchiature. L’alchimia si "matematizza" sempre di più poiché i rapporti quantitativi tra reagenti e prodotti sono stabiliti sulla base dell’esperienza e la stessa esperienza viene ripetuta infinite volte.
Il mondo eterno degli alessandrini, ordinato da un Demiurgo diviene il mondo creato dal nulla di un pensiero monoteistico, ma le antiche convinzioni presenti nell’alchimia alessandrina continuano ad affiorare a grandi passi nel lavoro dell’alchimista musulmano, a tratti anche originale.
Le sostanze sono generalmente ordinate secondo un grado di nobiltà, o minore tendenza all’alterazione, o minore resistenza al fuoco o all’umidità. Sono divise in categorie le sostanze che bruciano e quelle che sublimano, quelle che fondono senza decomposizione, e talvolta questo modo di classificare porta a collocazioni apparentemente strane. Ma va sottolineata anche la differenza di tutti i corpi dagli influssi dei pianeti, cioè la profonda corrispondenza tra i diversi appartenenti ai tre regni della natura. Inoltre, accanto alle componenti di cui si è parlato fin ora, nell’alchimia Arabo-Islamica c’è anche una componente misteriosa o oscura.
In un clima di grande oscurità, reso ancora più oscuro da una serie di incomprensioni, generatesi nel passaggio tra lingua e cultura, molti testi sono fatti risalire ad epoche errate. Molti studiosi alessandrini, prendendo spunto dai testi Greci, producono opere di tipo allegorico, in cui riprendono in mano il problema del misterioso procedimento e paradossalmente è proprio questo nucleo che provocherà il discredito dell’alchimia Arabo-Islamica.
L'ALCHIMIA DEL MEDIOEVO LATINO E DEL RINASCIMENTO
La data in cui si stabilisce convenzionalmente l'ingresso dell'alchimia
nel medioevo è il 1144, data in cui compare in Europa la traduzione
latina del Morienus curata da Roberto di Chester. Ci furono precedentemente
anche altre opere, ma esse sono relegate al ruolo di fenomeno locale, catalizzato
dalla massiccia presenza degli Arabi in Spagna.
Verso la meta del XII secolo, nel bel mezzo di quel periodo che giustamente è stato chiamato "la Rinascita del XII secolo", alcuni atteggiamenti vengono a cambiare. Nel 1141 una prima traduzione del Corano fu commissionata dall’abate Pietro di Cluny, per combattere l’Islam, ma anche per conoscere "dal vivo" gli elementi da combattere. Poiché già da qualche tempo tra gli intellettuali d’Occidente c’è molto fervore fra curiosità, iniziative, piccoli o grandi viaggi di studio compiuti nei paesi degli infedeli. Dai viaggi di studio alle traduzioni il passo è breve anche perchè nelle mani degli Arabi ci sono Aristotele, Platone, Tolomeo, Euclide, i loro commentatori, autori nuovi e sconosciuti, e tutta la scienza e la filosofia dell'antichità.
Parallelamente anche la distinzione fra arti liberali e arti servili viene meno. In questo "cantiere culturale" l'uomo si afferma come un artigiano che trasforma e crea, e viene quindi riscoperto il concetto di homo faber, cooperatore della creazione con Dio e con la natura. La nuova disciplina alchemica è accolta con entusiasmo e interesse, anche se dai problemi di traduzione derivano problematiche di vario tipo. A partire dalla fine del XII secolo alle traduzioni dall’arabo si affiancano, come già era successo all’epoca delle prime traduzioni dal greco in arabo, opere composte in latino dai nuovi e numerosi adepti, e tra queste, firmate o anonime, una serie di corpora attribuiti ai più grandi nomi della cultura: Alberto Magno (1193?-1280), Tommaso d’Aquino (1225-1274), Ruggero Bacone (1219-1292), Arnaldo da Villanova (?-1313?), Raimondo Lullo (1235-1315-). L’alchimia è una scienza anche per i latini, una scienza nuova di cui non si tratta nei libri di Aristotele e che contiene molte informazioni che permettono di conoscere meglio la natura. Con le traduzioni e la produzione di nuovi lavori originali, si costituisce il vocabolario chimico latino.
A questo punto è lecito domandarsi il ruolo, anzi la posizione che la Chiesa assunse circa questi "eventi scientifici". Dopo un primo periodo di osservazione la Chiesa espresse il suo parere sull’alchimia, e lo fece con una serie di solenni condanne. La presa di posizione di Tommaso d'Aquino nella Summa Theologica, gli atti capitolari che tra il 1272 e il 1373 proibiscono lo studio e la pratica dell'alchimia ai francescani e ai domenicani, e infine la famosa decretale Spondet quas non exhibent di Papa Giovanni XXII (1245-1334) sono attacchi perentori che si rivolgono tutti alla questione della trasmutazione. Dal momento che è impossibile realizzare la trasmutazione dei metalli in oro (così si espresse ufficialmente la Chiesa) coloro che affermano di trasmutare e non ottengono alcun risultato sono truffatori, o se vi riescono (ipotesi assurda) allora hanno trasmutato per mezzo di opere di magia. Di fronte a questa dura posizione ecclesiastica viene spontaneo chiedersi se alle motivazioni ufficiali date dalla Chiesa per la disapprovazione dell'alchimia non si voglia inoltre rifiutare una disciplina vistosamente pagana all'origine e trasmessa dalle terre del "nemico" più vicino e temibile. I risultati della condanna non si fanno attendere ma, a differenza di quanto si potrebbe credere, non si concretizzano in un abbandono della disciplina.
In prossimità dell’Umanesimo (D) e del Rinascimento (D), si ha sempre più l'impressione che, sulla base di un messaggio recepito ancora una volta in modo incompleto, dopo il primo passaggio, quello dell'VIII secolo, dalla lingua greca alla lingua araba, si verifichi un progressivo distaccarsi dell'alchimia dalle sue radici arabe e prima ancora alessandrine. Questo è un distacco e un mutamento che si traduce sempre più nell’improprio utilizzo di nomi, nel mancato riconoscimento delle allegorie, nello scollamento dei testi dalle immagini e dei simboli dai loro significati originari.
Una fra le prime concezioni a dare segni di cedimento è l'idea della necessaria esistenza di un unico mondo tenuto insieme da una rete gerarchica di sequenze e corrispondenze, e della posizione medioevale dell’uomo "fisso" fra terra e cielo, primo fra gli animali e ultimo fra gli angeli. Per Nicola Cusano (1401-1464) ci sono valide ragioni per ritenere possibile l’eventuale esistenza di altri mondi più o meno perfetti di questo nostro mondo, e in ogni caso l’uomo, che abita questa terra, non ha alcun motivo per desiderare una natura diversa o più perfetta di quella in cui già vive.
Leonardo da Vinci (SB) (1452-1519) rigettando le antiche argomentazioni sulla trasmutazione, giudica l'alchimia esclusivamente sulla base dei prodotti che è in grado di fornire, e anzi egli stesso si applica al lavoro di laboratorio con la preparazione di composti e il perfezionamento di apparecchiature.
L'immagine più rappresentativa degli ultimi sviluppi dell'alchimia del Rinascimento è probabilmente da ricercare nell’opera del medico svizzero Philipp Theophrast Bombast von Hohenheim (1493-1541) che, forse per affermare la sua superiorità sull’antico medico latino Cornelio Celso (SB) (I secolo d.C.) assume l'enigmatico nome di Paracelso. Nell'universo di Paracelso, diviso secondo la millenaria tradizione in macrocosmo e microcosmo, è il microcosmo, cioè l’uomo, il centro intorno a cui ruota ogni altra considerazione. Tutto ciò che la natura, grande organismo vivente e divino produce deve essere giudicato più o meno perfetto a seconda dell’utilizzazione più o meno diretta che l’uomo può trarne: ad esempio, se la natura produce grano e l’uomo mangia pane, il pane deve essere considerato uno stato più perfetto cui partecipa il materiale grano. Poiché la natura non produce pane ma si ferma al grano è necessario perfezionare l’opera della natura e portare tutte le cose allo stato in cui possono essere utilizzate dall'uomo. A questo perfezionamento, in ogni campo dell’attività umana, deve essere dato il nome di alchimia e al suo artefice, che non è solo il chimico, ma anche, fornaio nel caso sopra citato, deve essere dato il nome di alchimista.
A partire dai primi anni del XVII secolo, con le opere di Cartesio (SB) (1596-1650), di P. Gassendi (1592-1655), di R. Boyle (1621-1691), per la prima volta Dio diviene Colui che contempla il mondo come un gigantesco orologio che ha caricato all'inizio dei tempi. Non c'è dubbio che l'orologio sia stato caricato da lui, ma il meccanismo procede secondo leggi che non hanno bisogno del suo intervento. Mentre metafisica (D) e fisica si allontanano, non appare più così eretico contemplare la possibilità dell’esistenza di infiniti mondi, di infiniti corpuscoli, che non possono essere né affermati a priori, né direttamente individuabili dai sensi, ma che possono essere rivelati a partire dall'osservazione, dall'analisi, dai mezzi di cui lo scienziato di volta in volta può disporre. Impegnati come sono nelle loro argomentazioni pro o contro Paracelso, gli alchimisti non sembrano accorgersi tempestivamente che la realtà sta cambiando, ed il loro mondo è ormai "morto".
Il passaggio alla chimica avverrà fra poco, ma non sarà né "indolore", né immediato a causa di correnti che rimarranno ancora per alcuni tempi nelle concezioni e metodologie dei chimico-alchemici.
I RAPPORTI FRA L'ALCHIMIA E LA CHIMICA
Nei punti sopra sviluppati si sono messe in evidenza le differenze
fra i vari periodi di sviluppo dell'Alchimia, e questo approfondimento
nasce dall'esigenza di cogliere in che modo l'Alchimia si possa rapportare
con la chimica.
Dire che la chimica è lo sviluppo in chiave scientifica dell'alchimia sarebbe riduttivo e forse errato. La chimica intesa come scienza della materia ha avuto uno sviluppo pieno di incongruenze, la sua struttura fu infatti basata su correnti culturali diverse, spesso addirittura operanti in modo indipendente. Hall definisce la chimica come prodotto della rivoluzione scientifica (ST), poiché essa non sorse né da una tradizione precisa e consolidata, né come diretta conseguenza dell'alchimia. Non bisogna però credere che ne sia totalmente separata: essa lasciò infatti una ricca eredità di esperienze e di strumenti, anche se si inserì in quadri concettuali diversi. Infatti le teorie e i processi alchemici sono per loro stessa natura patrimonio di pochi, mentre la ricerca chimica deve contribuire al processo generale della conoscenza della materia, e al generale miglioramento delle condizioni di vita.
A partire dal cinquecento le teorie chimiche emersero da diversi campi di ricerca (ricerche mediche, farmacologiche, mineralogiche, filosofiche, botaniche e alchemiche) così che si possa affermare che il chimico moderno ha come progenitori maghi, alchimisti, paracelsiani, peripatetici, iatrochimici ecc…
Paracelso (SB) è un personaggio di nodale importanza in questo contesto: nella filosofia del seicento è presente proprio una filosofia chimica di origine ermetica, che trovò la sua matrice teorica nelle opere di Paracelso e che costituirono la struttura teorica della filosofia chimica, una visione "chimica unitaria" del Cosmo ed infine la base per lo sviluppo delle indagini chimiche. La filosofia chimica è il risultato dell'opera di edizione, di commento e di esposizione dei primi paracelsiani. Per quanto riguarda l'opera di divulgazione è necessario citare Petrus Severinus, Oswald Croll ed in particolare Gerard Dorn, secondo il quale lo scopo della chimica era solo quello di individuare la "natura" caratteristica di una sostanza composta.
La Chimica nasce come scienza nel XVIII secolo, quando si inizia a seguire con misure quantitative il decorso dei fenomeni, in questo caso le reazioni chimiche, mediante misure di peso e volume. Non a caso la legge del principio di conservazione suona così: "la massa totale di tutti i prodotti di una reazione è uguale alla massa dei prodotti di partenza" (legge di Lavoisier), e non è che la versione chimica del più famoso "nulla si crea, nulla si distrugge". Questo non è che il primo pilastro della nuova scienza, infatti ben presto si capisce che gli atomi (ST) presenti prima e dopo una reazione chimica devono essere gli stessi e nello stesso numero. È questa la morte definitiva delle illusioni alchemiche. Tuttavia il metodo di postulare continuò ad essere utilizzato anche nella scienza.
Quando si parla di alchimia si sente spesso il termine flogisto. L'ammissione dell'esistenza di un flogisto consentì a Stahl di formulare una teoria completa della combustione. Il flogisto, proveniente dal carbone rientra nelle calci metalliche rigenerando le loro proprietà iniziali. Questo è un esempio di come, analogamente alla scienza moderna, si ammette l'esistenza di una entità "astratta" per spiegare alcuni fenomeni.
La chimica moderna ha poco a che fare con l'alchimia, perché le eventuali correlazioni l'hanno influenzata nella sua fase iniziale di sviluppo, cioè a dire che sono comuni solo le basi concettuali, ma queste due discipline differiscono soprattutto per il metodo. L'alchimia è fondamentalmente magia, la chimica è scienza ed utilizza il metodo sperimentale come l'alchimia, ma in modo diverso. La nascita vera e propria della chimica (anche se in verità è dell'ottocento) può essere collocata dopo la rivoluzione scientifica, ed è per questo che l'influenza dell'alchimia si è sentita soprattutto nella prima fase di sviluppo, quando ancora non si può neanche parlare di chimica moderna.
GLOSSARIO DEI PRINCIPALI TERMINI ALCHEMICI
Acqua: uno dei quattro Elementi degli Antichi. Non ha nulla in comune
con l'acqua volgare.
Affinaggio: operazione con la quale si separa da un metallo tutto ciò
che gli è estraneo. Si pratica particolarmente sull'oro e sull'argento.
Alberi: un albero che porta delle lune significa il Piccolo Magistero,
la Pietra al bianco. Se porta dei soli, è la Grande Opera, la Pietra
al rosso. Se porta i simboli dei sette metalli o i segni del sole, della
luna e 5 stelle, si tratta allora della materia unica da cui nascono i
metalli.
Albificazione: calcinazione al bianco o al rosso.
Alludel: apparecchio composto di vasi sovrapposti e comunicanti tra
loro per effettuare una sublimazione lenta.
Amalgamazione: unione intima di diversi elementi metallici, in un tutto
assai omogeneo e molto malleabile.
Angelo: simboleggia la sublimazione, ascensione di un principio volatile
come le figure del "Viatorium spagyricum". Animali: in genere, quando ci
si trova in presenza di due animali della stessa specie ma di sesso differente,
come leone e leonessa, cane e cagna, stanno a significare lo Zolfo ed il
Mercurio preparati in vista dell'opera, o ancora il fisso ed il volatile.
Il maschio rappresenta allora il fisso, lo Zolfo, e la femmina il volatile,
il Mercurio. Uniti, gli animali esprimono il congiungimento, le nozze,
il matrimonio. Se si combattono: fissazione del volatile o volatilizzazione
del fisso. Come nelle figure di Basilio Valentino, "Le Dodici Chiavi della
Filosofia". Gli animali possono simboleggiare inoltre gli Elementi: Terra
(leone o toro), Aria (aquila), Acqua (pesci, balena), Fuoco (dragone, salamandra).
Se un'animale terrestre figura in un'immagine ermetica con un animale aereo,
essi significano rispettivamente il fisso ed il volatile. Apollo: il sole,
l'oro.
Aquila: simbolo della volatilizzazione ed anche degli acidi impiegati
nell'Opera. Un'aquila che divora un leone, significa la volatilizzazione
del fisso per mezzo del volatile. Due aquile che si combattono hanno lo
stesso significato.
Argento dei Saggi: il Mercurio dei filosofi.
Aria: uno dei quattro Elementi degli Antichi. Non ha rapporto con quella
che respiriamo.
Athanor: forno a riverbero.
Bagno: simbolo della dissoluzione dell'oro e dell'argento, della purificazione
di questi due metalli.
Bagnomaria: apparecchio disposto in modo che il vaso contenente la
materia, sia immerso nell'acqua calda.
Bianco: Pietra al Bianco, pietra ancora imperfetta, di cui tutte le
possibilità trasmutatorie non sono ancora sviluppate od ottenute.
Calcinazione: riduzione dei corpi in calce; può essere secca
o umida.
Caldo: una delle quattro qualità elementari della Natura.
Camera: simbolo dell'Uovo Filosofico, quando il Re e la Regina vi sono
rinchiusi (Zolfo e Mercurio).
Cane: simbolo dello Zolfo, dell'Oro. Il cane divorato da un lupo, significa
la purificazione dell'Oro per l'antimonio. Cane e cagna associati significano
il fisso ed il volatile.
Caos: simbolo dell'Unità della Materia ed anche del colore nero,
"Primo stadio dell'Opera", della putrefazione.
Capitello: cavità di vetro munita di becco, che si adatta al
collo della cucurbita per poter distillare gli spiriti minerali. Capitello,
cappa, alambicco, sono pressappoco la stessa cosa.
Cementazione: operazione con la quale per mezzo di polveri minerali,
che si chiamano cemento, si purificano i metalli al punto che non vi resti
più che la purissima sostanza metallica.
Cigno: simbolo dell'Opera al Bianco, secondo stadio dopo la putrefazione
e l'iridescenza. Quest'ultima non figura nel ternario classico della Grande
Opera, nero, rosso, bianco.
Circolatorio: vedi Pellicano.
Circolazione: consiste nel far circolare i liquidi in un vaso chiuso
per effetto d'un calore lento.
Circonferenza: Unità della Materia, Armonica Universale.
Cucurbita: vaso a forma di zucca aperta in alto, che si copre con un
capitello per la distillazione dei vegetali o altre materie.
Coobazione: azione di rimettere lo spirito metallico distillato, sul
suo residuo.
Corona: simbolo della regalità chimica, della perfezione metallica.
Ne "la Margharita Preciosa" i sei metalli sono prima presentati come schiavi,
con la testa nuda ai piedi del Re, l'Oro. Ma poi, dopo la Trasmutazione
essi sono figurati con una corona in testa. Da cui, nell'Alchimia Spirituale,
la frase di L.C. de Saint Martin: "Ogni uomo è il suo proprio Re",
cioè ogni uomo porta in sé la possibilità del ritorno
alla sua regalità perduta, nel piano spirituale ed angelico.
Corvo: Uno dei primi stadi dell'Opera, la putrefazione.
Crisopea: La Pietra Filosofale, la Grande Opera realizzata.
Crogiolo: vaso di terra refrattaria svasato verso l'alto, destinato
alla fusione dei metalli o dei corpi duri.
Decrepitazione: azione di scaldare il sale comune in un crogiuolo per
scacciarne l'umidità.
Deflegmare: consiste nel separare l'acqua contenuta nei corpi (o flema),
per evaporazione o distillazione.
Diana: vedi luna.
Digestione: disaggregazione, involuzione e maturazione della materia,
ottenuta esponendo il vaso contenente al calore del bagnomaria, per un
tempo conveniente.
Distillazione: operazione durante la quale si separano le parti sottili
dei corpi solidi e liquidi, o ancora lo spirito della materia, che l'invischiano.
Dragone: un dragone che si morde la coda, l'Unità della Materia.
Un dragone nelle fiamme, il simbolo del Fuoco. Parecchi dragoni che si
combattono, la putrefazione. Dragone senza ali, il Fisso. Dragone alato,
il Volatile.
Ermafrodito: il risultato della congiunzione dello Zolfo con il Mercurio,
chiamato anche Rebis.
Falce: simbolo del Fuoco.
Fenice: simbolo del colore rosso dell'Opera. l'Uovo della Fenice è
l'uovo filosofico. La Fenice è anche lo Zolfo ed il Mercurio dei
Saggi, uniti e congiunti al termine ultimo dell'Opera.
Fiori: rappresentano i colori nel corso dell'Opera.
Fisso: Zolfo metallico o cane di Corascene.
Fontana: tre fontane rappresentano normalmente i tre Principi: Zolfo,
Mercurio e Sale. Ci sono ancora altri aspetti di questa parola.
Freddo: una delle quattro qualità elementari della Natura.
Fuoco di Ruota: prima fase della seconda Opera, fuoco dolce e lento.
Fuoco di Sabbia: interposizione di sabbia tra fuoco ed il vaso contenente
la materia da trattare.
Fuoco Segreto: spirito universale chiuso in seno alle tenebre metalliche,
scintilla di vita chiusa in tutto ciò che è allo stato naturale
primitivo.
Giove: simbolo dello stagno.
Leone: solo, simbolo del Fisso dello Zolfo. Alato, il Volatile, il
Mercurio. Il leone rappresenta anche il Minerale, Vetriolo Verde, da cui
si estrae l'olio di vetriolo (acido solforico). Il leone opposto a tre
altri animali, simbolizza la Terra. È anche il simbolo della Crisopea.
Leonessa: il Volatile, il Mercurio.
Liquazione: l'Uovo Filosofico.
Liquefazione: o deliquescenza, risoluzione naturale dei sali in acqua
per un'esposizione in luogo umido.
Luna: il Volatile, il Mercurio, l'Oro dei Saggi.
Lupo: il simbolo dell'antimonio.
Luto: strato fatto di materie, spesso ed untuoso, destinato ad otturare
le giunte che legano diversi vasi tra loro.
Marmorizzare: triturazione di materie sul marmo con l'aiuto di un pestello.
Si dice anche porfirizzare.
Marte: il ferro, la sfumatura arancione dell'Opera.
Matraccio: vaso di terra, rotondo, ovale o appiattito, munito di un
lungo collo. Vi si mette a cuocere a fuoco lento la materia preparata.
Matrimonio: unione dello Zolfo e del Mercurio, del Fisso e del Volatile.
Il prete che officia rappresenta il Sale, mezzo d'unione tra i due.
Mercurio: uno dei Principi occulti costitutivi della Materia. Non ha
nulla in comune con il corpo volgare di questo nome. È anche simbolo
dell'Argento preparato per l'Uovo finale.
Mestruo: acque minerali e vegetali di proprietà dissolventi.
Corrosivo.
Montagna: fornello dei Filosofi, sommità dell'Uovo Filosofico.
Mortificazione: alterazione della materia per triturazione o per addizione
d'un elemento attivo.
Nero: simbolizzato anche dal corvo, immagine della putrefazione.
Nettuno: l'acqua.
Nozze: vedi matrimonio.
Oro dei Saggi: Zolfo filosofico.
Palazzo: entrata nel Palazzo chiuso: scoperta dell'argento capace d'operare
la riduzione del Fisso, della "reincrudation" in una forma analoga a quella
della sua primitiva sostanza. Designa anche l'accesso all'Oro Vivo, Oro
dei Saggi o Oro filosofico, se si tratta dell'accesso al Palazzo chiuso
del Re. Designa al contrario l'Argento Vivo, l'Argento dei Saggi o Mercurio
filosofico, se si tratta dell'entrata nel Palazzo chiuso della Regina.
Pallone: vaso di vetro ampio e rotondo destinato a ricevere i prodotti
della distillazione.
Pellicano: cocurbita chiusa munita di due anse incavate, colleganti
la testa al ventre. Si chiama anche circolatorio in ragione della sua funzione.
Pioggia: simbolo del colore Bianco nell'Opera o albificazione. È
anche l'immagine della condensazione in corso di realizzazione.
Prete: sposando un uomo e una donna, un Re o una Regina, simbolizza
il Principio Sale.
Prima Materia: Materia Prima dell'Opera Ermetica.
Proiezione: azione di trasmettere un minerale in fusione all'attivo
di una polvere detergente e trasmutatoria.
Quadrato: simbolo dei quattro elementi.
Ragazzo: vestito con abito regale o semplicemente incoronato, simboleggia
la Pietra Filosofale, altre volte l'Opera al rosso.
Re e Regina: vedi uomo e donna.
Rebis: un risultato dell'amalgama dell'Oro dei Saggi, materia doppia,
ad un tempo umida e secca, avendo ricevuto dalla Natura e dall'Arte una
doppia proprietà occulta, esattamente equilibrata.
Recipiente: designa qui un pallone di vetro.
Residuo: ciò che resta in un vaso dopo la distillazione. Sinonimo
di feci, di terra morta, terra dannata, caput mortuus.
Rettificazione: ultima distillazione per ottenere uno spirito metallico
estremamente puro. Si ottiene al fuoco assai vivo.
Riverberazione: esaltazione dell'energia interna dello spirito metallico
per l'azione del fuoco violento sulla materia che contiene questo spirito.
Seccamento totale.
Rosa: designa il colore rosso, stadio ultimo dell'Opera. Una rosa bianca
ed una rosa rossa, unione del Fisso con il Volatile. La rosa è l'emblema
dell'Arte Ermetica tutta intera.
Rosso: stadio ultimo della Grande Opera, simbolizza il Fuoco.
Rubificazione: azione di distruggere lo Zolfo combustibile e d'ottenere
lo Zolfo incombustibile. Principio di Aurificazione in seno al minerale.
Rubino Magico: agente energetico d'una sottigliezza ignea, rivestito
del colore o delle molteplici proprietà del Fuoco. Anche chiamato
olio di Cristo, olio di Cristallo: è allora simbolizzato dalla Lucertola
Araldica o alla Salamandra che vive nel fuoco e se ne pasce.
Salamandra: simbolo del Fuoco, qualche volta significa il colore rosso
dell'ultimo stadio dell'Opera od anche il colore bianco che la precede.
Rubino Magico.
Sale: chiamato anche Arsenico, uno dei quattro principi misteriosi
che compongono i corpi. Non ha nulla in comune con il sale volgare. È
l'unione tra lo Zolfo ed il Mercurio nei metalli, ne deriva come d'altronde,
dall'azione reciproca dello spirito e dell'anima, o dell'anima e del doppio
psichico, si costituisce il corpo degli uomini. Il Sale può essere
paragonato al "totale" nell'addizione dei due fattori.
Saturno: designa il piombo; egualmente il colore nero dell'Opera allo
stadio di putrefazione, sinonimo di corvo. Il tempo delle prove sul piano
fisico.
Scheletro: putrefazione, il colore nero dell'Opera , sinonimo di corvo.
Secco. Una delle quattro qualità elementari della Natura.
Sepolcro: Uovo Filosofico.
Serpente: stessi significati del dragone. Tre serpenti designano i
tre Principi, Sale, Zolfo, Mercurio. Due serpenti sul Caduceo, Zolfo e
Mercurio dei Saggi, serpente alato il volatile, senza ali il Fisso. Serpente
crocifisso, designa la fissazione del Volatile.
Sfera: designa l'Unità della Materia.
Sole: talvolta indica l'oro ordinario preparato per l'Opera, talaltra
designa lo Zolfo dei Saggi.
Spada: simbolo del Fuoco.
Spartizione: operazione consistente nel separare l'argento dall'oro
per mezzo del salnitro. È un affinaggio.
Storta: vaso di vetro, rotondo con il becco rivolto verso il basso
che serve a distillare la materia nel corso dell'Opera.
Stratificazione: sovrapposizione, per piani alterni, di diverse materie
sottoposte ad un fuoco violento in un crogiolo chiuso. L'amalgama si opera
allora per fusione, ma la sovrapposizione non è lasciata al caso,
essa deve essere razionale e scientifica.
Sublimazione: violenta o lenta. Quella lenta è la migliore.
La materia è rinchiusa in un vaso a collo lungo, su fuoco lento,
in modo che le parti sottili (pure) si separino dalle parti grossolane
(impure), salendo dal fondo del vaso verso l'alto.
Terra: uno dei quattro Elementi degli Antichi. Non ha nulla a che vedere
con il suolo che calpestiamo.
Triangolo: simbolo di tre Principi misteriosi costitutivi dei metalli,
Sale, Zolfo e Mercurio.
Uccello: che s'innalza nel cielo, volatilizzazione, ascensione, sublimazione.
Che punta verso il suolo, precipitazione o condensazione. Le due immagini
riunite nella stessa figura, la distillazione. Uccelli opposti ad animali
terrestri, indicano l'Aria o il Volatile.
Umido: una delle quattro qualità elementari della Natura.
Uomo o Donna: Zolfo e Mercurio. Nudi designano l'oro e l'argento impuri.
Le loro Nozze, congiunzione dello Zolfo e del Mercurio. Chiusi in un sepolcro,
questi due principi uniti nell'Uovo filosofale.
Venere: designa il rame.
Volatilizzazione: azione di trasformare un solido in gas o in calore.
Separazione degli Elementi Volatili da quelli Fissi.
Vulcano: simbolo del fuoco ordinario.
Zolfo: uno dei Principi occulti, costitutivi della Materia. Non ha
nulla in comune con il corpo volgare di questo nome. È inoltre il
simbolo dell'Oro, preparato per l'Opera finale. La terminologia simbolica
appena trascorsa e quella che seguirà, "impiegano parole ed espressioni
che non hanno rapporti diretti con i loro equivalenti della lingua profana".
È auspicabile allora che il ricercatore apprenda prima della lettura
definitiva ad interpretare i reali significati del testo. È dunque
indispensabile definire ciò che si intende in certe parole essenziali,
che sono i nomi degli elementi costitutivi della Materia Prima e della
sua evoluzione verso lo stadio ultimo, l'Oro, simbolo della perfezione
nel seno della Vita Metallica.
ALCHIMIA SUL WEB:
Chi fosse interessato ad aspetti diversi dell'alchimia rispetto a quelli
qui trattati li può trovare ai seguenti indirizzi:
http://www.edscuola.com/archivio/alchimia.html
http://www.ips.it/musis/muchi_n0.html
http://www.pisa.intecs.it/community/alchimia.html
http://soalinux.comune.firenze.it/ilventaglio/alctaoi1.html
http://www.esonet.org/pg/alchimia.html
Relatori:
Filippo Antonelli, Elisa Celicchi, Francesca Conti, Marco Giubilei,
Luca Torre, Giacomo Umani.
L’ARTE NEL PERIODO DELLA RIFORMA E DELLA CONTRORIFORMA .
Il cinquecento è il secolo dei cambiamenti: nuove conquiste
geografiche, scoperte scientifiche, mutamenti civili e politici portano
al dissolvimento di una gerarchia di poteri derivanti da Dio e all’affermazione
di una dura lotta di forze in cerca di equilibrio. È anche il secolo
della riforma protestante (ST)che costringe la stessa chiesa a rivedere
le proprie strutture e la propria condotta facendo, diventare la religione
non solo rivelazione di verità eterne, bensì continua ricerca
di Dio nell’animo umano.
Quindi la formazione di una diversa mentalità spinge l’uomo a proiettarsi sempre più in avanti: questo bisogno è riscontrabile anche nell’arte, parte integrante nella vita dell’uomo del rinascimento, la quale perciò tende a superare i canoni quattrocenteschi. Da qui si ha la continua ricerca di nuove forme, il superamento dello spazio a misura d’uomo e la conseguente eliminazione del quadrato, come figura piana, modello canonico del Quattrocento, sostituito con il cerchio. A questo è attribuito un valore non solo puramente grafico o figurativo, ma in particolar modo diventa simbolo del continuo bisogno dell’uomo di arricchire la sua conoscenza, e del fatto che egli non si accontenta più di sottostare agli schemi di un’arte chiusa, definita, che bada alla purezza classica delle linee: la circolarità indica continuità, movimento, armonia.
La stessa cosa avviene nell’utilizzo delle figure solide, poiché l’artista abbandona il cubo, figura carica di costrizioni e limiti, per lasciar spazio alla sfera e al cono. Con la prima infatti si esprime al meglio il concetto di infinito (D). Con il cono, alla stessa maniera, si arriva ad esprimere la stessa sensazione di illimitatezza, grazie alla sua struttura lungiforme.
Tutti questi cambiamenti sono riscontrabili in ogni campo artistico.
Prendendo ad esempio in considerazione l’architettura religiosa, si ritrova nel cinquecento l’uso della pianta a croce greca, che sostituisce quella a croce latina: con la prima infatti si ritorna all’idea di circolarità, avendo questa braccia uguali e quindi essendo inscrivibile in un cerchio.
Con Michelangelo (SB) possiamo notare anche il diverso utilizzo di specifici materiali, quali ad esempio la pietra serena, che in particolare nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo (a destra) egli utilizza per evidenziare la forza con la quale queste strutture si distaccano dal piano d’appoggio e si moltiplicano senza un ordine geometrico. Questo senso dell’infinito è in contrasto con la Sagrestia Vecchia nella quale il Brunelleschi (SB) utilizza la stessa pietra per definire geometricamente la forma e lo spazio, mediante prospettiva lineare.
L’Atrio della Biblioteca Laurenziana (a sinistra) è un ulteriore esempio fondamentale dell’importanza che assume il movimento delle forme in questo periodo. La scala è la vera protagonista di questo ambiente: essa si proietta dall’alto verso il basso, con una serie di gradini centrali curveggianti, che invitano alla salita. Nello stesso tempo si proietta anche dal basso verso l’alto, grazie alla presenza, fino ad una certa altezza, di altre scale ad ala, con gradini lineari, che essendo prive di balaustre, si aprono verso i lati. Tutta l’architettura del secolo è dominata da questo continuo movimento, ottenuto con una serie di sporgenze e rientranze in cui lo spazio penetra nella costruzione attraverso colonnati, balaustre, nicchie.
Il centro artistico più fervido in questo periodo, a differenza del Quattrocento, non è più Firenze, ma Roma: papa Giulio II (SB) aveva infatti il preciso intento di far diventare Roma la città più bella e grande del mondo. Così per raggiungere questo scopo vengono chiamati alla corte pontificia gli artisti più illustri e importanti. Qui in poco tempo si è venuto a formare un clima di straordinaria fusione tra l’ideale umano e quello divino, ma che dopo la morte di Giulio II e il sacco di Roma (ST) del ’27, che causò la dispersione dei diversi artisti in tutta Italia, altrettanto velocemente svanì. In conseguenza a questo anche gli ideali più alti di Leonardo (SB), Raffaello (SB) e Michelangelo vanno pian piano a scomparire, pur essendo guida al secolo. Ad esempio la profonda fede che Leonardo pone nella natura, vista come fonte di verità da cui l’uomo può continuamente attingere, non sarà del tutto compresa e interpretata nel suo significato.
Da qui si nota il diverso utilizzo della tecnica dello sfumato: a Firenze si ricorreva a questa tecnica per rendere più duttili le immagini, attenuando il tradizionale plasticismo sia lineare che chiaroscurale, mentre Leonardo la intendeva come strumento per armonizzare le figure con l’ambiente che faceva loro da sfondo. Egli, per rendere la vastità spaziale, non utilizza più la linea come mezzo per individuare e delineare i singoli oggetti, contornandoli con un tratto ideale, continuo e netto, ma per mezzo di brevi linee, curve o rette, riesce ad evocare e ad accennare la presenza delle figure che all’occhio umano appaiono vive ed in movimento.
In un’epoca di così grande crisi (D), i tre geni di questo secolo sembrano nascondere dietro al loro equilibrio classico tra naturalismo e idea, tra religione e laicità, l’inquietudine di molti altri artisti che non riescono ancora a trovare delle nuove leggi da sostituire a quelle già esistenti e vedono l’unica alternativa nell’imitazione di questi grandi, fino alla forzatura estrema e alla conseguente rottura dell’equilibrio. Promotore di questo nuovo movimento, denominato manierismo (D), fu Giorgio Vasari, primo vero scrittore d’arte, convinto che con Michelangelo l’arte avesse raggiunto il suo culmine.
Il Manierismo, comunque, trae i suoi spunti formali essenzialmente proprio da quest’ultimo, di cui sfrutta i colori cangianti, la composizione a spirale, la tensione delle forme al limite dello spazio. È un movimento contro corrente e anti-classico che mostra angosce e inquietudini tipiche di questo periodo: affiora dapprima a Firenze già nel terzo decennio del secolo, poi nella seconda metà del secolo trova una più ampia diffusione in tutta Italia e in Europa, con la maggiore scuola innovatrice che si trova in Francia, a Fontainebleau.
Il Seicento, secolo della controriforma cattolica (ST), diventa così protagonista dell’affannato e disperato bisogno di soluzione a questa profonda crisi, che troverà la sua più alta espressione nel Barocco (D).
L’arte in questo momento ha un ruolo determinante poiché fa in qualche modo da tramite tra la chiesa, impegnata nella predicazione delle idee controriformiste per mezzo dei nuovi ordini religiosi dei Gesuiti (D) e dei Filippini (D), e il fedele, cercando di sensibilizzare e toccare con efficacia e immediatezza il suo animo semplice. Nel seicento l’arte deve saper sedurre e commuovere, al fine di conquistare il gusto non più attraverso l’armonia e la razionalità, ma suscitando emozioni e sentimenti. A questo proposito il concilio di Trento raccomandava ad esempio che la figura di Cristo dovesse essere rappresentata sanguinante, afflitta, vilipesa, sgradevole a vedersi: in tale modo sarebbe stato più facile evocare nelle masse sentimenti di pietà e di devozione, facendo psicologicamente leva sulla compassione e sulla misericordia umana di fronte al dolore e alla sofferenza. Il pittore del seicento affronta senza mezzi termini il problema esistenziale dell’uomo, il suo dramma nella ricerca di una verità non più imposta dall’alto. Con Caravaggio (SB), massimo esponente della pittura seicentesca, esplode la polemica anticonformista con una tale immediatezza e violenza che, la prima tela dipinta per la cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, San Matteo e l’angelo, venne rifiutata dal clero perché, come testimonia il Bellori: "quella figura non aveva decoro, né aspetto di santo, stando a sedere con le gambe incavalcate e co’ piedi rozzamente esposti al popolo".
Sta qui la novità del pittore e della pittura del secolo, che rifiuta la tradizione e in particolare l’identificazione di bello con buono e di brutto con cattivo. Infatti in questo periodo si viene a formare una nuova concezione per la quale la grazia divina può toccare chiunque, non soltanto il meritevole: Dio solo, a suo giudizio, può salvare o condannare. Così la figura del santo non rispetta più la classica impostazione, non è abbellita, non ha decoro, non manifesta un atteggiamento devozionale, è addirittura volgare, povero e vecchio: questo esprime la presenza di Dio presso gli uomini più umili e bisognosi, non necessariamelte buoni e ossequiosi bensì i peccatori e gli emarginati. L’arte di questo periodo è l’arte dei sentimenti e delle passioni la cui rappresentazione, soprattutto in scultura e pittura, arriva a volte agli estremi, fino a rasentare la sdolcinatezza e la frivolezza.
Per quanto riguarda l’architettura, con il barocco si riscontra un forte desiderio di novità e ricerca del movimento, che spesso diventa tumultuoso e inquieto grazie alla compenetrazione tra struttura muraria e atmosfera.
Poiché gli artisti del secolo sentono che il rinascimento (D) era giunto ad un grado di perfezione oltre il quale non esiste che l’ex novo, si illudono di creare nuove forme modificando quelle cinquecentesche. Così piante ellittiche, linee spezzate, cornicioni decorativi e superfici aggettanti sono le strutture basilari di questa espressione artistica.
Le costruzioni civili e religiose, all’interno, mutano aspetto diventando più ricche e sfarzose mediante elementi ornamentali e decorazioni varie, stucchi e dorature. Gli ambienti grandi e luminosi si arricchiscono inoltre di scalinate marmoree, affreschi e statue rivelando nell’insieme la ricerca del maestoso, della magniloquenza e dello scenografico. All’esterno mentre le architetture civili appaiono solenni e severe, più o meno appesantite da fregi, nicchie, enormi portali ed elaborati cancellati, le chiese invece presentano superfici concave e convesse che determinano intensi contrasti chiaroscurali.
In questa maniera l’arte si precisa come espressione delle sensazioni dell’uomo, del suo precario collocarsi nello qpazio e nel tempo ed anche come veicolo diretto od indiretto dei contenuti controriformisti, come pure di tendenze contrapposte.
Relatori:
Francesca Conti, Arianna Vannini
Uno dei filoni culturali che ha contribuito a definire quest'età come "rinnovamento" è quello costituito dall'evoluzione scientifica e dalla razionalità del metodo che ne consegue. Infatti fondamentale in questo contesto è il metodo con il quale si affronta lo studio della Natura (D). Questo rappresenta un elemento di unione con il Seicento, poiché già Galilei (SB), Bruno (SB) e Francesco Bacone avevano "studiato" la Natura, e posto quindi le basi affinché questo studio potesse continuare anche nel secolo successivo.
Il contributo di Newton (SB) è soprattutto costituito da concetti di fisica: per primo infatti distingue il peso dalla massa (ST), generalizza la nozione di forza (D) collegandola all'accelerazione (D) (e non alla velocità (D) come prima si credeva), stabilisce i principi della dinamica (D) e la teoria di gravitazione universale. Newton "studia" la Natura, ne comprende i meccanismi, ma alla base di tutto c'è l'idea di un moto assoluto riferito allo spazio vuoto, il che presuppone un tempo e uno spazio assoluti. La Natura, la materia, sono intese come assolute nel loro intimo e nella loro costituzione. La ragione è proprio strumento, mezzo di indagine del reale e ciò ha un notevole impulso anche nello sviluppo delle scienze umane e naturali. È quindi una nuova idea della ragione che si afferma, ne viene esaltata l'utilità e quindi il nuovo uso. Lo schema di lettura del mondo è in questo periodo la fisica, in particolare quella di Newton. Si avvertono negli ambienti culturali le influenze dell'empirismo (ST) di cui possiamo considerare Locke (SB) come il rappresentante che, riconducendo tutto il conoscere ai sensi, dà avvio al sensismo.
Egli elabora infatti una teoria secondo la quale le idee si fondano
esclusivamente sull'esperienza empirica (cioè la sperimentazione),
ma da essa possiamo ricavare solo un "tipo" di idee, quelle che Locke chiama
idee semplici. Le idee complesse invece, benché infinite come numero,
si possono ricondurre a tre categorie: i modi, le sostanze e le relazioni.
Ma l'opera di Locke è particolarmente significativa per quanto riguarda
l'idea complessa di sostanza. La sostanza non è mai percepita, è
qualcosa che si "immagina" essere a fondamento delle idee. Pertanto della
sostanza in quanto tale non è possibile asserire nulla di certo
per essere coerenti con il presupposto precedente. Siamo vicini alla negazione
dell'esistenza della sostanza, ma Locke non lo afferma, al contrario Berkeley
lo introdurrà per la sostanza materiale e Hume lo estenderà
anche per quella spirituale.
Di particolare interesse è un passo del Muratori, tratto da
"Riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nelle arti", capitolo
tredicesimo, parte seconda dedicata alla storiografia, "Una lezione di
metodo: accertare, vagliare, interpretare". Sono proprio questi tre termini
che racchiudono tre essenziali concetti ai fini di una indagine L'aspetto
razionale della realtà. interessante è che per mezzo dello
Muratori strumento filologico (D) applicato al documento nell'ambito dello
studio, il perviene ad una disposizione critica, ed una tensione conoscitiva
anche nei confronti del presente che cerca di correggere secondo i suoi
stessi criteri di razionalità e rigore.In questo contesto si afferma
una laicizzazione della cultura che diventa autonoma, mezzo di indagine
ed inoltre caratterizzata da precise finalità. Nell'età del
rinnovamento si hanno infatti molti esempi di studi di revisione storica,
in particolare con Muratori già citato, Giannone, Maffei e Vico.
Muratori e Giannone sono particolarmente significativi per il lavoro sul
Medioevo, e Vico per la sua dottrina della storia. Muratori fornì
una eccezionale quantità di materiali che saranno la base per gli
studi storici sul medioevo in Italia. Nella sua attività Muratori
svolse una funzione di stimolo ad una più razionale organizzazione
della società civile. Nella sua cultura prevalgono interessi giuridici,
storico-eruditi, letterari, filosofici e religiosi, ed essa sfocia spesso
in indicazioni pedagogiche e politiche. Di particolare importanza è
il trattato Della perfetta poesia italiana (1706) in cui tenta di conciliare
la nuova prospettiva razionalistica con le componenti fantastiche della
poesia, ereditate dal Barocco (D).
Per quanto riguarda Giannone, egli lavorò molto a lungo sulla
Istoria civile del regno di Napoli, ed è proprio in quest'opera
che si impegna a ricostruire l'origine dei poteri civili e ecclesiastici
nel Meridione. Dall'opera di Giannone si ricava un modello radicalmente
nuovo di storiografia, attenta soprattutto ai processi di evoluzione delle
istituzioni civili (ne derivò una denuncia degli abusi dei poteri
ecclesiastici). Ma l'opera più significativa di Giannone è
la sua autobiografia, Vita di Pietro Giannone, in cui il protagonista si
propone come un modello della nuova razionalità borghese, e stabilisce
i termini con le istituzioni politiche.
In questo ampio contesto culturale si afferma una concezione del sapere
priva di limiti rigidi tra i diversi campi del conoscere: "la nuova cultura
della concretezza e dell'esperienza attribuisce un rilevo essenziale alle
scienze della natura, favorisce la nascita di nuove discipline e modifica
l'orizzonte retorico-letterario della cultura umanistica, ma non provoca
ancora una rottura del sapere. L'uomo di cultura, quale che sia la sua
specializzazione, fa parte di una comunità universale, i cui membri
sono in genere definiti con il termine di letterati" (Giulio Ferroni).
Alle lettere "non appartengono soltanto la letteratura e la poesia, ma
l'intero ambito della conoscenza, che si comunica essenzialmente attraverso
la scrittura ed entra così in una discussione di respiro internazionale"
(Giulio Ferroni). È la cosiddetta "Repubblica delle lettere" favorita
da contatti epistolari che facilitavano la comunicazione ed il confronto
fra i vari ambienti letterari; i viaggi sono una nuova "mania", c'è
una generale apertura al mondo, e ciò comporta una affermazione
più marcata del relativismo (a questo proposito è da ricordare
la "Lettera sulla tolleranza" di Locke che, benché precedente rispetto
al contesto qui esposto, si pone come premessa all'affermazione del relativismo).
Questo porterà alla concezione del cosmopolitismo, della tolleranza
che sono valori propri dell'Illuminismo. La comunicazione è anche
favorita dalla crescente e continua diffusione della stampa. Sul piano
letterario vero e proprio i caratteri di razionalità e di evidenza
della conoscenza, quindi di buon gusto nell'estetica, si traducono nella
formula dell'Arcadia, un'accademia nata a Roma nel 1690 sulla scia di una
stanchezza del Barocco, di un disgusto per la sensualità nella lirica
ritenuta quasi non morale. L'Arcadia, nelle sue peculiarità, propone
nella finzione una società ideale che prende il posto di quella
reale riproducendone le stesse forme e regole. In questa ricerca di un
nuovo ordine si intende rilanciare la tradizione, i valori classici (D),
trasferendoli sul piano dell'utopia (D), ma il recupero della razionalità
è compromesso dall'artificio. L'Arcadia è chiaramente una
risposta italiana alla crisi della coscienza europea ed unifica il mondo
intellettuale, dove la poesia è essenziale strumento di comunicazione.
L'Arcadia, intesa quindi in opposizione al Barocco, vuole proporre un classicismo
basato sulla razionalità, sul buon gusto e sulla semplicità,
riplasmando il gusto delle persone, proponendo anche una condotta di vita
naturale.
La compresenza di tutti questi elementi "comporta" inoltre una nuova concezione del rapporto natura-ragione, ed una conseguente apertura all'Illuminismo (ST). La ragione di Cartesio è ragione "pesante", fonda i principi e ricava la conoscenza determinando lo scibile umano. Il cogito è fondamento del sapere, e nel cogito la ragione trova le idee: la conoscenza è fondata tramite un procedimento logico e deduttivo. Nell'Illuminismo la ragione è strumento critico, funzionale ad una interpretazione del reale, non in modo logico-deduttivo, ma anzi in maniera che tenga conto della realtà consapevolmente vagliata dalla ragione stessa. È la ragione che deve definire gli strumenti critici che le appartengono. L'approccio di tipo filosofico è empirista, e questa nuova cultura è uno stadio dell'evoluzione del pensiero filosofico empirista. La concezione illuminista della ragione si propone quindi come una sintesi fra il razionalismo cartesiano e l'empirismo.
L'epicentro di tutti questi movimenti è la Francia, e qui il
ruolo che l'illuminista si dà è quello di proporre e perseguire
un'analisi critica della realtà. Interessante è il fatto
che nel pensiero degli illuministi in genere prevalgano gli argomenti di
filosofia pratica. La società è vagliata criticamente nella
sua globalità, così che si possono individuare i motivi che
ne impediscono il corretto sviluppo e "rimuoverli". La ricerca del settecento
si pone in continuità con la tradizione inaugurata in età
moderna da Machiavelli (SB), che per primo concepì l'autonomia del
politico e si era sviluppata in autori come Grozio, Hobbes (SB) e Locke,
e giunge a teorizzare la concezione del potere tripartito proposta da Montesquieu
così come oggi la intendiamo. Un tentativo di riformare la società
verrà introdotto dal "dispotismo illuminato", ma questo sforzo,
particolarmente in Francia, resterà al di sotto delle necessità,
ciò aprirà la strada alla Rivoluzione francese. .
Relatore:
Luca Torre
Le tesi di Bruno sono quindi improntate sulla base di un naturalismo che risente di una tensione amorosa tipica del neoplatonismo, ma anche di una predilezione per la magia (D) e l'astrologia (ST) come strumenti di indagine sul reale e sulla natura stessa. In quest'ottica l'opera di Bruno segna una battuta d'arresto nello sviluppo del naturalismo scientifico in quanto si configura quasi come una religione della natura.
Proprio per il suo carattere magico e miracoloso, la natura secondo Bruno non è conoscibile unicamente attraverso i sensi come aveva invece ipotizzato Telesio (SB); bisogna bensì indagarla attraverso l’intelletto che ci eleva al di sopra delle particolarità.
Grazie a questo concetto Bruno propone la natura come unico oggetto di studio della filosofia e unica fonte di verità certe. Giunge di conseguenza a ritenere qualsiasi tipo di religione positiva (rivelata), un insieme di superstizioni contrarie alle leggi e alla giustizia naturale.
Relegate le antiche credenze in luogo di inutili falsità, Bruno procede nella costruzione di una religione naturale, che individua in una sapienza originaria comune a tutti gli uomini d’intelletto, antichi e contemporanei, la via per giungere a Dio. Una via questa, che svolge il suo percorso nella natura, la quale si pone come oggetto e termine del filosofare e della religiosità stessa.
Nell’ambito della sua religione naturale, Bruno concepisce Dio in duplice maniera: da una parte, risentendo fortemente dell’influenza di principi Neoplatonici, la divinità è immaginata al di fuori dell’universo (mens super omnia), ineffabile e completamente trascendente, oggetto quindi della sola fede e in nessun modo comprensibile dalle capacità conoscitive umane; dall’altra Dio è considerato immanentemente come principio primo della natura e del cosmo (mens insita omnibus), e come tale risulta raggiungibile da parte dell’uomo perché si fa oggetto del suo impeto filosofico e religioso.
Sotto quest’aspetto Dio è l’artefice interno del mondo, è causa efficiente di tutti i fenomeni naturali ed agisce come Anima del cosmo plasmando l’infinita materia per creare l’intero universo.
La negazione della trascendenza di Dio, il riconoscimento della sua infinità consentono a Giordano Bruno di poter individuare una sostanziale unità della natura. Tale concetto di unità va ricercato in Dio stesso e si lega ad un’altra idea fondamentale della concezione bruniana: la coincidenza degli opposti, secondo la quale in Dio, e quindi necessariamente anche nel cosmo gli opposti coincidono; ecco quindi che il massimo e il minimo, l’amore e l’odio risultano la stessa cosa. Ma la coincidenza degli opposti è possibile soltanto in uno spazio illimitato, perché due realtà contrarie possono confondersi fino ad identificarsi solo se relazionate con l’infinito (D) ed in esso inserite. Da qui la postulazione di un universo appunto infinito espressione dell’infinità di Dio che comprende ogni aspetto della natura e del reale.
Quest’innovativa teoria che si affiancava e superava quella matematicamente provata di Copernico (SB)abbatteva definitivamente la vecchia concezione aristotelica che faceva dell’universo uno spazio chiuso, limitato e fornito di un unico centro, sostituendola con un modello cosmologico senza confini (ST), avente centro contemporaneamente in nessuno e in ogni luogo, caratterizzato da una pluralità di mondi e pianeti abitabili.
La definizione di un cosmo che riceve la sua peculiarità dall’infinità divina porta con sé un'altra importante critica alla fisica aristotelica, riconoscendo pari dignità a mondo stellare e realtà sublunare, in quanto parti della stessa infinità e opera della stessa mens insita omnibus e perciò espressioni identiche della sua potenza.
L'etica (D)di Bruno si fonda anch'essa sulla base di questa nuova concezione
che concerne religione, metafisica e fisica; infatti se l’unità
e l’infinità costituiscono il principio primo del mondo, esse devono
anche costituire, secondo Bruno, l’aspirazione massima dell’intelletto
umano. Quest’aspirazione è collocata al vertice delle virtù
ed è raggiungibile attraverso quello che Bruno chiama l’eroico furore,
ovvero l’identificarsi dell’uomo con la natura attraverso l’amore e l’accettazione
della realtà. In questo modo l’uomo si fa natura e, contemplando
dall'interno l'essenza delle cose, riesce con il proprio ingegno, ad assoggettarle
a sé e, per mezzo del proprio lavoro, a plasmarle, esaltando così
le doti che solo a lui sono concesse. A ben guardare nella filosofia, ma
soprattutto nella cosmologia bruniana si ritrovano concetti estremamente
innovativi che quindi risultano veramente rivoluzionari e destabilizzanti
se considerati nell’ottica del XVI secolo. Basti pensare che l’universo
ipotizzato da Bruno è in tutto e per tutto simile a quello delineato
dalle conoscenze moderne, tanto che fu oggetto di molte critiche anche
da parte di quelli che sono considerati i padri della cosmologia moderna,
come Galileo (SB) e Keplero (SB), i quali con i loro mezzi conoscitivi
non potevano ipotizzare sulla base di un ragionamento matematicamente rigoroso
l’infinità dell’universo o la pluralità dei mondi. Un’opposizione
convinta alle nuove teorie cosmologiche fu portata anche dagli esponenti
della vecchia cultura aristotelica (ST) e scolastica (ST), ma soprattutto
dagli apparati ecclesiastici che vedevano minacciate molte importanti verità
di fede; la molteplicità di mondi abitati asserita da Bruno creava
pericolose difficoltà dogmatiche che scatenarono la violenta reazione
di cattolici e protestanti.
Relatore:
Giulio Brugoni
Gli studi di Leonardo affrontano ogni campo dello scibile, dalla scienza alla pittura, all’urbanistica, all’ingegneria, riscontrando in ognuno grande successo : in quello scientifico la sua opera richiama il metodo galileiano (vedi rivoluzione scientifica) (ST), in quello artistico la rivoluzione caravaggesca (SB).
Leonardo interroga tutto: "Io domando", scrive spesso nei suoi quaderni.
Ma questa sua grande curiosità è accompagnata da un altrettanto
grande desiderio di concretizzare le sue conoscenze: scienza e pratica
sono quindi indissolubili: "Quelli che si innamorano della pratica senza
la scienza sono come il nocchiero che monta sulla nave senza il timone
o la bussola, e non ha mai la certezza di dove va". Da questo punto di
vista si possono analizzare i vari schizzi e progetti di Leonardo.
Importanti furono gli studi di Leonardo riguardo all’urbanistica: durante il periodo della peste a Milano, elaborò un progetto di città ideale, che teneva conto dei problemi e delle esigenze cittadine. Per primo infatti capì la necessità di decentrare la popolazione, che si ritrovava ammassata entro le mura, costretta in lugubri vicoli e abitazioni: nel suo disegno il popolo risiedeva in campagna, mentre ai nobili era riservata la città. Questa aveva una pianta a scacchiera, senza mura, nella quale compariva una rete di canali per lo smaltimento dei rifiuti. C’erano inoltre sopraelevate per il passeggio dei pedoni e scale a chiocciola che collegavano i vari piani.
Oltre all’elaborazione teorica, Leonardo si applicò in Francia nella bonifica di paludi ed acquitrini.
Lo spirito ingegneristico di Leonardo si applicò anche nella creazione di nuove tecnologie: profondamente affascinato dal volo, passò interi anni a costruire macchine per volare che, dapprima simili ad uccelli, diventano pian piano vere e proprie antenate dei nostri aereoplani.
Abbandonata infatti l’idea di azionare queste macchine con la sola forza muscolare, inserì congegni meccanici, dando vita a due diversi progetti: uno in cui l’uomo stava disteso, l’altro in cui era in piedi.
Di Leonardo scrittore invece, troviamo una curiosa testimonianza nelle sue "Favole", una raccolta di brevi componimenti che, mescolando arguzia e dottrina, nascondono un serio ammonimento: la farfalla che attratta dallo splendore del lume si brucia, la scimmia che si innamora dell’uccellino e lo soffoca di baci, l’asino che addormentandosi sul ghiaccio lo fonde e annega, sembrano tutte ricordare la tragedia dell’ignoranza dell’uomo sulle leggi naturali.
L’ASINO E IL GHIACCIO: "Addormentandosi l’asino sopra il diaccio di un profondo lago, il suo calore dissolvè esso diaccio, e l’asino sott’acqua, a mal suo danno, si destò e subito annegò"-(Codice Atl.fol. 67 verso-b).
Grande importanza ha per Leonardo il rapporto tra scienza e arte (vedi naturalismo (D)): partendo infatti da una concezione ancora quattrocentesca, fa della produzione artistica lo specchio della natura, la quale deve essere studiata e indagata a fondo per essere degnamente rappresentata. Da qui la sua dedizione per gli studi di botanica, anatomia e in particolare ottica, dove l’occhio è considerato come tramite tra l’immagine e l’anima.
Per Leonardo: "La pittura è composizione di luci e di tenebre insieme mista con le diverse qualità di tutti i suoi colori semplici e composti" (Trattato). A partire da questo aspetto possono essere analizzati i suoi dipinti: con la tecnica dello sfumato lo spazio acquista una profondità prospettica che egli stesso definisce "aerea", perché condizionata dal filtro dell’aria; luci ed ombre quindi si confondono portando ad un’armonia di forme e ad una perfezione che caratterizzeranno tutta la sua produzione artistica. Per meglio comprendere questi caratteri possiamo prendere in esame alcune tra le più importanti opere.
BATTESIMO DI CRISTO : Il dipinto è opera del Verrocchio, ma Leonardo vi compie il suo primo lavoro disegnando l’angelo che regge la tunica, in basso a sinistra. Già da qui è evidente lo stile che caratterizzerà anche le opere della maturità: la figura di questo angelo, visto di tre quarti da tergo, dinamico in ogni suo aspetto è in netto contrasto con l’impostazione quattrocentesca data dal maestro all’opera, in particolare con la staticità dell’altro angelo che gli sta accanto, disegnato appunto dal Verrocchio.
LA VALLATA DELL’ARNO VERSO PISA (1473):
Dopo essere intervenuto nel "Battesimo di Cristo" del Verrocchio, Leonardo nel 1473 dipinge il famoso "Paesaggio" che viene considerato la sua prima opera completa. E’ un disegno a penna su carta bianca che descrive una vallata (probabilmente quella dell’Arno) dove, partendo da sinistra verso destra, si trova un castello rialzato rispetto ad una pianura, che fa da sfondo e si intravede centralmente al di là di una grande roccia. L’immagine ai nostri occhi appare confusa e sfuocata; secondo Leonardo infatti tra noi e il paesaggio c’è una certa distanza, ed il nostro occhio non è capace di focalizzare tutto, soprattutto a causa dell’atmosfera che si interpone tra noi e ogni singolo oggetto del paesaggio.
Leonardo in quest’opera non si limita ad esprimere semplicemente ciò che vede, ma da agli altri l’impressione che tutto sia vivo, in movimento; egli rafforza la presenza dei fiumi, degli alberi e in generale della natura e rende la vastità spaziale.
Per fare tutto ciò, egli usa la linea in modo discontinuo, con piccoli tratti retti o curvi, accenna i contorni ed individua i singoli oggetti che sembrano quasi in movimento, infrangendo così la tradizione fiorentina.
ANNUNCIAZIONE (1470-80) :
Nell’"Annunciazione" del 1475 ritroviamo la sintesi della ricerca pittorica giovanile di Leonardo. In questa sacra rappresentazione vi sono ancora alcuni elementi comuni all’ambiente fiorentino, come ad esempio il sarcofago di marmo, uguale a quello costruito dal Verrocchio nella sagrestia vecchia di S.Lorenzo, o la collocazione dell’angelo a sinistra rispetto alla Vergine.
Questa scelta è il risultato di uno studio molto accurato (attraverso un esame radiografico si sono evidenziate le varie disposizioni dell’arcangelo scelte dal maestro prima dell’attuale), che indica un’evidente ed estrema attenzione alla ricerca della perfezione.
Proprio quest’ordine ha indotto Leonardo a commettere degli errori prospettici, infatti la posizione del leggio non è in linea con quella della Vergine.
Egli utilizza la prospettiva lineare e scopre quella cromatica e quella aerea: i colori diminuiscono d’intensità e i volumi sono meno delineati via via che si allontanano, poiché tra loro e il nostro occhio si va ad interporre l’aria in spessore sempre maggiore. Inoltre Leonardo sceglie una luce crepuscolare in modo da ammorbidire i volumi, attenuando e smorzando la loro staticità e rigidezza.
Tutta la scena si svolge in un ambiente colmo di tranquillità, dominato dalla ragione, circondato dalla natura, di fronte ad una villa del tardo ‘400. Tutto ci dà l’impressione che sia animato: le piante e i fiori sembrano vivere e le ali dell’arcangelo sono semiaperte, in una atmosfera di movimento.
In questo modo Leonardo studia attentamente i suoi personaggi e rende perfettamente evidente il loro stato d’animo di fronte all’osservatore.
IL CENACOLO (1495-97):
Considerando gli attimi dopo che Gesù disse: "uno di voi mi tradirà", Leonardo riesce ad esprimere nel volto dei dodici apostoli tutto lo stupore di quell’affermazione, a partire da Giuda che, appoggiandosi alla tavola con un gomito, fissa Gesù. La disposizione dei tredici uomini non è casuale, infatti mentre gli apostoli sono disposti in gruppi di tre, formando delle piramidi concatenate tra loro, Gesù è al centro distaccato da essi, perché egli è solo nel momento del sacrificio supremo: tiene la braccia larghe in segno di dedizione ed è illuminato non solo da sinistra ma anche dal fondo in modo tale da accentuare la divinità e ammorbidire le forme.
In questa rappresentazione è stata usata la prospettiva lineare, che viene rigorosamente rispettata all’interno della mensa ma che perde il suo significato al di là delle finestre nella parete che fa da sfondo, dove si staglia una pianura ed un cielo che sembrano infiniti.
SANT’ANNA... :
Durante il suo secondo soggiorno fiorentino (1503-06) Leonardo espone nel chiostro dell’Annunziata un cartone di Sant’Anna, la Madonna, il Bambino e San Giovannino che precede il dipinto meno classico ed avvolgente di Sant’Anna, la Madonna, il Bambino e l’agnello, improntato da una inquietudine dinamica, data da vettori sfuggenti e contrapposizioni plastiche. animazione (292 KB)
L’equilibrio fisico dell’immagine è dato da tre principali punti disposti a triangolo: il piede sinistro della Madonna e i due piedi di Sant’Anna, sorretti dalla testa della santa che fa loro da perno.
È proprio il volto di Sant’Anna a rendere l’opera suggestiva: il suo sorriso esprime perfettamente il rapporto d’amore tra l’uomo e la natura, l’espressione sembra interpretare lo stato d’animo dell’artista che dopo innumerevoli sforzi riesce a dominare la natura e per questo si sente realizzato.
LA GIOCONDA (1513-16):
Senz’altro uno dei capolavori più importanti di tutta la pittura è "la dama al balcone", che venne eseguita da Leonardo a Roma, sotto commissione di Giuliano de Medici, e di cui non abbiamo alcuno studio preparatorio. Celebrata da Vasari come ritratto di Monna Lisa Gherardini, moglie del fiorentino Francesco del Giocondo, la Gioconda si trova in una posizione elevata rispetto allo sfondo, costituito da un vasto paesaggio deserto, nel quale la donna si trova in perfetta armonia. Il fatto che soggetto e paesaggio siano un’unità totale sta ad indicare che l’uomo fa parte della natura senza urti né contrapposizioni.
Nell’opera possiamo ben notare come Monna Lisa domini a livello fisico sul paesaggio naturale, ma nonostante tutto viene avvolta dalla natura stessa. Apparentemente il soggetto sembra avere una struttura semplice, in realtà se analizziamo il suo impianto compositivo notiamo che è molto complesso: il busto, le braccia e la testa della dama ruotano secondo diverse direzioni di movimento, infrangendo impercettibilmente le leggi della simmetria. In questo modo Leonardo coglie al meglio la mobilità, rendendo l’immagine più possibile viva ed animata.
Anche il volto della dama ha una complessità fisica notevole, che ci permette di vedere il viso per tre quarti e inoltre, attraverso la sua espressione, di penetrare la sua psicologia. Nel volto il movimento è accentuato agli occhi dell’osservatore dal fatto che l’espressione non è fissata in maniera definitiva e quindi sembra essere mutevole.
In questo caso Leonardo utilizza la tecnica dello sfumato, che lascia alle forme un margine indeterminato accentuando la mobilità espressiva del soggetto. Con questa tecnica il disegno non è più al centro della nostra attenzione, ma ciò che ci colpisce sono i suggestivi trapassi chiaroscurali che rendono il tutto non definito, ma solamente percepito: torna così di nuovo il concetto di infinito.
Relatrici:
Conti Francesca, Vannini Arianna
--------------------------------------------------------------------------------
http://www.levity.com/alchemy/sonetti.html
SEI SONETTI ALCHEMICI DA UN CODICE DELLA BIBLIOTECA LAURENZIANA
I seguenti 6 sonetti, di epoca medievale, tratti dal codice Riccardiano
N. 946 della Biblioteca Laurenziana di Firenze, furono pubblicati per la
prima volta nel 1930 in un opuscolo a cura di M Mazzoni dal titolo Sonetti
alchemici-Ermetici di Frate Elia e Cecco D’Ascoli, edito dalla Società
Editrice Toscana.
La pubblicazione, venne ristampata, per quel che ne sappiamo, una sola
volta, nel 1955 dalla Athanor.
Per esplicita ammissione del curatore , che senza addurre particolari
motivazioni si dice convinto della attribuzione dei sonetti in questione
a Frate Elia da Cortona, non vi sono né indicazioni né prove
documentali che possano darci precise indicazioni sull’autore o sugli autori
di questi sei sonetti. Nella pubblicazione manca inoltre qualsiasi informazione
codicologica sul codice in questione.
Dall’opuscolo curato dal Mazzoni, ed ormai introvabile, trascrivo questi
sei bei sonetti di argomento alchimistico. Ad ogni sonetto è aggiunta
una versione in prosa in inglese.
The following six medieval sonnets, taken from Codex Riccardianus N.
946 available in the Biblioteca Laurenziana in Florence, were published
for the first time in 1930 in a pamphlet edited by M. Mazzoni, bearing
the title Sonetti Alchemici - Ermetici di Frate Elia e Cecco D’Ascoli,
published by Società Editrice Toscana.
The pamphlet was reprinted, for all we know, only once in 1955 by Atanor
(an Italian publishing house).
On the basis of an explicit statement by the editor, which, without
any motivation, attributes the authorship to Frate Elia da Cortona, there
is no evidence and no document which can validate this attribution. In
the pamphlet, there is no paleographic information on that codex.
I extracted from that pamphlet, at present unavailable, these interesting
sonnets about alchemical science. Every sonnet is available in an English
version too.
By Massimo Marra
English versions by Carlo Borriello
- 1 -
Voi pellegrini che andate in romitaso
cercando la scientia excelente,
la vostra serva va con lui in viaggio
monaco bianco pare a chi non sente ;
Ma lo re dell’universo spatio
di sciamito d’oro veste la sua gente
chollui si scontrò e folle e saggio ;
colerico bianco fa el suo sergente
Et è così benigno a chi l’uccide
che gli fa lume nella casa oscura
e di tristesa fallo ingiovanire.
Chi fa questo è di grande ardire :
Non altro che colui dal quarto cerchio
posto in lo inferno sotto il so martire.
ENGLISH:
O ye pilgrims
going to hermitage,
in search of the excellent science,
your servant travels with it:
she looks like a white monk
to the unheeding ones.
But the King of the universal space,
he dresses his folk with golden drapes
and, mad and wise, he fought against it;
he makes his sergeant angrily white
and he is so good to the one killing him
that he lightens the dark house and,
with sadness, he makes him young again.
The man who does this is very bold: like
the one in the fourth circle of the hell,
martyr under the soil.
- 2 -
Io son la vera luce a diradare
del sommo archimia ogni rustico e sodo
animo, son colui che senza frodo
dell’arte mostro ciò che si può fare.
Io son colui che chi mi vuol usare
da povertà lo spicho e da suo nodo
co l’arte, colla regola e col modo
col suo bel fine, col suo coequare
Corpo disfò e poi rifò un corpo
rimosso da materia, e dogli forma
sempre sguardando al velenoso scorpo
Traggo da sua materia e metto in forma
[manca un verso]
coagolando con fuoco e con norma.
Giammai non si disforma
dal tuo intelletto, se ben hai inteso
per questi versi quel che ti paleso.
ENGLISH:
I am the true light of the supreme alchemy,
I dissipate the darkness
engulfing unrefined souls,
I am the one that truly
shows what men can do with the art.
I am the one that takes out
from poverty and restraints
the men who want to use me.
with the art, the rule and the way,
with its righteous aim, with his cooking,
I dissolve the body, then I remake it,
free from its matter, and then I model it,
always bearing in mind the poisonous purpose.
I take out from its matter and I give form
[missing line]
coagulating with fire and with rule.
If you understood well what I’ve just explained to you,
you would never forget it.
- 3 -
Geber
Quest’è la pietra magna benedetta
la qual tractò Ermete et Gratiano,
Elit, Rosir, Pandolfo e Ortolano,
Pictagora con tutta la sua secta.
Questa non si concede a gentilesa
né a bellesa, né a esser humano,
di questo ogni pensiero torna vano
a chi per sua virtù la gratia aspetta.
Di gratia speciale, da Dio recetta
basse vivande, vivere mesano,
sua residensa sta in piccole tetta
De’ tu che miri la figura picta
riman contento, e bastite sapere
quanto el balestro la saecta gitta.
E nello amore di Dio sta felice
e non voler saper quel che non lice !
ENGLISH:
This is the great, blessed stone
about which spoke Hermes and Gratianus,
Elit, Rosir, Pandolphus and Hortolanus,
and Pythagoras with all his sect.
It does not give in to neither kindness,
nor beauty, nor human being;
if a men waits for its grace,
he doth hope in vain.
This special grace, coming from God,
is: eating simple food and leading a simple life,
because it dwells in a little house.
O you looking at the painted symbol,
stay happy and content yourself to know
how far your arrow can go.
Be happy in God’s love,
and do not try to know what you have not to know !
- 4 -
Questa è la pietra che si va cercando
dagli alchimisti per ogni sentiero
da color che hanno l’animo sincero,
ma non da quei che vanno sofisticando.
A tutti quanti loro vò dare bando,
però che sono tutti ingannatori,
e non cognoscono e loro errori ;
per tutto el mondo vanno trapolando
Di solfo e di mercurio farò, quando
io vorrò, tutto l’arte a punto ;
e co’ l’arsenico, ch’è il terzo congiunto,
col sale armoniaco imbeverando
farò di tutti quanti un congiunto,
putrefaciendo e poi lor calcinando :
E fassi un corpo, et è Elisir perfetto ;
dicoti el vero, per Dio benedetto !
ENGLISH:
This is the stone
the alchemists are looking for,
following every path;
but only the ones with a sincere soul,
not the sophistic ones.
I want to ban the latter,
because they are all deceivers
and they do not know their mistakes;
setting traps, they go everywhere.
Using sulphur and mercury, I practise the art
every time I want.
And with the arsenic, the third,
soaking them with the harmoniac salt,
I will make them one,
making them rot and then calcining them.
And lo! A body creates itself: the perfect elixir;
I speak the truth, God be blessed!
- 5 -
O alchimisti ingrati, incredula gente
più che non fu Thomaso nella fede
andate sofisticando e nessuno crede
la verità mostrata a voi presente.
Al petto vostro recate la mente,
ché, come dice Cristo, più beato
sarà colui che non arà tocato
col dito la ferita tanto ulenta.
Quest’è la pietra ch’è tanto lucente
La qual trattò la gran Turba magna,
e dimostrasi a ciascuno intendente ;
la bella Rosa tratta certamente
delle scritture di quella compagna,
la qual parlò sì scuro a ogni gente.
El sole colla luna intendi il mio parlare
E col nostro mercurio seguitare.
ENGLISH:
O ye ungrateful alchemists, more doubtful
than Thomas, you use sophisms but nobody
believes in the truth you are showing,
even if it is before you.
Bring your mind to the heart, because, as Christ says,
more blessed will be the one who will not touch
with his finger the grievous wound.
This is the stone so shining
about wich spoke the great Turba,
showing itself to the wise.
Surely the pretty Rose deals
with the writings of that companion,
if speaking in an obscure manner to everyone.
Join the sun with the moon,
understand my words and
continue with our mercury.
- 6 -
Intendi e nota ben quel ch’io ti dico ;
l’anima non entra se non col suo corpo
là donde ell’è cavata, senza corpo ;
questa è la verità o caro amico.
Se un altro congiugni al suo nimico,
lavori invano e perdi el tempo tuo,
però che l’altro non è fratello suo
e l’opera tua non varrà un fico.
Ma quando si congiugne col suo amico
e tutti due fanno conjuntione
nel ventre del lione a te saputo,
alora ti puoi tocare sotto al belico
e dire : i’ son ,maestro certamente
e nessun altro vale un lombrico.
Sarà Elisir perfetto in fede mia,
e potrai combattere la Saracinia
ENGLISH:
Understand and pay attention to what I say to you:
The soul does not join but with its body,
when it is extracted without body;
this is the truth, o dear friend!
If you join an element with its enemy,
you are striving in vain,
you waste your time,
because the other is not its brother,
and so your work is not worth a brass farthing.
But when it joins with its friend,
they unite themselves
in the lion’s womb that you know.
Then you can touch yourself under the navel
and you can say: "Of course I am a master and nobody else is worth
a worm!"
This I swear: you could get the perfect Elixir and
so you could fight the Muslims.
Back to Italian section
--------------------------------------------------------------------------------
INTRODUZIONE AI SECRETI DI ISABELLA CORTESE
a cura di Massimo Marra
Una vasta e dimenticata produzione, quella alchimistica italiana che,
tra il XVI ed il XVII sec. rinveniamo in una serie di opere a stampa, spesso
neanche repertoriate nelle bibliografie internazionali.
Il libro della Cortese, per la molteplicità di edizioni note,
è ben conosciuto, eppure relegato nel limbo di una produzione considerata
minore, del cui valore sarebbe forse il caso di operare una rivalutazione.
Tra le poche donne alchimiste di cui sono note opere a stampa, in Italia,
il caso di Isabella Cortese è emblematico. I suoi Secreti ebbero
diverse ristampe, e conobbero diffusione indubbiamente maggiore, ad esempio,
di quelli di un’altra alchimista italiana coeva, Floriana Canale (autrice,
tra l’altro, anche di un raro trattato sugli esorcismi e gli scongiuri)
o della traduzione del libro di Marie Meurdrac (La Chimica caritatevole
e facile in favor delle Dame… Venetia 1682).
Già dal titolo, al contrario del libro della Meurdrac, il testo
della Cortese non presenta una alchimia "…facile in favor delle dame" ,
ma si presenta tout-court come raccolta di Secreti, mutuando toni e tematiche
dalla più criptica tradizione alchemica.
Nel recensire l’opera di cui ci occupiamo, John Ferguson annotava nella
sua Bibliotheca Chemica ( 1906) " The authoress is called Cortesa, Cortese,
Cortesi, but I have not met with any account of here". A distanza di oltre
90 anni non possiamo aggiungere nulla in merito a quanto annotato da Ferguson,
poiché, a tutt’oggi, non abbiamo notizie di sorta di Isabella Cortese.
Sappiamo che i Secreti , unica opera nota dell’autrice, conobbero ampia
e duratura diffusione , dal momento che ci sono note dodici edizioni veneziane,
stampate tra il 1561 ed il 1677, di cui solo cinque citate da Ferguson.
Quest’ultimo annota anche l’esistenza di una traduzione tedesca (Verborgene
heimliche Kunste und Wunderwerke in der Alchymie, Medicin und Chyrurgia
Hamburg 1592, 1596 e Frankfurt 1596).
Ma la diffusione dei Secreti dovette essere capillare al di là
delle eventuali traduzioni, poiché troviamo una lusinghiera citazione
del libro nell’introduzione alle Douze Clefs de Philosophie de frere Basile
Valentin…, l’edizione francese delle Dodici chiavi, edita nel 1660 da da
Pierre Moet, e basata, come nota Eugene Canseliet nell’introduzione alla
sua traduzione delle Dodici Chiavi, su di una precedente edizione del 1624,
che il Moet riproduce integralmente semplicemente sostituendo la propria
insegna a quella del precedente editore. Proprio nella prefazione aggiunta
dall’editore Pierre Moet, e dedicata a quel famoso Digby (1603-1665) che
fu alchimista, filosofo, viaggiatore, cancelliere alla corte inglese, corsaro
e, probabilmente, spia, troviamo citato il testo della Cortese. Leggiamo
infatti nell’introduzione del Moet " ….ay veu un livre Italien d’une Damoiselle
qui s’appelle Dona Isabella Cortesi, qui a fait des vers in sa langue si
bien faits, que je ne le puis oublier à vous les reciter en ce lieu……".
Il Moet riporta i due sonetti tratti dall’opera della Cortese con notevoli
errori di trascrizione, ma mostra comunque di apprezzare e conoscere l’opera.
Come molte opere pubblicate in Italia tra la seconda metà del
‘500 e tutto il XVII secolo, il libro, e per lo più occupato da
una collezione di ricette e di rimedi per una immensa varietà di
impieghi terapeutici e cosmetici, mescolati a ricette di alchimia minerale
e metallica. Senza soluzione di continuità, troveremo nell’opera
un continuo saltellare tra una ricetta per fabbricare l’oro, una per far
drizzare il membro maschile ed una per rendere la pelle femminile bianca
e vellutata. Analoga impostazione, del resto, troviamo in molti libri alchemici
del periodo (basti pensare, un titolo fra tutti, ai Secreti di Don Alessio
Piemontese, al secolo l’erudito e letterato Girolamo Ruscelli, con oltre
una dozzina di edizioni in italiano e quasi una cinquantina di edizioni
in latino, tedesco, francese ed inglese, oppure alle opere di Domenico
Auda). Una tale forma non deve però portarci a considerare con sufficienza
il contenuto ermetico e simbolico delle opere, che spesso, confuse tra
parti di contenuto metallurgico, cosmetico e farmaceutico, contengono esposizioni
ermetiche e simboliche di originale fattura o direttamente mutuate ed adattate
da testi classici di taglio filosofico ed ermetico. Sono proprio queste
parti che, talvolta poste in apertura dell’opera, testimoniano, da parte
degli autori, una precisa consapevolezza degli aspetti iniziatici della
scienza di cui essi trattano. D’altronde è fuor di dubbio che è
proprio il carattere di ricettari, di raccolta di secreti , a costituire
il nocciolo del successo di tali libri, che stimolano il mercato sempre
fiorente di speziali, medici, "soffiatori" e curiosi. Basta viceversa dare
una rapida occhiata ai dati di pubblicazione delle opere in volgare (create
quindi per un pubblico più vasto e non necessariamente di cultura
accademica) per rendersi conto di come opere di taglio più scopertamente
e dichiaratamente ermetico e simbolico, abbiano avuto ristampe ed impressioni
assai meno frequenti.
D’altro canto, se il carattere di ricettari determinò in buona
parte il successo presso i contemporanei, nel contempo determinò
il pressoché totale stato di oblio presso i posteri. Questi, relegarono
frettolosamente opere di taglio simile nel regno dell’infanzia della scienza,
consegnandole ad un non meritato oblio.
Anche gli studi moderni sono, in merito al recupero di questo patrimonio
testuale e storico, abbastanza avari.
In particolare, non siamo a conoscenza di alcuna riedizione moderna,
né di alcuna citazione significativa del testo di Isabella Cortese,
né tantomeno di alcun approfondimento critico od indagine storica
in merito a questa alchimista.
Nel testo di Isabella Cortese troviamo una serie di topoi cari alla
letteratura ermetico-alchemica, ed un esempio tipico può essere,
tra gli estratti che presentiamo in questa sede, l’apertura del secondo
capitolo, in cui l’autrice proclama l’amara delusione maturata in trent’anni
di fallimenti, e la propria avversione per le trappole dell’oscuro linguaggio
alchemico (che tuttavia adopererà con dovizia crittografica e mano
esperta). Secondo questo topos sono proprio le drammatiche esperienze di
fallimento e le avversità subite a spingere l’autrice alla piana
(si fa per dire) e caritatevole esposizione che sta per prendere avvio.
Analoghe considerazioni e dichiarazioni le troviamo in Flamel, nell’anonimo
estensore della Lettera attribuita al Pontano, nel Sendivogio, in Bernardo
Trevisano, e, secoli dopo, in apertura dell’Hermes Devoilé di Cyliani.
L’alchimista che presenta il suo carico personale di peripezie e traversie,
unitamente alla riprovazione per i sofismi e l’oscurità dei testi
dei filosofi ed alchimisti precedenti ed accreditati, costituiscono una
formula fissa che e tradizionale con cui gli alchimisti legittimano spesso
la propria esposizione dottrinaria.
Altra formula fissa è quella dei consigli, autorevoli proprio
in virtù delle peripezie attraversate, qui presentati nell’altrettanto
tradizionale forma di decalogo.
Altro topos assai riconoscibile è poi quello del viandante (morto
o comunque scomparso nel nulla) che lascia libri, lettere o carte illuminanti
dietro di sé. Incontriamo questa topica in apertura del passo della
Cortese sulla Pratica di Prete Benedetto da Vienna, che risulta indirizzata
ad uno Stanislao di Cracovia.
I brani che presentiamo in questa sede sono scelti tra quelli che più
esulano dall’impostazione del nudo e semplice ricettario, presentando,
anche nella composizione di una semplice ricetta, precipitati simbolici
e filosofici che rivelano la sicura consapevolezza del contenuto tradizionale
della scienza alchemica.
Si è scelto di evitare il rimaneggiamento in linguaggio moderno
del testo, alleggerendo unicamente la punteggiatura, riportando all’uso
moderno l’accentazione ed operando pochi altri rimaneggiamenti su alcune
forme lessicali arcaiche. Ciò al fine di alleggerire l’approccio
al testo per il lettore moderno.
Sono state lasciate intatte le abbreviazioni alchimistiche di consueto
utilizzo, altre su cui l’interpretazione è incerta sono state riprodotte
in una forma il più possibile vicina all’originale. In particolare
ricordiamo che il segno è il segno dell’oncia, se seguito
da una s. (s.) significa semioncia (la metà dell’oncia). L’abbreviazione
lib. sta invece per libbra . Con iij. è stata invece resa una abbreviazione
(di peso) di incerta interpretazione assai usata dalla Cortese.
Intatto è stato anche lasciato l’utilizzo del simbolismo alchemico
planetario, che talvolta compare nel testo
Se qualcuno tra i lettori avesse notizie ulteriori inerenti il testo
o l’autrice, è pregato di contattare l’Alchemy Web Site.
Massimo Marra
--------------------------------------------------------------------------------
DE GLI SECRETI
DELLA SIGNORA ISABELLA CORTESE
Opere di Canfora
estratto dal
Libro secondo
Particolare di Chirico abbate di Colonia.
Capitolo 1
Dico a te Fratel carissimo, che se vuoi seguir l’arte dell’Alchimia et in quella operare, non bisogna che più segui le opere di Geber, né di Raimondo, né di Arnaldo o dì altri Filosofi, perché non hanno detta verità alcuna ne i libri loro, se non con figure et enigmati, con sincopi. Dice Geber Recipe lapidem in capillis notum. Io l’ho letto e riletto, e non trovo se non favole, e ciance ; e Raimondo dice nella sua epistola accuratoria : Recipe Nigrum nigro nigrius e quell’altro dice Ascende in monte altiorem huius mundi et ibi inveniens lapidem absconsium. Un altro dice Plumbum Nigrum aes nostrum, magnesia nostra e molte altre pazzie, che sarebbe lungo a narrarle, le quali fanno perdere il tempo e li denari. Et ho studiato in tali libri più di trenta anni, e mai non ho trovato cosa alcuna buona, et ho consumato il tempo e persa quasi la vita mia e li denari. Ma per la misericordia di Dio ho ritrovato un particolare buono e vero, e certo fatto per me, qual m’ha ristaurato non solamente nella robba, ma nell’honore e nella vita. E perché, chiarissimo fratello, so che hai perso molto tempo e consumato la robba, ho avuto compassione di te, e però ti priego non perdere più il tempo attorno di questi libri de’ Filosofi, ma segui quel che ti scrivo ; e non levare né scemare cosa alcuna, ma farai quel che ti dico e scrivo, e segui gli infrascritti commandamenti miei, e Dio ti darà la sua gratia. Il primo precetto si è che non lavori mai con alcun Gran Maestro, acciò, facendo l’opra buona, non habbi mal fine la vita tua.
Il secondo che tu facci fare quei vasi di terra e di vetro che ti scrivo,
che siano forti e ben fatti, acciò non si perda la medicina per
diffetto delli vasi debili.
Il terzo ch’ impari a conoscere tutti i materiali e metalli, perché
se ne fanno di sofistici, e non vagliono nulla.
Il quarto ch’avvertischi bene non dare troppo fuoco, né manco
del dovere, ma proprio come ti scrivo, acciò non falli.
Il quinto, ch’abbi un paio de mantici a tua posta, et altre cose necessarie,
acciò non vada per le mani del volgo.
Il sesto che se alcun ti domanda di alcuna cosa di quest’arte, fingi
di non intendere, e mai non lassar entrar alcun dove lavori.
Il settimo che ben impari a conoscere i metalli, massimamente oro e
argento, e non gli mettere in opera mai se prima non sono ben depurati,
per tua mano, di copella e di cemento.
L’ottavo, che non insegni questa arte ad alcuno, perché il revelar
de secreti fa perdere l’efficacia.
Il nono, ch’abbi un servitore fedele, e secreto, e buono d’anima, che
stia innanzi alla tua persona, e mai non lo lassar solo.
Il decimo et ultimo commandamento è che quando haverai compiuta
l’opera tua, habbi ad amare Dio glorioso, e che facci delle elemosine,
e facci bene alli poveri, e pregoti che osservi bene questi dieci commandamenti,
acciò possi pervenire a buon fine della tua fatica.
Fratel carissimo, tre cose scrivo che sono principij delle cose naturali
secondo il filosofo, cioè materia, forma e privatione. E per tanto
noi faremo questa nostra medicina di tre cose naturali, cioè materia,
forma e privatione, che sono corpo, anima e spirito. Per materia, s’intende
il corpo, per la forma s’intende l’anima, per la privatione s’intende lo
spirito. Perché, secondo che per la privatione si fa ogni generatione
e corrutione, così mediante lo spirito si fa l’unione, e si compone
del corpo e dell’anima, e questo vediamo nell’huomo. Adunque, come haverete
questi tre principi naturali, haverete la discussione del particolare,
tal che non potrete fallire, e questa è la vera via naturale e buona.
Adunque nel nome di Dio glorioso cominceremo a far il corpo, sì
come fece Dio eterno, che fece il primo huomo Adam, e prima fé il
corpo de limo terre, dapoi l’organizzò de spirito animale et sensibile,
dapoi gli infuse l’anima rationale, la quale è il compimento del
tutto ; così faremo noi questo nostro particolare.
Primo per far il corpo, faremo una terra spirituale, laquale col nostro
magistero faremo fissa, e questo è necessario, perché come
la terra mediante il moto del cielo produce tutti i frutti, così
la terra nostra mediante lo spirito e l’anima haverà a fruttificare,
e pertanto ben dice Hermes: la terra è nutrice et è humida,
e sappi che i Philosophi non hanno voluto rivelare questa tal terra qual
essa si sia , se non con parole oscure, et è terra nostra pura,
senza tenebrosità. E però bisogna che questa terra sia senza
alcuna superfluità, però è trasparente, e purissima,
altrimenti non potria ricevere lo spirito e manco l’anima, e non bisogna
che la terra di che si fa il corpo sia di natura d’anima, né di
spirito, perché non sarebbero tre cose distinte, delle quali poi
si fa una cosa, come vediamo nell’huomo, che’l corpo è d’una sostanza
della quale non è l’anima né lo spirito. Nondimeno per l’union
loro si fa una cosa.
Hora ti voglio nominare per nome questa santa terra, laquale nessun
Filosofo ha voluto rivelare, anzi più presto l’hanno cancellata
dalli lor libri, e sappi che questa terra si domanda Canfora, che è
quella che si vende vuolgarmente.
E sappi che in quella ci sono gran secreti, che per sua freddezza è
attissima a congelare in sé lo spirito e l’anima, perché
la congelatione procede dal freddo, e la solutione procede dal caldo. E
perché la Canfora è spirituale e brugia come fa il zolfo,
però la chiamano zolfo de Filosofi e non volgare. Et è dibisogno
che per artificio si faccia fissa in questo modo. Fissare Canfora:
Habbi buona acqua de vita senza flemma, e per ogni libra metti oncie
iij. di canfora della più trasparente e buona che si truovi, laquale
pesterai, e quando la vorruai pestare, pesta alquante mandole dolce prima
nel mortaio, e poi pesta la canfora, laquale metterai nella detta acqua
di vita in un orinale, e distillerai per cenere l’acqua, et un’altra fiata
ritornerai la detta acqua sopra la detta Canfora per sette volte, e sarà
fissa.
Perché gli spiriti dell’acqua vita entrano per tutto e fissano
la Canfora, che più non bruciarà né sollimerà,
né esalarà e così haverai il corpo ben preparato.
Servalo a parte benissimo, e perché l’anima da sé non opera
senza il corpo, ha bisogno di un corpo. E come l’anima dell’huomo non è
quella che opera manco il corpo, ma il composito mediante lo spirito, così
questo nostro spirito non ha frutto senza l’anima, e l’anima senza il corpo,
però mediante lo spirito qual’ è sostanza mezana, argento
vivo, senza cosa strania, cioè:
Piglia libbre iij. d’argento vivo minerale, che non sia né di
piombo né di stagno, e farai fare un vaso di terra ben cotto, cioè
due volte, e quando serà cotto la prima volta fallo invitriare tutto
eccetto il fondo, quale ungerai con il grasso di porco, e non si invitriarà,
e ciò farrai acciò la parte terrestre dell’argento vivo s’attachi
nel fondo del vaso, che se fosse invitriato non s’attaccherebbe, e non
preterire questo, e farai fare questo vaso longo un buon piede a modo di
un orinale, ch’abbia un pippio nella sommità, com’è disegnato
in fine di questo trattato, et habbi un forno fatto a posta. Che questo
vaso vada murato dentro, nel fornello, e metti su il vaso col buon capello
grande col suo recipiente, senza lutare, e dagli fuoco de carboni, tanto
che l’vaso sia tutto infuocato e ben rosso.
Allhora cava fuori il fuoco, e presto metti su il mercurio per quel
pippio e serra ben il pippio con luto et allhora l’argento vivo per la
fortezza del caldo che truova così repentino si corromperà
e dileguarà, e parte verrà in acqua, cioè alquante
gocciole, e parte se n’attaccherà al fondo del vaso in terra nera,
e lasserai raffreddare il vaso, e poi aprilo, e troverai l’argento vivo
tutto nero, quale cava fuori e ben lavalo. E così lava il vaso e
nettalo molto bene, e l’acqua distillata metti da banda o buttala via,
che non val niente, che è tutta flemma, et un'altra volta metterai
il vaso nel fornello, e infuocalo come prima. Poi butta su l’argento vivo
e serra ben il pippio, e fa come la prima volta, e ciò farai tante
volte che più non diventi nero, e ciò farai in dieci o undici
volte, allhora cavalo fuori e troverai il tuo argento vivo senza flemma
e senza terra perché ha queste due qualità grosse et infime,
però è necessario separarle come i nemici della natura, e
restora l’argento vivo puro in colore celestino in modo d’azzurro, il quale
sarà questo segno.
Prendi un ferro et infuocalo, poi estinguilo in questo argento vivo,
e diverrà bianco e dolce come argento fino, allhora mettilo in una
ritorta di vetro fra capelli, che non tocchi il fondo né la sponda
delli capelli, e li darai buon fuoco, di sotto, e con cenere calda di sopra
il capello, accioché tenga meglio il fuoco, et in quaranta hore
si distillarà l’argento vivo in forma d’acqua viscosa che non bagna
la mano né cosa alcuna se non il metallo. E questa è l’acqua
vita de Filosofi vera, spirito desiderato da tutti i Filosofi e dicesi
sostanza mezzana dell' argento vivo, e molti altri nomi, senza cosa estranea
e senza corrosivi.
Serba quest’acqua preziosa occulta da tutti i Filosofi senza laquale
non si può fare nessuna buona opera, e lassa andare tutte le altre
cose, e tieni questa, e ciascuno che vedrà quest’acqua, s’haverà
qualche pratica si tenerà a questa, perché è pretiosa
e vale un thesoro, si che lauda Dio in tal thesoro donato, il qual sia
donato da tutto il mondo sempre mai.
Resta hora a fare l’anima, laqual è perfettione di tutto, senza
laquale non si può far né vero oro né argento. Certo
è che con il spirito si può fare cosa apparente e bella,
ma non vera né perfetta, et dicono i Filosofi che l’anima è
la sostanza che sostiene e conserva i corpi e fagli perfetti mentre che
v’è dentro, adunque è necessario al nostro corpo una anima;
perché altramente il corpo non si muoverebbe né operarebbe.
E però sappi che tutti i metalli sono composti di mercurio e zolfo,
cioè di materia e forma. Il mercurio è la materia et il zolfo
è la forma, secondo la purità et l’impurità del mercurio
e dello zolfo, mediante l’influenza che pigliano. E per questo l’oro è
generato di argento purissimo e zolfo rosso è puro mediante il Sole,
e però è il più perfetto metallo di tutti e l’argento
è fatto di e di zolfo bianco, mediante l’influenza della Luna,
e però è più perfetta degli altri cinque, e non habbiam
bisogno se non di zolfo con l’influenza del Sole, overo della Luna. Il
qual zolfo è forma et anima dei metalli, et il resto è materia
grossa dell’argento vivo.
I contadini sanno più di noi, tal hora, perché quando
cogliono il formento nato nella terra, lo raccoglieno colla sua paglia
e spiche; la paglia e le spiche sono la materia, et il grano si è
la forma e l’anima, e quando vogliono seminare il grano non seminano la
materia, cioè la paglia, ma il grano, che è la forma, onde
bisogna che ancora noi volendo seminare oro o argento bisogna seminare
la sua semenza e forma, e non la sua materia, e però bisogna fare
la sua forma et anima in questo modo con l’aiuto di Dio, cioè: farai
un sollimato buono e trasparente, cioè sette volte sollimato, e
l’ultima volta il sollimarai con cinaprio e senza vitriolo, e piglierai
una certa quinta essenza del zolfo che è nel cinaprio, poi piglia
i. d’argento finissimo coppellato e limalo sottilmente. Poi piglia iij.
del detto sollimato e mettilo a sollimare con la detta limatura in una
boccia per sedici hore, e lassa raffreddare, e trita ogni cosa insieme,
e un’altra volta sollima. Così farai quattro volte, e nella quarta
si farà una certa rotella al modo d’ una materia di ragia bianca
trasparente com’una perla orientale, la quale peserà circa dramme
s. et il sollimato starà attaccato alle sponde del vaso, et in fondo
sarà a modo d’una caligine laquale è la corrutione dell’argento.
Prendi questa rotella e dissolvila in aceto fortissimo distillato,
perché si dissolverà in due o tre volte, mettendo in un orinale
in bagno per tre dì, e così metti da canto, e di nuovo rimetti
dell’altro aceto distillato, fin che tutta sia dissoluta, poi distilla
per feltro, e quel che rimane nel vaso serva, perché è buono
per imbianchir il rame finissimo. E quello che è passato per feltro
con l’aceto metti alle ceneri, cava l’humidità a fuoco lento e levarai
l’aceto, poi metti al sole e diventarà bianchissimo, com’una farina
d’amito, e questo sarà la forma dell’argento, overo zolfo, il quale
peserà quasi un quarto d’oncia, più tosto più che
meno, e questa passerai per lambicco, con acqua vita, ma non bisogna perché
questa materia è opera spirituale.
Serbala adunque benissimo, della quale si potriano dir cose grandi,
e speculative, ma ciò lassarò al tuo ingegno.
Piglia co’l nome di Dio un orinale alto mezzo piede , e togli del corpo
fisso s. et un quarto d’anima d’argento, overo d’oro, secondo il tuo volere
e dello spirito, iij. mettendo ogni cosa nell’orinale come t’ho detto,
e metti su il suo lambicco con il suo recipiente ben serrati, e li distillerai
l’acqua da dosso, con lentissimo fuoco, e si distillerà la prima
volta quasi iij., rimetti un’altra volta l’acqua senza muover l’orinale,
et un’altra volta distilla finché più non distillerà;
e ciò serà fatto alle sei, overo alle sette volte, et ogni
cosa serà fissa, poi metterai il detto orinale nel letame cavallino
per sette dì e tutto diventerà acqua, per virtù della
sua sottilità, laquale distillerai per feltro con lingua di panno
finissimo e sottile, e parte del corpo resterà nel fondo per la
sua grossezza che non val niente. E tutto quel che serà passato
per feltro, congela, che sarà circa iij.s. e così solvi e
congela tre volte poi fondi x. d’argento fino coppellato, e quando sarà
fuso metti su, i di questa medicina, e diventerà tutta medicina.
Similmente fondi borace, cera, e della detta medicina ana, i.
e metti tutto questo sopra libbre iij. d’argento vivo o sopra che corpo
tu vorrai, e sarà argento vivissimo, ad ogni giudicio, e così
si farà dell’oro.
E così è finito questo particolare, il quale si può
fare in quaranta giorni a chi ha buona pratica, e sa ben sollecitare l’opera,
ringraziato sia Iddio.
--------------------------------------------------------------------------------
Pratica di Prete Benedetto da Vienna
In Olmuz, un viandante m’alloggiò in casa, e per sua mala ventura infermò, e non poté pervenire a Cracovia, dove era mandato, che di quella infermità si morì in casa mia, e lasciò le littere che portava, lequali io aprì, et eran così scritte.
"Al discreto et erudito huomo Stanislao, moderatore del collegio de
scolari. In Cracovia amico carissimo.
Sempre dopo che mi partì da voi ho avuto nell’animo la dolce
et amorevole vasta conversazione, e mettendomi a lavorare, come è
piaciuto a chi può far ogni cosa, io son pervenuto alla cognizione
della verità dell’arte nostra, e per l’amore che vi porto ho voluto
per il presente messo mandato a posta, significarvi et avisarvi della allegrezza
mia, facendovi partecipe di quella, che tutto l’ordine et il progresso
haverete nelle presenti mie lettere.
Tanto vi prego che saviamente vogliate operare a non manifestare questo
divino secreto a qualche pazzo che usar lo possa in mala parte, e voi riconoscerete
questo dono da Dio, e non da me, e fate che vi siano raccomandati i poveri,
e state sano.
Vostro quanto fratello Benedetto
La compositione si fa di tre cose, cioè corpo, spirito et anima,
io bene mi ricordo amico carissimo, che i due avete ben conosciuto, ma
il terzo totalmente v’era incognito, cioè l’anima.
Adunque fratello et amico carissimo, vi rivelo hora il secreto de tutti
i Filosofi almizadir, zolfo de Filosofi, argento vivo, acqua dolce onde
è il verso:
Salza il fetor ingrato, e fa ogni membro albato
Risolve e ben licora, purga ogni cosa ancora,
E vieta il fuoco retto, fuggitivi tien stretto
E nulla senza sale, pratica nostra vale
Ancora altri versi
L’arte sta in acqua pura, et altro non far cura
Genera la tentura, cosa c’al fuoco dura,
Mercurio strugger suole, ogni fogliato Sole,
Lo dissolve e fa’l molle, l’alma del corpo il tolle,
E dopo lo congela, a chi Dio lo rivela.
Il modo di cavar l’anima di Saturno è questo. Piglia libbre i.
del detto pianeto nuovo e calcinato molto bene e sottilmente, poi si triti
sottilissimamente, e la polvere si ponga in un orinale di vetro. Poi habbisi
dell’aceto fatto di un bianco puro, e distilli per il lambicco due o tre
volte, e della detta distillatione si metta nel detto orinale, sopra, il
saturno calcinato, che di tre dita gli stia di sopra, poi pongasi il detto
vetro nel bagno di Maria e sia ben coperto, e tengasi ivi a putrefare per
cinque giorni, ogni dì più fiate, con un bastoncello mescolando
la detta materia per la gravezza sua. Il sesto giorno cavisi il vetro con
la materia fuori dal bagno, e pongasi sopra uno scanno, mettendogli di
sotto qualche cosa molle, e lascisi riposare, che la materia della polvere
venga a far la residenza.
Allhora sopra pongaglisi il ricettacolo con l’acqua pura distillata
sopra le ceneri calde, acciocché l’humidità dell’aceto venga
ad evaporarsi, et evaporata l’humidità sopra’l fuoco lento, ne troverete
l’anima d’esso pianeto così cacciata bianca, dolcissima e ponderosa,
e così perfettamente preparata, e questo è quello che hanno
nascosto i Filosofi con tanti diversi nomi nell’opere loro di questa arte
benedetta.
Ma notate che vi bisogna havere una bona quantità d’aceto distillato
sopra libra una del pianeto, e cacciare come si disse.
Ancora vi bisogna havere una buona quantità dell’anima, overo
del mercurio de Filosofi, a far l’opera, acciò nel mettere e nel
augumentare la tentura siate ben provvisto. Dunque disponetevi tre o quattro
libre di calcinato, ma sempremai si ponga libra una solo in un vetro,
et un’altra libra in un altro vetro, e così si vada operando, per
il gran peso di che si mette.
Nota, quando la materia verrà all’albedine, se vi volete fermare
in via particolare, allhora, senza giongervi mercurio, accresci il fuoco
fin che la materia si vedrà essere fissa. E se pur volete augumentare,
allhora dividete la materia per diversi vetri, et aggiongetegli più
della materia volatile, o se vorrete augumentare , vediate quando la materia
è mezzo fissa, così è meglio.
--------------------------------------------------------------------------------
Tintura e sbiancheggiamento cap. I
Piglia una libbra d’inchiostro romano, pestalo grossamente , lo metterai
a distillare in un vaso di vetro con lento fuoco et caverai l’humidità
et quella come cosa inutile, getterai et pesterai le feccie che rimarranno
sul fondo, et le ridurrai in sottilissima polvere. Dapoi piglierai acqua
ardente senza flemma et in un ampolla di vetro la infonderai sopra il detto
inchiostro, et farai che quella gli nuoti sopra la misura di due dita,
et mescolerai bene insieme tutte le cose, et le lascerai fino a che la
detta acqua si colori, et essendo colorata, la caverai et in vetro la riponerai,
et ben coperta la conserverai. Dapoi ne infonderai dell’altra, et essendo
colorata la debbi cavare, et così tante volte farai finché
tu vedi che l’acqua esca chiara dalle feccie. Allhora cavarai le ditte
feccie bianche dall’inchiostro, et le conserverai per sbiancheggiare il
metallo. Finalmente pigliarai sole et luna di peso uguale et le farai liquefare
insieme nel fuoco, et le ridurrai in sottilissime lastre, et quelle, infuocate,
estinguerai nella sopradetta colorata acqua, et questo trenta o quaranta
volte tu farai, dapoi lascerai in acqua forte, accioché si dissolvano,
et lasciarai, et si calcinano, dapoi cavarai l’acqua per lo lambicco, et
nel fondo haverai la calcina, che vi resta sopra, la quale spargerai quella
colorata acqua, et distillerai lo lambicco, et rimarrà lo spirito
dell’inchiostro nella calce et sarà colorata, la quale piglierai
così colorata et la metterai in un vaso di terra bene impegolato,
et per lo spatio di hore dodici lascerai stare al fuoco de carboni, et
fuoco tanto modesto usarai che non sia consumato, finalmente la gittarai
in verga et haverai oro de ventisei caratti.
A fare che tutte le cose sofistiche dure siano molli cap. V
Infondi in oleo comune dieci volte volte in piombo liquefatto, et estingui
nel detto oleo dieci volte le lastre infuocate del sofistico.
Oro potabile cap. XVIII
Piglia libre X de ottimo vino, e distillalo per lambicco, e cavane solamente
una libra, dapoi lava il lambicco e rimettici nuovo vino, pur libre X.,
sopra ilquale rimetterai quella libra d’acqua, e ristillala ricavandone
una libra sola, e così farai la terza volta con nuovo vino, e ne
ricavarai una libra solamente.
Poi togli una boccia co’l collo lungo assai, e mettivi quella libra
d’acqua, e li porrai un’altra boccia di sopradetta mezzo mondo, e mettila
nel letame per quattro dì. Poi piglia della detta acqua, i. di zuccaro
candido, e sarà buona, dapoi metti a lambicco la detta acqua e dentro
gli metti x. pesi d’oro in foglia, e lassalo stare per quattro hore, poi
distilla per bagno Maria, e, di fatto, non asciugare le feci, e così
serva da parte in doi vasi.
A cavare il mercurio dell’antimonio cap. XXIII
Soblima il regolo dell’antimonio con altrettanto sale armoniaco, pestati
et incorporati, e soblimagli; pesta poi il soblimato sopra il marmo con
oleo di tartaro, et tu vedrai a separarsi esso mercurio, dal sale e dall’olio.
Se lo vorrai augumentare, pesta il regolo ben trito con esso mercurio,
et olio di tartaro, et così tu vederai esso in infinito riducersi
nel suo mercurio, imperoché tutto quello che aggiongerai prenderà
il corpo .
Tintura 22 K. capXXX
Piglia Sole et Luna di ugual peso, e altretanto di ferreto Spagnuolo,
et incorpora aggiongendo al peso di tutte queste cose sale armoniaco, et
il tutto soblima con lento fuoco per lo spatio di un giorno, e così
tre volte tu debbi fare: dapoi piglia la materia che è nel fondo
del vaso, et con cera rossa riducila in pillole, et in corpo, et
22 K. haverai.
Girolamo Ruscelli Proemio ai Secreti nuovi di maravigliosa virtu (Vinegia
1567).
Transcribed by Massimo Marra
Back to Italian section
--------------------------------------------------------------------------------
GIROLAMO RUSCELLI – Proemio ai Secreti nuovi di maravigliosa virtu (Vinegia
1567)
I Secreti nuovi di maravigliosa virtù di Girolamo Ruscelli (Viterbo 1500 circa\Venezia 1566) escono a Venezia nel 1567, dopo la morte dell’autore, quando il presunto segreto dell’identità del misterioso Don Alessio Piemontese è ormai dissolto. Le raccolte di Secreti firmate dal Ruscelli sotto lo pseudonimo di Alessio Piemontese sono, a cavallo tra il XVI ed il XVII secolo, probabilmente, le più diffuse in assoluto. Decine di edizioni in italiano, latino, tedesco, inglese e francese testimoniano il sicuro successo di quello che più di uno studioso ha identificato come vero e proprio prototipo di quei "libri di secreti" che tanta fortuna ebbero in questo periodo.
Intellettuale prolifico e dai molteplici interessi il Ruscelli curò l’edizione italiana della Geografia di Tolomeo, curò (assai spesso per l’importante editore veneziano Valgrisi) opere di poeti italiani (Ariosto, Boccaccio, Petrarca), scrisse autorevoli saggi sulla lingua italiana e, seguendo una moda diffusa tra gli intellettuali del tempo, un libro sull’ermeneutica delle Imprese.
Riservò solo ai suoi libri di Secreti (quasi come ad operette marginali nel quadro della sua produzione) lo pseudonimo di Alessio Piemontese. Pure, tra tutte le opere attribuite al geniale poligrafo, sono proprio queste raccolte di ricette e di Secreti ad ottenere un successo ed una diffusione con pochi precedenti.
Il proemio ai Secreti nuovi di maravigliosa virtù che trascriviamo di seguito ha un importante valore storico-documentario, poiché rappresenta una organica testimonianza dell’esistenza di una Accademia di carattere precipuamente alchemico nel regno di Napoli in pieno XVI secolo. La descrizione, non scevra da riferimenti di chiaro contenuto simbolico, rimanda ad un ambiente intellettuale assai fertile e probabilmente identificabile. Intorno al 1541 il Ruscelli si trasferisce dalla residenza romana del cardinale Grimani, nella residenza napoletana del marchese Alfonso D’Avalos. Con una ricostruzione puramente indiziaria ma non improbabile l’Eamon collega il Ruscelli all’ambiente intellettuale e scientifico raccolto intorno alla corte del principe di Salerno Ferrante Sanseverino, alleato politico del D’Avalos contro il comune nemico rappresentato dal viceré spagnolo Pedro da Toledo.
Purtroppo intorno all’accademia descritta dal Ruscelli, non abbiamo altre testimonianze. Nonostante ciò risulta spontaneo l’accostamento analogico con l’Accademia Dei Segreti che, intorno agli anni ’60 del secolo, il giovane Giovan Battista Della Porta fonderà e dirigerà a Napoli .
La trascrizione del brano che segue è stata eseguita con criteri conservativi, essendo rimaneggiata solo la punteggiatura.
Massimo Marra
Bibliografia essenziale: W. Eamon – La scienza e i segreti della natura. ECIG, Genova 1998
N. Badaloni – Fermenti di vita intellettuale a Napoli dal 1500 alla metà del ‘600 in Storia di Napoli, vol V tomo 1 pp.641\689, Napoli s.d.
M. Marra – Il Pulicinella Filosofo Chimico – uomini e idee dell’alchimia a Napoli nel periodo del viceregno, MIMESIS, Milano 2000
Girolamo Ruscelli – Secreti nuovi di maravigliosa virtù. Vinegia
1567
PROEMIO DEL SIGNOR IERONIMO
RUSCELLI
NELL’OPERA SUA DE’ SECRETI
A’ LETTORI
Quando io habitava nel Regno di Napoli, pochi anni innanzi ch’io venissi a Venetia, in una illustre città di quella provincia, trovandomi nella compagnia di XXIIII persone particolari & con esse il Principe & Signor della terra, si diede principio ad una onorata Accademia Filosofica la quale, per molti degni rispetti volsero che fusse & si chiamasse secreta, la quale andò tuttavia procedendo felicemente di bene in meglio con gli ordini & con l’operationi che qui compendiosamente si narreranno.
Primieramente noi fummo XXIIII compagni particolari, tre Signori & capi nostri, cioè il Principe Signor della Terra, un suo parente et un ministro, che tutti insieme eravamo al numero di XXVII, numer perfetto & d’altissimo misterio appresso i più eccellenti Filosofi gentili, ma anche da savi Teologi.
Di tutti XXIIII huomini sette erano Cittadini nativi della città propria, sette di diversi luoghi d’Itali, sette Oltramontani di diverse Province, uno Schiavone, un Greco & uno Ebreo di Salonichi, vecchio & che più volte era andato di Levante in Christianità.
Li sette cittadini della città erano tutte persone di Studi & di lettere di Filosofia, & tutti accomodati di beni della Fortuna, di modo che fra tutti havevano da nove mila scudi d’entrata. Cinque di loro erano senza mogliere & senza figliuoli. Il sesto la haveva, ma sterile di ventisette anni. Et il settimo haveva una sola figliuola maritata a persona comodissima & conforme al suo grado.
De’ quattordici forestieri nove erano ancora essi accomodati de beni della Fortuna alle patrie loro, et vivevano onoratamente de’ loro denari che si facevano venir da casa per li ministri lavoranti & servitori & per ogni altra cosa che si dirà qui seguente.
Li tre altri erano senza alcuna entrata o facultà, ancora che per se stessi s’essercitassero in alcune onorate operationi da guadagno, & la nostra compagnia non mancava di supplir loro a quanto bisognava.
Li sette Cittadini della città s’erano da loro stessi tassati a contribuire ciascun d’essi settecento scudi l’anno, & delli sette altri d’Italia due di loro non havevano da poter contribuire a spese comuni.
Gli altri quattro s’erano tassati volontariamente a metter l’anno cento scudi per uno, & cinquecento fra tutti loro ne volevano contribuire ogni anno i facoltosi Oltramontani.
Ma la compagnia sì per esser essi forestieri, sì ancora per far tra essi & gl’Italiani il numero di sette, non volle che essi mettessero più che trecento scudi fra tutti insieme.
Il nostro magnanimo Principe contribuiva mille scudi ogni anno, & altri mille ce ne aveva conceduti sopra d’un Datio, che, incantandosi ogni anno, colui a chi restava s’intendeva d’esser obligato a pagar questi mille scudi in più che venivano alla nostra compagnia. Ma perché ella si faceva secreta, si riscuotevano detti mille scudi sotto altro nome per terza mano.
Il ministro di sua eccellenza & il parente, contribuivano cento scudi per uno l’anno.
Onde in tutto la nostra compagnia haveva da spendere ogni anno ordinariamente cinque mila scudi, oltre a qualche migliaro che se ne guadagnava nel modo che si dirà appresso.
Avevamo poi per ministri & serventi due spetiali, due Orefici, due profumieri, un dipintore, Quattro Erbolarij & Simplicisti intendenti i quali tutti, per essere persone bisognose, si tenevano a spese continue della compagnia & a’ convenevoli salari, & stavano contentissimi essendo ancor’essi persone di bell’animo & desiderosi d’imparare & d’acquistar virtù.
Erano poi deputati i serventi da fatica in due parti.
L’una che attendeva solamente alla cura della casa ove si mangiava, provvedendo alla cucina, all’apparecchio delle tavole, al far di letti & a tutt’altre cose necessarie per il vivere di tutti i ministri & operarij della Filosofia & di se stessi.
I compagni mangiavano & dormivano tutti alle case loro. Et solamente ogni primo dì di ogni mese si radunavano a ricrearsi tutti insieme la mattina a desinare nella detta casa commune a tutti.
L’altra parte de’ serventi era deputata tutta al servitio & ministerio della Filosofia, come al portare acqua, pestare, macinare, fabricar forni & altre tai cose, attendere ai fuochi, lutar vasi, far luti, crivellar ceneri, far capitelli, nettar i vasi & le stanze, & tutti gli altri servitij di fatica necessari in tal Filosofia. Et a questi tutti stavano sopra intendenti, & comandavano i sopradetti spetiali, orefici & profumieri & dipintori, secondo che erano le cose che si venivano facendo. Cioé se erano cose di spetiarie, l’ordinava gli spetiali, se di profumerie i profumieri, se di colori i dipintori & così l’altre, non mancando ancor’essi soprastanti di metter le mani lietamente & d’adoperarsi dove bisognava.
Il nostro benignissimo Principe si aveva posto da se stesso, generosamente, obligo di volersi trovare ogni prima Domenica di mese ad una general congregatione che noi facevamo, ove si narravano & mostravano tutte le cose che in tutto il mese precedente si erano fatte. Et fin allora per certo non haveva mai in diece anni mancato se non sei volte per giustissimi impedimenti. Ma tuttavia haveva voluto sempre supplire con venirvi poi una dell’altre Domeniche o feste che havevano seguito appresso.
Il parente & il ministro di sua Eccellenza havevano obligo volontario di venir’alla filosofia (che così fra noi chiamavamo la detta nostra casa comune) una volta la settimana. Ma perché erano signori che si dilettavano, vi venivano molte volte più delle lor’obligationi & erano quasi così continui come ciascuno di noi. I quali per volontà & per obligation non lasciavamo mai giorno che non vi andassimo. Ben’è vero che all’andar nostro non era prefissa ora particolare, & potevamo andare a qual’ora ci piaceva & starvi quanto volevamo, Vedendo & intendendo da quei soprastanti quello che si era fatto & che si faceva, & ordinando noi o di commune consultatione fra tutti o fra alcuni di noi, o ancora ciascuno di noi quello che particolarmente ci pareva di voler provare & mettere in opera. Ma dovendosi qui per satisfattione de’ Lettori soggiungere gli ordini et l’operationi della detta nostra compagnia, sarà bene che primieramente si narri qual sia stata l’intentione del generosissimo nostro Principe & nostra, in fondare & continuare questa nostra onestissima & felicissima compagnia.
L’intention nostra era stata primieramente di studiare & imparare noi stessi, non essendo studio né altro essercitio alcuno che più sia vero della Filosofia naturale, che questo di far diligentissima inquisitione & come una vera anatomia delle cose & dell’operationi della Natura in se stessa. Et aiutata dall’arte si vede aver’avuto origine & accrescimento la Medicina & tante altre arti importantissime alla vita Umana & all’ornamento del mondo. Et insieme con questa dilettatione & utilità nostra noi avevamo parimente caro di far beneficio al mondo in generale & in particolare, con ridurre a certezza & a notizia vera tanti utilissimi & importantissimi secreti d’ogni sorte & per ogni qualità di persona, così ricca & povera, Dotta & indotta, & maschio & femina, gioveni o vecchi che essi sieno.
Et però primieramente in tutti questi anni attendemmo di continuo a fare esperienze di tutte le sorti di secreti che in libri a stampa o a penna, così antichi come moderni potessimo ritrovare.
Et nel far tale esperienze abbiamo tenuto & tenemmo un’ordine & un modo che non si può forse trovare né imaginare il migliore, come appresso si narrerà.
Et di tutti quei secreti & esperimenti che abbiamo trovati esser
veri con farne di ciascuno tre esperienze, nel modo che si dirà
più basso, noi, per comandamento del nostro Principe et Signore,
facemmo scelta d’una parte, cioè di quelli che sono più facili
da farsi da ciascheduno, di minore spesa & più da esser cari
ad ogni sorte di persone generalmente, & così li mando hora
in luce a beneficio et dilettatione commune d’ogni bello ingegno che se
ne diletti & che stia per avergli cari.
Descrittione della casa o lavoratorio chiamato da noi per
suo nome proprio la FILOSOFIA
Il Nostro benignissimo Principe fin dal primo giorno fece dono alla nostra compagnia d’uno spatio di terreno ove erano alcune case diverse in uno di migliori luoghi della Città sua, che è non in tutto in piazza & nella strada principale, né ancora molto lontana dalla piazza & dal palazzo di sua Eccellentia.
Tira questo spatio di terreno per lunghezza, cioè, per quella parte che vien secondando la strada ove egli è, cinquanta braccia ordinarie come quelle da panni o tele, che quasi per tutta Italia sono ad un modo o con poca differenza fra loro. Per larghezza poi tira vent’otto, onde viene ad essere di forma più lunga un terzo che larga, & è poi in isola, cioè distaccato & discosto da ogn’altra casa, & per ogni suo lato ha una strada.
Questo spatio, buttandosene in tutto a terra le case vecchie che vi eran prima, fu da noi, con i tre quarti della spesa o denari del nostro Principe, & un quarto de’ nostri, fabricato in questa guisa.
Primieramente si hebbero tutte queste considerationi & intentioni.
La prima, che la fabrica fosse bellissima così di dentro come di fuori quanto più sia stato possibile.
La seconda che fosse comodissima per quattro sorti di genti, cioè per quei che servono di continuo alla Filosofia o lavoratorio, per quei che servono poi a detti serventi & a se stessi nel mangiare & nell’altre cose. Per li compagni che venendovi stiano in luoghi allegri & comodi così di verno come di State. Et per essi compagni o qualche altra persona & in buon numero che per giorni o settimane o mesi volessero abitare in quella casa per trovarsi più continui all’operationi.
La terza che il lavoratorio stesse in parte di detta casa che fosse accomodatissima per ogni suo bisogno, fosse allegra, fosse sana & sopra tutto fosse remota & quieta in modo che né da coloro che passano per le strade, né ancora da quelli che venissero a diporto o spasso nel giardino & nell’altre stanze, Né da alcuni altri potessero esser veduti o uditi quei che lavoravano, se non dai compagni o da quelli soli che essi compagni & il Principe volesser menarvi,
Et qui si dichiara, gentilissimi Lettori, che se ben tal nostra compagnia si chiamava & si teneva Secreta, questo non si faceva però perché Né il nostro prudentissimo Principe né alcun di noi si curasse che ella non fosse parimente pubblica. Anzi l’intentione di sua Eccellenza & nostra era che fra pochi anni ella si manifestasse, & si pubblicasse a ciascheduno come cosa virtuosissima & onoratissima & degna di muovere a nobilissima sua concorrenza ogni vero Signore o Principe nello Stato suo, & ogni bello & sublime ingegno.
Ma noi l’abbiamo voluta così secreta per qualche tempo per alcuni nostri degni rispetti, & ancora perché mentre ella si è venuta riducendo a perfettione potessimo farlo più quietamente, senza essere ad ogni ora disturbati & impediti o inquietati da questo & quello che corresse a voler vederla. Et sopratutto ci parve cosa degna di persone di studij il voler che prima il mondo vedesse & sentisse i frutti delle nostre operationi, che i romori & le promesse stravaganti come molti fanno. Nella nostra compagnia era ordine & giuramento che niuno potesse nominarla né farne motto con alcuna persona se prima non se ne avesse licenza dalla Compagnia, ove però non usavamo ballottationi, che si convengono solamente a Repubbliche o a Principi, ma così a bocca piacevolmente dicendosi da ciascuno il parer suo si conchiudeva quasi sempre conforme all’intentione di chi l’aveva proposta. Et era questo nostro ordine così ben osservato con ogni tranquillità d’animo di ciascuno, che il nostro clementissimo Principe & Signore della casa in tutti quei diece anni non ha voluto menarvi se non tre sole persone, fra le quali furono l’illustrissima Signora sua Consorte & una illustrissima sua sorella. Et l’altro fu un signore francese dottissimo & che sommamente si dilettava di generosamente filosofare. Et a tutti si dava il giuramento, non però sopra nome di Dio né di cose sacre, ma sopra l’amore e la gratia del nostro Principe & sopra la persona che essi più amavano, di non manifestare mai ad alcuno tal nostra compagnia senza haverne prima licenza a bocca o per lettere dal nostro Principe.
I medici tutti della città ne havevano notitia, ma non potevano né essi né altri venirvi mai se non vi erano condotti da alcuni dei nostri, con averne licenza in prima da tutta la compagnia come s’è detto. Et havevano il medesimo giuramento sopra l’amore & la gratia del nostro Principe di non farne motto ad alcuno senza la licenza nostra, come tutti gli altri.
Ora, la detta casa o Filosofia nostra, per aver tutte le sopradette qualità & comodità, fu fabricata in questa maniera. Primieramente dalla parte davanti che era nella strada più larga, & si è detto che tira cinquanta piedi, vi erano tre porte. L’una in mezo più grande di tutte & due dalle teste, minori che quella di mezo ma equali fra loro, & erano fatte tutte con bellissima forma et fattura come è ancor fatta tutta la facciata. Tutte tre queste porte havevano dentro di loro alcuni volti che facevano lo spatio dell’entrata di dentro et erano in altezza venti braccia, in larghezza, cioè da man manca & da man dritta, braccia quindeci, et in lungo, cioè procedendo oltre secondo la faccia di chi entra & camina dritto, è lo spatio di dodici braccia. Et in ciascuna d’esse nel mezo era la scala a lumaca quadra, larga & lustrissima, che conduceva nelle stanze di sopra. A terra piana fra dette porte erano stanze belle & ben fatte per abitatione onoratissima & comodissima la State & anco il verno, le quai stanze hanno finestre serrate sopra la strada & altr incontro a quelle, cioè dall’altra parte loro, che escivano sopra il cortil scoperto che diremo appresso, & ciascuna d’esse haveva l’entrata o l’uscita per una porta in detto cortile o chiostro scoperto, & un’altra porta era nell’anditello o spatio sopradetto che era sotto i volti delle porte della casa. & di queste porte interiori di dette camere a terreno, una serviva a tre stanze, entrando poi quelle d’una in altra per quella via, ma havendo ciascuna l’altra porta sua che esce nel già detto cortil o chiostro. Et il solaro di sopra era tutto corrispondente a quello di sotto in quanto all’haver fenestre da due bande ancor quelle stanze come quelle di sotto.
Ma perché questo disopra avanzava i tre spatij degli anditelli coi volti alle tre porte della casa, era diviso altramente, havendo in mezo una molto gran Sala, & benissimo proportionata, & un’altra sala minore havendo per ciascuna testa, però con camini da fuoco da poter anco servir per camere in ogni tempo. Et dalle bande di queste tre scale & fra l’una & l’altra erano poi camere bellissime, grandi & ottimamente proporzionate d’ogni ornamento & comodità possibile.
Et sopra questo secondo solaro ne era un terzo, tutto corrispondente a esso secondo o di mezo, se non che era alquanto più basso.
Onde questo primo quarto di tal nostra casa, oltre all’esser bellissimo, era poi comodissimo & da potervi abitare a i bisogni Principe con molta gente, & similmente da potersene accomodare in qualche parte alcune persone forestiere che o il Principe o la Compagnia volesse onorarne, essendo però egli persona che si dilettasse di Filosofia et havesse cara la conversatione della nostra Compagnia per qualche giorno. Oltre che l’havevamo fatto perché il nostro Principe havesse cagione di venirvi alcune volte a tenerci tutti ricreati et condurvi tutte quelle persone che a Sua Eccellenza erano in grado, & anco per farvi spesso tutti noi, o la maggior parte, alcune filosofiche recreationi, & perché quando pur la nostra compagnia & Filosofia si manifestasse si vedesse una stanza che da ogni parte dilettasse & si facesse conoscere per degna di persone di non basso ingegno.
Questo già detto adunque era u quarto giusto di tutto lo spatio della nostra Filosofia tirato in lungo, cioè dalle mani destra & sinistra di chi entra dalla facciata principale.
L’altra quarto, giustamente tanto lungo & largo quanto tutto il già detto palazzo primo, era conceduto ad un cortile o chiostro scoperto, ove da una banda erano tre scale benissimo collocate che ancor quindi conducono al detto palazzo, cioè al solaro di mezo, accioché quei che stavano in detto cortile & quei che stavano in detto solaro potessero comodamente salire et scendere a talento loro.
Oltre che quelle porte, onde poi s’entrava dalle scale nelle lor Sale, davano loro gratia et bellezza maggiore.
In questo cortile all’altra facciata del muro che era incontra o dirimpetto a quello del palazzo, erano tre porte, l’una maggiore e l’altre minori, che dirittamente rispondevano alle tre porte che il palazzo haveva nella strada come s’è detto. Ma erano fatte d’altra guisa per variare, & bellissime ancor’esse con haver quel muro facciata bellissima di cornice, di fenestre & d’altri ornamenti, che anco a chi stava nella strada quando le porte del palazzo s’aprono, si potessero vedere. Et fra mezo ad esse porte, di tal seconda facciata nel cortile erano murelli o pozzetti & seggi di pietra bellissimi, sopra i quali erano fatti alcuni orticelli d’erbe gentili, & nella parete a certi luoghi convenevoli erano fenestre a gabbia d’uccelli con altre cose molto vaghe, & in mezzo vi era una maravigliosamente bella tavola di marmo lunga otto braccia & larga tre & mezo.
Et in capo & in piede di detto cortile erano poi due altre tavole ad otto facce, di noce l’una & l’altra d’Ebeno, rimesse dalle bando con Avorio & legni di diversi colori, & queste dai serventi si rimettevano dentro al coperto per non lasciarle guastar dall’acqua & dal Sole, & solamente si mettevano fuori a certi giorni solenni fra noi, o quando vi veniva qualche personaggio che si voglia onorare & dargli dilettatione & spasso, & così vi erano di continuo sedie per ogni qualità di persone. In questo luogo adunque così fatto, radunandoci noi spesso et preponendo diverse cose che si facevano alla giornata, io raccolsi tutti i secreti seguenti & gli anteriori ancora, ch’io publicai pochi anni [or] sono di Donno Alessio Piemontese, li quali nel vero tutti furono raccolti nella predetta Academia, & provati & trovati dalla nostra felice Compagnia. Et perché sono stati più volte provati et riprovati gli ho sempre tenuti cari & stimati grandemente, & massime che vedendo io quanto il mondo sia curioso di queste cose, non ho voluto mai darle fuori se io non ho prima havutane la licenza da quel mio Principe & da quei nostri compagni, li quali ancora vanno operando di continuo cose nuove & maravigliose a pro de’ mortali che si dilettano delle virtù che produce la natura ne’ minerali, nelle erbe & nelle pietre.
Et perché s’altro avvenisse di me in questa mia crudel malattia
la quale mi ha tolto le forze & mi tiene continuamente oppresso nel
letto, li presenti secreti non vadano a male et si sappia come mi sono
pervenuti alle mani, ho voluto raccontar come passa la cosa interamente
& senza alcuna fraude, accioché se mai verranno a luce, i lettori
stiano di buon animo che non troveranno i questo libro cosa che non sia
più vera et sperimentata più volte. Et li secreti sono l’infrascritti.
L’Elucidazione, o chiarimento del testamento di Raimondo Lullo (Bibliotheque
des philosophes chimiques, Paris, 1740-1754, vol. IV.)
Translated by Massimo Marra
Back to Italian section
--------------------------------------------------------------------------------
Sebbene abbiamo composto diversi Libri sulle diverse operazioni della
nostra Arte filosofica, questo piccolo trattato , che è il nostro
ultimo, è tuttavia quello che preferiamo a tutti gli altri, così
che egli ben merita di essere da noi intitolato L’Elucidazione del nostro
Testamento. Tanto più che ciò che noi abbiamo veramente nascosto
nel nostro Testamento e nel nostro Codicillo attraverso lunghe dissertazioni
riguardo gli scritti dei Filosofi, noi lo chiariamo qui in modo molto netto
ed in assai poche parole. Ma affinché io non abbia bisogno di comporre
altri libri, poiché la composizione non è altra cosa, e non
consiste d’altro che nella sottigliezza di un bello spirito nel ben coprire
e nascondere la nostra Arte, ciò che abbiamo abbondantemente dimostrato
nei nostri libri esce ora dall’oscurità ed è condotto ad
una piacevole luce, tanto più che nessuno dei Filosofi ha mai osato
questa impresa.
Pertanto dividiamo questo libro in sei capitoli, nei quali tutto il
mistero di quest’Arte è chiarito attraverso parole assai chiare,
dei quali capitoli:
Il primo tratta della materia della Pietra,
Il secondo tratta del Vaso
Il terzo del Fornello
Il quarto del Fuoco
Il quinto della Decozione
E il settimo della Tintura e della moltiplicazione della Pietra.
CAPITOLO I
Della materia della Pietra
Cominciamo dunque innanzi tutto a far conoscere la materia della nostra
Pietra. Benché noi abbiamo applicato cose estranee al nostro Magistero
in virtù delle loro similitudini, tuttavia la nostra Pietra è
composta di una sola cosa, trina in rapporto alla sua efficacia ed al suo
principio, alla quale noi non aggiungiamo alcuna cosa estranea, né
la diminuiamo. Abbiamo descritto tre Pietre, ossia la minerale, l’animale
e la vegetale, quantunque non vi sia che una sola pietra nella nostra Arte.
Noi desideriamo, o figli della dottrina, indicare che questo composto contiene
tre cose, ossia anima, spirito e corpo. Esso viene chiamato minerale, poiché
è una miniera; animale, perché ha un’anima; vegetale, perché
cresce ed è moltiplicato. Nel che è celato tutto il mistero
del nostro Magistero, che è il Sole, la Luna e l’Acqua di Vita;
e questa acqua di vita è l’anima e la vita dei corpi, attraverso
la quale la nostra pietra è vivificata. Per questa ragione noi la
chiamiamo Cielo, quintessenza incombustibile e con altri infiniti nomi,
dal momento che essa è pressoché incorruttibile come lo è
il Cielo nella circolazione continua del suo movimento. Così, attraverso
questa chiara dimostrazione, voi avete la materia della nostra Pietra in
tutta la sua grandezza.
CAPITOLO II
Del vaso
Abbiamo deciso ora di parlare del nostro Vaso; o voi, figli della dottrina, prestate bene orecchio, affinché intendiate il nostro sentimento ed il nostro spirito. Quantunque vi abbiamo mostrato diversi generi di vasi che sono enigmaticamente descritti nei nostri libri, tuttavia non siamo dell’opinione di servirci di diversi vasi, ma unicamente di uno, il quale mostreremo qui attraverso delle dimostrazioni sensibili e visibili. In questo Vaso la nostra opera si porta a termine a partire dall’inizio fino alla fine di tutto il Magistero.
Il nostro Vaso è così composto: vi sono due vasi collegati ai loro alambicchi, di uguale grandezza,
quantità e forma in alto, dove il naso dell’uno entra nel ventre dell’altro, in modo che per l’azione del calore, ciò che è nell’una e nell’altra parte sale nella testa del vaso, ed attraverso l’azione del freddo scende poi nel ventre.
O figli della dottrina, se non siete gente dal cervello duro, avete
la conoscenza del nostro vaso.
CAPITOLO III
Del Fornello
Noi parleremo adesso del nostro Fornello, ma ci sarà assai difficile
esporre qui il segreto del nostro Forno, che gli antichi Filosofi hanno
tanto bene nascosto. Noi abbiamo disegnato nei nostri libri diversi Fornelli,
nondimeno vi dichiaro sinceramente che non ci serviamo che di un sol Fornello,
che è chiamato Athanor, il cui significato è quello d’essere
un fuoco immortale, poiché esso dona sempre il fuoco ugualmente
ed allo stesso grado, vivificando e nutrendo il nostro composto dall’inizio
fino al compimento della nostra Pietra. O figli della dottrina, ascoltate
le nostre parole ed intendete: il nostro forno è composto di due
parti, esso deve essere ben sigillato in tutte le giunture del suo involucro.
Ed ecco com’è la natura di questo Fornello: che il Fornello sia
fatto grande o piccolo, a seconda che la gran quantità di materia
domandi un Fornello grande, o la piccola quantità un Fornello piccolo;
bisogna che sia costruito alla maniera di un Fornello distillatorio col
suo coperchio, che sia ben chiuso e sigillato. In tal modo, quando il Fornello
sarà stato costruito col suo coperchio, fate in modo che vi sia
uno spiraglio sul fondo, affinché il calore del fuoco acceso vi
possa respirare; questa natura di fuoco richiede e domanda questo solo
forno, e non altri. La chiusura delle giunture del nostro Fornello è
chiamata sigillo di Hermes, dal momento che essa è conosciuta solamente
dai Saggi, e non è in alcun luogo esplicitata da nessuno dei Filosofi,
poiché essa è protetta nella Sapienza, che la sorveglia con
comune potenza.
CAPITOLO IV
Del Fuoco
Ancorché nei nostri libri abbiamo trattato perfettamente di tre tipi di fuoco, ossia del naturale, del connaturale e del contro-natura, e di diverse altre modalità del nostro fuoco, nondimeno vogliamo attraverso ciò significare un fuoco composto di diverse cose, ed è un segreto assai grande quello di pervenire alla conoscenza di questo fuoco, perché esso non è umano, ma angelico. Bisogna rivelarvi questo dono celeste, ma per paura che la maledizione e l’esecrazione dei Filosofi, che questi hanno lasciato ai loro successori, non sia gettata su di noi, preghiamo Dio affinché il tesoro del nostro Fuoco segreto non possa passare e pervenire che nelle mani dei Saggi, e non di altri.
O Figli della saggezza, prestate orecchio per ben comprendere e comprendere il nostro Fuoco composto, che sarà di due cose: sappiate che il Creatore di ogni cosa ha creato, tra le altre, due cose adatte per questo fuoco, ovvero il fimo di cavallo e la calce viva, la cui composizione causa il nostro Fuoco, la cui natura è la seguente: prendete del ventre del Cavallo - vale a dire del letame di Cavallo ben digerito - una parte, della calce viva pura, un’altra parte. Avendo composto queste cose, impastate insieme e messe nel nostro fornello, ed avendo piazzato il nostro vaso contenente la materia della nostra Pietra, ed avendo chiuso bene da ogni lato il forno, avrete allora il fuoco divino senza luce e senza carbone, posto nel suo Fornello; e non potrebbe essere altrimenti, avendo tutto ciò che gli è necessario.
Ma questo letame e questa calce sono divini, e si intendono della nostra
materia che ha il suo fuoco interno e Divino: perché il nostro fuoco
artificiale è il debole calore prodotto dal fuoco di lampada.
CAPITOLO V
Della Decozione
Vi sono anche diverse maniere di preparare la nostra Pietra nel nostro
Testamento, che sono chiarite in altri nostri trattati: ovvero la soluzione,
la coagulazione, la sublimazione, la distillazione, la calcinazione, la
separazione, la fusione, l’incerazione, l’imbibizione e la fissazione etc..
Il significato di tutte queste operazioni non è che la sola decozione.
Ciò nonostante nella nostra sola decozione, si compiono tutte queste
maniere di operare, ma la natura della nostra decozione è di mettere
la materia del composto secondo misura, nel suo vaso, nel suo forno e sul
suo fuoco, a cuocere continuamente. In ciò, secondo i Filosofi,
consiste tutta la nostra opera. Attraverso questa cottura lineare, dolce
ed untuosa all’inizio, la materia perviene alla sua perfetta maturità;
il che si compirà in dieci mesi filosofici, dall’inizio alla fine
di tutto il Magistero, senza alcun lavoro manuale. Attraverso queste maniere
e queste operazioni, vogliamo farvi conoscere l’eccellenza e la sublimità
della nostra arte, e come lo spirito dei Saggi l’abbia avvolta in un velo
tenebroso, per la paura che colui che è indegno di quest’Arte non
arrivi fino alla cime della montagna del nostro segreto; ma che egli persista
piuttosto nel suo errore, fino a quando il Sole e la Luna non siano assemblati
in un globo, il che gli sarà impossibile a fare se non per volere
di Dio.
CAPITOLO VI
Della Tintura e della moltiplicazione della nostra Pietra
Parleremo infine della Tintura e della moltiplicazione, che è la fine ed il compimento di tutto il Magistero. Abbiamo mostrato nei nostri altri libri vari tipologie e maniere della proiezione della nostra Tintura; tuttavia, poiché la nostra tintura non è differente dalla moltiplicazione, e poiché nessuna delle due può compiersi senza l’altra, per questo bisogna che la nostra pietra sia dapprima tinta, e quando è tinta, la sua quantità è moltiplicata. Così essa è tinta per mezzo della nostra pietra moltiplicata bianca o rossa. O figli della saggezza, respingete le tenebre e le oscurità del vostro spirito per intendere il segreto dei segreti nascosto nei nostri libri con mirabile industria, il quale segreto esce ora da un abisso ed appare alla luce del giorno. Udite ed intendete, dal momento che la nostra moltiplicazione non è altra cosa che la reiterazione del composto della nostra Opera primordiale composta; perché nella prima reiterazione una parte della nostra Pietra tinge tre parti di corpo imperfetto, ed in altrettante parti essa si moltiplica e cresce in quantità; nella seconda reiterazione una parte ne tinge sette; nella terza una parte ne tinge quindici; nella quarta reiterazione una parte ne tinge trentuno; nella quinta reiterazione una parte ne tinge sessantatré; nella sesta reiterazione una parte ne tinge centoventisette, e sempre essa è moltiplicata ed aumentata in altrettante parti, procedendo così all’infinito.
Ecco, o figli della dottrina, come i nostri scritti che erano stati
celati fino ad oggi sotto delle parabole sono scoperti, e noi li rischiariamo
contro i precetti dei Filosofi, ma vogliamo ben scusarci delle loro reprimende
e dei loro rimproveri, per il timore di cadere col permesso divino nella
loro esecrazione e nelle loro maledizioni; per questo noi mettiamo le parole
di questo trattato sotto la custodia di Dio Onnipotente, colui che dona
ogni scienza ed ogni dono perfetto a chi vuole, e toglie a chi gli piace,
affinché esse siano rimesse alla potenza della sua divinità,
ed anche affinché egli non permetta che siano trovate dagli empi
e dai malvagi. O figli della dottrina, rendete subito grazie a Dio poiché
con la sua divina illuminazione, egli chiude e apre l’umano intelletto.
E che il santo Nome di Dio sia benedetto in tutti i secoli dei secoli.
Così sia.
http://www.levity.com/alchemy/sette_capitoli.html
I sette capitoli di Eremete
Questa traduzione dei Sette Capitoli attribuiti ad Ermete fu pubblicata
nel 1911 sul fascicolo numero VIII\XI che concludeva le pubblicazioni della
rivista Commentarium diretta da Giuliano Kremmerz. La traduzione è
siglata P. C.. E’ stato omesso il corredo di note. Transcribed by Massimo
Marra
Back to Italian section
--------------------------------------------------------------------------------
Ecco quello che dice Ermete:
Durante il lungo tempo ch’io ho vissuto, non ho cessato di fare esperienze, ed ho sempre lavorato senza risparmiarmi.
Non ho ricevuto quest’Arte o questa Scienza che dalla sola ispirazione di Dio. Egli si è degnato rivelarla al suo Servo.
Egli ha dato a coloro che sanno bene usare della loro ragione il mezzo di conoscere la verità; ma non è stato mai causa che qualcuno abbia seguito l’errore né la menzogna.
Quanto a me, se non temessi il giorno del giudizio, e di essere dannato per aver nascosta questa Scienza, non ne avrei parlato affatto, e non scriverei punto per insegnarla a coloro che verranno dopo di me.
Ma ho voluto rendere ai Fedeli quanto loro dovevo, insegnando loro ciò che l’Autore della fedeltà
s’è degnato rivelarmi.
Ascoltate dunque, Figli dei saggi Filosofi nostri Predecessori, non corporalmente né inconsideratamente la Scienza dei quattro Elementi sui quali si può operare e che possono essere alterati e cangiati nelle loro Forme; e che sono nascosti con la loro azione.
Poiché la loro azione è nascosta nel nostro Elisir; perché questo non saprebbe agire se non sia composto dall’unione esattissima di questi stessi Elementi; e non è punto perfetto se non è passato per tutti i Colori, di cui ciascuno nota la dominazione di un Elemento particolare.
Sappiate, Figli dei Saggi, che v’è una divisione dell’Acqua degli antichi Filosofi, che la ripartisce i altre quattro cose. Una è a due, e tre ad una.
Ed al colore di queste cose, cioè all’Umore che coagula, appartiene la terza parte, e gli altri due terzi sono per l’Acqua. Ecco i pesi dei Filosofi.
Prendete dell’Umore un’oncia e mezzo, e del Rosso meridionale o dell’Anima del Sole la quarta parte, che corrisponde ad una mezza oncia, e la metà d’Orpimento, che sono otto, cioè tre once.
E sappiate che la Vigna dei Saggi si tira in tre, e che il suo vino è perfetto alla fine di trenta.
Concepite come se ne fa l’operazione. La cottura lo diminuisce in quantità e la Tintura l’aumenta in qualità; poiché la Luna incomincia a decrescere dopo il suo quindicesimo giorno, e cresce al terzo. E’ dunque là il cominciamento e la fine. Eccovi in tal modo dichiarato ciò che vi era stato celato. Poiché l’opera è con voi e presso di voi; di tal che trovandola in voi stessi, dov'essa è continuamente, l’avete anche sempre in qualunque luogo voi siate, sia in Terra od in Mare.
Custodite dunque l’Argento vivo che si fa nei Luoghi o Gabinetti interiori, cioè nei Principii dei Metalli che di esso son composti, e nei quali esso è coagulato. Poiché è là quest’argento vivo che si dice esser della Terra che resta.
Chi dunque non intende le mie parole, ne chieda intelligenza a Dio, che non giustifica le Opere di nessun Malvagio, e non rifiuta a nessun Uomo dabbene la ricompensa dovutagli.
Imperocché io ho scoperto tutto quanto era stato nascosto di questa Scienza; ho reso chiaro un grandissimo Segreto ; e ho ancora detta tutta la Scienza a coloro che sapranno intenderla. Voi, dunque, Inquisitori della Scienza, e Voi, Figli della saggezza, sappiate che l’avvoltojo ch’è sulla Montagna, grida ad alta voce: "Io sono il bianco del nero, ed il rosso del bianco, e l’arancione del rosso". Certamente io dico la verità.
Sappiate ancora che il Corvo che vola senz’ali nel nero della notte e nel chiaro del giorno, è la testa ed il cominciamento dell’Arte.
Il Colorito si prende dall’amarezza ch’è nella sua gola, e la tintura è tratta dal suo corpo e si tira fuori un’Acqua vera ed affatto pura dal suo dorso.
Comprendete dunque quanto io dico, e ricevete per lo stesso mezzo il Dono di Dio ch’io vi comunico: ma nascondetelo a tutti gl’Imprudenti.
E’ una pietra che devesi onorare, ch’è nascosta nelle Caverne o nel profondo dei Metalli. Il suo colore la rende abbagliante; è un’Anima od uno Spirito sublime, ed un Mare aperto.
Ecco ve l’ho dichiarato: ringraziate Iddio dell’avervi egli insegnata questa Scienza; poiché egli ama chi gli è riconoscente delle sue grazie.
Mettete dunque questa pietra, cioè la sua materia, in un fuoco umido e fatevela cuocere. Quel fuoco aumenta il calore dell’umidità, ed uccide la secchezza della incombustione, fino all’apparire della radice: cioè fino a che il Corpo sia disciolto nel suo Mercurio. Dopo ciò fate uscire da questa Materia il rossore e la sua parte leggera, continuando a far ciò finché non ne sia restata che la terza parte.
Figliuoli dei Saggi, la ragione per cui si sono chiamati i Filosofi (Invidiosi) non è stata perché essi abbiano avuto mai il disegno di celare qualcosa alle persone dabbene, né a coloro che vivono piamente, né ai legittimi e veri Figli della Scienza, né ai Saggi.
Ma perch’essi la nascondono agl’Ignoranti, cioè a chi non ne sa abbastanza per conoscerla, ai Viziosi ed a coloro che vivono senza legge e senza carità; per timore che con questo mezzo i Malvagi non divengano potenti per commettere ogni sorta di delitti, di cui i Filosofi sarebbero responsabili verso Dio. Poiché tutti i Malvagi sono indegni di possedere la saggezza.
Sappiate che io chiamo questa Pietra col suo nome. Perché i Filosofi la chiamano la Femmina della Magnesia, o la Gallina, o la Saliva bianca, il Latte delle cose volatili, e la cenere incombustibile, allo scopo di nasconderla agl’Imprudenti, che non hanno né sensi, né legge, né umanità.
Ma io l’ho chiamata con un nome notissimo, col dirla Pietra dei Saggi.
Conservate dunque in questa Pietra il Mare, il Fuoco ed il Volatile del Cielo, fino al momento della sua Uscita.
Ora vi scongiuro tutti, o Figli dei Filosofi, in nome del nostro Benefattore che vi fa una grazia così singolare, di non svelare mai il nome di questa Pietra ad alcun pazzo, ad alcun Ignorante, né ad alcuno che ne sia indegno.
Quanto a me posso dire che nessuno m’ha dato mai nulla, senza ch’io gli abbia restituito tutto quello che m’ha dato. Non ho mai mancato al rispetto che gli dovevo, ed ho sempre parlato molto onorevolmente di lui.
Figlio mio, questa Pietra è avviluppata di parecchi Colori che la nascondono; ma non ve n’è che uno solo che dà segno della sua nascita e della sua intera perfezione. Apprendete qual è questo Colore e non ne dite mai niente.
Con l’aiuto di Dio onnipotente, questa pietra vi libererà e vi
garantirà da malattie per gravi ch’esse siano; vi preserverà
da ogni tristezza ed afflizione, e da tutto quanto potrebbe nuocere al
copro ed allo spirito. Essa vi condurrà ancora dalle Tenebre alla
Luce, dal deserto alla magione, dalla necessità all’abbondanza.
Tra i ritratti di gruppo, è significativa La lezione di anatomia
del dottor Tulp, ordinato dalla gilda dei chirurghi, per ricordare la lezione
tenuta pubblicamente nel 1632 dal dottor Nicolas Tulp, primo anatomista,
sulla fisiologia del braccio del cadavere di un giustiziato. Il celebre
dipinto firmato e datato 1632 rappresenta sette personaggi incollettati
di bianco attenti alle spiegazioni del dottor Tulp, il cui nome è
scritto in un foglio in mano a uno di loro. L'opera, lontana dalla staticità
che aveva caratterizzato sino allora questo genere di pittura, rivoluziona
il ritratto di gruppo. È un successo straordinario per l'artista
ventiseienne, che consacra cosi ufficialmente la sua arte.
--------------------------------------------------------------------------------
inizio | sommario | cronologia | capolavori | bibliografia
SALA VIII IL MICROSCOPIO Collezione
Medicea
--------------------------------------------------------------------------------
Microscopio Il microscopio costituisce una delle invenzioni strumentali
più emblematiche della rivoluzione scientifica. Per suo mezzo l'arte
dell'osservazione medico-biologica e naturalistica, già molto coltivata
durante tutto il Cinquecento, varcò i limiti naturali dell'occhio
umano. Il microscopio permise di indagare la struttura fine dei corpi minuti,
imponendosi col tempo come uno strumento fondamentale d'indagine sia per
le discipline medico-biologiche, sia per quelle naturalistiche. I primi
strumenti realizzati furono microscopi composti, cioè costituiti
da due o più lenti inserite in un tubo rigido. Il microscopio semplice,
formato da una sola lente, venne invece introdotto nella pratica scientifica
durante la seconda metà del secolo. In questa sala si segue in sequenza
cronologica l'evoluzione dello strumento: dall "occhialino" messo a punto
da Galileo nel 1620 fino ai complessi strumenti ricchi di accessori sofisticati
della ricerca microscopica di metà Ottocento.
--------------------------------------------------------------------------------
[ Avanti | Indietro | Indice Sale | Home Page Museo | English ]
--------------------------------------------------------------------------------
Per ulteriori informazioni contattare:
Mara Miniati: mara@galileo.imss.firenze.it
http://www.museionline.it/ita/cerca/default.htm
UN LIBRO SU
PIETRO ANDREA MATTIOLI
Sarà presentato il 9 ottobre il libro “Pietro Andrea Mattioli (Siena 1501 - Trento 1578). La vita e le opere” curato dalla Professoressa Sara Ferri. L’iniziativa, promossa dall’Università Popolare Senese, si terrà nell’Aula Magna Storica alle ore 18. Tracceranno la figura delle scienziato e illustreranno il testo i Professori Chiara Crisciani, Ordinario di Storia della Filosofia Rinascimentale dell’Università di Pavia, da Giuliano Catoni, Ordinario di Archivistica del nostro Ateneo e da Guido Moggi, Ordinario di Botanica Sistematica dell’Università di Firenze.
Pietro Andrea Mattioli, senese di nascita e di carattere, medico a Trento
alla corte del Principe Vescovo Bernardo Clesio, poi a Gorizia, infine
a Praga e a Innsbruck alla corte di Ferdinando d'Asburgo, arciduca d'Austria,
fu autore del più famoso libro di botanica del Cinquecento. La prima
edizione ("Il Dioscoride") apparsa nel 1544 era una traduzione commentata
della materia medica di Dioscoride, ma nelle edizioni successive ("I Discorsi",
o "Commentarii" nella edizione latina) la traduzione divenne solo la scusa
per descrivere la natura, in particolare per illustrare il mondo vegetale,
riportando anche le nuove piante che arrivavano dall'America o dall'Oriente,
rendendo note pratiche curative millenarie trasmesse dalla tradizione orale.I
lettori del '500 accolsero in modo entusiastico il libro, illustrato da
bellissime incisioni di piante, che divenne il più importante testo
di botanica del tempo. L'editore Valgrisi nel 1568 affermava di avere venduto
oltre 32mila copie dell'opera di Mattioli, quando di norma le tirature
usuali erano di mille, millecinquecento copie; era diffuso in tutta Europa,
in Siria, in Persia, in Egitto, fu tradotto in tante lingue (anche in ebraico
e sembra in cinese) e ispirò tanti libri simili. La sua importanza
fu avvertita anche dopo la sua morte tanto da essere ristampato fino al
1744. Anche oggi le librerie antiquarie apprezzano notevolmente gli antichi
volumi e non c'è bottega di stampe che non ne possieda qualche foglio
smembrato e trasformato in quadro. Studiosi di varia estrazione culturale
hanno analizzato il testo, effettuando una revisione critica della vita
e delle opere del geniale studioso senese. Hanno pubblicato degli inediti,
tradotto lettere latine, identificato con nomenclatura moderna quasi tutte
le piante. Sara FerriOrdinario di Botanica Farmaceutica
Istituto e Museo di
Storia della Scienza
Regione
Toscana
I luoghi della Scienza in Toscana - Biografie
Pietro Andrea Mattioli
Siena 1501 - Trento 1577
Medico e naturalista, esercitò la professione a Siena,
Roma, Trento e Gorizia, divenendo medico personale di Ferdinando e Massimiliano
II. Attento studioso di botanica, (descrisse ben 100 nuove piante), coordinò
tutte le conoscenze di botanica medica del suo tempo nell'opera Pedanii
Dioscoridis de materia medica libri sex (1544), nota come Commentarii a
Dioscoride, che ebbe molte edizioni in latino, italiano, francese, tedesco
e boemo.
--------------------------------------------------------------------------------
[ Indietro | Indice dei personaggi | Inizio ]
--------------------------------------------------------------------------------
Per commenti e suggerimenti:
Marco Berni: marco@galileo.imss.firenze.it
Arezzo, Sala Grande della Biblioteca "Città di Arezzo"
Palazzo Pretorio, Via dei Pileati
28-29 Novembre 1997
Lucia Tongiorgi Tomasi, (Siena University), The infinitely small. Redi's microscopic images and those of his time
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA IN AREZZO
Dipartimento di Studi Storico-Sociali e Filosofici
Francesco Redi, un protagonista della scienza moderna. Documenti Esperimenti
Immagini
a cura di Walter Bernardi e Luigi Guerrini
Firenze, Olschki, 1999
--------------------------------------------------------------------------------
Introduzione
--------------------------------------------------------------------------------
1. Non esistono immagini storiografiche, per quanto geniali e ben elaborate,
in grado di contenere e compendiare esaurientemente la complessa e talvolta
contraddittoria serie di atteggiamenti intellettuali che ha animato l’opera
di un letterato o di uno scienziato, il ‘libro ancora vivente’, si potrebbe
dire, che continua a rappresentarne la memoria culturale nel corso del
tempo. Vi è una sorta di illusione in questo stile quasi fotografico
di ‘fare storia’, particolarmente quando le forme della rappresentazione
letteraria assumono i caratteri di canoni critici prescrittivi. L’orizzonte
della ricerca storica appare invece quasi sempre sfumato e digradante,
condizionato dall’inevitabile rinvio ad un aldilà di approfondimento
a cui la somma dei dati e delle occorrenze che lo studioso riesce a strappare
ai documenti che analizza, sintetizza, incrocia e valuta, inesauribilmente
richiama.
Se ciò appare valido generalmente per ogni personaggio storico,
in una maniera del tutto peculiare sembra adeguarsi all’analisi delle vicende
umane e ai contenuti scientifici e letterari delle opere di Francesco Redi.
Chiunque abbia oggi intrapreso ricerche rediane si è immediatamente
reso conto della necessità di superare talune ricorrenti e certificate
presentazioni del personaggio che tanto hanno pesato durante i secoli trascorsi,
limitandone la complessa figura entro la semplicistica raffigurazione di
‘eroe della scienza’.
La multiforme attività del personaggio e il suo ingegno ‘curioso’,
d’altra parte, scoraggiano, se osservati dall’interno, ogni nuovo e ulteriore
tentativo di questo genere. Sorge oggi, al contrario, negli studiosi la
necessità di dispiegare il ‘fenomeno Redi’ in tutta la sua pluridimensionalità,
non solo per esteso, orizzontalmente, ma anche nei variati e complessi
intrecci che le diverse maglie dei suoi interessi andarono formando, ponendo
finalmente in evidenza la stretta connessione che unificò le sue
ricerche scientifiche, storiche, linguistiche, poetiche ed erudite.
Sono apparsi così più che opportuni alcuni larghi sondaggi
sull’interezza del corpo degli scritti rediani, dedicati al tentativo di
interconnessione del materiale inedito con quello edito e noto, alla ricerca
della resa di un quadro documentario completo e il più possibile
esauriente e all’individuazione di taluni indizi sintomatici dai quali
poter dedurre crisi o momenti decisivi dell’esperienza intellettuale del
naturalista aretino in grado di rivelarne, quasi pieghe orogenetiche, i
processi profondi.
Gli studi raccolti in questo volume, da quelli propriamente biografici
a quelli maggiormente interni, da quelli di carattere linguistico a quelli
inerenti alla fortuna dell’opera, possono aiutare a far comprendere a ogni
nuovo lettore degli scritti di Redi l’insufficienza e l’inidoneità
di ogni sintesi storica troppo decisiva e ‘forte’, e nello stesso tempo
dare avvio a una ricca e promettente stagione di ricerca attorno al medico
aretino e alla sua opera ispirata a una vocazione insieme archivistica,
filologica ed interpretativa. E forse proprio la sezione della ricerca
pertinente alle indagini attorno ai personaggi che ebbero con lui relazioni
dirette e indirette e alle opere che egli lesse e possedette si mostrerà,
dopo questo volume, quella particolarmente suscettibile di ampliamento
e potenzialmente la più ricca di sorprese. Coloro che tenteranno
di sondare il terreno della scienza e della letteratura che fu cornice
e barocca scenografia della vita intellettuale di Redi, ponendolo in connessione
con la sua opera in un ideale viaggio di andata e ritorno, affluenza e
defluenza, delle conoscenze, è molto probabile che riescano a far
emergere preziose novità e inaspettate evenienze.
Un fondamentale, insoluto, problema che la lettura delle opere e dei
manoscritti, per esempio, non svela, se non in una misura ridotta e insoddisfacente,
è certamente quello della genesi, del progresso e del contenuto
medesimo dell’ispirazione ideale del pensiero rediano. In epoca di controversie
e accesi contrasti intorno all’interpretazione e assimilazione delle dottrine
filosofiche di Bacon, di Descartes e di Gassendi, per fare soltanto i nomi
più noti, di trapasso nei contenuti, negli obbiettivi e nei termini
stessi di esposizione della storia naturale, Redi appare insensibile verso
ogni tentativo di messa a fuoco di un preliminare discorso sul metodo e
sembra affidare la propria scienza a un spirito sperimentale troppo semplificato
ed estremamente laconico persino nelle autoreferenze. Per arrivare a saperne
di più potrebbe dunque risultare utile l’allestimento di un cantiere
di lavoro in grado di permettere una larga indagine attorno alle frequentazioni
intellettuali del personaggio e, quindi, collegare i risultati di tale
impresa con i ‘momenti’ noti della vicenda scientifica rediana: poiché
le opere dell’aretino direttamente non parlano, potranno forse le sue relazioni
far lampeggiare incoffesate inclinazioni filosofiche.
2. Aretino di nascita, ma fiorentino di adozione, Redi visse ad Arezzo
solo fino all’età di sedici anni, ed in seguito vi fece ritorno
solo sporadicamente. Eppure, anche per il fatto di non essersi mai formato
una famiglia a Firenze, rimase per tutta la vita profondamente legato alla
sua ‘patria’, al microcosmo aretino in cui era nato e dove intendeva morire.
Non solo Redi dichiarava infatti la in ogni occasione propria aretinità,
ma continuò sempre a guardare con molta benevolenza alle istituzioni
accademiche, culturali e religiose della città, inviando in continuazione
ad Arezzo denaro, libri, cimeli, ritratti e statue con il preciso scopo
di accreditare una precisa immagine di se stesso e della sua famiglia nel
contesto della nobiltà cittadina. Fino agli ultimi anni continuò
anche a coltivare la segreta aspirazione (destinata però a rimanere
tale) di ritirarsi nella sua splendida villa degli Orti, per passarvi "in
quiete, ed in pace" gli ultimi giorni della sua vita. Di questo aspetto
della biografia rediana trattano ampiamente nel volume, con l’apporto di
nuovi documenti, i saggi di Giovanni Bianchini, Stefano Casciu e Carla
Doni.
A differenza di Redi, la città di Arezzo ha guardato (almeno
fino a non molto tempo fa) alla figura e all’eredità storica dello
scienziato più illustre che abbia annoverato nel corso della sua
gloriosa storia con un strano atteggiamento, che nel 1924 un appassionato
cultore di storia locale come Ugo Viviani definì, non a torto, di
“apatia”. Lo dimostrano ampiamente anche le vicende a cui andò incontro,
col passare dei secoli, la sua tomba. Subito dopo la morte, com’è
noto, il corpo di Redi era stato trasportato da Pisa ad Arezzo e tumulato
con grande solennità nella Chiesa di S. Francesco, secondo quanto
egli aveva chiesto nel suo testamento, stilato nel 1687. Nel 1812, all’epoca
della municipalità napoleonica, venne ventilata l’ipotesi di trasformare
S. Francesco in un teatro, e allora il pronipote di Redi, Francesco Saverio,
fece trasferire il monumento sepolcrale in Duomo. Esso è ancora
visibile nella parete di destra della navata, vicino alla Cappella del
Conforto, in una posizione piuttosto infelice. Sopra una cassa di marmo
si erge il busto dello scienziato, e sotto l’epigrafe fattavi apporre nel
1697 dal nipote Gregorio: "Francisco Redi Gregorius fratris filius". Sotto
la cassa è scolpito lo stemma di famiglia e la lapide porta questa
semplice scritta: "Obiit Pisis kalendas mart. MDIIIC aetatis LXXI diebus
X hic sepu. eiusd. et anno". Il destino della salma di Redi resta invece
avvolto nel mistero: nessuna fonte chiarisce se anch’essa venne traslata
in Duomo, se rimase in S. Francesco o venne portata dai parenti altrove.
Fatto sta, che, a dispetto delle accurate ricerche fatte da Viviani, risulta
oggi impossibile sapere dove riposano i resti mortali del medico aretino.
Ben più gravi furono le disavventure a cui andò incontro
nel corso dell’Ottocento l’eredità storico-documentaria rediana.
Dopo la morte dello scienziato, la sua biblioteca e la straordinaria collezione
di manoscritti, lettere e codici antichi che aveva raccolto nel corso della
sua lunga vita di scapolo e bibliofilo impenitente vennero ereditati dal
nipote Gregorio, figlio del fratello Diego e di Chiara Gamurrini. Nel 1820
però, quando morì il suo pronipote, il Balì Francesco
Saverio, che in tutte le occasioni aveva rivendicato di essere l’ultimo
discendente diretto di Francesco, questo inestimabile patrimonio venne
irrimediabilmente disperso, proprio per effetto delle sue (stravaganti)
disposizioni testamentarie. Soltanto la biblioteca personale di Redi (composta
di oltre 4.000 testi scientifici e letterari, molti dei quali impreziositi
da note di possesso e marginalia) venne conservata ad Arezzo, anche se,
per gelosie cittadine, finì per andare divisa (ed in parte perduta)
tra la Biblioteca della Fraternita dei Laici (passata poi all’attuale Biblioteca
Comunale "Città d’Arezzo") e l’Accademia Aretina di Scienze, Lettere
ed Arti (oggi Accademia Petrarca). Di questo importante fondo librario,
esplorato con diligenza da Lorella Mangani, si spera quanto prima di pubblicare
il Catalogo, in modo da consentire agli studiosi di accedere direttamente
allo scrittoio di uno dei protagonisti della nascita della scienza moderna.
I codici manoscritti del Trecento e del Quattrocento collezionati da Redi,
insieme ad una parte del suo voluminosissimo epistolario, passarono invece
in eredità alla Biblioteca Mediceo Laureanziana di Firenze, mentre
altri documenti rediani, tra i quali i protocolli scientifici ed il carteggio
di famiglia vennero venduti dagli eredi sul mercato antiquario prima di
pervenire, attraverso successivi smembramenti e passaggi di proprietà,
alla Biblioteca Marucelliana, alla Biblioteca Nazionale Centrale e alla
Biblioteca Riccardiana di Firenze. Di questa ‘storia’ il saggio di Luigi
Scapecchi consente ora di ripercorrere, attraverso un paziente scandaglio
di inediti percorsi del collezionismo seicentesco, alcuni momenti essenziali.
3. La situazione attuale degli studi rediani presenta un quadro di sostanziale
arretratezza che, stante le dimensioni del personaggio ed il suo ruolo
di indiscusso protagonista della nascita della biologia moderna, non può
più essere considerato accettabile anche in considerazione delle
attenzioni e dei significativi sviluppi che hanno avuto in questi ultimi
decenni le indagini relative ad altri naturalisti italiani del Seicento
e del Settecento, come Malpighi Vallisneri e Spallanzani. Redi rappresenta
un classico esempio di scienziato più noto che conosciuto, più
citato che studiato, più ammirato che amato, che, pur essendo stato
oggetto di un continuo interesse erudito a partire dall'Ottocento, risulta
oggi abbastanza trascurato nel panorama della ricerca storica contemporanea.
Per convincersi di questa realtà, basta gettare un rapido sguardo
alla bibiografia rediana, di cui si può ritrovare nel capitolo d’apertura
del volume una sintesi pressoché completa. Manca ancora un'edizione
completa ed affidabile delle Opere dello scienziato aretino, per le quali
occorre rifarsi all'edizione milanese dei "Classici Italiani" dell'inizio
dell'Ottocento che riprendeva, senza significativi miglioramenti critici
e filologici, le numerose ristampe settecentesche. La stessa situazione
vale per il suo sterminato Epistolario, di cui si conoscono (e solo in
parte) le lettere dell'autore mentre sarebbe decisivo, per ricostruire
la trama della sua esperienza scientifica e per illuminare aspetti importanti
della realtà socio-culturale della Toscana della seconda metà
del Seicento, disporre anche delle risposte dei suoi corrispondenti. Assai
arduo sarebbe, d’altra parte, il compito di indicare una biografia intellettuale
di Redi, uno studio organico ed aggiornato sulla sua opera scientifica
e letteraria che abbia significativamente migliorato i lavori pubblicati
nei primi decenni del nostro secolo da Enrica Micheli Pellegrini, Gaetano
Imbert e Ubaldo Viviani. Ancora agli inizi risulta, infine, l’esplorazione
dell’immenso corpus dei manoscritti scientifici e letterari rediani sparso
nei diversi "Fondi Redi" delle biblioteche fiorentine, sul quale solo da
pochi anni si è cominciato a lavorare.
Questa situazione appare destinata a mutare rapidamente in un prossimo
futuro. L’occasione della celebrazione del Terzo Centenario della morte
di Redi, il 1° marzo 1997, ha infatti rappresentato un punto di svolta
ed innescato una spinta di rinnovato vigore ed interesse per la figura
e l’opera del grande scienziato e poeta aretino. La città di Arezzo,
giustamente fiera delle proprie tradizioni e prerogative, ha ricordato
l'evento con una serie di manifestazioni, organizzate in collaborazione
tra la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di
Siena, sede di Arezzo, il Comune e la Provincia di Arezzo, la Banca Popolare
dell’Etruria e del Lazio, l'Istituto e Museo di Storia della Scienza di
Firenze, la Biblioteca Comunale “Città di Arezzo”, l’Accademia Petrarca
di Lettere, Arti e Scienze, l'Archivio di Stato di Arezzo, la Fraternita
dei Laici. Ci sia consentito di ricordare le date di quella che si spera
verrà ricordata come una vera e propria "Redi Renaissance" destinata
a svilupparsi nei prossimi anni con sempre maggior vigore.
18 Marzo 1997: presentazione della nuova edizione del capolavoro scientifico rediano, le Esperienze intorno alla generazione degl'insetti, curata da Walter Bernardi per i tipi di Giunti Editore (Firenze 1996), e Mostra documentaria "La Biblioteca di Francesco Redi ad Arezzo" curata da Lorella Mangani nell'ambito delle manifestazioni della VII Settimana della Cultura Scientifica promossa dal Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica.
28-29 novembre 1997: Convegno Internazionale intitolato "Francesco Redi, Testi, immagini e documenti della scienza moderna", svoltosi presso la Biblioteca Comunale "Città di Arezzo", di cui questo libro costituisce gli Atti.
Novembre 1997: pubblicazione presso le Edizioni ETS di Pisa del volume Natura ed Immagine. Il manoscritto di Francesco Redi sugli insetti delle galle, a cura di Walter Bernardi, Guido Pagliano, Luciano Santini, Franco Strumia, Lucia Tongiorgi Tomasi, Paolo Tongiorgi.
12-13 Febbraio 1998: Convegno presso l'Accademia Petrarca intitolato "Francesco Redi aretino", di cui sono in corso di pubblicazione gli Atti, e Mostra di immagini, documenti e testi rediani preparata da Lorella Mangani e Giuseppe Martini.
Di entrambi i Convegni rediani arrivano, o stanno arrivando, alle stampe
gli Atti. Il presente volume, oltre a raccogliere i testi di gran parte
delle relazioni e comunicazioni lette al Convegno del novembre 1997, presenta
anche alcuni interventi di studiosi che, pur non avendo potuto partecipare
personalmente ai lavori, hanno voluto testimoniare il loro interesse e
la loro fattiva collaborazione alla ripresa in atto degli studi rediani.
Per questa loro dimostrazione di affetto e simpatia i curatori ringraziano
Giancarlo Baffo, Antonella Bonciani, Maria Conforti, Michela Fazzari e
Susana Gómez López.
L'auspicio e l’impegno di tutti coloro che hanno lavorato con generosa
dedizione alle numerose manifestazioni dell’Anno rediano 1997 è
che, partendo dai risultati significativi già raggiunti, possa essere
avviato quanto prima un progetto di grande respiro che consenta di pervenire
in tempi ragionevoli alla pubblicazione dell’Edizione Nazionale delle Opere,
dell’Epistolario e dei Manoscritti di Francesco Redi. E’ questa la nuova
prospettiva di intervento alla quale l’intera città di Arezzo è
ormai chiamata a rispondere, attraverso le sue diverse componenti istituzionali,
economiche e culturali, affinché la salvaguardia e la promozione
dell’eredità storica legata al nome di uno dei suoi figli più
illustri possa trasformarsi in una sfida ideale per il futuro della stessa
città.
4. Al termine di questa presentazione, corre l’obbligo di ringraziare
alcuni amici e colleghi senza la cui costante e preziosa collaborazione
questa iniziativa non sarebbe giunta in porto. Innanzitutto Lapo Moriani,
che ci ha lasciati prematuramente e non può festeggiare con noi
la conclusione dell’evento al quale aveva prestato tutta la sua generosa
competenza. Poi Ferdinando Abbri, Preside della Facoltà di Lettere
e Filosofia di Arezzo, che ha assicurato all’iniziativa il sostegno dell’Università
di Siena. E Camillo Brezzi, Presidente della Biblioteca "Città di
Arezzo", che ha accompagnato fin dall’inizio con la sua simpatia e la sua
fattiva determinazione il progetto del Centenario rediano. Infine Paolo
Galluzzi, Direttore dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze,
già docente di Storia della Scienza presso la Facoltà aretina,
che, oltre a favorire il reperimento delle risorse finanziarie necessarie
per la pubblicazione del volume, ha acconsentito ad accoglierlo nella prestigiosa
Collana "Biblioteca di Nuncius".
Arezzo, 30 Settembre 1998
Walter Bernardi e Luigi Guerrini
Indice
Inizio pagina
Biblioteca
autori R | Redi, Francesco (cenni biografici)
Bacco in Toscana
20 Kb
15 Kb
E-text del 26 marzo 1999.
Si ringrazia il Prof. Giuseppe Bonghi e la Biblioteca dei Classici
Italiani per averci concesso il diritto di pubblicazione.
Cenni biografici
Francesco Redi nasce il 18 febbraio 1626 ad Arezzo, primogenito di
otto figli, di cui 5 femmine, che prenderanno tutte i voti, da Gregorio
e Cecilia dei Ghinci; dopo aver fatto i suoi primi studi a Firenze, si
laurea a Pisa in Filosofia e Medicina nel 1647. Dal 1650 al '54 è
a Roma, ospite del Cardinal Colonna, dove continua gli studi e stringe
amicizia con molti letterati e uomini di scienza dell'epoca, facilitato
anche dal suo carattere socievole, gioviale e pronto nell'aiutare gli amici.
Tornato a Firenze, viene accolto al servizio dei Medici, coi quali sembra essere stato uno dei promotori dell'Accademia del Cimento, di cui fu comunque uno dei primi e più brillanti membri, e comincia a studiare le più importanti lingue europee (francese, tedesco, inglese e spagnolo) che riuscirà a possedere abbastanza bene; successivamente intraprende a studiare perfino l'arabo e il greco, di cui si accinge perfino a scrivere un vocabolario, che non è stato mai pubblicato; l'amore per le lingue lo aiuterà nella sua opera di compilatore del Vocabolario della Crusca, opera condotta insieme ad altri Accademici e che verrà pubblicata nel 1691.
Nel 1655, il 23 dicembre, come ebbe a scrivere lo stesso Redi in una lettera inviata all'amico Egidio Menagio nel 1678, fu nominato Accademico della Crusca, anche se non aveva ancora scritto né pubblicato niente, e quindi non poteva avere una fama di Letterato tale che potesse permettergli la nomina stessa; ma sicuramente molto gli giovò il fatto che fosse figlio del Primo medico del Granduca Ferdinando II, gli studi condotti e superati brillantemente a Pisa e una certa notorietà acquisita come erudito presso celebri Letterati e uomini di scienza, che in quegli anni aveva conosciuto sia a Roma che a Firenze.
Tre anni più tardi, nel '58, fu incaricato insieme ad altri della correzione e dell'ampliamento delle voci del Vocabolario della Crusca, facendosi fautore di una lingua viva, lontana da ogni pedanteria, tutta basata sulle cose e sull'osservazione dei fenomeni linguistici operata con razionalità. Il Redi si mostrò favorevole all'accettazione non solo delle parole usate dai grandi scrittori del Trecento, ma anche di quelle consacrate dalla pratica quotidiana della lingua parlata dagli eruditi e dai cortigiani raffinati, anche se talvolta, per confermare l'uso di certi vocaboli, nei suoi lavori di compilazione del Vocabolario inventava addirittura degli autori, che affermava di possedere manoscritti nella sua ricca biblioteca, da cui riprendeva degli esempi calzanti o, nella migliore delle ipotesi, riportava a memoria brani di autori conosciuti, quindi in maniera del tutto personale, in modo che confermassero le sue idee: questo suo modo di procedere verrà messo in evidenza due secoli dopo da uno studioso della stessa Accademia.
Questo incarico venne portato avanti in modo più vivo e impegnato dal momento in cui fu nominato Arciconsolo dell'Accademia, il 27 giugno 1678, succedendo a un illustre personaggio, l'amico Vincenzo da Filicaia, che verrà nominato anche nel Ditirambo; manterrà l'Arciconsolato fino al 1690, quando gli subentrerà il Gentiluomo fiorentino Manfredi Macigni.
Il suo impegno come Accademico della Crusca e l'amicizia col Granduca, determinata anche dal fatto, come abbiamo detto, che suo padre era Primo medico della corte medicea, gli permisero di partecipare, nel '57, alla fondazione dell'Accademia del Cimento, della quale fu uno dei rappresentanti più attivi: comincia così quella sua attività di ricercatore più o meno scientifico che lo porta al possesso non solo di una vasta e solida cultura medica per quei tempi notevole, ma anche ad affermare un principio che sempre avrà presente nella sua produzione, anche poetica: quello di attenersi ai fatti e alla realtà, di sperimentare le verità e le affermazioni anche in prima persona, come farà con il veleno delle vipere, ingerito per dimostrare che questo diventa praticamente innocuo se bevuto ma è mortale se iniettato nel sangue. Come Accademico del Cimento scriverà la maggior parte delle sue opere scientifiche e delle sue lettere che avranno come argomento osservazioni naturalistiche ed esperimenti vari di anatomia.
Nel 1663 viene nominato Lettore di Lingua Toscana dello Studio Fiorentino, ed ha come discepoli personaggi che assumeranno un posto di notevole importanza nel campo letterario verso la fine del secolo, tra i quali i più importanti furono il Filicaia, il Menzini ed il Salvini. Del 1664 è la sua prima opera, un opuscolo di storia naturale, le Osservazioni intorno alle vipere, con la quale egli afferma una posizione di raggiunto prestigio non solo come medico e ricercatore scientifico, ma anche presso la corte granducale, tanto che tre anni più tardi, nel 1666, gli viene affidato l'incarico di sovrintendente della Fonderia e della Spezieria, e soprattutto di Archiatro, cioè Primo medico, da Ferdinando II, succedendo in pratica al padre che aveva mantenuto questa carica per molti anni, un incarico che continuerà a mantenere anche sotto il successore Cosimo III, divenuto Granduca di Toscana alla morte del padre nel 1670.
I suoi scritti nascono, secondo alcuni critici, da osservazioni occasionali, non in un preordinato campo di ricerca; il Redi mette comunque da parte superstizioni e dicerie e porta il suo lavoro sul piano della sperimentazione razionale e sensista, scindendo, per quanto possibil,e la scienza dalla morale cattolica e dai princìpi religiosi, spesso legati a una lettura acritica della Bibbia e che talvolta non tenevano conto dell'evoluzione lenta e faticosa della ricerca scientifica; anzi princìpi religiosi e morale cattolica spesso si mettono in violento contrasto con la scienza, basti pensare alla vicenda emblematica di Galileo, della teoria eliocentrica, della distinzione fra sostanza e accidente, ecc.
In lui, come nei ricercatori che vivono e operano a cavallo fra il Seicento e il Settecento, non interessano tanto le grandi questioni generali della Fisica o dell'Astronomia, quanto la realtà naturale del microcosmo, delle piccole cose, indagate con senso naturalistico e razionale, non privo di intuizioni geniali, che negli ultimi tempi stanno venendo alla luce grazie agli studi di appassionati studiosi di quella vasta attività di "appunti" che giace per lo più inesplorata. Da questo nascono le sue già citate Osservazioni intorno alle vipere (1664), le Esperienze intorno alla generazione degli insetti (1668), le Esperienze intorno a diverse cose naturali, e particolarmente a quelle che ci son portate dalle Indie (1671), e infine, solo per citare le più importanti, le Osservazioni intorno agli animali viventi che si trovano negli animali viventi, pubblicate nel 1684.
Proprio nel campo della ricerca Redi acquistò una fama che lo rese celebre in Europa.
I Principi Mecenati trattavano allo stesso modo scienziati e artisti, letterati e poeti, mettendo a disposizione di tutti larghi mezzi per esprimere al massimo livello la propria personalità sia come elemento per vedersi onorare e soddisfare l'ambizione di essere ricordati dai posteri, sia come semplice e pura liberalità.
Nel 1685 pubblica il Bacco in Toscana, la sua opera letteraria più celebre, e viene chiamato a far parte dell'Accademia di Camera di Maria Cristina di Svezia e col nome di Anicio Traustio è tra i primissimi accademici dell'Arcadia, nella quale porta la sua esperienza non solo di letterato, ma anche di ricercatore naturalista, di persona lontana da ogni ampollosità marinista, legata ai fatti e alle espressioni chiare e semplici.
Dal 1690 la sua salute comincia a peggiorare, affetto da una malattia che si può approssimativamente identificare con l'epilessia, come afferma il Giacosa. Negli ultimi mesi della sua vita, l'uomo che con tanta sobrietà aveva curato i suoi ammalati con buon senso e realismo, lontano dalle superstizioni e dai consueti farmaci privi di benefici effetti, invocava tutti i giorni Gesù e si mostrava nel privato, perché non osava dichiararlo pubblicamente, fiducioso in pratiche un po' arcane e irrazionali, come quella di farsi ungere di olii di devozione o di credere nel potere di guarigione delle fettuccie che avevano toccato le ossa o la testa di S. Ranieri.
Negli ultimi tempi fu, quindi, un po' bigotto, come il Granduca Cosimo III, di cui era il cortigiano affettuoso e il confidente. Nel 1697, mentre si trovava a Pisa insieme alla corte di Cosimo III, la mattina del primo marzo fu trovato morto nel suo letto. Così scrive l'abate Salvino Salvini (Opere di Francesco Redi, vol. I, Milano, Società tipografica de' Classici italiani contrada di Santa Margherita n. 1118, anno 1809, pag. XX e seguenti) nella sua breve biografia di Redi: "In mezzo a queste sue glorie (le opere che letterati e scienziati gli dedicavano, ndr), ad onta di sua piccola complessione debilitata bene spesso dalle malattie, che lo travagliavano, come fu il mal caduco, da lui pazientemente negli ultimi anni di sua vita sofferto, mantenne sempre indefesso l'amore alle Lettere, e l'affezione agli amici, i cui parti d'ingegno volentieri tutto dì ascoltava: e sopra tutto l'assiduo servigio, che egli prestava alla Casa Serenissima di Toscana, colla quale portatosi finalmente a Pisa l'anno 1697. Fu la mattina del dì primo del mese di Marzo dall'Incarnazione del Salvatore trovato nel proprio letto, esser passato, a cagione delle suddette sue indisposizioni, da un breve e placido sonno agli eterni riposi del cielo, dove il suo buon costume, e la sua religiosità ci persuadono, che egli sia andato sicuramente."
Il cadavere, imbalsamato nella stessa Pisa, venne trasportato per sua espressa volontà ad Arezzo e tumulato in un ricco mausoleo nella Chiesa di San Francesco fattogli edificare dal nipote Gregorino, anch'egli Accademico della Crusca, erede di tutti i suoi beni e unico familiare cui il celibe Redi fu legato da affetto. Sul sepolcro furono scolpite solamente queste parole: FRANCISCO REDI PATRITIO ARETINO GREGORIUS FRATRIS FILIUS.
La 'Casa Serenissima di Toscana' per pubblico decreto "collocò il suo ritratto come suol fare degli illustri suoi cittadini, nel palagio pubblico; imitando in ciò il glorioso esempio di Cosimo III, che non solo in foglio, ma in bronzo lui vivente, fece imprimere in tre artificiose medaglie con ingegnosi rovesci, alludenti alle tre facoltà, che in eccellente grado possedeva di filosofia, Medicina e Poesia.
L'Arcadia, di cui fece parte col nome di Anicio Traustio, gli tributò particolari onori; e l'Accademia della Crusca di Firenze il 13 agosto 1699 gli celebrò un particolare onore, con la lettura di numerosi componimenti poetici e un'orazione funebre, che riportiamo in altra parte, scritta e recitata dall'Abate Salvino Salvini, che mise in luce come tutta la vita del Redi fosse stata un "continuo esercizio di letterata amicizia".
Note biografiche a cura del Prof. Giuseppe Bonghi
Shakespeare e Alfieri segnano gli estremi cronologici del Seicento/Settecento.
Se uno apre, l'altro chiude il bicentenario d'oro del brindisi. Tra il
XVII e il XVIII secolo tanti e tantissimi minori, composero brindisi. Fu
una vera e propria moda, al cui vertice c'è il Bacco in Toscana
di Francesco Redi, concepito da un non precisato stravizzo della Crusca,
la sera del 12 settembre 1666. Redi fu un personaggio insigne del suo tempo.
Fu primo medico di corte, ma fu anche protofisico granducale e tra i più
attivi, nell'Accademia del Cimento, (1657 - 1667) allora protetta dal principe
Leopoldo e dal granduca di Toscana Ferdinando, a mantenere vivo il magistero
galileiano. Ovviamente, fu anche uomo di lettere.
Come tale, entrò tra i primi nell'Accademia della Crusca e lavorò
al Vocabolario. Conosceva il greco, il latino, l'ebraico; qualcosa dell'arabo
e dell'abissino. Si attivò come editore e come scopritore di testi.
Ma fu anche poeta. La prima stesura de Il Bacco in Toscana contava 44 versi,
ma 11 anni dopo, il 4 febbraio 1685, i versi erano saliti ai definitivi
980. Il componimento ebbe un successo strepitoso. Fu definito il capolavoro
della poesia bacchica, il miglior ditirambo in lingua italiana, secondo
la nuova moda poetica. Il ditirambo - canto corale in onore di Dioniso-Bacco
- venne introdotto dal Chiabrera con il suo Ditirambo alla maniera dei
Greci. Ma l'invenzione spetta alla letteratura francese e in particolare
a Ronsard, Chant de folie à Bacchus. Il brindisi ha tutti i caratteri
del nuovo genere: nessun legame di rima, versi brevi e lunghi per la libertà
dell'invenzione, qua e là qualche grecismo. "Una misuratissima pazzia"
lo definì il Pancrazi. Curioso è anche il modo con cui Redi
giunge al brindisi. Il ditirambo inizia raccontando l'arrivo in Toscana
da Oriente del dio del vino. Segue l'elogio delle proprietà del
vino e in specie dei vini toscani. Celebre la definizione del vino come
"oro potabile", mentre si critica il caffè, la birra, il "sidro
d'Inghilterra", l'acqua, i sorbetti. Viva il vino e l'ebbrezza e il vivere
spensierato, questo è il messaggio. Tuttavia, a furia di bere, la
testa di Bacco inizia a girare e il terreno a tremargli sotto i piedi.
Quando le cose stanno così, non si può che lasciare la terra
e andare in mare. E questo fa Bacco. Il viaggio per mare, l'ebbrezza, il
desiderio di bere ancora determina un continuo bisticcio tra Brindisi città,
meta della navigazione, e brindisi di vino. Alla fine è il vomito
a riequilibrare tutto e a permettergli di ricominciare a bere. Il ditirambo
si conclude con l'enunciazione, tra il solenne e l'ironico, della verità
divina: "ascolti questo altissimo decreto, / che Bassareo (Bacco) pronunzia,
e gli dia fé: / Montepulciano d'ogni vino è il re".
2. FRANCESCO REDI (1626 - 1698)
Ditirambo di Bacco: brindisi
Quali strani capogiri
d'improvviso mi fan guerra?
Parmi proprio che la terra,
sotto i piè mi si raggiri;
ma se la terra comincia a tremare,
e traballando minaccia disastri,
lascio la terra, mi salvo nel mare.
Vara, vara quella gondola
più capace e ben fornita,
ch'è la nostra favorita.
Su questa nave,
che tempra ha di cristallo,
e pur non pave
del mar cruccioso il ballo,
io gir men voglio
per mio gentil diporto,
conforme io soglio,
di Brindisi nel porto;
purché sia carca
di brindisevol merce
questa mia barca.
Sù, voghiamo,
navighiamo
navighiamo infino a Brindisi:
Arianna, brindis, brindisi.
O bell'andare
per barca in mare,
verso la sera,
di primavera!
(…)
Sù, voghiamo
navighiamo infino a Brindisi:
Arianna, brindis, brindisi.
Passavoga, arranca, arranca,
ché la ciurma non si stanca,
anzi lieta si rinfranca
quando arranca inverso Brindisi;
Arianna, brindis, brindisi:
e se a te brindisi io fo,
perché a me faccia buon pro,
Ariannuccia vaguccia, belluccia,
cantami un poco, e ricantami tu,
sulla mandòla la cuccurucù,
la cuccurucù,
la cuccurucù;
(…)
Or qual nera, con fremiti orribili,
scatenossi tempesta fierissima.
(…)
Ecco, Ohimé! Ch'io mi mareggio:
e m'avveggio
che noi siamo tutti perduti:
ecco, Ohimè! che io faccio getto,
con grandissimo rammarico,
delle merci preziose,
delle merci mie vinose:
ma mi sento un po' più scarico.
Allegrezza, Allegrezza! Io già rimiro,
per apportar salute al legno infermo,
sull'antenna da prua muoversi in giro
l'oricrinite stelle di Santermo.
Ah! no no, non sono stelle;
son due belle,
fiasche gravide di buon vini;
i buon vini sono quegli che acquetano
le procelle si fosce e rubelle,
che nel lago del cor l'anime inquietano.
Satirelli
ricciutelli,
satirelli, or chi di voi
porgerà più pronto a noi
qualche nuovo smisurato
sterminato calicione,
sarà sempre il mio mignone:
né m'importa se un tal calice
sia d'avorio, o sia di salice
o sia d'oro arciricchissimo;
purché sia molto grandissimo.
Testo e ricerche Luigi Borgo - copyright Santa Margherita S.p.a.
Giuseppe Bonghi
Introduzione
Bacco in Toscana
di
Francesco Redi
- La presente Introduzione può essere riprodotta su qualsiasi
tipo di supporto magnetico, ma non su carta in qualsiasi forma. Per i diritti
d'autore rivolgersi a Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it -
Indice
Introduzione
Il ditirambo
La struttura
Il Ditirambo e la società del Seicento
L'uso linguistico
Bacco in Toscana
- vv. 1-357
- vv. 358-732
- vv. 733-980
BACCO IN TOSCANA
ditirambo
di
FRANCESCO REDI
accademico della Crusca
nota - pubblicato per la prima volta nella versione completa in Firenze
nel 1685 con molte annotazioni dell'Autore, accresciute nella terza edizione,
del 1691, avvenuta a spese dell'editore Piero Matini - riprendiamo il testo
da Bacco in Toscana, Ditirambo di Francesco Redi accademico della Crusca,
con le Annotazioni, ed. Piero Matini all'insegna del Lion d'oro, con licenza
dei superiori, Firenze 1685, (pubblicato sotto il patronato del Granduca
di Toscana) - Il volume giace presso la Biblioteca comunale di Novara -
INTRODUZIONE
- IL DITIRAMBO (n. 1)
"Questo benedetto Ditirambo è diventato l'Opera di Santa Liperata, direbbe un Battilano" (n. 2). Così scriveva il 29 dicembre 1684 il Redi all'amico Lorenzo Magalotti, riferendosi a tutte le aggiunte che nel corso degli anni, dalla prima idea del 1666, era venuto facendo, specialmente negli ultimi mesi prima della pubblicazione, avvenuta nel 1685, colle spese del Granduca di Toscana Cosimo III. L'ironica battuta del Redi, riferita a un battilano, lavorante addetto alla battitura della lana, quindi di bassa condizione sociale, sta ad indicare un lavoro di cui non si vede mai la fine. Due volte all'anno, gli Accademici della Crusca si riunivano a un pranzo collettivo, un solenne simposio, detto stravizzo, alla presenza di autorità di governo, rappresentanti del Granduca e illustri personaggi, in occasione della elezione di nuovi membri dell'Accademia. Il 12 settembre 1666 si tenne alla presenza dei principi Leopoldo e Mattias de' Medici uno stravizzo per la nomina anche del nuovo arciconsolo, nella persona di Vincenzo da Filicaia. Durante lo scambio dei brindisi, rispondendo a un'ottava scherzosa dell'amico Lorenzo Magalotti, che aveva affermato che non è l'amore che deve reggere il mondo, ma il vino:
l vin sia quel che 'l mondo regge in piede
ed or m'avveggio che il pensier non erra
se sotto i piè mi fa girar la terra'.
il Redi improvvisò un ditirambo scherzoso di quarantaquattro
versi, facendo le lodi di alcuni vini toscani. Era il primo nucleo del
Ditirambo, che, come afferma Ranieri Schippisi (n. 3),
"sette anni più tardi (1673) erano già diventati i novantasette versi dello Scherzo anacreontico, poi i centoventidue de I vini della Toscana, i centocinquantasette del Baccanale in lode dei vini della Toscana".
Nel 1673, comunque, in una lettera inviata da Firenze all'amico Lorenzo Magalotti il 26 Agosto, il Redi scrive:
"Il Ditirambo dell'acque (n. 4) non è finito; ma egli è divenuto la rete del barbiere (n. 5). È finito il Ditirambo de' vini ed è cresciuto fino a quattrocento tanti versi. V.S. Illustriss. lo vedrà stampato presto, e quel che più importa cum notibus et commentaribus." (n. 6)
Si tratta evidentemente del Bacco in
Toscana, ma il Ditirambo dei Vini (n. 7), come lo chiama in modo discorsivo
e colloquiale l'autore, non verrà mai stampato, anche se cominciarono
a circolare molte copie dei quattrocento versi, che subito si imposero
per la loro freschezza, diventando celebri presso tutti gli intellettuali
della Toscana e presso la Corte del Granduca. É solo a questo punto
che si inseriscono non solo gli interventi degli amici, a cominciare da
Lorenzo Magalotti, tendenti a far introdurre dei versi in ricordo degli
stessi, a cominciare da Cosimo III, ma anche un sentimento di devozione
dell'Autore che tendeva a ripagarli in qualche modo dell'amicizia e dell'aiuto
che questi gli avevano dato in svariate occasioni: riprova ne è
la stessa lettera citata, nella quale l'Autore riporta tre brani del suo
Ditirambo (che non subiranno variazioni nell'edizione definitiva: sulle
bevande nordiche, birra, ecc.; sulla nave in mare verso Brindisi dalla
quiete alla tempesta; sul vino che bisogna bere freddo: in totale 127 versi)
nei quali manca qualsiasi accenno agli amici.
Dopo un certo periodo di pausa, in quanto
era impegnato in altre occupazioni, fra cui quella di Primo Medico della
Corte, e da interessi più specificamente scientifici, il Redi rimette
mano al Ditirambo all'inizio del 1684. I versi diventeranno definitivamente
980 nel 1685, pubblicati col titolo di Bacco in Toscana, dopo dodici anni
di aggiunte, rifacimenti e revisioni dal 1673 fino alla versione definitiva,
ma soprattutto degli ultimi due anni, legati dall'esile filo dell'elogio
dei vini, realizzato da un personaggio che non amava quasi per niente il
vino o che comunque difficilmente si abbandonava al bere, e dell'elogio
degli amici più cari insieme ai personaggi più in vista dell'epoca.
Il Redi immagina che Bacco, il dio del
vino, ed Arianna sua moglie, in uno dei loro frequenti viaggi per i luoghi
in cui si coltivano vigneti a lui dedicati, si fermino con tutto il seguito
di Satiri e di Ninfe nelle villa medicea di Poggio Imperiale (il titolo
imperiale deriva dal fatto che fu posseduta dalla Granduchessa Maria Maddalena
della famiglia imperiale d'Austria, consorte di Cosimo II), una delle residenze
estive dei Granduchi di Toscana e soggiorno preferito delle principesse
Medicee, una grandiosa costruzione sul posto di un antico castello, dotata
di un bellissimo parco. Sul verdeggiante prato del parco, sedendo vicino
ad Arianna, Bacco passa in rassegna i vini della Toscana, in particolare
del contado fiorentino, insieme ad alcuni non toscani, che egli conosceva
per esperienza personale o semplicemente letteraria, in tutto 57, eleggendo
infine il migliore di tutti i vini, il Montepulciano, e facendo l'elogio
di alcuni degli uomini migliori dell'epoca, con in testa il Mecenate Granduca
Cosimo III.
Proprio sul vino di Montepulciano, elogiandone
le grandiose qualità, scrisse un'ode (n. 8) al Conte Federico Veterani
in quegli anni, per ringraziarlo di alcuni assaggi di vino che gli aveva
mandato, sapendo che il Redi era alle prese con il Ditirambo:
Se l'Unghero rubelle, e il Transilvano
(n. 9)
ridurre al giogo imperial (n. 10) bramate,
bevete, o signor Conte, anzi trincate
questo ch'or vi mand'io Montepulciano.
Se di questo, Signor, voi trincherete
a colizione, a desinare, e a cena,
il Prence Montecuccoli, e il Turrena
in gloria militar trapasserete:
anzi quel re di Francia ( n. 11) sì
terribile,
che fa paura a tutto quanto il mondo,
e tutto lo vorria domare a tondo,
avrà di voi una paura orribile.
E se 'l demonio lo tentasse mai
d'attaccarvi di notte nel quartiere ( n. 12),
se baderete, o Signor Conte, a bere,
il Re di Francia n'averà de' guai.
Bevete dunque, e giorno e notte in guerra
state col fiasco, e generoso, e forte,
e sarete più bravo della morte,
e il maggior capitan, che viva in terra.
Bevete pur, e ve lo dice il medico,
bevetel freddo, che non fa mai male,
e stimate un solenne arcistivale ( n. 13)
chi non dà fede a quanto adesso io predico.
E se tornate in Alemagna, dite
al nostro Imperator da parte mia,
che se vuol gastigar quell'Ungheria,
e far le ribellioni ormai finite;
anch'egli bea Montepulciano, e faccia
nel bel mezzo di Vienna un'ampia grotta,
dove sempre ognun trinchi a guerra rotta ( n. 14)
Verdea, Montepulcian, Chianti, e Vernaccia.
Se questo fia, vedremo a' nostri giorni
marcire il Turco prigioniero in Vienna,
e la superba trionfale Ardenna
contenta star de' vasti suoi contorni.
Vedremo, io so bene io, ch'io son Profeta,
perché un fiasco di vino in sen mi bolle,
e tutto pieno di furor m'estolle ( n. 15)
del profetico Pindo all'alta meta.
- LA STRUTTURA
Nel Ditirambo, per comodità, possiamo distinguere i seguenti punti, che segnano l'evoluzione sia dell'elogio dei vini che di un brindisi che porta più o meno tutti a uno stato di ubriachezza simile a quello delle scimmie, evidenziato non solo dalla tirata a volte confusionaria e balbettante di Bacco, così genialmente espressa dai giochi di parole, di rime e di assonanze e onomatopee, ma anche dall'intrecciarsi di balli e canti sfrenati, esaltati dallo strepito di strumenti primitivi che, nulla avendo di dolce, spingono al parossismo del piacere dei sensi sollecitati dal bere:
vv.
1-94 definizione del vino, come sangue amabile che rinnova le arterie,
creato dai raggi del sole che tutto vivifica (11-18); Bacco loda i buoni
vini, a cominciare da quelli di Avignone e di Artimino e, passando per
i vini da scartare come quelli di Lecore, finisce col Moscadelletto di
Montalcino, degno di essere custodito dalle Vestali;
vv.
95-139 alcuni vini non buoni, come il Pisciarello per la mancanza di
forza, e l'Asprino perché troppo forte e acre; tirata contro coloro
che, come Ciccio d'Andrea e Fasano, superbi, credono di intendersi di vino
come Bacco, brandendogli contro il tirso, ma farebbero meglio a bere il
Greco di Posillipo e di Ischia;
vv.
140-203 elogio di ottimi vini, come il Trebbiano, il Buriano e il Colombano,
insieme alla Barbarossa, al Corso e all'Ispano, che affinano il cervello,
come al buon Rucellai che può in questo modo sviluppare i suoi studi
scientifici; come contrapposizione abbiamo la condanna di bevande barbare
come il cioccolato, il the e il caffè;
vv.
204-290 anche in questa sezione, come nella precedente, alterna l'elogio
dei buoni vini del contado fiorentino, e in genere toscano, come la Malvagia,
(216-228) il Sansavino, il Vaiano o l'Albano (250-265), e il disprezzo
e la maledizione contro coloro che bevono birra, sidro e le bevande del
nord Europa (229-244), chiudendo con l'ottimo Topazio di Lamporecchio;
vv.
291-357 tra i modi di bere il vino (puretto o innacquato), indica il
modo migliore: il vino va bevuto freddo; e, quindi, elenca vari tipi di
vasi che servono a tenere in fresco il vino, come le cantinette e le cantimplore
o le bombolette; invita i suoi Satiri a procurargli il ghiaccio necessario
dalla Grotta di Boboli, il celebre giardino di Palazzo Pitti, il più
bel giardino all'italiana esistente; la sezione chiude con il canto armonioso
dei poeti, come Menzini e Filicaia, e degli Accademici della Crusca, invocando
Bacco con l'acclamazione "Evoè";
vv.
358-384 piccola sezione, che chiude la prima parte del Ditirambo, con
Bacco che, dopo essersi lavato la bocca con la Malvagia del Trebbio, fa
una lode a Cosimo III, Granduca di Toscana e Mecenate, che, come ha accolto
presso la sua Corte gli intelletti più vivi di Toscana, così
possa essere accolto fra i satelliti di Giove, astro novello nel Cielo
degli dei;
vv.
385-444 Comincia una seconda parte più movimentata, in cui sono
presenti i divertimenti di corte, come balli e canti, sollecitati da vari
tipi di strumenti musicali, e allietati da canzoni e poesie ed eccitati
ancor più da un immancabile ottimo vino, come il dolce Mammolo di
Montisone;
vv.
445-530 la sezione ha un andamento lento, calmo e maestoso, prima del
finale travolgente: Redi, cioè Bacco, ha trovato finalmente dei
vini eccezionali e si ferma a gustarne il sapore centellinando ogni goccia;
sono i vini di Fiesole, di val di Marina, di val di Botte e la Vernaccia,
che invitano alla calma e ad ascoltare egloghe al suono dello zufolo all'ombra
di una rovere, allontanando tutti coloro che bevono il debole e leggero
vino delle Cinque Terre di Toscana (della piana di Lècore alle porte
di Firenze) infliggendo loro una vergognosa punizione: ma il tutto è
espresso sempre con un garbato sorriso, senza violenza;
vv.
531-585 il ritmo diventa più convulso, rapido e precipitoso,
con i versi brevi e i suoni che si inseguono veloci, anche quando (559-580)
condanna coloro che preferiscono gli orribili odori alla moda, come il
muschio e l'ambra o gli odori fatti venire dal Perù e da Tolù,
conservati in cunziere e guancialetti, borsigli e soavi profumiere, all'odore
vero e unico del vino; la rinnovata voglia di bere (531-557) apre e chiude
la sezione, con l'elogio dell'Antinoro (531), del Canaiuolo (535) e dell'Ambra
(581) del Cavalier dell'Ambra;
vv.
586-645 è la sezione che presenta i benefici effetti del vino:
fa le menti chiare e svelte (600), come il Pumino; rende contenti i desideri
a pieno (615) ed è l'allegria del mondo (620), come il Vermiglio
di Gualfonda o il Piropo di Mezzomonte; ispira la poesia (630: mi sollevo
sovra i gioghi di Permesso) fino a spingere Bacco a sentirsi in grado di
gareggiare con lo stesso Apollo, se beve il rubino di Valdarno o il vino
di Gersolè, cantando (643-645) le lodi della chioma naturalmente
bionda e della bocca bella di Arianna (tutte le donne dei poeti sono bionde
e tutte hanno la bocca bella: la superficialità di queste due immagini
è effetto del vino: Bacco non sa trovare di meglio;
vv.
646-731 il vino e l'amore cominciano a produrre i loro effetti su Bacco
che si dichiara "Cavalier bagnato" di Arianna per poter sedere con onore
alla mensa di Giove, come gli antichi cavalieri della letteratura cortese
e in particolare secondo il costume dei cavalieri Longobardi; in questa
sezione troviamo sia l'elogio dei vini (Falerno, Tolfa, Verdea, Lacrima
del Vesuvio, ecc.) sia i tipi di fabbricazione del vino (mezzograppolo,
alla franzese, granella, ecc.) e finisce con l'elogio del Chianti e del
Carmignano: intanto s'avanza l'ebbrezza fra i tanti inviti a continuare
a bere i buoni vini;
vv.
732-806 è una sezione che rappresenta un intermezzo necessario
prima della volata finale: questi versi sono una 'tirata' contro l'acqua,
così capricciosa quando mette a soqquadro il mondo con le sue inondazioni
che rovinano monumenti stabili da secoli (739-751) e chi la beve (757-760),
contro i mediconzoli che la consigliano perché sperano di guarire
con essa molti mali (761-770), contro tutte le bevande che non siano vino,
come l'acqua cedrata o il limoncello o l'aloscia (778-791), perché
sono bevande da femmine leziose: solo il vino (792-806) protegge e fa bene
anche al freddoloso Redi (l'autore trova il modo di accennare anche a se
stesso);
vv.
807-880 comincia la parte finale del Ditirambo, la più celebre
per la genialità ritmica della composizione: l'alternarsi dei versi
nella loro varia lunghezza metrica e dei giochi di assonanze e di rime,
riflettono bene l'ebbrezza di Bacco, che ondeggiando crede di essere su
una nave che naviga verso Brindisi in un comico bisticcio tra Brindisi
città e brindisi vinoso: Bacco, come dice il Redi in una lettera
al Menagio del 6/1/1684, "comincia ad essere briaco, o per dir meglio è
tutto briaco";
vv.
881-960 è la sezione che rappresenta la scena finale: quella
della tempesta marina parallela alla tempesta dell'ubriachezza nel corpo
di Bacco e dei suoi seguaci, per superare la quale bisogna pur fare qualche
sacrificio, buttando a mare i preziosi barili pieni di vino e buttando
fuori dal proprio corpo (simboleggiato dalla nave) il vino ingurgitato;
una volta alleggeriti, la tempesta sembra essere superata e lo scampato
pericolo deve essere festeggiato da una abbondante bevuta: invita i Satiri
a mescere altro vino non in bicchieretti, caraffini, buffoncini, zampilletti
e borbottini, ma in sterminati calicioni grandi come un tonfano;
vv.
961-980 è la chiusura col brindisi finale col vino di Montepulciano,
dichiarato con "altissimo decreto" il re di tutti i vini, bevuto fino a
cadere stremato per l'ubriachezza sulla tenera erbetta: mentre gli occhi
di Bacco si disciolgono per la dolcezza e la sua anima va in estasi e in
visibilio dopo che il vino gli ha baciato e morso l'ugola sdrucciolando
verso il cuore, le sue festose Baccanti alternano i canti e i Satiri si
sdraiano per terra, "cotti come monne", ubriachi come scimmie.
Sul piano del contenuto mettiamo in evidenza:
elogio dei vini
57 Claretto di Avignone, Rosso di Artimino, Moscadello di Petraia,
Moscadello di Castello, Crisolito, Moscadelletto di Montalcino, Pisciancio
del Cotone, Pisciarello di Bracciano, Asprino d'Aversa, vino di Posillipo,
vino di Ischia, Greco di Posillipo, Greco d'Ischia, Buriano di Pescia,
Trebbiano, Colombano, Barbarossa, Corso, Ispano, Malvagia di Montegonzi
o Malvagia etrusca, Ambra cretense, vino di Sansavino, Vermiglio di Tregozzano,
Vermiglio di Giggiano, Albano, Vaiano, Topazio di Lamporecchio, Malvagia
del Trebbio, porpora di Monterappoli, Mammolo di Mantisone, Maiano di Fiesole
del Salviati, vino di Val di Marina, vino di Val di Botte, Vin di Lesmo,
vino di Colombano, Vernaccia di Pietrafitta di San Gimignano, vin di Brozzi,
vin di Quaracchi, vin di Peretola, vino de Le Rose d'Antinoro, Canaiuolo,
vino del cav. dell'Ambra, vino di Pumino, vin d'Albizzi, Vermiglio di Gualfonda,
Piropo di Mezzomonte, Rubino di Valdarno, Mammoletta, vin di Gersolè,
Falerno, Tolfa, Lacrima del Vesuvio, Verdea d'Arcetri, vino porporino di
Lappeggio, Chianti, Carmignano, Montepulciano;
tipi di lavorazione del vino: 7 mezzograppolo, alla francese, rincappellato,
granella, soleggiato, rullato, alla sciotta;
accenno particolare al Granduca di Toscana Cosimo III de' Medici ed
elogio di alcuni degli amici più cari: 21 Scarlatti, Stefano Pignatelli,
Ciccio d'Andrea, Gabbriello Fasano, Marchese dell'Oliveto, Orazio Rucellai,
Benedetto Menzini, Vincenzo da Filicaia, Alessandro Segni, Monsieur l'Abbé
Régnier, Lorenzo Magalotti, Salviati, Anton M. Salvini, Carlo Maria
Maggi, Francesco de Lemene di Lodi, Cavalier dell'Ambra, Albizzi, Riccardi,
Corsini, Lorenzo Bellini, Vincenzo Viviani;
strumenti musicali popolari: 18 cetera, cembalo, crotalo, flauti, nacchere,
talabalacchi, tamburacci, corni, cornamuse, pifferi, sveglioni, colascioni,
dabbudà, zufolo, ghironda, cennamella, mandola, viola;
canti popolari, balli e generi di poesie: 12 tresca, frottole, riboboli,
strambotti, bombababà, mottetti, cobbole, sonetti, cantici, fiori
scambievoli, egloghe, cuccurucù;
vari tipi di bicchieri e di vasi: 33 vetri maiusculi, bellicone, tino,
fiasco, botticin, la pevera, nappo, anfore, inguistare, ciotole, bicchier,
pecchero, ciotolone, tazze, cantinette, cantimplore, bombolette, coppa,
boccale, bigoncia, vaso, fiasche, calice, calicione, bicchieretti fatti
a foggia, bicchieri arrovesciati, gozzi strangolati, caraffini, tazze,
buffoncini (da buffone), zampilletti, borbottini, vetro che chiamasi tonfano;
odori preziosi e contenitori: 7 ventagli, guancialetti, ambra, soavi
profumiere, cunziere, polvigli, borsigli;
bevande diverse: 11 cioccolatte, tè, caffè, cervogia
o birra, Sidro d'Inghilterra, bevande di Lapponi e Norvegi, acqua cedrata
di limoncello, bevanda di gelsomini, Aloscia, Candiero, sorbetti;
palazzi e ville: 13 Imperial Palagio di Maria Maddalena d'Austria,
villa Artimino di Ferdinando I Granduca di Toscana, villa Petraia dei Medici,
villa Castello dei Medici, villa di Lamporecchio dei Rospigliosi, villa
dei Medici di Trebbio in Mugello, la Salviatina (dei Salviati di Maiano),
villa di Lesmo del Maggi, villa di Mezzomonte dei principi Corsini, villa
di Gualfonda dei Riccardi, villa del Cotone degli Scarlatti, villa Le Rose
degli Antinori, villa Lappeggio (Lampeggio) di Francesco Maria di Toscana;
elementi mitologici: 45 Bacco Domator dell'Indico Oriente, Arianna,
Venere, Vergini severe di Vesta, Tigri Nisee, Sebeto, tirso, Febo, Minerva,
Elena, nepente d'Elena, Ipocrate, Andromaco, Tartaro, Erebo, empie Belidi
figlie di Danao, Tesifone, Furie, Proserpina, Cidonio scoglio, Aurora druda
di Titone, Satiri, Grazie, Febea ghirlanda, Pindo, Cigni ebrifestosi, Giove,
Bassaridi cinte di nebridi, Fauni, Menadi, Egipani, Esone, Atlante (fiesolano),
Parnaso, Narciso, Sileno, Pan, famiglia capribarbicornipede, Permesso (Parnaso),
Marte Gradivo egidarmato, Eros (fanciullo faretrato), Sioni, oricrinite
stelle di Santermo, Satirelli, Lieo, Bassareo, Baccanti.
--------------------------------------------------------------------------------
- IL DITIRAMBO E LA SOCIETÀ DEL SEICENTO
La divisione in quindici sezioni ci serve
soprattutto per poter capire con maggiore immediatezza il contenuto del
Ditirambo e l'ambiente del Seicento Barocco nel quale è nato, un
ambiente raffinato che non è solo quello della Corte di Cosimo III
dei Medici, ma anche quello dei Letterati dell'Accademia della Crusca e
dell'Accademia del Cimento, alcuni dei quali sono nominati sia per il loro
valore che per i buoni vini che si producono nelle loro terre. Col passare
del tempo e il diffondersi di copie a mano dell'abbozzo del Ditirambo si
verifica una nuova necessità: quella del desiderio di amici più
o meno influenti, ai quali non si poteva dir di no, che sollecitavano un
posto nel Ditirambo.
Le due necessità - trovare un
idoneo posto per i suoi amici e decantare le lodi dei vini migliori che
conosceva, anche se non tutti in maniera diretta, perché non era
un gran bevitore - così estranee all'idea originaria di una scherzosa
lode dei vini di Toscana, erano state accolte soprattutto a causa del suo
temperamento, che era improntato da un lato a una certa precisione catalogatoria
tipica del naturalista, che gli permetteva il suo lavoro di medico e di
ricercatore più o meno scientifico, pur senza grandi intuizioni
e senza la sistematicità dello scienziato, e dall'altro a una naturale
e sincera cortesia che era sia educata affabilità che opportunismo
cortigiano.
E molte volte lo sforzo di accontentare
gli amici si sente: trovare un riferimento calzante per le lodi di tutti
gli amici, senza urtare suscettibilità o suscitare permalosità,
non dovette essere impresa facile: ne fanno fede le numerose lettere scritte
agli amici più intimi, in cui esprime le difficoltà non solo
nel trovare il taglio giusto per parlare dei suoi amici, ma anche nel collegare
i vari pezzi, in modo che non ne fosse spezzata l'unitarietà. Per
evitare che si creasse un'aria di sdolcinata e stucchevole adulazione,
mutò l'iniziale idea di lodare i vini e gli uomini in prima persona,
coll'artificio di rendere Bacco protagonista e trovatore di quelle lodi
e di quelle discrete allusioni, talvolta concordate, spesso lette in anteprima
dai destinatari e qualche volta corrette. Il Redi, che come abbiamo più
volte detto di vino si intendeva poco, che non lo beveva ma talvolta lo
centellinava come se si trattasse di liquore, ed era convinto, anche come
medico, che dopo che da Noè fu introdotto l'uso del vino ... molto
fu accorciato il nostro vivere, finisce per trovare per alcuni vini aggettivi
e qualità comuni e generiche, comunque mai esaltanti e precise,
tali che potessero permettere di distinguere sostanzialmente un vino dall'altro,
liberando la propria fantasia soprattutto sui modi del bere e sulle ebrifestose
conseguenze.
Scrive Ranieri Schippisi (n. 16):
C'è nel Bacco in Toscana un equilibratissimo gioco tra cultura e tecnica letteraria da un lato, e l'impeto di un estro divertito e poetico dall'altro; ma i due elementi non si intralciano e non si contrastano: piuttosto mutuamente si condizionano e si sottolineano. La scaltrezza del letterato si alleggerisce e si rallegra sempre nell'immagine netta e nell'accavallarsi rapido e lieve dei metri, l'estrosità del poeta si sostanzia e si fissa in una continuata e sorvegliata invenzione; ed il risultato è quell'artificiosa naturalezza di cui ha detto un critico Moderno (il Pancrazi)...
Il Ditirambo ci offre uno spaccato della
società secentesca e barocca coi suoi giochi di corte estivi, col
tipo di strumenti usati all'aperto, con il comportamento cortese dei cortigiani,
in cui tutto sembra naturale e invece è studiato nei più
piccoli particolari dall'inchino al modo di parlare, dal linguaggio ai
gesti, al vestire, al camminare, al sedersi sull'erba, fino all'ubbidienza
al Principe, cieca e assoluta, nella quale i moti dell'animo sono praticamente
esclusi: Bacco è un po' come il Principe Granduca, e la Corte è
rappresentata dai Satiri e dalle Ninfe.
La vita di Corte scivolava lenta
e noiosa, fatta da mille impegni per lo più inutili, che distraevano
il Redi dalle sue occupazioni predilette, dei quali ebbe qualche volta
a lamentarsi, anche se mai in maniera almeno un po' vigorosa: il vigore
doveva essere limitato a contrasti assolutamente apparenti e sostanzialmente
vuoti, come in una lamentela ( n. 17) contro il figlio del Marchese Pierfrancesco
Vitelli, Capitano della Guardia del Granduca, un po' troppo avaro, mentre
trascorre l'inverno nella sua villa all'Ambrogiana insieme alla Corte;
scrive il Redi:
a quel vostro figliuol, che tanto amate;
A quel vostro figliuol (Signor
Marchese)
che la regia anticamera governa,
a quel vostro figiuol, che quando verna,
non vuol veder mai le fascine accese.
Grida, strida, schiamazza, e pare
un diavolo
a cui l'Angel Michel tolt'abbia un'anima,
e contro me sì bestialmente e s'anima,
che vuol mandarmi ad ingrassare il cavolo.
Ma faccia lui: che poco ingrasserollo,
perché il freddo m'ha secco il cuoio ( n. 18) addosso,
...
Voi, ch'avete paterna autorità
sopra il vostro figliuol grasso e paffuto,
che dal Granduca è così ben veduto,
fateci a tutti un po' di carità;
fategli una solenne riprensione,
e nel farla fingetevi adirato;
ditegli che sarebbe un gran peccato
il far morir di freddo le persone.
Lo spirito controriformistico a
lungo andare, nella seconda metà del Seicento, aveva determinato
un isolamento degli ingegni, che, esaurito il periodo dell'influenza dell'insegnamento
di Galilei e dei suoi diretti discepoli, venivano a perdere un solido retroterra
fondato sugli scambi culturali; e questo si può a maggior ragione
notare in personaggi come il Redi, le cui opere scientifiche erano ben
conosciute e stampate fuori dai confini della Toscana (a Parigi, ad Amsterdam,
ad esempio), ma mancavano della possibilità di un serio sviluppo
scientifico perché mancavano scuole e strumenti adeguati che il
mecenatismo dei Principi non ha mai offerto e non è riuscito a creare.
Il controllo ideologico dell'Inquisizione
e dell'opera in particolare dei Gesuiti, aveva esteso una cappa che impediva
l'approfondimento delle ricerche scientifiche almeno fino al primo quarto
del secolo XVIII, e l'espressione dell'arte si era sempre più richiusa
in un bozzolo di vuoto concettismo dal quale l'Accademia dell'Arcadia faticosamente
comincerà a tirarla fuori verso la fine del Seicento, quando il
controllo delle autorità ecclesiastiche su tutte le attività
umane comincerà finalmente ad essere limitato.
Un Granduca come Cosimo III, che
manterrà il potere per mezzo secolo fino al 1721, in questa generale
atmosfera, con il suo atteggiamento profondamente bigotto e superstizioso,
paternalistico e spesso punitivo contro chiunque si discostasse troppo
dal comune modo di agire e di pensare, basato più sull'apparenza
che sulla sostanza, riservato alle piccole cose quotidiane, senza mai il
lampo d'ingegno di una visione generale, non poteva che essere un formidabile
freno ai desideri delle persone più colte e più intraprendenti.
Per questo, personaggi come il Redi si sono facilmente adagiati a un vivere
quotidiano in cui le norme di comportamento piovevano dall'alto e dovevano
essere seguite supinamente, mentre le difficoltà venivano risolte
e superate dai funzionari della Corte stessa, se mai ve ne fossero state,
senza che ai cortigiani venisse lasciata una qualunque libertà d'azione.
Per questo gli aspetti esteriori
dell'esistenza, il gusto del meraviglioso, la tendenza a una visione ludica
della vita, l'aspirazione a superare la monotonia quotidiana con la giocosità
dell'arte e la concettosità ingegnosa del pensiero che lasciava
tutti stupiti e quasi incantati, erano gli aspetti più importanti
della visione della vita di questo periodo.
Su questo piano il Ditirambo del
Redi è un gioco di ritmi e di suoni, sottilmente e sapientemente
costruito, che produce negli uomini di corte e di cultura quel sottile
piacere che fa godere e apprezzare la vita e i suoi doni.
--------------------------------------------------------------------------------
- L'USO LINGUNGUISTICO
Sul piano linguistico possiamo
notare soprattutto l'uso abbastanza frequente del vezzeggiativo, del superlativo
e soprattutto del diminutivo, presenti quando vuol dare una patina di dolcezza
alle sue parole, anticipando in questo il gusto dell'Arcadia, nata ufficialmente
a Roma il 5 ottobre 1690.
In una delle note al Ditirambo
il Redi stesso scriveva:
Un gentilissimo e pulitissimo scrittore esalta la moderna lingua franzese perché non ammette i diminutivi; biasima l'antica perché gli costumava; non loda l'italiana perché ne ha dovizia. Io per me sarei di contrario avviso, e crederei che i diminutivi fossero da noverarsi tra la ricchezza delle lingue, e particolarmente se con finezza di giudizio a luogo e tempo sieno posti in uso.
Il diminutivo, quindi, serviva a ingentilire l'argomento, quando si trattava delle qualità delle donne, e a far capire l'insufficienza di determinati elementi; quando, ad es., vuol indicare l'insufficienza di certi contenitori, usa diminutivi come cantinette, bombolette, un uso che è lontano dal classicismo rinascimentale e che anticipa il gusto arcadico, tutto pieno di sentimenti velati e spesso superficiali, ma che hanno il merito di essere legati alla realtà quotidiana. In questo senso la lingua del Ditirambo rappresenta il rifiuto del modello espressivo barocco imperniato sulla poetica della meraviglia, della ricerca della metafora a tutti i costi, dell'iperbole che colpisce la fantasia e l'immaginazione del lettore; è una lingua che possiamo gustare in pochissime altre poesie del Redi, come la seguente, senza titolo ( n. 19):
Quando io ero ancor bambina
lessi un giorno una leggenda,
e imparai sebben piccina,
ch'Amore è la Befana, e la Tregenda ( n. 20).
Semplicetta
pargoletta
lo credetti allora affè (n. 21),
ed al sol nome d'amore
il mio core
spiritava ( n. 22) di paura.
Ma in etade or più matura
rido ben di mia sciocchezza,
e di mia semplicità,
perch'ho letto
in un libretto (n. 23),
che l'amore è un batticuore,
che chi nol vuol non l'ha.
Oppure questo esempio di poesia anacreontica tipica dello stile arcadico, che tocca il grande tema del passar degli anni, della giovinezza che passa, pubblicata col titolo Altro scherzo per musica (n. 24):
Donzelletta,
superbetta,
che ti pregi d'un crin d'oro (n. 25),
ch'hai di rose
rugiadose
nelle guancie un bel tesoro;
quei tuoi fiori,
i rigori
proveran tosto del verno (n. 26),
e sul crine
folte brine
ti cadranno a farti scherno.
Damigella,
pazzerella,
godi godi in gioventù;
se languisce,
se sparisce
quest'età, non torna più,
ed al rotar degli anni ( n. 27)
scema sempre il gioir, crescon gli affanni.
La tua beltà
or ch'è amabile,
gioia ineffabile
goder potrà;
ma se del viso tuo la fresca rosa
(n. 28)
per pioggia grandinosa
tempestata dagli anni al fin cadrà,
la tua beltà,
fattasi pallida (n. 29),
tremante, e squallida
lacrimerà,
che dell'etade il verde
per decreto fatal d'iniqua Stella
non ritorna già mai quando si perde.
Proprio questi "scherzi per musica",
che anticipano il melodramma di Pietro Metastasio, sono una sorta di palestra,
nella quale il Redi allena il gusto del ritmo all'interno di una lingua
quasi popolare, realistica perché calata nell'uso quotidiano, talvolta
con qualche parola scurrile, quando deve fare una battuta di spirito o
deve dare un consiglio un po' salace o deve fare un commento particolare
che si perderebbe usando un linguaggio come quello consacrato dalla tradizione
dei classici Trecenteschi. Negli "scherzi" troviamo una puntuale ricerca
di musicalità fondata sulla coesistenza di versi di differente lunghezza,
dal quadrisillabo all'endecasillabo, tendenti a mettere in mostra con maggiore
facilità e immediatezza la variabilità multiforme della vita
stessa.
Un altro aspetto del modello espressivo
del Redi nel Ditirambo è la presenza classicistica, in modo continuo,
della mitologia: ben 48 sono gli elementi mitologici e 10 gli dei nominati:
Bacco, Venere, Febo, Minerva, Aurora, Giove, Marte, Eros, Proserpina, le
Grazie; anche la mitologia serve, comunque, per esprimere concetti legati
all'attualità, ma denota una certa povertà espressiva di
fondo, una certa stanchezza della lingua che ha bisogno di non restare
più alla superficie delle cose, ma di calarsi nell'intimo della
realtà della vita. Ma l'organizzazione di quella società
impediva proprio che si approfondissero i temi della vita, nascondendo
tutto sotto l'apparenza di un comportamento cortigiano fatto di regole
esteriori, alle quali bisognava ubbidire se non si voleva essere emarginati.
La vita di corte, in fondo, contro
la quale bonariamente esprimeva qualche lamentela lo stesso Redi, perché
veniva distratto dalle occupazioni che prediligeva maggiormente, era la
morte stessa dell'intelligenza umana e della capacità di analizzare
la realtà con qualche fondamento di scientificità: tutto
era preordinato e doveva seguire regole precise, un cerimoniale che, se
non veniva seguito alla lettera, poteva generare effetti tragicomici: è
l'irresistibile comicità in cui cadono personaggi gravi e apparentemente
saggi, che hanno nelle mani le sorti di migliaia di persone, quando su
cose banali, reputate di grande importanza, scocca la scintilla della tragedia
(ripensiamo ad esempio all'episodio di Ludovico narrato ne I promessi sposi
o a quello de La vergine cuccia narrato dal Parini ne Il Giorno).
Indice
Introduzione
Il ditirambo
La struttura
Il Ditirambo e la società del Seicento
L'uso linguistico
Bacco in Toscana
- vv. 1-357
- vv. 358-732
- vv. 733-980
Biblioteca
Biografia
indice
Fausernet
http://www.fausernet.novara.it/fauser/biblio/intro/intro004.htm#intro
Francesco Redi
(Arezzo 1626 - Pisa 1697)
Opere scientifiche
A differenza di altri contemporanei come Borelli, Malpighi e
Bellini, Redi non scrisse trattati sistematici, pur essendosi occupato
nelle sue opere propriamente scientifiche di svariati problemi di zoologia,
botanica, chimica, anatomia comparata, fisiologia, embriologia e tossicologia.
L'esordio scientifico avvenne nel 1664 con le Osservazioni intorno alle
vipere, una memoria di argomento tossicologico indirizzata a Lorenzo Magalotti
che analizzava sul piano sperimentale il problema della tossicità
del veleno e delle modalità della sua inoculazione.
Ma il vero capolavoro di Redi sono le Esperienze intorno alla
generazione degl'insetti del 1668, un libro destinato a segnare una tappa
miliare nella storia della scienza moderna. Redi falsificò la millenaria
teoria della generazione spontanea dei Metazoi attraverso un esperimento
di portata epocale, che per la prima volta introduceva nella storia del
metodo scientifico la procedura seriale e il confronto tra esperimenti
di ricerca ed esperimenti di controllo.
Si trattava di una prassi assolutamente inedita nella storia
della scienza. Redi allestì una serie di otto recipienti riempiti
di vari tipi di carne, di cui quattro li lasciò all'aria aperta
e gli altri quattro li sigillò accuratamente. Il risultato fu inequivocabile:
solo i primi campioni, nei quali le mosche avevano potuto posarsi sulla
carne e deporre le loro uova, avevano dato origine a larve che poi si erano
sviluppate in mosche identiche alle prime. La carne dei recipienti sigillati,
invece, era diventata putrida, ma senza dar luogo a nessuna forma di vita.
Inoltre, per escludere che la chiusura ermetica dei recipienti, impedendo
l'afflusso di aria, potesse aver alterato il ciclo vitale delle larve,
Redi immaginò una variante di assoluta genialità. Rifece
l'esperimento utilizzando due altre serie identiche di recipienti, ma nei
campioni di controllo fece in modo, con un accorgimento tecnico semplicissimo,
che l'accesso ai recipienti fosse consentito solo ad aria pura, che non
poteva contenere nessun elemento contaminante proveniente da insetti volanti:
chiuse i recipienti con un filtro di sottilissimo velo. E questo era davvero
l'esperimento cruciale che segnava la sconfitta della generazione spontanea.
L'attacco alla inaffidabilità sperimentale della scienza
gesuitica venne intensificato da Redi nelle Esperienze intorno a diverse
cose naturali, e particolarmente a quelle che ci son portate dall'Indie,
pubblicate nel 1671 e dedicate allo stesso padre Athanasius Kircher che
era stato criticato nella precedente memoria per la sua difesa della generazione
spontanea.
Nel 1684 Redi completò la sua tetralogia biologica pubblicando
un trattato di parassitologia e di anatomia comparata, intitolato Osservazioni
intorno agli animali viventi che si trovano negli animali viventi, che
rimase incompiuto sulla promessa di una seconda sezione destinata a non
vedere mai la luce.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail:
Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 05 febbraio, 1998
Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze, Italia
Francesco Redi
(Arezzo 1626 - Pisa 1697)
Medicina
In campo medico Redi si fece interprete di una riforma in senso
naturale della terapeutica che raccomandava la prescrizione di rimedi semplici,
fatti soprattutto di dieta, purganti e clisteri, che, secondo i canoni
dell'umoralismo ippocratico, dovevano servire a depurare l'organismo dalle
impurità superflue. Redi svolse un ruolo decisivo nella più
importante scoperta della medicina seicentesca: l'individuazione dell'eziologia
acarica della scabbia realizzata da Giovan Cosimo Bonomo e Giacinto Cestoni.
Fu proprio lui infatti a pubblicare nel 1687, con il nome del solo Bonomo,
le Osservazioni intorno a' pellicelli del corpo umano, in cui veniva dimostrato
che l'infezione dipendeva dall'aggressione di un microscopico acaro che
si riproduceva tramite uova depositate sotto la pelle dei malati. La scoperta
costituiva una vera e propria 'rivoluzione copernicana' nella storia della
patologia, perché, spostando l'attenzione dal soggetto parassitato
all'agente infettante, indicava strategie terapeutiche completamente nuove
per la cura delle malattie provocate da cause patogene vitali.
Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze, Italia
Francesco Redi
(Arezzo 1626 - Pisa 1697)
Letteratura e poesia
Oltre che medico e scienziato, Redi fu anche scrittore e poeta
di gusti raffinati che seppe coniugare in una sintesi difficilmente ripetibile
la passione per le ricerche scientifiche, l'estro fantastico delle belle
lettere e il gusto umanistico per la lingua, i codici antichi e la storia.
Nel 1655 era stato ammesso all'Accademia della Crusca, dove svolse le funzioni
di Arciconsolo dal 1678 al 1690, partecipando attivamente alla redazione
della terza edizione del Vocabolario uscita nel 1691. Nel 1665 era stato
nominato anche lettore di lingua toscana nello Studio fiorentino, e nel
1692 venne iscritto, con il nome di Anicio Traustio, all'Accademia dell'Arcadia.
Tra i suoi scritti letterari ebbe grande successo il famoso ditirambo Bacco
in Toscana, pubblicato nel 1685 con molte annotazioni erudite. Lasciò
incompiuto anche un altro ditirambo, dedicato a magnificare le proprietà
delle acque toscane, l'Arianna inferma. A partire dal 1670 Redi lavorò
assiduamente anche ad un Vocabolario di alcune voci aretine, che anticipa
in modo originale i moderni studi di dialettologia e di storia della lingua.
IL SEICENTO
Al microscopio
Jan Swammerdam
Sulla scia di Francesco Redi e al suo fianco nella battaglia contro il mito della generazione spontanea, si pone il fiammingo Jan Swammerdam (1637-1682), le cui riproduzioni di insetti, nell'opera Biblia Naturae pubblicata in prima edizione nel 1685 e riedita nel 1737, raggiungono livelli altissimi di cura e di precisione.
Jannes Swammerdam, Biblia Naturae sive Historia insectorum Leydae, apud
I. Severinum, B. et P. Vanderaa, 1737.
Biblioteca Panizzi
Mostre virtuali
IL CINQUECENTO
L'enciclopedismo naturalistico
K. Gesner
U. Aldrovandi
J. Johnston
L'osservazione scientifica
P. Belon
G. Rondelet
C. Ruini
I nuovi mondi
G. B. Ramusio
O. Stor
T. De Bry
IL SEICENTO
La zoologia fantastica
G. A. Cavazzi
A. Kircher
F. Liceti
Al microscopio
F. Stelluti
F. Redi
J.Swammerdam
IL SETTECENTO
La classificazione della natura
G. L. Buffon
L' Encyclopédie
L. F. Marsigli
Le "gallerie" di animali
Storia naturale degli uccelli
Animali quadrupedi disegnati
Tra i libri di Spallanzani
--------------------------------------------------------------------------------
UN LIBRO SU
PIETRO ANDREA MATTIOLI
Sarà presentato il 9 ottobre il libro “Pietro Andrea Mattioli (Siena 1501 - Trento 1578). La vita e le opere” curato dalla Professoressa Sara Ferri. L’iniziativa, promossa dall’Università Popolare Senese, si terrà nell’Aula Magna Storica alle ore 18. Tracceranno la figura delle scienziato e illustreranno il testo i Professori Chiara Crisciani, Ordinario di Storia della Filosofia Rinascimentale dell’Università di Pavia, da Giuliano Catoni, Ordinario di Archivistica del nostro Ateneo e da Guido Moggi, Ordinario di Botanica Sistematica dell’Università di Firenze.
Pietro Andrea Mattioli, senese di nascita e di carattere, medico a Trento
alla corte del Principe Vescovo Bernardo Clesio, poi a Gorizia, infine
a Praga e a Innsbruck alla corte di Ferdinando d'Asburgo, arciduca d'Austria,
fu autore del più famoso libro di botanica del Cinquecento. La prima
edizione ("Il Dioscoride") apparsa nel 1544 era una traduzione commentata
della materia medica di Dioscoride, ma nelle edizioni successive ("I Discorsi",
o "Commentarii" nella edizione latina) la traduzione divenne solo la scusa
per descrivere la natura, in particolare per illustrare il mondo vegetale,
riportando anche le nuove piante che arrivavano dall'America o dall'Oriente,
rendendo note pratiche curative millenarie trasmesse dalla tradizione orale.I
lettori del '500 accolsero in modo entusiastico il libro, illustrato da
bellissime incisioni di piante, che divenne il più importante testo
di botanica del tempo. L'editore Valgrisi nel 1568 affermava di avere venduto
oltre 32mila copie dell'opera di Mattioli, quando di norma le tirature
usuali erano di mille, millecinquecento copie; era diffuso in tutta Europa,
in Siria, in Persia, in Egitto, fu tradotto in tante lingue (anche in ebraico
e sembra in cinese) e ispirò tanti libri simili. La sua importanza
fu avvertita anche dopo la sua morte tanto da essere ristampato fino al
1744. Anche oggi le librerie antiquarie apprezzano notevolmente gli antichi
volumi e non c'è bottega di stampe che non ne possieda qualche foglio
smembrato e trasformato in quadro. Studiosi di varia estrazione culturale
hanno analizzato il testo, effettuando una revisione critica della vita
e delle opere del geniale studioso senese. Hanno pubblicato degli inediti,
tradotto lettere latine, identificato con nomenclatura moderna quasi tutte
le piante. Sara FerriOrdinario di Botanica Farmaceutica
Istituto e Museo di
Storia della Scienza
Regione
Toscana
I luoghi della Scienza in Toscana - Biografie
Pietro Andrea Mattioli
Siena 1501 - Trento 1577
Medico e naturalista, esercitò la professione a Siena,
Roma, Trento e Gorizia, divenendo medico personale di Ferdinando e Massimiliano
II. Attento studioso di botanica, (descrisse ben 100 nuove piante), coordinò
tutte le conoscenze di botanica medica del suo tempo nell'opera Pedanii
Dioscoridis de materia medica libri sex (1544), nota come Commentarii a
Dioscoride, che ebbe molte edizioni in latino, italiano, francese, tedesco
e boemo.
--------------------------------------------------------------------------------
[ Indietro | Indice dei personaggi | Inizio ]
--------------------------------------------------------------------------------
Per commenti e suggerimenti:
Marco Berni: marco@galileo.imss.firenze.it